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integrata. Difficoltà relazionali, mancato o insufficiente sviluppo linguistico, insufficiente
competenza comunicativa lo porteranno ad avvicinarsi al mondo dei sordi e a identificarsi
con il gruppo dei “sordi” come gruppo sociale di appartenenza”(pag. 58).
Ma il “gruppo dei sordi” non esiste e non deve esistere, se considerato come una sorta di
diversa etnia, una comunità con lingua e regole proprie. Sarebbe, questa, una concezione
capace di generare rischi sociali estremamente elevati, creando una netta e incolmabile
spaccatura tra due gruppi, quello dei normo-udenti e quello di ipoacusici e anacusici,
separati dal baratro del pregiudizio reciproco.
Naturalmente, come in tutte le situazioni in cui si rende necessario dichiarar guerra allo
stereotipo e al pregiudizio, la conoscenza si rivela l'arma fondamentale da utilizzare, alleata
della comprensione sincera e approfondita e dell'impegno a un'interazione reciproca attiva
e attenta alle esigenze dell'altro.
Conoscere la sordità, le sue cause, le difficoltà, le caratteristiche dello sviluppo, le qualità
di un'adeguata interazione familiare, le ragioni di una notevole variabilità inter-individuale,
i metodi educativi e di abilitazione. Conoscere quanto più possibile, per impegnarsi a
cancellare l'oramai vecchio e consunto stereotipo che definisce ancora i bambini sordi
come passivi e iper-dipendenti, troppo impulsivi e aggressivi, negativi nella stima di sé e
nella valutazione delle proprie capacità. Riconoscere, come afferma Marschark, che
“troppo spesso, nel nostro sforzo di insegnare le nozioni fondamentali a bambini sordi,
tendiamo a essere troppo concreti, troppo letterali e troppo precisi, con il risultato che
togliamo loro la capacità di affrontare il mondo in maniera flessibile" (Zanobini, 2005, pag
39). Individuare gli errori del contesto educativo, la povertà della stimolazione ambientale,
l'influenza degli stereotipi che guidano le caratteristiche della nostra interazione,
rendendola spoglia e inadeguata alle esigenze di bambini che faticano nella percezione, ma
che hanno ugualmente, e forse anche di più, bisogno di comunicare, conoscere, entrare in
contatto con l'ambiente che li circonda.
L'interesse della mia ricerca nasce allora dall'esigenza di conoscere questo mondo “altro”,
che poi altro non è, di informarmi sulle somiglianze e differenze rispetto allo sviluppo
normale, di approfondire l'importanza degli interventi educativi e dei metodi di
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abilitazione, di riconoscere le esigenze e le necessità delle persone sorde, di cancellare,
prima di tutto dalla mia testa, quell'immagine del bambino sordo che non solo non sente,
ma anche non capisce e non comunica, passivo e isolato.
Lo scopo della ricerca è, allora, proprio quello di arrivare a comprendere la condizione
della e delle sordità, per cancellare le etichette, eliminare le false credenze, imparare a
vedere oltre la maschera del “sordo” e trovare finalmente gli occhi della persona. E, forse,
anche l'eloquenza del suo sorriso, che non ha bisogno di orecchie per essere sentita. Ma
l'interazione nasce dal contatto di due persone che si incontrano: se da una parte sarà
sempre necessario l'adattamento della comunità degli udenti, che devono impegnarsi a
tutelare le esigenze delle persone sorde, dall'altra non bisogna dimenticare il ruolo attivo
che ogni singolo individuo gioca nell'incontro e nello scambio con l'altro e le difficoltà che
gli individui anacusici e ipoacusici possono incontrare, nel corso della loro esistenza,
nell'accettare i propri limiti, gli ostacoli e il bisogno costante dell'aiuto altrui.
