comportamento o esigerlo dall’altra parte. Nel caso in cui quest’ultima assume un
atteggiamento contrastante, si ha una resistenza alla pretesa. Anch’essa può
realizzarsi in un atteggiamento della volontà, divenendo, quindi, una
contestazione della pretesa. Con essa, lo Stato che la avanza, esige la prevalenza
del proprio interesse su quello contrapposto di un altro Stato, il quale, contestando
la pretesa, rifiuta la subordinazione del proprio interesse esigendone invece la
prevalenza. Si potrebbe, quindi, dire che la contestazione sia essa stessa una
pretesa che, però, riferendosi al medesimo conflitto di interessi a cui si riferisce
una precedente pretesa, è con questa antitetica. La resistenza alla pretesa può
anche manifestarsi mediante un comportamento con cui il conflitto di interessi
viene imposto in maniera opposta a quella voluta dalla pretesa stessa: deve
trattarsi di un comportamento consistente nell’inadempimento, cioè nella lesione
dell’interesse fatto con questa valere. Può, inoltre, avvenire che si abbia per primo
un comportamento di uno Stato che leda l’interesse di un altro Stato. Contro tale
atteggiamento lo Stato leso può reagire mediante una protesta. Essa, come la
pretesa, è un atteggiamento della volontà, che però si proietta nel passato. La
pretesa ha per oggetto il modo in cui il conflitto di interessi dovrà essere composto
ed, eventualmente, la condotta che dovrà essere tenuta dallo Stato contro il quale è
diretta. La protesta, invece, presupposto che sia già intervenuta una certa
composizione del conflitto di interessi, ha per oggetto la condotta che lo Stato
contro cui è rivolta avrebbe dovuto tenere e non ha tenuto.
2
1.2 Classificazione, nascita ed estinzione delle controversie
Solitamente, nell’avanzare una pretesa, contestare una pretesa altrui, o elevare una
protesta, lo Stato deve indicarne la ragione ,affermandone la corrispondenza a dati
criteri o a date esigenze, che possono essere costituiti da norme giuridiche,
avendo, in tal caso, una ragione giuridica
2
. Questa è considerata tale se consiste
nell’affermazione della congruenza della pretesa o della protesta al diritto
obiettivo, o si realizza nella negazione della stessa al diritto obiettivo del
comportamento tenuto dall’altro Stato. Giuridica è, altresì, la ragione della
contestazione quando si fonda sulla negazione della corrispondenza della pretesa
al diritto oggettivo, mentre se lo Stato si richiama, anziché al diritto, ad altre
tipologie di criteri, come ai principi di giustizia e di equità, la ragione avrà
carattere politico. È proprio tale distinzione dei caratteri che fornisce il criterio che
permette di ricondurre una data controversia nell’una o nell’altra delle due
categorie in cui le controversie internazionali vengono classificate: nella categoria
delle controversie giuridiche o in quella delle controversie politiche. In queste
ultime, che sono le più frequenti, si ha una pretesa relativa al modo in cui è
necessario che un conflitto di interessi sia risolto dal diritto, accentrandosi attorno
all’attività legislativa che gli Stati producono nell’attuare un accordo. Si è detto
che perché una controversia possa essere definita come tale, è necessario un
atteggiamento di volontà di almeno una delle due parti, che si esplica nella pretesa
o nella protesta. Tuttavia, possono aversi anche due di tali atteggiamenti, dando
luogo, così, ad una controversia da pretesa contestata. Dal carattere permanente
che deriva da questi elementi (quello di pretesa, di protesta e di pretesa
2
MORELLI G. , cit. , pp. 371 ss.
