5
della specializzazione di ruolo su base sessuale e dall’aumento del numero di famiglie dual-
worker (famiglie in cui entrambi i membri lavorano), la sfera lavorativa risulta prevalere su
quella non lavorativa per la maggior parte degli individui (donne e uomini), se non altro in
termini di quantità di tempo dedicatagli (Geurts & Demerouti, 2003; Higgins & Duxbury,
1992).
Conseguentemente, la ricerca dell’equilibrio di vita è andata complicandosi e
l’interdipendenza fra il lavoro e la famiglia è divenuto un importante tema di ricerca (De Jonge,
Peeters, Hamers, Van Vegchel, & Van Der Linden, 2003).
Vari autori, fra cui Lewis e Cooper (1995), hanno evidenziato le ragioni per le quali
l’equilibrio di vita debba essere ricercato attivamente: esso può essere fonte di molteplici
soddisfazioni, può contribuire all’innalzamento della qualità di vita e al mantenimento dello
stato di benessere individuale. Dal punto di vista organizzativo, inoltre, le cosiddette politiche
family-friendly (politiche a sostegno della famiglia e dell’equilibrio lavoro-famiglia),
sostenendo gli individui nella gestione di molteplici ruoli e incombenze di vita, li rendono
capaci di offrire un migliore contributo lavorativo (Ganster & Schaubroeck, 1991). Greenbath
(2002) evidenzia il valore competitivo per le aziende del consentire un miglior equilibrio fra
lavoro e non lavoro, in termini di capacità di attrarre risorse umane competenti e di “non
perderle”, legandole all’organizzazione con un contratto (sia formale sia psicologico) che
garantisce (e non solo chiede) flessibilità, venendo così incontro ai bisogni dell’individuo
(Piccardo & Ghislieri, 2003).
In sintesi, l’attenzione alla “questione conciliazione” è frutto di importanti cambiamenti
economico-sociali che si sono registrati negli ultimi decenni, fra i quali si individua il
cambiamento della forza-lavoro in termini di razza, età e sesso (Zedeck & Mosier, 1990).
Un’altra delle trasformazioni più significative è a carico della famiglia: è possibile affermare
che il mondo del lavoro è sempre più popolato da madri e coppie dual-career (famiglie in cui
entrambi i membri aspirano alla carriera lavorativa), oltre che da famiglie dual-earner (famiglie
in cui entrambi i membri della coppia si occupano sia della casa sia del lavoro) e genitori single
(Thomas & Ganster, 1995). Inoltre, sempre più individui combinano il lavoro con compiti di
assistenza di persone anziane e disabili (Lewis & Cooper, 1987). Questi cambiamenti si
collocano in un contesto in cui all’individuo è richiesto di essere sempre più disponibile, pronto
Introduzione
6
ad assumersi responsabilità, autonomo e competente sul lavoro a qualsiasi livello
d’inquadramento (Lewis & Cooper, 1995).
In generale, si può notare come vi sia un diffuso “bisogno di conciliazione” caratterizzato
da un progressivo aumento dell’importanza della carriera per le donne (Wilkinson, 1994),
legato a una visione meno stereotipata della figura femminile di madre e moglie, e dal
desiderio di un maggiore coinvolgimento familiare per gli uomini (Hall, 1990; Benson, 2002).
Tale cambiamento “parallelo” dei valori culturali di riferimento non incontra a oggi risposte
organizzative veramente soddisfacenti nella gestione delle risorse umane, a volte carente sotto
il punto di vista dell’offerta di politiche e competenze di leadership atte a favorire la
conciliazione fra ambiti di vita (Piccardo & Ghislieri, 2003).
Il proposito dell’analisi che si condurrà è quello di rintracciare quali siano le principali
variabili intervenienti nel definire forme specifiche di conciliazione fra i differenti domini di
vita “intersecanti” la sfera lavorativa; come esse interagiscano e quanto esse siano in grado di
garantire situazioni di equilibrio, più o meno precario e più o meno favorevole, fra il lavoro e la
famiglia in particolare e nella vita in generale.
Per svolgere tale analisi ci si è dunque rivolti al patrimonio di studi psicologici sul tema e si
sono individuati i diversi modelli di conciliazione presenti allo stato dell’arte, fra questi
soprattutto il modello di conflitto e quello di equilibrio saranno presi a riferimento e
approfonditi nella prima parte della dissertazione.
