Quest’opera di sintesi potrebbe fornire una concreta opportunità di avvicinamento e di
collaborazione tra filosofia e scienza: alla base della presente ricerca vi è infatti la convinzione che
tali discipline, se impostate criticamente, lungi dall’essere antitetiche e incompatibili possano anzi
interagire e cooperare in modo mutuamente proficuo, contribuendo non solo al progresso della
conoscenza, ma anche alla promozione dei valori del pluralismo e della differenza, essenziali in
ambito scientifico non meno che in sede etica e politica.
Affinché ciò sia possibile è necessario, in primo luogo, che la filosofia sviluppi un atteggiamento
di decisa apertura nei confronti della scienza, in termini sia di metodo che di contenuto:
metodologicamente, ciò significa l’adesione al modo di procedere empirico-scientifico, basato
sull’assunto realistico-materialistico1 e procedente dall’osservazione dei fenomeni indicabili alla
formulazione di ipotesi e teorie da sviluppare, correggere ed eventualmente abbandonare in un
processo di continuo confronto con i dati reali; contenutisticamente, implica il possesso di una
conoscenza sufficiente dei risultati fondamentali conseguiti dalle varie branche della ricerca
scientifica. Ciò non comporta l’annullamento della filosofia nella scienza ma, al contrario,
rappresenta una precondizione essenziale affinché il filosofo possa svolgere il compito speciale che
gli compete – un compito specificamente filosofico che lo scienziato, a causa della sua tendenziale
specializzazione, difficilmente può assolvere: elaborare un’immagine complessiva del mondo che,
mentre soddisfa i criteri di conformità ai dati accertabili e di verificabilità scientifica, sappia rendere
ragione del carattere unico, unitario e coeso e al contempo vario, multiforme e composito della
realtà.
Una filosofia di questo tipo, orientata scientificamente e mirante ad una visione globale in cui
omogeneità ed eterogeneità siano termini non contraddittori ma compossibili all’interno dello stesso
mondo reale, ha iniziato ad affermarsi in modo esplicito nella prima metà del XX secolo, dando
origine ad una particolare corrente filosofica designabile come nuova ontologia critica. Il capitolo 1
illustrerà sommariamente alcune delle sue tesi fondamentali, nella forma in cui più spesso queste si
presentano nel panorama ontologico attuale; il capitolo 2 sarà invece dedicato specificamente al
pensiero ontologico di Nicolai Hartmann (1882-1950), tra i massimi teorici della nuova ontologia
critica.
I capitoli 3 e 4 intendono connettersi ad un fenomeno che, in anni recenti, ha affiancato il graduale
avvicinamento della filosofia alla scienza: il manifestarsi di un crescente interesse, da parte di
numerose discipline scientifiche, nei confronti dell’ontologia filosofica, intesa, in particolare, come
teoria dei livelli di realtà e come analisi categoriale. Nel capitolo 3, si tenterà di mostrare come gli
strumenti concettuali offerti dalla nuova ontologia possano essere utilmente impiegati dalla biologia
teorica per affrontare il tema dell’evoluzione organica in un’ottica pluralistica e antiriduzionistica; a
tale scopo, si considereranno, nei loro aspetti principali, le riflessioni filosofico-epistemologiche e le
ipotesi scientifiche dell’etologo Konrad Lorenz (1903-1989), che in più punti della propria opera
1
Ovvero sull’ipotesi dell’esistenza reale di un mondo unico, unitario e in sé – cioè non riducibile ad una mera produzione
della coscienza soggettiva – che l’uomo può conoscere, parzialmente ma adeguatamente, attraverso i propri sensi e il proprio
apparato cognitivo.
5
riconosce apertamente il valore scientifico dell’ontologia hartmanniana e la sua potenziale utilità per
le scienze naturali. Il capitolo 4 introdurrà la nozione di ontologia informatica, ovvero di uno
strumento tecnologico-ingegneristico sviluppato allo scopo di raccogliere, ordinare, elaborare,
condividere e coordinare in modo automatico informazioni eterogenee, rese trasparenti l’una
all’altra attraverso l’utilizzo di una rete di categorie comuni che garantisca l’intercomunicabilità e
l’integrazione tra basi di dati differenti.