Per questo si rivela necessaria un'opera di sensibilizzazione ai bisogni e alle necessità
dell'altro, sordo o udente che sia, e un'attenzione particolare al concetto di integrazione
sociale totale e completa, intesa come inclusione di ogni singolo individuo nella comunità,
come accettazione e sostegno alle sue debolezze e difficoltà e soprattutto come
valorizzazione dei suoi pregi e punti di forza, che, condivisi, arricchiscono non solo la
persona, ma l'intera società.
Il primo passo di questo cammino consiste nel riconoscere il desiderio, che poi è anche un
diritto, ma soprattutto un bisogno, di normalità. Un'infanzia normale, una scuola normale,
dei rapporti normali.
In due parole una vita normale: bisogno, diritto, desiderio dei bambini sordi e delle loro
famiglie.
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INTRODUZIONE
1. DEFINIZIONE E TERMINOLOGIA
La condizione di sordità è definita da una diminuita capacità (ipoacusia) o totale incapacità
(anacusia) di percepire i suoni. Termini differenti vengono utilizzati per riferirsi a questa
condizione. L'unico evidentemente errato è il vocabolo sordomuto, che tende a confondere
la causa (sordità) con l'effetto (impedimento nel linguaggio). La parola più comune è,
invece, sordo, che si riferisce giustamente solo al deficit uditivo, ma presenta il limite di
non creare distinzione tra le condizioni di deficit totale e le situazioni in cui permangono
residui uditivi di diversa entità. Infine, operatori e ricercatori preferiscono spesso parlare di
audiolesi o ipoacusici, intesi quali persone che presentano estreme difficoltà di accesso al
mondo dei suoni, conservando però anche in quest'ambito alcune risorse potenziali
(Zanobini, 2005).
2. CLASSIFICAZIONE
Le diverse forme di sordità sono prevalentemente classificate utilizzando come criterio la
gravità della perdita uditiva, definita sulla base dei parametri di intensità e altezza dei suoni
percepiti. L'intensità è determinata dall'ampiezza dell'onda di pressione e corrisponde alla
sensazione soggettiva di sentire un suono più o meno forte. Si misura in decibel (dB).
L'altezza invece si misura in hertz (Hz) ed è determinata dalla frequenza della pressione
dell'onda sonora. La gravità della sordità dipende dall'intensità necessaria perché i suoni
possano essere percepiti e dall'ampiezza della gamma di frequenze che l'orecchio può
ricevere.
Tradizionalmente l'entità del deficit uditivo veniva definita calcolando la media delle
intensità soglia ottenute per le frequenze di 500, 1000, 2000 Hz, individuando 4 gradi di
ipoacusia (Zanobini, 2005):
• leggera (perdita tra 20 e 40 dB);
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• media (perdita tra 40 e 70 dB);
• grave (perdita tra 70 e 90 dB);
• profonda (perdita oltre i 90 dB).
Il Bureau International d'Audiophonologie ha proposto, nel 1997, una nuova
classificazione, introducendo nel calcolo della media anche le frequenze di 4000 Hz, che
consentono una maggiore precisione nell'identificazione dell'entità della sordità, che viene
allora definita (Repaci, 2001; Zanobini, 2005):
• lieve (da 21 a 40 dB);
• media di 1°grado (da 41 a 55 dB);
• media di 2°grado (da 56 a 70 dB);
• severa o grave di 1°grado (da 71 a 80 dB);
• severa o grave di 2°grado (da 81 a 90 dB);
• profonda di 1°grado (da 91 a 100 dB);
• profonda di 2°grado (da 101n a 110 dB);
• profonda di 3°grado (da 111 a 119 dB);
• totale (oltre i 120 dB).
Le diverse classificazioni devono inoltre tenere in considerazione la differenza nella
percezione delle basse frequenze e di quelle medie e alte, che spesso si incontra in soggetti
ipoacusici, e la possibilità di forme di sordità meno gravi, che colpiscono un solo orecchio.