Nella seconda parte, poiché la tematica conciliativa chiama in causa soprattutto le
dimensioni individuo, famiglia, lavoro e territorio, si procederà all’indagine dettagliata di tali
ambiti di vita con lo scopo di fornire una mappatura quanto più esaustiva possibile delle
specifiche variabili in gioco e delle loro relazioni reciproche.
L’obiettivo ultimo che questa ricerca bibliografica si propone è quello di aprire la strada a
future ricerche empiriche che possano “promuovere una cultura del benessere che sia anche
cultura e rispetto delle differenze in cui poter conciliare significa poter star bene, trovare
l’equilibrio, gestire serenamente la propria vita” (Piccardo, Ghislieri, & Colombo, 2006).
7
Parte I
Modelli teorici per la relazione lavoro-vita
L’esistenza individuale nasce, si svolge, si complica e si risolve principalmente all’interno
della famiglia e del lavoro, ambiti di vita caratterizzati da specifici ruoli interni e aperti
all’interazione sistemica, tanto da divenire veri e propri “poli interagenti”. Ognuno di questi
due domini è di per sé decisivo per l’esistenza individuale: se la famiglia d’origine, come
dimostrato dall’infant research (modello di studio della relazione madre-bambino fondato su
una prospettiva sistemico-relazionale, Sander, 1977; Stern, 1977; Beebe & Lachman, 1985),
ricopre un ruolo cruciale per la sopravvivenza e la crescita psicofisica del bambino; sarà il
lavoro, nell’accezione dell’uomo-faber che costruisce il suo destino (dalla locuzione latina
attribuita a Appio Claudio Cieco “homo faber fortunæ suæ”, l’uomo fa la sua fortuna), a
definire le possibilità dell’individuo di veder realizzato, potenzialmente, il suo personale
progetto di vita (George & Jones, 1996).
La famiglia e il lavoro sono stati oggetto di un fitto tessuto di attività teorica e di ricerca
volto a definire il tipo di rapporto intercorrente fra essi e le variabili che lo regolano, nel suo
instaurarsi, mantenersi o mutare nel tempo; in altre parole ricercando “quando e come” tali
dimensioni possano essere conciliate (Piccardo, Ghislieri, & Colombo, 2006). Si raggruppa
l’insieme dei modelli così elaborati sotto l’alveo degli studi sulla conciliazione famiglia-lavoro,
i quali, con approcci teorici differenti, offrono diverse visioni delle relazioni reciproche fra
queste due dimensioni.
Molti studi hanno poi indagato la relazione fra le dinamiche di conciliazione e le eventuali
ricadute, positive o negative, a livello individuale, famigliare e organizzativo (Ford, 2007). Al
riguardo, sono state identificate innumerevoli tipologie di outcome (esiti) possibili, fra cui il
benessere soggettivo (Greenhaus & Beutell, 1985), la durata matrimoniale (Gutek, Searle, &
Klepa, 1991), la soddisfazione di vita (Voydanoff, 1988), la soddisfazione lavorativa (Frone,
1992), la partecipazione organizzativa (Greenhaus, 1988), il burnout e il turnover (Pleck,
1980). Bellavia e Frone (2005) hanno evidenziato come l’interazione famiglia-lavoro possa
essere sia “buona” sia “cattiva”; tuttavia, la maggior parte delle ricerche sin qui condotte si è
interessata agli esiti negativi e agli aspetti di conflittualità fra domini. Diversamente, in questa
sede ci si focalizza, considerando varie tipologie di esiti possibili, sulla variabilità degli
Parte I - Modelli teorici per la relazione lavoro-vita
elementi predittivi della qualità delle dinamiche di conciliazione per uno specifico individuo, in
un particolare momento e in un dato contesto.
Zedeck e Mosier (1990) hanno individuato cinque principali modelli, descrittivi o
interpretativi, della relazione fra vita lavorativa e non lavorativa, che sono stati ripresi da
Piccardo e Ghislieri (2003).
Il modello basato sull’instrumental theory (teoria di strumentalità), forse il più
semplice e riduttivo, ipotizza che un dominio sia il mezzo attraverso il quale si ottengono
risultati nell’altro dominio (Zedeck & Mosier, 1990; Piccardo & Ghislieri, 2003). Ad
esempio, il lavoro condurrebbe a ottenere strumenti per potersi garantire una buona
qualità di vita individuale o familiare (Payton-Miyazaki & Brayfield, 1976; Evans &
Bartolome, 1984).