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1) LA NUOVA ONTOLOGIA CRITICA: TEMI PRINCIPALI
1) Vecchia e nuova ontologia
La nuova ontologia, come l’ontologia tradizionale, si presenta come un’indagine sull’essere,
concepito come sussistente in sé superoggettivamente (ovvero senza poter essere ridotto ad una
pura rappresentazione del soggetto) e di cui la ricerca si propone di rilevare i principi generali che,
essendo comuni alle diverse forme della realtà, garantiscono il carattere unitario del mondo. A
segnare una profonda differenza tra nuova e vecchia ontologia è però il modo di intendere tale
unità.
Le concezioni ontologiche tradizionali tendono a produrre sistemi dalle pretese onnicomprensive,
totalizzanti ed onniesplicative: l’esigenza metafisica di semplicità, unitarietà e intelligibilità del
mondo induce a ridurre la totalità dell’esistente entro costruzioni artificiali che annullano la varietà
dei fenomeni osservabili; la realtà è sottoposta ad un numero limitato di principi metafisici che,
quand’anche siano stati scoperti validi in un determinato campo del reale, vengono acriticamente
universalizzati. Al mondo viene così imposta un’unità indifferenziata ed omogenea che sacrifica la
ricchezza del reale ad una generalizzazione arbitraria.
La nuova ontologia rifiuta tale tendenza aprioristica, deduttivistica e costruttivistica: disposta a
riconoscere l’autentica complessità ed eterogeneità della realtà, essa non può prescindere
dall’osservazione e della descrizione fedele dei fenomeni e presuppone perciò, come proprio punto
di partenza, una base empirica la più ampia possibile. Da ciò la necessità di un’apertura
dell’ontologia filosofica alle scoperte e alle acquisizioni delle differenti scienze positive che, pur nella
loro parzialità, penetrano concretamente il mondo fenomenico e ne colgono aspetti circoscritti ma
autenticamente reali: la nuova ontologia muove non da assunti a priori, ma dall’analisi degli oggetti
razionalmente comprensibili e accertabili nei diversi campi del sapere (distinguendosi così dalla
metafisica, che include nel proprio ambito di interesse anche eventuali dimensioni dell’essere non
passibili di considerazione razionale), nel tentativo di individuare i principi che, per la loro
generalità, possono plausibilmente essere assunti a fondamento dell’unità del mondo.
Se tale unità deve essere compatibile con la multiformità complessa della realtà, è ragionevole
attendersi che essa non abbia la forma di uno schema unitario artificiosamente semplificante, di un
fondamento ultimo o di un principio assoluto: un simile modello soddisferebbe sì il bisogno di
risolvere la diversità caotica del reale in un’unità semplice ed omogenea, ma contraddirebbe
l’esperienza concreta che l’uomo ha del mondo, rendendola illusoria, incomprensibile e inaffidabile
come guida della prassi quotidiana e scientifica. Una considerazione critica della realtà, aderente ai
fenomeni e non viziata dagli errori della vecchia ontologia, dischiude però una possibilità
alternativa, più adeguata ai dati empirici e controllabile in base ad essi: la struttura del mondo
potrebbe configurarsi come un ordinamento o una successione di livelli reali distinti ma interagenti,
7
dotati ognuno di peculiarità specifiche e distintive e al contempo connessi da rapporti di reciproca
influenza e dipendenza.
In quest’ottica, la nuova ontologia si presenta come una teoria dei livelli di realtà: in una
prospettiva pluralistica e non riduzionistica, essa concepisce il mondo come un’entità stratificata
multidimensionale comprendente domini eterogenei, definiti ciascuno da fenomeni, proprietà e
legalità caratteristiche e allo stesso tempo legati da relazioni varie e complesse che li saldano in una
costruzione naturale, unitaria e coerente. La varietà irriducibile del mondo non può essere negata,
così come non è possibile disconoscere l’esistenza di un legame tra le molteplici dimensioni del
reale: eterogeneità ed omogeneità costituiscono entrambe aspetti autentici della realtà che non si
escludono né si contraddicono, ma possono coesistere in un mondo la cui unità consista non
nell’identità di una presunta essenza assoluta, universale e necessaria, ma nell’interconnessione e
nell’interdipendenza di una pluralità di livelli non risolvibili l’uno nell’altro.