3. TIPOLOGIE
Le varie forme di sordità sono suddivise in tre principali categorie, con riferimento alla
localizzazione del danno anatomico, contraddistinte in:
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• sordità trasmissiva (3-4% dei bambini). Coinvolge l'orecchio esterno e l'orecchio
medio, le onde sonore non arrivano o arrivano distorte all'orecchio interno. È una
forma di sordità generalmente lieve;
• sordità percettiva (0,05% dei bambini). Può essere neuro-sensoriale, se l'anomalia
riguarda l'orecchio interno e le connessioni nervose prossime a esso, oppure
centrale, quando il danno riguarda i centri uditivi del cervello e le connessioni
distali del nervo acustico. La sordità può essere, in questo caso, da lieve a
gravissima ed è compromessa la capacità di trasduzione delle vibrazioni sonore in
stimolo uditivo;
• sordità mista. Coinvolge sia le zone centrali che quelle periferiche dell'apparato
uditivo e somma anomalie della conduzione del suono a problemi di percezione
uditiva.
4. EZIOLOGIA
Le tipologie di cause responsabili delle diverse forme di sordità possono essere innanzitutto
distinte sulla base dell'epoca di insorgenza del deficit, evidenziando così forme:
• prenatali: agiscono sull'embrione durante la gravidanza (fattori genetici, cause
virali, microbiche, parassitarie, tossiche);
• perinatali (traumatismo ostetrico, prematurità, anossia o ipossia, emolisi, ittero neo-
natale da incompatibilità Rh materno-fetale);
• post-natali (traumatismi, malattie infettive, intossicazioni).
L'eziologia più frequente risulta quella ereditaria (50%), seguita da ipossia perinatale
severa (11%), ototossicità (5%), meningite (3%), iperbilirubinemia (3%) e rosolia (2%).
Raggiungono, invece, il 20% i casi a eziologia ignota (Bubbico, 2006).
Le cause possono anche essere suddivise in (Ambrosetti & Fagnani, 2000):
• ereditarie pure;
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• ereditarie sindromiche;
• ambientali esogene.
Le prime si suddividono a loro volta in cause autosomico-dominanti, con deficit
prevalentemente neurosensoriale bilaterale di tipo evolutivo e perdita uditiva che può
variare da una condizione lieve alla totale anacusia bilaterale; cause autosomico-recessive,
che si presentano circa nel 77% delle forme ereditarie e conducono a una sordità
neurosensoriale bilaterale già presente alla nascita e, infine, cause recessive legate al sesso
(cromosoma X recessivo), di tipo neurosensoriale, molto rare e presenti solo nei maschi, in
quanto trasmesse da femmine portatrici sane (Bubbico 2006; Ambrosetti & Fagnani, 2000).
Le sordità genetiche non sindromiche sono spesso determinate da una variazione del gene
chiamato Connessina 26 (GJB2), a livello del cromosoma 13, responsabile, principalmente,
di numerosi casi di sordità neurosensoriali profonde bilaterali. Recentemente è stato
individuato un altro gene correlato alla sordità, chiamato Connessina 30, da cui dipendono
soprattutto sordità neurosensoriali a lenta progressione, di tipo dominante. L'analisi
prenatale del DNA può essere compiuta tramite prelievo dei villi coriali, ma la negatività al
test della Connessina non esclude il rischio ereditario, dipendente da un numero
sicuramente più elevato di geni, al momento non ancora individuati né testabili.
La sordità ereditaria sindromica si definisce, invece, quale componente di quadri clinici
complessi, che presentano compromissioni nelle diverse aree funzionali, compresa quella
sensoriale uditiva, secondo forme specifiche dipendenti dal tipo di patologia.