Il modello basato sulla segmentation theory (teoria di segmentazione) promuove
un’ipotesi diametralmente opposta: la separazione fra le sfere di vita, in termini di tempi,
spazi e funzioni. Tale separazione, non è asserita per mero artifizio d’analisi, ma per
l’effettiva mancanza di relazioni fra domini, che condurrebbe l’individuo a
compartimentalizzare la propria vita in diversi segmenti “stagni” (Zedeck & Mosier,
1990; Piccardo & Ghislieri, 2003). Corollario di questa premessa è che il successo o
l’insuccesso individuale in un segmento non influenzi per nulla il funzionamento degli
altri e che l’espressione dei diversi ambiti di vita sia in ogni aspetto unicamente
dipendente dalle variabili dominio-specifiche, distinte sia psicologicamente sia
funzionalmente da quelle di altre sfere (Payton-Miyazaki & Brayfield, 1976; Evans &
Bartolome, 1984). La divisione netta ipotizzata considera la famiglia come il regno
dell’affettività, dell’intimità e delle relazioni significative; il lavoro come impersonale,
competitivo e strumentale, piuttosto che espressivo (Piotrkowski, 1978). Secondo questo
modello esplicativo, solo lo specifico orientamento personale determinerebbe possibili
influenze cross-dominio.
Il modello basato sulla compensation theory (teoria di compensazione) ipotizza una
relazione inversa tra lavoro e famiglia, caratterizzata da investimenti di entità opposta nei due
ambiti (Staines, 1980; Champoux, 1978). Per compensazione s’intende, dunque, una relazione
negativa fra i livelli di soddisfazione degli ambiti lavorativo e non lavorativo (Zedeck &
9
Mosier, 1990; Piccardo & Ghislieri, 2003). In altre parole, secondo questa teoria,
l’insoddisfazione in un dominio determina la ricerca di successi altrove (Evans & Bartolome,
1984) e il rapporto fra lavoro e famiglia è antitetico, come se dovesse per forza essere
sbilanciato. Secondo Lambert (1990), la compensazione ha sempre luogo in maniera
indirettamente proporzionale: l’insoddisfazione relativa a un dominio eleva
aprioristicamente l’investimento, le aspettative e la valutazione degli outcome delle altre
sfere d’azione. In un’ulteriore modulazione della teoria, ciò che accade in famiglia è
considerato come una sorta di “shock absorber” per le fatiche lavorative (Crosby, 1984).
Il modello basato sulla conflict theory (teoria di conflitto) ipotizza l’incompatibilità fra i
domini lavoro e famiglia, data dalle differenti richieste che essi pongono al soggetto (Payton-
Miyazaki & Brayfield, 1976; Evans & Bartolome, 1984). L’individuo vivrebbe con
insoddisfazione, fatica e stress la partecipazione a ruoli multipli, giacché essa, ponendogli
un’elevata quantità di domande cui adempiere, lo costringerebbe a continui sacrifici a sfavore
di uno o dell’altro dominio, in termini di risorse, impegno ed energie dedicategli. Al riguardo,
Hobfoll (1989) ha introdotto la nozione di risorse stimate come base esplicativa dello stato di
stress, definendole come quegli oggetti, caratteristiche personali, condizioni o energie che sono
valutate positivamente dall’individuo, sia per la loro strumentalità a ottenere risorse
addizionali, sia per la loro rilevanza nella definizione dell’identità soggettiva. L’autore
suggerisce che più le persone riescono a ottenere e conservare questo tipo di risorse, più
sperimenteranno sensazioni di successo personale e saranno convinte di poter acquisire ancora
più alti traguardi. Purtroppo, prosegue l’autore, “gli individui stentano a ottenere e ritenere
risorse” e “quando si verifica un ammanco, attuale o potenziale, di risorse, con buona
probabilità, essi esperiranno stress psicofisico” (Hobfoll, 1989). Quest’ultimo modello,
dominante in letteratura, si è poi aperto a studi e riflessioni di più ampio respiro, privilegiando
una visione dell’equilibrio vita-lavoro maggiormente complessa (Jones & Butler, 1980; Burke
& Bradshaw, 1981; Baruch & Barnett, 1986; Greenhaus & Parasuraman, 1986), che sarà
approfondita trattando il modello dell’equilibrio.