Alla nuova ontologia spetta dunque la delineazione della forma peculiare di questo tipo di unità,
ampiamente compossibile con la varietà dei fenomeni nei quali si manifesta e nei quali deve essere
ricercata: l’opera filosofica di rappresentazione sintetica del mondo reale, con il rilievo dei suoi livelli
costitutivi e delle leggi che ne governano i rapporti, non deve smarrire il riferimento ai dati
dell’esperienza e della scienza, né rinunciare, per smania di facili soluzioni, ad un atteggiamento di
apertura e di umiltà di fronte ad una realtà che non solo è inesauribilmente varia e complessa in ogni
momento dato, ma che è anche mutevole, emergente e produttrice di novità nel corso del tempo. Ciò
significa riconoscere ed accettare che il mondo, nella sua variopinta e complessa ricchezza
fenomenica, non si lascia esaurire in alcuna definizione totale, esaustiva e definitiva, e che solo un
ethos filosofico che ne rispetti la natura e vi si adegui, senza astratte semplificazioni o coartazioni,
può sperare di penetrarne realmente la struttura, contribuendo all’avanzamento della conoscenza
scientifica dell’esistente.
2) Livelli di realtà e categorie
Quanto sinora premesso suggerisce la centralità, per la nuova ontologia, dell’idea di livello di
realtà, che merita pertanto di essere approfondita. A tale scopo, si considereranno tre snodi
concettuali notevoli, presentabili nella forma di dicotomie: livelli di interpretazione – livelli di realtà;
genesi – descrizione; ottica oggettuale – ottica categoriale. Per ogni opposizione, il polo rilevante per
una filosofia scientifica è di volta in volta il secondo.
2.1) Livelli di interpretazione e livelli di realtà
Il piano dei livelli di interpretazione individua le diverse possibili descrizioni che un osservatore
può fornire di un determinato fenomeno, in rapporto ai propri interessi e alle proprie finalità: la
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granularità dell’indagine può variare illimitatamente con la prospettiva del soggetto conoscente, dal
quale pertanto dipendono tanto l’esistenza quanto le caratteristiche dei livelli esaminati.
Al contrario, i livelli di realtà sono vincolati alla natura intrinseca degli oggetti reali, alla loro
struttura costitutiva, al complesso dei nessi causali, interni ed esterni, che determinano il loro
comportamento osservabile. Un livello di realtà, dunque, è definito dalla specifica rete di rapporti di
dipendenza causale sussistenti tra le entità che lo compongono; queste, in generale, non sono create
né condizionate nella loro costituzione e nelle loro interazioni dall’attività di un eventuale
osservatore, possedendo invece un essere in sé, ovvero una realtà strutturale ed una capacità di
azione causale autonome, non concepibili alla stregua di semplici oggetti intenzionali prodotti dalla
coscienza soggettiva.
Alla contrapposizione tra livello di interpretazione e livello di realtà corrisponde la distinzione tra
epistemologia ed ontologia: i livelli di interpretazione hanno una valenza epistemologica, i livelli di
realtà una valenza ontologica, nella misura in cui la sussistenza dei primi dipende, mentre quella dei
secondi prescinde, dalla relazione con un soggetto conoscente.
2.2) Genesi e descrizione
Il riferimento al piano della causazione permette di introdurre l’ulteriore opposizione tra piano
descrittivo e piano genetico: l’individuazione delle cause che strutturano e connettono i fenomeni
presuppone, come momenti preliminari di qualunque indagine scientifica, la raccolta e l’accurata
descrizione dei dati rilevanti; svolte tali operazioni, si potrà cercare di connettere i dati disponibili
entro una rete adeguata di dipendenze causali, che sarà genetica nella misura in cui saprà spiegare le
modalità in cui determinati oggetti derivano da altri.