Le cause ambientali, infine, comprendono le infezioni prenatali contratte dalla madre in
gravidanza, quali il virus della rubeola, associato anche a deficit visivo, paralisi cerebrale e
malformazioni cardiache e cerebrali, la toxoplasmosi, o, ancora, il Cytomegalovirus
(CMV). Per quanto riguarda quest'ultimo agente infettivo, esso può essere trasmesso per
via trans-placentare, nel momento del parto, o durante l'allattamento. L'infezione congenita
può provocare, oltre alla sordità, ritardo mentale, epatiti e cirrosi, alterazioni neurologiche,
corioretinite, deficit ponderale, anemia eritroblastica. La condizione di sordità può esordire
al momento della nascita, oppure presentarsi con ritardo e conseguente differenza nel grado
di severità dei sintomi. A causa della frequente insorgenza tardiva risulta spesso difficile
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realizzare la diagnosi di sordità da infezione congenita da CMV; a questo proposito il
gruppo del laboratorio dell'Istituto di Virologia dell'Università di Milano, diretto dalla
professoressa Barbi, ha messo a punto un test, chiamato CMV-DBS, capace di evidenziare
a posteriori la presenza dell'infezione alla nascita, grazie all'analisi del sangue della
Guthrie card (anche a distanza di anni), prelevato obbligatoriamente, per legge, a ogni
neonato.
L'eziologia ambientale comprende anche le infezioni post-natali, come l'infiammazione
encefalo-meningea o i più comuni morbillo e parotite e le intossicazioni esogene (le cause
tossiche comprendono l'abuso di sostanze stupefacenti, psicotrope e alcoliche da parte della
gestante) o endogene (per esempio il diabete materno). Infine non si deve trascurare
l'azione di eventuali agenti traumatogeni quali, per esempio, le ostruzioni meccaniche delle
vie respiratorie o le condizioni di ipossia perinatale.
La conoscenza delle cause garantisce un impegno più finalizzato nell'ambito della
prevenzione primaria, tramite analisi prenatali del DNA fetale, per individuare eventuali
sordità ereditarie dovute al gene Connessina, e vaccinazioni contro le malattie infettive
endo-uterine più pericolose per il feto, come, per esempio, la rubeola, per la quale è
prevista una vaccinazione obbligatoria dell'intera popolazione femminile in età fertile.
5. ESAMI CLINICI
Estremamente importante per garantire un intervento efficace e una presa in carico globale
e specifica per il singolo individuo è la possibilità di effettuare una diagnosi
eziopatogenetica corretta e precoce, che presti attenzione a una diagnosi di tipo funzionale,
capace di individuare le peculiari caratteristiche del bambino e i punti di forza tramite i
quali poter compensare le difficoltà, seguendo così la linea naturale del suo personale
sviluppo. "È evidente che, se la sordità infantile di per sé tende a essere invalidante, in
mancanza di una diagnosi precoce gli effetti che essa produce si amplificano in maniera
esponenziale. Possiamo avere diagnosi inappropriate (si tende a confondere la sordità non
riconosciuta con il ritardo mentale e cognitivo); inoltre per le sordità infantili medio-lievi si
può avere una percezione errata della personalità del bambino: di volta in volta definito
apatico, disaffettivo oppure iperattivo. Bimbi che tendono a richiamare l'attenzione su di sé
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o a utilizzare le capacità residue ma che, appunto, per mancanza della diagnosi vengono
non compresi" (Bubbico, 2006, pag. 9).
La diagnosi di sordità infantile viene effettuata, in Italia, ancora tardivamente, tra i 24 e i
28 mesi, e non sono state ancora realizzate strategie sanitarie a livello nazionale, capaci di
attuare programmi di screening uditivi neo-natali, che potrebbero costituire un punto di
riferimento fondamentale per l'attività di prevenzione secondaria delle sordità infantili.
Secondo l'A.I.R.S. (Associazione Italiana per la Ricerca sulla Sordità) i principali test
uditivi utilizzati per la diagnosi di sordità sono suddivisi essenzialmente in due grandi
categorie: esami soggettivi ed esami obiettivi. Il primo gruppo comprende l'audiometria
tonale, effettuata in cuffia, all'interno di una speciale cabina silente, con modalità distinte
per bambini e adulti, l'audiometria vocale e i test di percezione verbale, che utilizzano
parole e non-parole, frasi e test a scelta multipla con immagini, per costruire un
audiogramma vocale, per valutare l'incidenza della perdita uditiva sulla capacità
comunicativa e per verificare l'efficacia delle protesi acustiche utilizzate.