Il modello basato sulla spillover theory ipotizza una relazione di causalità lineare fra la
qualità dell’esperienza di un individuo al lavoro e quella fuori dal lavoro (Staines, 1980;
Champoux, 1978). Per spillover s’intende, dunque, un fenomeno di relazione diretta fra le
Parte I - Modelli teorici per la relazione lavoro-vita
sensazioni soggettive, positive o negative, relative a diversi domini; come un “travasamento”
emotivo, cognitivo ed esperienziale inter-dominio, per cui la soddisfazione lavorativa
determina condizioni di vita più soddisfacenti anche in ambito familiare. La maggior parte
degli studi in letteratura riguarda fenomeni di spillover positivo, caratterizzati da
un’“espansione” delle sensazioni positive relative a diversi ambiti di vita tale da determinare
favorevoli condizioni di soddisfazione generalizzata. Tuttavia, è anche possibile che si realizzi
un processo inverso, caratterizzato dal “traboccare” dei livelli di insoddisfazione e da esiti
negativi (Piotrkowski, 1978). La teoria dell’espansione dei ruoli, di Barnett e Hyde (2001),
individua, fra gli effetti benefici dell’intraprendere ruoli multipli e “giocarli” con
partecipazione, l’incremento delle opportunità sociali e il maggiore benessere psicofisico. Già
Sieber e Marks (1977), evidenziarono come, un ruolo, non solo faccia uso di risorse personali,
ma possa anche generarne in modo tale che la performance in altri ruoli ne tragga beneficio.
Come si vede, presi singolarmente, questi modelli offrono ciascuno uno specchio parziale e
insoddisfacente, una lettura del tema dell’equilibrio famiglia-lavoro riduttiva: in un certo senso
è come se i differenti modelli riflettessero specifiche condizioni in cui gli individui possono
trovarsi, non risultando esaustivi, ma complementari nel fornire una lettura del tema stesso
(Piccardo & Ghislieri, 2003).
Secondo Aryee e collaboratori (2007) un altro modello, quello della role theory (teoria di
ruolo), fornisce il framework teorico basilare per la ricerca sull’interfaccia famiglia-lavoro.
Secondo questa teoria, i ruoli forniscono, attraverso la loro interpretazione, non solo la forma e
la struttura delle relazioni sociali fra individui, ma anche i mezzi per ottenere importanti
obiettivi di vita personali (Aneshensel & Pearlin, 1987). All’interno della role theory sono
andate formandosi due prospettive di ricerca in competizione fra loro: la scarcity perspective
(prospettiva di scarsità) e l’expansion-enhancement perspective (prospettiva di espansione).
La scarcity perspective è legata alla conflict theory, (Zedeck & Mosier, 1990; Piccardo &
Ghislieri, 2003). Secondo tale prospettiva, gli individui possiedono un ammontare di risorse
psicologiche e fisiologiche “spendibili” nei compiti di ruolo che si caratterizza per essere
quantitativamente e qualitativamente fissato. Di conseguenza, la partecipazione a più ruoli può
“esaurire” tali risorse e pregiudicare il funzionamento generale dell’individuo nei diversi
domini di vita, così da portarlo a dover scegliere a quali ambiti dedicarsi. Questa visione
11
suggerisce la necessità di un trade-off fra ruoli per diminuire il disagio relativo alla loro
conciliazione, proponendo, di fatto, un modello di conflitto fra domini (Aryee et al., 2007).
Al contrario, l’expansion-enhancement perspective, legata al costrutto di spillover positivo,
si focalizza sui benefici ottenibili dal coinvolgimento in ruoli multipli (Marks, 1977; Sieber,
1974). In essenza, questa prospettiva ipotizza che nell’interpretare più ruoli i “costi”, in termini
di disagio, siano superati dai “guadagni”, intesi come gratificazioni personali. Infatti, le risorse,
le opportunità e il supporto ottenuto in un dominio di vita possono essere usati per migliorare il
funzionamento di altri ruoli. Nonostante la sua attenzione per gli aspetti positivi, questa visione
tiene anche conto delle possibilità di sovraccarico e conflitto di ruolo, rappresentando una
risposta equilibrata all’enfasi posta dai primi studi sugli esiti negativi della “questione
conciliazione”. In questo senso, l’avanguardia della conflict theory si esprime nel modello di
equilibrio fra domini (Aryee et al., 2007), all’interno del quale tratteremo in particolare la fit
theory o teoria di congruenza (Pittman, 1994), la balance theory o teoria di bilanciamento
(Ezra & Deckman, 1996) e la crossover theory (Jackson & Maslach, 1982).
Grazie a questa breve rassegna e ricostruzione dei principali approcci teorici al
tema/problema dell’equilibrio vita-lavoro, è evidente come molte siano le variabili chiamate in
causa (Zedeck & Mosier, 1990).