La moltiplicazione delle scienze corrisponde al tentativo di segmentare la realtà in domini
internamente omogenei, comprendenti ciascuno una classe di fenomeni tra loro causalmente
interconnessi in modo più stretto di quanto lo siano con i fenomeni appartenenti ad ambiti
differenti. Una simile strategia analitica si è rivelata estremamente efficace in rapporto a determinate
regioni del reale (ad esempio alla materia inorganica, oggetto delle scienze chimico-fisiche), meno
soddisfacente quando applicata ad altre (ad esempio alla natura vivente, oggetto delle scienze
biologiche), e ciò per tre ragioni fondamentali: l’utilizzo di tipi di causalità improprie; la pretesa di
scomporre analiticamente realtà che non si prestano all’analisi, pena l’alterazione della loro natura;
la mancanza di una metodologia sintetica. Ciò suggerisce la necessità, per una valida teoria dei
livelli di realtà, di abbracciare almeno tre componenti teoriche fondamentali: una teoria della
causalità, deputata all’esame delle molteplici forme di dipendenza causale esistenti tra fenomeni e
tra livelli; una teoria della struttura, dedicata allo studio dei possibili rapporti che possono darsi tra
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un intero e le sue parti2; una teoria ontologica, capace di comporre in un quadro unitario le diverse
prospettive scientifiche.
È poi opportuno osservare come la natura della maggior parte dei legami che connettono i
fenomeni ed i livelli reali sia ancora sconosciuta, o solo parzialmente conosciuta. Per tale motivo, il
primo compito di una teoria dei livelli, allo stato attuale della conoscenza scientifica, non potrà che
essere di carattere descrittivo, orientato alla delineazione dell’architettura strutturale basilare della
realtà.
2.3) Ottica oggettuale ed ottica categoriale
Tale distinzione individua due interpretazioni fondamentali della nozione di livello di realtà, non
incompatibili nel quadro della stessa rappresentazione del mondo ma nettamente distinte l’una
dall’altra.
In un’ottica oggettuale, i livelli che compongono la realtà differiscono solo quantitativamente, in
termini di complessità combinatoria: essi sono infatti presentati come costituiti dalle medesime unità
che, aggregandosi, danno origine a configurazioni qualitativamente omogenee, le cui proprietà sono
interamente riconducibili alle proprietà dei loro elementi; in tal modo, si viene a costruire una
gerarchia continua e lineare di livelli, in cui ogni livello è comprensibile come prodotto di, e
riducibile a, una combinazione particolarmente complessa di oggetti già esistenti ai livelli
subordinati.
In un’ottica categoriale, invece, i livelli di realtà si distinguono qualitativamente in virtù delle
categorie ontologiche che caratterizzano ogni livello in modo peculiare e distintivo e che, si badi,
sono da intendersi non come meri concetti creati dall’intelletto, ma come dimensioni costitutive,
intrinseche ed oggettive della realtà, qualificate dalle due proprietà basilari della determinazione e
dell’universalità.
Il carattere di determinazione si riferisce alla funzione di principi determinanti propria delle
categorie ontologiche, cui il reale deve la propria struttura e la propria legalità. Fondamentale è che
le categorie ontologiche determinano la realtà non come presunte essenze eteronome, appartenenti
ad un ipotetico regno iperuranico e trascendente, ma come autentiche qualità del reale che esistono
solamente nell’oggetto di cui sono principi: le categorie ontologiche sono contenute e si rivelano nei
fenomeni ed è da questi che devono essere ricavate. Risulta così ribadita l’importanza del momento
osservativo e descrittivo per qualsiasi indagine scientifica del reale: la nuova ontologia, aperta alla
ricchezza inesauribile del reale, dovrà valersi dell’apporto di ogni disciplina in grado di penetrare
una particolare dimensione del mondo concreto, parziale ma scientificamente verificabile nel suo
contenuto e nella sua organizzazione. Solo attraverso la costruzione e l’analisi di una base empirica
2
A tal proposito, l’ontologia potrebbe trovare un importante supporto negli approcci sistemici, ispirati al pensiero di Ludwig
von Bertalanffy (1901-1972) e orientati allo studio dei sistemi, intesi come interi complessi prodotti dall’interazione creativa di
parti preesistenti e dotati di proprietà non deducibili dalle qualità degli elementi componenti. Della nozione di sistema si
tratterà più approfonditamente nel capitolo 3, dove si tenterà di evidenziare alcuni punti di convergenza tra paradigma
sistemico, evoluzione emergente e nuova ontologia.