Le diverse forme di audiometria tonale si distinguono invece in:
• audiometria comportamentale: è utilizzata nei primi mesi di vita del bambino e si
basa sull'osservazione delle reazioni provocate da una forte stimolazione sonora nel
comportamento del neonato. Si tratta principalmente di risposte neurologiche, quali
il riflesso di ammiccamento, il riflesso di Moro, la rotazione del capo verso la fonte
sonora, il pianto, la modificazione del ritmo respiratorio. Il test è alquanto
grossolano e poco specifico;
• audiometria condizionata: per i bambini fino a 6 anni di età l'esame viene proposto
sotto forma di gioco, sfruttando il riflesso condizionato che si crea nel soggetto,
quando lo stimolo viene associato costantemente a un premio. Sfruttando la
collaborazione del bambino, che si volta a ricevere il premio dopo ogni percezione
del suono, l'operatore può delineare una curva audiometrica indicante, in maniera
ancora imprecisa, il livello uditivo del bambino;
• audiometria in cuffia: i suoni vengono presentati in cuffia alle due orecchie
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separatamente e il bambino (o l'adulto) deve segnalare all'operatore, alzando la
mano corrispondente all'orecchio, lo stimolo acustico percepito. La "via aerea" di
presentazione dei suoni viene completata con la "via ossea", tramite un vibratore
posizionato dietro l'orecchio sull'osso mastoideo. In questo modo l'esame può
valutare la funzionalità dei centri nervosi uditivi (dato che lo stimolo non passa per
l'orecchio esterno, ma dalla coclea è trasmesso direttamente al cervello) e
specificare, in caso di ipoacusia, la componente dell'orecchio responsabile del
deficit. Tramite l'audiometria in cuffia è possibile definire un audiogramma tonale
liminare, capace di determinare la minima intensità sonora percepita dal paziente
per ogni frequenza testata.
Tra i test obiettivi (che non richiedono perciò la partecipazione attiva e la collaborazione
del paziente) è necessario ricordare, innanzitutto, la procedura dell'impedenziometria,
suddivisa a sua volta in timpanometria ed esame dei riflessi stapediali. Il primo esame
consiste nella misurazione del grado di elasticità del timpano, l'eventuale presenza di
versamenti all'interno dell'orecchio medio e il grado di mobilità di incudine, martello e
staffa. Il secondo test analizza, invece, l'attività di un piccolo muscolo il cui tendine è
inserito nel capitello della staffa, che si contrae per le stimolazioni intense ricevute da
entrambe le orecchie. Un altro esame fondamentale è costituito dall'analisi delle emissioni
otoacustiche (TAOE e DPOAE), che sfrutta la scoperta della possibilità di registrare le
emissioni sonore molto deboli prodotte dalle cellule ciliate esterne presenti nella coclea. Si
tratta di un esame completamente obiettivo e attendibile, veloce e non invasivo (dura circa
due minuti e si effettua durante il sonno spontaneo) capace di rilevare lo stato di salute
della coclea in soggetti molto piccoli e di diagnosticare precocemente (già a poche ore dalla
nascita) un'eventuale forma cocleare di sordità infantile. Tra gli esami obiettivi e
utilizzabili con pazienti che non sono (o non sono ancora) in grado di collaborare, bisogna
infine ricordare l'esame dei potenziali evocati uditivi (PEU), ottenuto somministrando
attraverso una cuffia migliaia di click (rumori a banda stretta tra 2000 e 4000 Hz, di 20
msec. di durata) e registrando contemporaneamente i livelli di attività elettro-fisiologica
generati in risposta allo stimolo sonoro, per mezzo di un'apparecchiatura composta da
elettrodi posti sulla testa del bambino. L'ABR misura i potenziali evocati uditivi del tronco,
l'elettro-cocleografia (ECochG) quelli della coclea, individuando un eventuale disordine
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cocleare o retro-cocleare, e l'SSR i potenziali uditivi evocati del nervo acustico, garantendo
così un'analisi completa dell'attività neurologica corrispondente alla stimolazione sonora.