Parte I - Modelli teorici per la relazione lavoro-vita - Modello di conflitto
12
I.1 Modello di conflitto
Il modello di conflitto s’inserisce fra le teorie elaborate a partire dalla scarsity perspective
(Frone, 2003). Secondo tale prospettiva, nel definire la “complessiva” situazione individuale
rispetto alle dinamiche di conciliazione, si deve tener conto della fissata limitatezza delle risorse
personali disponibili, rispetto all’aumentare dinamico delle richieste di ruolo. In particolare, i
principali antecedenti role-related del conflitto fra dimensioni di vita sono il sovraccarico di ruolo
e il coinvolgimento nel ruolo (Aryee, Srinivas, & Tan, 2005).
Il sovraccarico di ruolo descrive la percezione dell’individuo di “avere troppe cose da fare e
troppo poco tempo per farle” (Caplan, Cobb, French, Harrison & Pinneau, 1975). Come
esperienza negativa di ruolo, il sovraccarico porta l’individuo a preoccuparsi per l’incompleto
adempimento di alcuni compiti a lui assegnati anche quando egli ne sta svolgendo altri
(Greenhouse & Beutell, 1985). Inoltre, tale esperienza stressante, può causare esasperazione
psicologica e affaticamento fisico, minimizzando i livelli di motivazione individuale relativi allo
svolgimento di un qualsiasi ruolo relativo a un qualsiasi dominio (Aryee et al., 2005). Il
sovraccarico di ruolo, quindi, limita le capacità soggettive di integrare la vita lavorativa e quella
non lavorativa, non permette all’individuo di apprezzare l’esperienza di alcun ruolo e crea conflitto
fra i due domini (Aryee et al., 2005).
Il coinvolgimento nel ruolo, invece, descrive la partecipazione emotiva, cognitiva e
comportamentale in una specifica attività di ruolo (Aryee et al., 2005). Esso implica, ad alti livelli,
la priorità di una singola area di performance su tutti i ruoli intrapresi dall’individuo, con
conseguente focalizzazione delle preoccupazioni e degli sforzi personali esclusivamente su tale
area. Ne risulta una diminuzione delle possibilità che l’individuo risponda efficacemente alle
domande di ogni ruolo: il dominio prioritario interferisce con l’adempimento dei compiti previsti
dagli altri domini, creando conflitto (Frone, 1992).
In definitiva, interpretare più ruoli, che sia per necessità o per scelta, comporta richieste
numerose, diversificate e impegnative che devono essere affrontate attingendo a un unico e
limitato bacino di risorse.
Zedeck e Mosier (1990), fra i riferimenti teorici più rappresentativi del modello di conflitto,
individuano il concetto di stress occupazionale, i cui assunti principali si organizzano intorno ai
concetti di stressor e strain. Stressor o agente stressante è definito quel particolare aspetto del
13
contesto ambientale che viene percepito come pericoloso, minaccioso o sfidante dall’individuo
(Latack, 1986); invece, il concetto di strain (letteralmente “tensione”) rinvia ai cambiamenti
psicologi, fisiologici e comportamentali che avvengono come effetto dell’essere esposti all’agente
stressante. Le sensazioni correlate allo strain variano da un lieve disagio nei confronti della
pressione ambientale, all’ansia anticipatoria legata a eventi traumatici e sono comunemente
conosciute come stress.
Esistono evidenze empiriche circa il fatto che individui sotto gli effetti di potenti stressor
rappresentino un “costo” per l’organizzazione, in relazione ad alti livelli di incidenti, inefficienza e
riduzione della produttività (Ganster & Schaubroeck, 1991). Nonostante una chiara connessione
stressor-strain fra domini di vita diversi non sia ancora stata stabilita (Allen, Herst, Bruck, &
Sutton, 2000), questa prospettiva teorica suggerisce che sia per mantenere lo stato di benessere
individuale che per garantire l’efficienza organizzativa è importante identificare ed eliminare gli
agenti stressanti. In particolare, gli studi di Lazarus e Folkman (1984; 1987), che si focalizzano
sull’interazione tra i differenti ruoli che la persona “gioca”, evidenziano come l’individuo
nell’ambiente familiare, con specifiche preferenze e comportamenti, è lo stesso individuo in
organizzazione, dove si esplicitano altri aspetti della sua individualità. Avere come riferimento
teorico questo modello significa porre l’attenzione, più che sulle influenze di un dominio di vita
sull’altro, sulla situazione congiunta e su come essa influenzi a sua volta i pensieri e le azioni
dell’individuo in quegli stessi domini e nel più ampio campo di vita (Piccardo & Ghislieri, 2003).