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sufficientemente ampia ed estendibile, adeguata alla complessa varietà del reale e al progredire della
conoscenza, sarà possibile riconoscere ciò che vi è di identico nella varietà dei casi reali e che le
categorie ontologiche appunto rappresentano.
Interviene qui il carattere categoriale dell’universalità: le categorie sono universali nella misura in
cui individuano ciò che vi è di generale e di comune in una pluralità di fenomeni altrimenti
eterogenei. Ciò significa che le categorie ontologiche, pur rivelandosi solamente in singole entità
concrete ed esistendo esclusivamente come determinanti di queste, definiscono non singoli
individui, bensì livelli di realtà: coerentemente con l’ottica categoriale su delineata, un livello di
realtà si configura come un insieme non di oggetti ma di principi categoriali che, nel loro complesso,
permettono di distinguere uno specifico dominio del reale in quanto qualificato da una struttura
peculiare, comprendente fenomeni distintivi e regolata da leggi specifiche; un medesimo individuo,
del resto, potrà appartenere contemporaneamente a livelli differenti nel momento in cui, nella sua
concreta singolarità, si presenti esso stesso come un’entità stratificata, abbracciante dimensioni
connesse ma eterogenee e reciprocamente irriducibili.
2.4) Livelli di realtà e analisi categoriale
Una teoria dei livelli di realtà, quale elemento fondamentale della nuova ontologia, conduce
pertanto ad un’analisi categoriale, volta a rilevare le principali categorie determinanti
conformazione, strutture e rapporti del mondo reale di cui esse, in virtù della loro universalità,
consentono di cogliere il carattere unitario. Ciò in un costante confronto con i fenomeni: i principi
categoriali non sono postulati e generalizzati a priori, ma vengono riconosciuti nella realtà attraverso
un’indagine rivolta ai fenomeni e specificati nei loro particolari limiti di validità.
L’approccio categoriale alla teoria dei livelli di realtà costituisce dunque uno strumento basilare
grazie al quale la nuova ontologia si propone di contribuire alla costruzione di un quadro sintetico
in grado di sussumere la pluralità delle prospettive offerte dalle diverse discipline scientifiche, senza
perciò abolire le peculiarità di ciascuna: ciò esprime un orientamento non riduzionistico, disposto ad
accettare la varietà, la complessità e l’eterogeneità irriducibile di un mondo che pure è unico,
unitario e coeso - di un’unità non semplice e monocorde, ma differenziata e stratificata, non
inquadrabile in schemi aprioristici, semplificanti ed esaustivi.
3) Tipi di livelli: materiale, mentale e sociale
L’individuazione di tipi distinti di livelli di realtà costituisce un primo problema basilare. Si può
qui accennare, facendo riferimento soprattutto al lavoro di Poli (si veda almeno Poli 2007a e 2007b),
ad una delle tipologie tra le più diffuse ed approfondite da un punto di vista teorico, la quale
distingue tre fondamentali livelli o reami di realtà: il livello della natura materiale; il livello dei
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fenomeni mentali; il livello dei fenomeni socio-culturali. La distinzione è di natura prettamente
categoriale: i tre livelli rappresentano domini categorialmente distinti, definiti ciascuno da uno
specifico gruppo di categorie; ogni strato ha una propria organizzazione interna, fenomeni tipici e
forme di legalità caratteristiche che, nella loro peculiarità, richiedono metodi di indagine, strumenti
concettuali ed apparati categoriali adeguati.
3.1) Strato materiale
Il reame materiale si configura come una serie di sotto-livelli o piani aventi ciascuno un oggetto di
riferimento distintivo, rappresentativo di una specifica rete di dipendenze causali; la serie procede
dal dominio della fisica sub-atomica al dominio dell’ecologia, ed è internamente segmentabile in una
molteplicità di componenti (è possibile, ad esempio, distinguere fisica, chimica e biologia, e scindere
quest’ultima in genetica, citologia, fisiologia, etologia, ecologia).