La valutazione combinata dei risultati di impedenziometria, otoemissioni e PEU consente
di differenziare eventuali ipoacusie trasmissive, neurosensoriali cocleari e retro-cocleari o,
infine, disordini della maturazione (Prosser, 2006).
6. EPIDEMIOLOGIA
La sordità non sindromica pre-linguale presenta un incidenza stimata intorno a 200/100.000
e la prevalenza nella popolazione, calcolata dalla World Health Organisation (WHO),
corrisponde a 1-4 casi su 1.000 abitanti. Fino agli anni '70 l'età media per una diagnosi di
sordità era di 3 anni, mentre attualmente, grazie alle nuove metodiche di screening e agli
strumenti più sofisticati, la rilevazione di sordità viene solitamente realizzata tra i 6 e i 12
mesi, con evidenti vantaggi nell'ambito dell'abilitazione e del recupero delle funzioni. Per
quanto riguarda la realtà italiana, la prevalenza di ipoacusia pre-linguale nella popolazione
è attestata intorno a 0.7 casi su 1.000 e maggiore in maniera statisticamente significativa
per i maschi, a causa di quelle forme di sordità legate al difetto nel cromosoma X. Negli
ultimi decenni si registra, comunque, un costante decremento dei tassi di prevalenza del
deficit, dovuto a una miglior prevenzione delle malattie infettive e a una maggiore
sorveglianza dello stato di salute della donna durante la gravidanza (Bubbico, Rosano &
Spagnolo, 2006).
Nella casistica dell'Istituto di Audiologia presso l'Ospedale Policlinico IRCCS di Milano,
tra il 1971 e il 1997 le cause ereditarie hanno interessato il 30% delle diagnosi accertate. Le
sordità dovute a cause tossiche, infettive o traumatiche prenatali, perinatali o post-natali
comprendono un ulteriore 30% del campione. Infine, nel restante 40% delle diagnosi, la
causa responsabile del deficit uditivo resta sconosciuta, ma potrebbe, nella maggior parte
dei casi, essere dovuta a fattori di origine genetica (Ambrosetti & Fagnani, 2000).
7. LEGISLAZIONE
In Italia, a partire dagli anni Settanta, grazie alla legge sull'integrazione scolastica (517/77),
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anche i bambini con sordità gravi possono frequentare la scuola pubblica nelle classi
ordinarie, supportati dagli insegnanti di sostegno. I successivi interventi legislativi si
muovono verso la realizzazione di un grado di integrazione sempre maggiore e di servizi
scolastici adeguati alle esigenze dei singoli alunni. La sentenza della Corte Costituzionale
215 del 1988 estende anche alla scuola secondaria il diritto all'integrazione scolastica per
gli alunni disabili e la legge 104/1992 regolamenta le problematiche inerenti la disabilità in
tutti i settori della vita e della realtà sociale. Questi interventi consentono anche alle
persone sorde di accedere a una maggiore interazione con i coetanei e di sviluppare una più
adeguata competenza comunicativa e linguistica. Nonostante il sicuro vantaggio che la
realtà italiana presenta rispetto agli altri paesi dell'Unione Europea, risulta ancora
estremamente evidente la differenza tra i diversi traguardi di sviluppo che possono essere
raggiunti dalle persone audiolese e l'ampia varietà inter-individuale, la quale stimola a
cercare caratteristiche specifiche e interventi educativi e abilitativi particolari, capaci di
favorire il massimo sviluppo possibile per le potenzialità di ogni singolo individuo.