Il work-family conflict
L’ipotesi di scarsità delle risorse già descritta assume, a risultante della tensione fra i domini
famiglia e lavoro, considerati pari per salienza soggettiva e dipendenti dalle medesime risorse
limitate, una generale condizione di stress e il frequente verificarsi di conflitti fra i ruoli della
famiglia e i ruoli del lavoro.
Si definisce Work-Family Conflict (WFC) “una forma di conflitto interruolo nel quale le forze
esercitate sull’individuo dai domini lavoro e famiglia risultano mutualmente incompatibili fra
loro” (Greenhaus & Beutell, 1985). Similmente, per Grandey e Cropanzaro (1999) “si incorre in
situazioni di distress (eccesso negativo di stress) quando ingenti quantità di risorse vanno perse nel
processo di gestione, partizione e organizzazione delle risorse stesse fra le attività lavorative e
Parte I - Modelli teorici per la relazione lavoro-vita - Modello di conflitto
14
quelle familiari e il soggetto percepisce la totalità di richieste ambientali come eccedente, in base
alla quantità di risorse personali delle quali si ritiene in possesso, rispetto alla propria possibilità di
soddisfarle”. Frone, Russell e Cooper (1992) hanno articolato un modello di WFC che ha
dominato la letteratura sin dalla sua pubblicazione. Nel loro modello il conflitto famiglia-lavoro
media gli effetti degli stressor e delle risorse lavorative sugli esiti familiari, così come media gli
effetti degli stressor e delle risorse famigliari sugli esiti lavorativi. In altre parole, spesso effetti
cross-dominio negativi incorrono tramite un conflitto interruolo, debilitando l’individuo e
l’organizzazione in cui lavora (Kahn & Byosiere, 1992).
Un aspetto dell’interfaccia famiglia-lavoro che è stato particolarmente indagato tramite il
costrutto WFC è proprio la permeabilità dei confini fra domini di vita e l’estensione degli effetti
intercorrenti fra un dominio e l’altro (Ford, 2007). Allen (2000) ha categorizzato la grande varietà
di “possibili esiti da WFC” in tre tipologie: work-related outcome (come la partecipazione
organizzativa e la soddisfazione lavorativa); nonwork outcome (come la performance familiare e la
soddisfazione di vita generalizzata); stress-related outcome (come la depressione e il burnout). La
maggior parte degli studi si è focalizzata sul conflitto interruolo come preddittore di inefficienza
lavorativa e insoddisfazione di vita (Allen, et al. 2000);
Il costrutto WFC è nato intorno agli anni ’50, quando si iniziò a parlare, oltre che dei conflitti
interpersonali familiari fra moglie e marito relativi al ruolo sociale e lavorativo della donna, dei
conflitti intrapersonali di ruolo che affliggono molte madri, divise fra il desiderio di svolgere
un’attività remunerativa e quello di prendersi cura adeguatamente dei propri figli (Boulding,
1955). In origine, tale costrutto era stato elaborato come monodimensionale e bidirezionale; cioè,
le influenze reciproche fra domini erano considerate come parti dello stesso fenomeno (Ford,
2007). Bohen e Viveros-Long (1981) e Holand e Gilbert (1979) operazionalizzarono il WFC
misurando il conflitto esistente fra specifici ruoli di domini diversi, come il conflitto lavoratore-
genitore e lavoratore-marito. I conflitti interruolo fra lavoro e famiglia possono, infatti, essere visti
come la condizione in cui un ruolo utilizza la quantità di risorse necessaria per la completa
partecipazione e il successo in un altro ruolo.
In seguito, Greenhouse e Beutell (1985) hanno distinto le Work Interference with Family (WIF)
dalle Family Interference with Work (FIW). Il conflitto è stato, quindi, concettualizzato come un
fenomeno di interferenza inter-dominio con una specifica direzione, o verso, di azione. Entrambe
15
le due forme di interferenza fra domini sono ora considerate oggetti di studio privilegiati per
definire il conflitto famiglia-lavoro analizzando separatamente le influenze dei due domini di vita.