Si tratta di una stratificazione di natura prevalentemente lineare, interpretabile in termini
oggettuali: ciascun livello sovraordinato si presenta come il prodotto di una speciale combinazione
degli oggetti del livello subordinato, dal quale dipende quindi, in primo luogo, da un punto di vista
esistenziale. La dipendenza è però anche categoriale: il livello superiore eredita le categorie
fondamentali del livello inferiore, alle quali però, allo stesso tempo, si aggiungono nuove categorie
che marcano la specificità dello strato sovraordinato rispetto allo strato subordinato.
Tale situazione può essere esemplificata considerando il rapporto tra livello fisico e livello
chimico. Un’entità chimica ha un sostrato fisico-materiale di cui condivide le categorie: un fenomeno
chimico, infatti, può essere correttamente descritto in termini fisici, per quanto ciò comporti lo
smarrimento dei suoi aspetti propriamente chimici, che le categorie della fisica non sono in grado di
descrivere. La descrizione della realtà chimica mediante le categorie della fisica non è falsa, ma
implica l’abolizione del livello chimico in quanto distinto, in virtù di una specifica classe di fenomeni
che gli è propria, dal livello fisico, al quale risulta di fatto ridotto. Per cogliere il proprium della
chimica occorrono categorie adeguate: queste si aggiungono alle categorie che la chimica mutua
dalla fisica e, nel loro complesso, costituiscono la novità categoriale che definisce la realtà chimica,
impedendone l’annullamento nella natura fisica.
La delineazione complessiva dello strato materiale in una prospettiva lineare ed oggettuale,
sebbene genericamente adeguata, non è esente da difficoltà, inerenti soprattutto ai domini delle
particelle elementari e biologico: la complessità di tali sezioni del reale sembra essere meglio
rispecchiata da modelli differenti, fondati piuttosto su un’ottica sistemica, multidimensionale ed
emergentista.
3.1.2) Un esempio: la doppia gerarchia della natura biologica
12
In riferimento a quest’ultimo genere di paradigma, può qui utilmente essere ricordata la teoria
gerarchica della natura biologica proposta da Eldredge e Grene (1992), che in questo contesto
presenta almeno due motivi di interesse: ha essa stessa la forma di una teoria dei livelli di realtà,
centrata sullo specifico tema della biocomplessità; distingue diversi tipi di relazione tra livelli, tali
che nel loro complesso permettano di comprendere il mondo della vita come realtà al contempo
unitaria e coerente.
La teoria concepisce il mondo organico come composto da due regni distinti, gerarchicamente
strutturati: il regno genealogico o riproduttivo e il regno ecologico o economico. I livelli della
gerarchia genealogica – geni, organismi, demi (popolazioni di organismi della stessa specie
interagenti da un punto di vista riproduttivo), specie, taxa superiori – comprendono entità la cui
riproduzione crea e mantiene attivo il livello superiore; i livelli della gerarchia ecologica – organismi,
avatara (popolazioni di organismi della stessa specie interagenti da un punto di vista economico),
ecosistemi – sono connessi da interazioni economiche, ovvero da flussi di materia ed energia.
All’interno di entrambe le gerarchie, ogni livello presuppone il livello subordinato come condizione
della propria esistenza, ma manifesta anche fenomeni e dinamiche originali che lo rendono
irriducibile al livello inferiore e in parte autonomo rispetto ad esso.