8. ARGOMENTI TRATTATI
Data l'eterogeneità delle tipologie di sordità e delle forme di intervento, nel corso della
trattazione verranno affrontati sia argomenti generali, sia alcune forme specifiche di
intervento per determinati tipi di sordità, come l'impianto cocleare. Sarà effettuato anche un
riferimento all'utilizzo del linguaggio dei segni in ambito domestico e scolastico, poiché
molti bambini sono educati al suo utilizzo e alcuni di essi, figli di sordi, lo possono usare
come lingua madre, sebbene la ricerca voglia incentrarsi maggiormente sulla conoscenza
dello sviluppo e dell'importanza del linguaggio orale. Spesso si parlerà di ASL (American
Sign Language), perché le ricerche studiate sono effettuate in ambito americano, ma il
discorso potrebbe naturalmente essere generalizzato al linguaggio italiano dei segni, o a
quello di qualsiasi altra nazionalità.
Alcune ricerche significative sono state descritte e riportate dettagliatamente, per dare
un'idea dei risultati raggiunti in alcuni ambiti, quali lo sviluppo del linguaggio orale in
bambini con impianto cocleare, o l'importanza di particolari forme di stimolazione
musicale, ma anche delle difficoltà legate alla ricerca in un contesto influenzato
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dall'interazione di numerosissime variabili, che possono avere effetto diretto o indiretto
sullo sviluppo del bambino e sullo sviluppo del linguaggio in particolare.
Il primo capitolo offre una descrizione dello sviluppo del linguaggio orale nei bambini
sordi pre-linguali, della sua interazione con il linguaggio dei segni e dell'importanza della
funzione linguistica nello sviluppo complessivo e nel buon adattamento all'ambiente del
bambino.
Il secondo capitolo si concentra sulle situazioni e sugli ambienti tramite i quali viene
realizzato lo sviluppo: la famiglia e le sue peculiari caratteristiche di interazione, le routine,
e gli stili genitoriali; la scuola, con i programmi di intervento, l'alfabetizzazione e la
socializzazione degli alunni; l'interazione tra la scuola e la famiglia e le necessità per un
miglioramento dei servizi e delle strutture socio-assistenziali ed educative.
Il terzo capitolo offre una digressione sugli impianti cocleari, analizzando il particolare
sviluppo linguistico e cognitivo che essi possono determinare e valutando le caratteristiche
specifiche delle interazioni familiari e scolastiche necessarie dopo l'operazione di impianto.
Il quarto capitolo offre uno spunto di riflessione sull'importanza della voce materna, anche
per il bambino che non può sentirla, e della stimolazione cantata e musicale, per il
miglioramento di alcune caratteristiche di sviluppo del bambino, come la qualità della
voce, l'organizzazione sintattica di alcune frasi semplici, lo sviluppo della memoria e la
motivazione all'interesse e all'apertura verso il mondo circostante.
Infine, il quinto capitolo vuole fornire le basi per la conoscenza del metodo riabilitativo
Drežančić, che, con le sue caratteristiche, tocca i punti fondamentali della trattazione:
valorizza l'importanza dell'interazione e la naturalità della stimolazione verbale, rispetta le
sequenze e le forme naturali dello sviluppo del linguaggio, sfrutta i vantaggi di una
stimolazione cantata, ritmica e musicale; ma, soprattutto, riconosce l'importanza del
bisogno di ogni bambino di parlare, di esprimersi nelle forme del linguaggio condiviso, di
interagire con il mondo e di entrare in contatto con l'altro, di cantare, di urlare e di
padroneggiare la propria voce, rendendola parte e immagine di sé. In una parola riconosce
il bisogno umano e il desiderio fondamentale di normalità.
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E questa esigenza, anche quando faticosamente sudata, non perde mai la propria
importanza nella vita di ognuno di noi, bambini sordi compresi.
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