3
contestata, appunto), deriva il presentarsi della controversia stessa come
situazione permanente. Nella soluzione di questa, vi sono norme che ne
subordinano l’esistenza all’attuazione del previsto procedimento; altre prediligono
il momento in cui la controversia è sorta. Per quanto riguarda la controversia da
pretesa, invece, essa dura fin quando esistono i due elementi (pretesa e
contestazione) che la originano e si estingue al venir meno di uno dei due. Diversi
sono i motivi che inducono uno Stato, parte di una controversia, a desistere dalla
pretesa, dalla contestazione o dalla protesta. A volte persiste la convinzione
dell’infondatezza di uno di questi tre elementi, la quale può essere spontanea o
effetto di un dato procedimento, come l’accertamento dei fatti compiuto da una
commissione di inchiesta o la valutazione del conflitto di interessi realizzata da un
organo preposto, come una commissione di conciliazione.
Altro elemento, che porta uno Stato al desistere dalla pretesa, dalla contestazione
o dalla protesta, potrebbe essere la convinzione dell’impossibilità pratica che il
proprio interesse sia in grado di prevalere su quello contrapposto; tale
impossibilità può avere origine dall’atteggiamento che, di fronte al conflitto di
interessi, è assunto o si prevede che sarà assunto da terzi soggetti, il che può
costituire attuazione di norme giuridiche, quelle contenute nel capitolo VII della
Carta delle Nazioni Unite. In base ad esse, il Consiglio di sicurezza può fare
raccomandazioni e decidere in ordine alle misure che debbono essere prese al fine
di mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionali. Per tale motivo, se
una controversia costituisce una minaccia o una violazione alla pace, le misure
previste nel suddetto capitolo possono essere decise o semplicemente
raccomandate dal Consiglio di sicurezza, o addirittura ritenute soltanto probabili,
4
in quanto tendenti alla desistenza dalla pretesa, dalla contestazione o dalla
protesta.
1.2 Soluzione delle controversie
Diversamente dall’estinzione, la soluzione di una controversia è relativa al campo
del diritto
3
e si realizza in una attenta analisi data dall’ordinamento giuridico
internazionale. Tale valutazione può realizzarsi attraverso il procedimento
dell’accordo, considerato dal diritto internazionale come idoneo a esprimere
valutazioni giuridiche nei conflitti internazionali di interessi, o anche mediante la
sentenza, in quanto ritenuta adatta a tal fine da una norma di diritto particolare
posta da un accordo. Per quanto riguarda la relazione che intercorre tra estinzione
e soluzione di una controversia internazionale, la prima può avere luogo anche
senza il verificarsi della seconda, in quanto la controversia si estingue con la
cessazione della pretesa o della resistenza, mentre la soluzione della stessa sarà
accompagnata dalla sua estinzione, anche se non necessariamente in ogni caso.
Nell’ipotesi di soluzione mediante accordo, per la quale è necessaria la
cooperazione di ambedue gli Stati contendenti, è proprio questo atteggiamento
che determina l’estinzione per desistenza dalla resistenza o dalla pretesa della
controversia. Se, invece, la soluzione si realizza mediante sentenza, questo non
comporta direttamente anche l’estinzione; infatti, la parte vinta può ritenere che il
suo interesse possa prevalere o resistere alla pretesa avversaria considerata
infondata. Un fattore importante può essere costituito dall’atteggiamento assunto
dai terzi Stati, che dà attuazione ad alcune norme giuridiche, come quella prevista
3
MORELLI G., Soluzione pacifica delle controversie: Ciclo di lezioni, Napoli, 1991, p. 49.
5
dall’art. 94 dello Statuto delle Nazioni Unite. Essa dà al Consiglio di sicurezza il
potere di fare raccomandazioni o di decidere in merito alle misure da prendere
affinché si dia esecuzione alla sentenza della Corte Internazionale di Giustizia,
non solo mediante l’atteggiamento e le attività che gli Stati devono esplicare, ma
anche attraverso il contegno degli altri Stati membri, reso giuridicamente
obbligatorio da una decisione dello stesso Consiglio, il quale può agire sulla parte
soccombente per spingerla a desistere dalla pretesa o dalla resistenza che la
sentenza della Corte ha reputato infondata.