Il rapporto tra le due gerarchie presenta un’analoga compresenza di indipendenza ed
interconnessione. I sistemi genealogici discendono dall’attività riproduttiva degli organismi, che
senz’altro presuppone il successo economico (la sopravvivenza dell’individuo nel suo ambiente) ma
che non è totalmente risolvibile in termini ecologici; e i sistemi ecologici esistono unicamente come
risultato del comportamento economico degli organismi, indipendentemente dall’attività
riproduttiva di questi ultimi. Allo stesso tempo, è la riproduzione degli organismi a fornire
continuamente nuovi attori per l’arena ecologica; e il successo ecologico condiziona il successo
riproduttivo poiché, in un’ottica darwiniana, la selezione naturale conserva e trasmette adattamenti
fondamentalmente economici (ovvero variazioni individuali ereditabili utili all’organismo nella lotta
per l’ottenimento delle risorse necessarie alla sopravvivenza). Le due gerarchie del mondo biologico
sono dunque parzialmente autonome e parzialmente dipendenti l’una dall’altra. È però opportuno
rimarcare il carattere asimmetrico di tale relazione. Il vettore che unisce i due regni è infatti diretto
dall’ambito ecologico all’ambito genealogico, e non viceversa: gli individui competono tra loro in
primo luogo per il conseguimento delle risorse; la competizione è primariamente di natura
economica, connessa all’aspetto materiale dell’esistenza biologica, e in quanto tale non è
condizionata da alcun imperativo di riproduzione. Al contrario quest’ultima, pur essendo regolata
da leggi proprie che non appartengono al dominio ecologico e che pertanto segnano la specificità del
regno genealogico, ha come condizione imprescindibile il successo economico – l’esistenza
dell’organismo come unità funzionale capace di soddisfare i propri bisogni vitali.
13
Si tratta, evidentemente, di una prospettiva pluralistica e multifattoriale, che intende opporsi in
modo particolare al riduzionismo tipico dell’ultradarwinismo e della sociobiologia umana, tendenti,
rispettivamente, ad elevare la selezione naturale ad unico principio necessario e sufficiente alla base
di qualunque evento biologico-evolutivo e a sostenere la base genetica, l’origine e la conservazione
per selezione naturale di ogni specifico comportamento adattativo esibito dall’uomo. In entrambi i
casi, un meccanismo parziale, intraspecifico e microevolutivo (la selezione naturale, che opera sulla
variazione genetica disponibile a livello popolazionistico) viene esteso oltre la sfera reale nella quale
esso è stato riconosciuto e provato valido: la varietà del mondo risulta allora solo apparente, priva di
autentica realtà, un mero epifenomeno o effetto collaterale dell’azione di un singolo principio
onniesplicativo. Il riconoscimento della reale biodiversità e biocomplessità del mondo richiede un
approccio radicalmente differente, per il quale la nozione di livello di realtà potrebbe senz’altro
rivelarsi utile: alle generalizzazioni non verificabili e alle costruzioni monistiche e semplificanti si
oppone una decisa aderenza ai fenomeni osservabili, accettati nella loro varietà irriducibile, nella
molteplicità delle loro relazioni e nel loro interagire entro gerarchie multiple ed intrecciate.
3.2) Strato psicologico
Il reame psicologico è il dominio dei fenomeni mentali, immateriali e non spaziali. Poli (2007a)
propone di analizzarne la struttura muovendo dalla tesi di Brentano sulla natura duplice e
processualistica della psiche: secondo l’autore, ogni fenomeno psicologico è un atto (cioè un
processo) caratterizzato dal riferimento ad un contenuto, dall’orientamento verso un oggetto che
l’atto comprende quale proprio correlato; in ogni processo mentale, gli atti rappresentano l’aspetto
indipendente, i correlati, portati dagli atti come loro parti interne o immanenti, l’aspetto dipendente.
L’analisi di Poli procede articolando la sfera degli atti mentali in tre livelli principali: il livello
degli atti inconsci e, nell’ambito della consapevolezza, il livello degli atti egologici e il livello degli
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Taxon
monofiletico
Taxon
monofiletico
Organismo
Avatar
Ecosistema
locale
Deme
Specie
Organismo
Genoma
Sistema
sociale
Selezione naturale
Variazione
Da Eldrege e Grene (1992)
atti non-egologici (secondo la terminologia proposta da Stein). Gli atti egologici, o non-cognitivi,
riguardano il soggetto e si distinguono in atti che veicolano informazioni sul corpo (sensazioni
corporee), atti che veicolano informazioni sugli stati emotivi (stati d’animo) e atti che veicolano
informazioni sui modi individuali con cui il soggetto reagisce a ciò che sperimenta (carattere del
soggetto). Gli atti non-egologici individuano il complesso degli atti cognitivi – quali percezione,
memoria, ragionamento – e si distribuiscono nei due gruppi delle presentazioni e delle
rappresentazioni.