In realtà, l’operazionalizzazione del 1983 di Kopelman, Greenhaus e Connolly, la quale offriva
una misura di WFC focalizzata specificatamente sulle WIF creando un costrutto unidimensionale e
unidirezionale, ha dominato la ricerca per molti anni. L’effettivo ampliamento del costrutto, verso
una concettualizzazione bidimensionale e bidirezionale si deve al lavoro di Frone (1992), che ha
operazionalizzato le WIF e le FIW separatamente. Bellavia e Frone (2005) hanno descritto questo
momento come l’inizio di una “nuova generazione” di ricerca sul conflitto interruolo fra famiglia e
lavoro. Allo stesso modo, l’effettivo ampliamento della visuale di studio, a includere anche le
FIW, si deve a Netemeyer (1996), il quale ha messo a punto due differenti strumenti di rilevazione
del conflitto, la family-work conflict scale e la work-family conflict scale. L’importanza di tali
studio è connessa con la quantità, la significatività e la confrontabilità dei dati che rende
disponibili, aprendo la possibilità di un approccio trans-organizzativo e trans-nazionale al tema
della conciliazione (Piccardo & Ghislieri, 2003). Inoltre, alcuni studi recenti si sono interrogati
sulla possibilità che differenti antecedenti situazionali determinino differenti forme di interferenza
famiglia-lavoro, arrivando così a evidenziare specifiche correlazioni fra work-related stressor e
WIF e family-related stressor e FIW (Byron, 2005). Come vedremo, infatti, l’orario prolungato è
strettamente legato all’insorgere di WIF; mentre, la quantità di tempo dedicata alle attività
domestiche risulta essere solo indirettamente collegata ai tassi di insorgenza di FIW (Ford, 2007).
Greenhouse e Beutell (1985), oltre a individuare le WIF e le FIW come due forme di WFC
distinguibili in base al differente dominio di provenienza delle interferenze cross-dominio, hanno
suggerito l’esistenza di tre tipologie di conflitto famiglia-lavoro caratterizzate da diverse fonti di
interferenza: time-based WFC, strain-based WFC, behavior-based WFC. Un conflitto interruolo
time-based interviene quando viene “esaurita” la risorsa tempo o eliminata la flessibilità d’agenda
necessaria ad adempiere gli impegni di un altro ruolo (Edwards & Rothbard, 2000). Ciò accade sia
perché l’individuo è abitudinariamente fisicamente presente o mentalmente preoccupato per un
solo specifico aspetto di vita e trascura il resto, sia perché le richieste ambientali di un dominio
non gli lasciano tempo utile per dedicarsi ad altro. Similmente, quando le fonti di stress di un ruolo
estinguono l’intero bacino di energia fisica e mentale di cui un soggetto dispone, si sviluppa il
disagio all’origine di uno strain-based WFC (Carlson, Kacmar, & Williams, 2000). Infine, quando
Parte I - Modelli teorici per la relazione lavoro-vita - Modello di conflitto
16
specifici comportamenti richiesti in un ruolo sono incompatibili con quelli necessari in un altro si
entra nell’ambito di un conflitto fra ruoli di tipo behaviour-based (Carlson, 2000). In seguito,
Carlson, Kacmar e Williams (2000), hanno raffinato le misure di WIF e FIW, ognuna nelle tre
dimensioni individuate da Greenhouse e Beutell (1985), arrivando a definire sei tipologie di WFC
possibili: time-based FIW; strain-based FIW; behavior-based FIW; time-based WIF; strain-based
WIF; behavior-based WIF.
Tale suddivisione risulta utile per comprendere l’influenza delle variabili familiari e lavorative
sulla ricerca dell’equilibrio di vita (Ford, 2007).
Alcune distinzioni
In generale, la conflict theory ritiene che i domini lavoro e famiglia siano incompatibili fra loro
in quanto caratterizzati da norme e richieste distinte (Zedeck & Mosier, 1990). L’analisi delle
influenze reciproche fra variabili lavorative e familiari, aiuta a concettualizzare il WFC come una
forma di conflitto in cui “le pressioni di ruolo relative all’appartenenza dell’indiviuo
all’organizzazione sono in conflitto con le pressioni derivanti dall’appartenenza a un altro gruppo”
(Kahn, 1964). Oltre al conflitto interruolo, i ricercatori hanno individuato altre modalità con cui le
domande di un dominio di vita, o gruppo di appartenenza, determinano l’insorgere di stress
individuale: il meccanismo di crossover e quello di spillover negativo (Bolger, DeLongis, Kessler,
& Wethington, 1989; Westman, 2002). Prima di concludere la rassegna sul modello di conflitto
appare dunque utile fare alcune distinzioni.