6
1.4 Il controllo internazionale
Al fine di ovviare alle molte lacune dell’ordine internazionale nella risoluzione dei
conflitti, è stato introdotto un nuovo sistema per ottenere una conformità con le
regole internazionali, analizzando, allo scopo, il comportamento degli Stati parti
4
.
Questo sistema (che è stato istituito, in alcune aree, all’inizio del 1919, ma si è
sviluppato soprattutto durante la Seconda Guerra Mondiale), differisce dal
provvedimento giurisdizionale internazionale per molti aspetti. In primo luogo, la
composizione dell’organo responsabile del “monitoraggio” dell’attuazione delle
regole internazionali è, di norma, differente da quello dei corpi giudiziali, in
quanto potrebbe essere anche composto dai rappresentanti degli Stati, in luogo di
individui operanti in virtù delle loro personali capacità. In aggiunta a ciò, le
funzioni di sorveglianza sono frequentemente affidate a più di un organo e, in
questo caso, a vari organi che spesso differiscono tra loro nella composizione.
Solitamente, l’iniziativa di una procedura di controllo non è lasciata agli Stati
danneggiati, ma può essere intrapresa sia dai beneficiari di regole internazionali
(ad esempio, individui o gruppi di individui), sia da organi di agenti per propria
scelta. Talvolta, non c’è bisogno di nessuno per dare inizio ai procedimenti, per la
semplice ragione che la procedura è automatica, consistendo in un periodico
esame del comportamento degli Stati coinvolti. Così, mentre il provvedimento
giurisdizionale si realizza dopo che la disputa è sorta, il controllo è solitamente
attuato con uno sguardo agli Stati trasgressori delle norme internazionali. In altre
parole, normalmente esso è designato per avere uno scopo preventivo.
4
CASSESE A., International Law, New York, 2001, pp. 225-227
7
La seconda ragione per la quale il controllo internazionale può essere considerato
di primaria importanza, è che in alcune aree è difficile stabilire dei meccanismi
per garantire che le nuove regole internazionali vengano fedelmente osservate. Il
ricorso a provvedimenti giudiziali non è, infatti, realizzabile in molti campi,
aggiungendo il fatto che molti Stati, nonostante abbiano accettato tali nuove
obbligazioni, sono riluttanti a sottomettersi ad organi giudiziali. Il sistema di
supervisione utilizza dei ben ponderati e relativamente efficaci mezzi per
stimolare gli Stati ad ottemperare ai loro obblighi. Per tale motivo, non deve
sorprendere che alcuni di questi strumenti siano sopravvissuti alla Seconda Guerra
Mondiale (per esempio, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, organo nato
per controllare l’applicazione delle convenzioni internazionali sul lavoro). Il
nuovo apparato di controllo è stato istituito anche in altre aree; i campi in cui la
supervisione è presente in modo sempre più esteso sono: le convenzioni
internazionali sul lavoro, i trattati e altre regole relative ai diritti umani, l’uso
pacifico dell’energia atomica, l’ambiente, l’Antartico e lo spazio esterno, i
conflitti armati nazionali ed internazionali e il diritto economico internazionale.
L’allargamento della supervisione, a così importanti settori, testimonia
l’importanza del suo contributo, in risposta alle necessità degli Stati; inoltre,
dimostra chiaramente che tutti i gruppi di Stati sono pronti a sottoporsi alla
supervisione persino quei Paesi che da sempre sono riluttanti all’adozione di
mezzi internazionali di indagine e che, in questo caso, non fanno alcuna
opposizione ad un controllo di questo tipo. Ciò è dovuto soprattutto alla sua
grande flessibilità e al fatto che la supervisione non rilega gli Stati ad una
condizione di soggetti esclusi, avendo, invece, la tendenza a persuaderli a
8
resistere dal violare quelle misure e quelle regole che potrebbero essere portati a
non osservare.
2 LE MISURE NON IMPLICANTI L’USO DELLA FORZA
2.1 Il cap. VI della Carta delle Nazioni Unite
Tra le finalità precipue dell’Onu, elencate nell’art. 1 della Carta, riveste
un’importanza particolare il conseguimento della composizione e soluzione delle
controversie, attraverso l’impiego di mezzi pacifici e conformemente ai principi di
giustizia e del diritto internazionale
5
; a questo, aggiungasi le disposizioni previste
dall’art. 2, nel quale si precisa l’obbligo per gli Stati membri di risolvere
pacificamente le loro controversie. E’ tuttavia nel cap. VI (intitolato proprio
“Soluzione pacifica delle controversie”) che si esplica tale funzione, come precisa
l’art. 33, il quale cita espressamene l’impegno delle parti di una controversia, la
cui continuazione sia suscettibile di mettere in pericolo il mantenimento della
pace e della sicurezza internazionali, di proseguire, anzitutto, una soluzione
mediante negoziati, inchiesta, mediazione, conciliazione, arbitrato, regolamento
giudiziale, ricorso ad organizzazioni o accordi regionali o altri mezzi di loro
scelta
6
.
E’opportuno, a questo punto, dare una breve delucidazione in merito ad alcuni di
questi importanti meccanismi di soluzione pacifica delle controversie. Il
negoziato, in particolare, è considerato come il principale dei metodi attraverso i
5
ARANGIO-RUIZ G., Controversie internazionali, in Enciclopedia del diritto, vol. X, Milano, 1962,
pp. 441 ss.
6
MARCHISIO S., L’Onu, Bologna, 2002, p. 201.
9
quali gli Stati adempiono a quanto stabilito dalla Carta Onu. Comunque,
l’esistenza di quest’ultimo, non preclude il ricorso ad altri mezzi, incluso il
regolamento giudiziale, come ha puntualizzato più volte la Corte internazionale di
giustizia. Il negoziato (o in alcuni casi “Consultazione”) è spesso riconosciuto
negli accordi come obbligatorio prima di intraprendere una qualsiasi azione; ad
esso partecipano esclusivamente i soggetti parti della controversia senza, quindi,
alcun intervento né la presenza di terzi. Questo lo rende particolarmente in uso
nella prassi, perché molto agevole in un contesto caratterizzato da un massiccio
intreccio di relazioni internazionali e diplomatiche, oltre che per il fatto di non
essere idoneo a considerare una parte “vincitrice” e una parte “vinta”, preservando
così l’integrità e l’equilibrio delle posizioni degli Stati
7
. Per quanto riguarda
l’inchiesta, invece, l’art. 34 della Carta Onu attribuisce al Consiglio di sicurezza la
facoltà di fare indagini riguardo ad una qualsivoglia situazione che possa essere
suscettibile di provocare un attrito tra Stati e, quindi, un pericolo per la pace e la
sicurezza internazionali. Attualmente, il Consiglio si avvale di commissioni di
esperti create dal Segretario generale, in base all’art. 98, anche se nella maggior
parte dei casi è proprio quest’ultimo ad incaricarsi personalmente dell’attività
inquisitoria oltre che dell’accertamento dei fatti. La conciliazione, invece, è un
mezzo diplomatico di soluzione pacifica delle controversie che combina insieme
le caratteristiche proprie dell’inchiesta e della mediazione
8
. In essa l’attività del
conciliatore si qualifica per la predisposizione di una formale proposta per la
risoluzione della lite, adottando, al termine della procedura, un verbale contenente
osservazioni e raccomandazioni alle parti stesse, per la soluzione della
7
CARBONE S.-LUZZATTO R.-SANTA MARIA A., Istituzioni di diritto internazionale, Torino, 2003,
p. 230.
8
MERRILLS J. G., International Dispute Settlement, Cambridge, 1998, pp. 29.
10