Se il work–family conflict è un fenomeno intrapersonale caratterizzato da problemi di
conciliazione fra le richieste dei diversi ruoli intrapresi, con conseguente trasmissione di disagio da
un ambito di vita all’altro, il crossover è un fenomeno interpersonale di trasmissione di stress e
strain fra individui intimi (Westman, 2002). Nel crossover le sensazioni negative di un soggetto,
relativamente a qualsiasi ambito di vita (tipicamente il gruppo di lavoro) determinano l’esperienza
di sensazioni negative e disagio all’interno di un altro ambito di vita (tipicamente il gruppo
familiare) a discapito di un altro individuo (tipicamente il partner di coppia). In pratica, vi è una
trasmissione dello stress occupazionale esperito a livello individuale all’interno del rapporto di
coppia duale e il “ricevente” della stress-transmission esperisce a sua volta sensazioni di disagio
individuale (Bakker, Demerouti, & Dollard, 2006). Il crossover può dunque essere definito come
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la reazione di un individuo alle sensazioni di stress esperite da coloro con cui egli interagisce
regolarmente (Bakker et al., 2006); approfondiremo tale costrutto nel paragrafo I.3.
Secondo Ford (2007), il fenomeno del crossover è facilmente confuso con l’esperienza di
strain-based WIF e con gli esiti di spillover negativo lavoro-famiglia. Se il WFC è la trasmissione
di richieste da un ambito all’altro della vita, con conseguente accumulo del totale carico di
domande cui sopperire personalmente e aumento dei livelli di stress esperiti a livello individuale
(Bakker et al., 2006), anche lo spillover avviene fra diversi domini e per un solo individuo, ma
interessa la trasmissione di sensazioni, di “segno” positivo o negativo, e non di richieste (Bakker,
et al., 2006). In caso di spillover negativo vi è, quindi, similmente all’esperienza di strain-based
WIF, una stress-transmission cross-dominio (Bakker et al., 2006): le sensazioni negative relative al
dominio lavorativo influiscono, a livello intrapersonale, sul grado di soddisfazione personale
relativo al dominio familiare, determinando sensazioni di insoddisfazione di vita pervasiva.
Riflessioni recenti
In definitiva, ripercorrendo lo sviluppo del modello di conflitto, si può notare come le diverse
concettualizzazioni di WFC elaborate nel tempo siano state seguite da corrispondenti
operazionalizzazioni, le quali hanno incorporato ulteriori raffinamenti e dimensioni aggiuntive
(Ford, 2007). Anche se diverse forme di WFC sono state sino ad ora identificate, molti ricercatori
ritengono che gli elementi dominanti siano ancora da considerarsi il tempo richiesto e lo strain
prodotto (Greenhouse, 1988).
Nell’era dell’informazione e della flessibilità, che riavvicina le esperienze dei domini famiglia
e lavoro, il modello di conflitto potrebbe apparire inutile e superato, ma, d’altra parte, proprio ora
il sistema dei ruoli maschili e femminili è divenuto più complesso, incrementando potenzialmente
la necessità di rilevare nuovi conflitti interruolo (Halpern, 2005). Secondo Halpern (2005) il
modello del conflitto trova ancora ragione d’esistere nella necessità di superare i suoi limiti;
soprattutto deve tener conto della variabile-ruolo-dominio individuo, caratterizzato da una
complessa configurazione interna di emozioni, cognizioni, comportamenti, nonché da specifiche
capacità di coping (affronto, controllo, regolazione) dell’ambiente e da uno specifico orientamento
culturale. Halpern (2005) ritiene altresì importante considerare gli aspetti di permeabilità sistemica
e ambivalenza processuale che interessano il costrutto WFC.
Parte I - Modelli teorici per la relazione lavoro-vita - Modello di conflitto
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L’assunto della permeabilità sistemica fra domini è dimostrato dal fatto stesso che le
interferenze famiglia-lavoro abbiano luogo. Esso suggerisce uno spostamento del focus di studio
dagli esiti del WFC alla natura dei domini di vita e alla loro capacità di influenzare e lasciarsi
influenzare, in un gioco complesso di forze e resistenze che andrebbe più dettagliatamente
analizzato per determinare quali variabili vi entrino e come si inseriscano (Halpern, 2005).
L’ambivalenza processuale si riferisce alla complessità interna agli studi sul WFC rispetto alla
categorizzazione dei vari fenomeni come antecedenti, mediatori o esiti del conflitto. Essendo
difficile distinguere fra ciò che è conflitto e ciò che è reazione a esso sotto forma di stress, spesso
la medesima denominazione è usata da differenti ricercatori per identificare a volte la causa a volta
il risultato di uno specifico processo (Halpern, 2005). È dunque auspicabile che in futuro ci sia più
attenzione a non favorire contraddizioni e fraintendimenti.