In un atto presentativo, l’oggetto semplicemente appare o si presenta alla coscienza3. Il fenomeno
non è puntiforme ed istantaneo: dati sperimentali mostrano che esso ha un’estensione temporale
dalla durata variabile (in rapporto a molteplici fattori, legati agli stati emotivi e cognitivi del
soggetto e al contenuto della presentazione) e che presenta una struttura complessa potenzialmente
esaminabile rispetto a più dimensioni - ad esempio distinguendo tra centro e periferia (tra ciò che
dell’oggetto è interno e ciò che è esterno rispetto al fuoco dell’attenzione), indagando le specifiche
leggi di organizzazione delle presentazioni (la mente, infatti, non riproduce passivamente la realtà,
ma, seguendo leggi proprie, riorganizza attivamente l’informazione recepita tentando di conferirle
coerenza e di strutturarla secondo un ordine spazio-temporale significativo, il quale può anche non
coincidere con l’assetto spazio-temporale esterno), esaminando i diversi momenti dell’elaborazione
del contenuto presentato.
Le rappresentazioni sono atti cognitivi di ordine superiore – ad esempio di memoria, di
ragionamento, di programmazione – aventi anch’essi, come le presentazioni, un’organizzazione
strutturale e temporale articolata; configurandosi come processi di elaborazione del materiale fornito
dalle presentazioni, esse dipendono, in termini esistenziali, dall’ambito presentativo, presentando
allo stesso tempo proprietà che questo non possiede, specifiche delle operazioni di memorizzazione
e di riflessione concettuale.
3.3) Strato sociale
Alla base del reame sociale (umano), Poli (2007a) pone una struttura caratterizzata dalla presenza
di una serie di domini (politica, economica, etica, educazione, arte...) tendenzialmente universali e in
interazione reciproca. La dimensione dell’universalità tendenziale indica la propensione, propria di
ogni dominio, ad interpretare il reale in modo unilaterale e totalizzante, facendo dei propri principi
caratterizzanti le chiavi di lettura privilegiata della globalità dell’esistente. Tuttavia, pur operando
individualmente ciascuno secondo la propria prospettiva, nell’ambito di un quadro categoriale
locale specifico e parzialmente autonomo, i diversi domini sociali agiscono anche in parallelo,
influenzandosi e limitandosi reciprocamente: nella realtà dinamica della società umana, nessun
3
Dalle presentazioni Brentano distingue gli atti di giudizio, in cui l’oggetto viene accettato come vero o rifiutato come falso, e
gli atti affettivi, in cui l’oggetto si dà alla luce dei sentimenti e dei desideri del soggetto.
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ambito è di per sé isolabile in modo univoco, determinando e al contempo essendo determinato dal
contesto storico-culturale complessivo cui esso appartiene.
4) Forme di connessione tra livelli
Distinti i tre reami materiale, psicologico e sociale, occorre specificare i tipi di relazione che li
connettono, nel tentativo di delineare l’architettura complessiva della realtà – la specifica forma della
sua organizzazione strutturale.
4.1) Sovraformazione e sovracostruzione
La descrizione, per quanto sommaria, di diversi tipi di livelli di realtà pone in evidenza l’esistenza
di varie forme di dipendenza tra livelli, tra le quali particolarmente rilevanti appaiono, nei termini
proposti da Hartmann4, il rapporto di sovraformazione tra materia e forma ed il rapporto di
sovracostruzione tra portatore e portato; per ragioni di chiarezza terminologica, Poli (2001)
suggerisce di denominare piani i livelli di realtà connessi da rapporti di sovraformazione, strati i
livelli di realtà connessi da rapporti di sovracostruzione.
Nel rapporto di sovraformazione, il livello superiore assume in sé le categorie del livello inferiore,
che utilizza come propria materia e che sovraforma, o plasma, tramite la propria struttura; in tal
caso, il livello sovraordinato dipende dal livello subordinato in modo contenutistico o strutturale.
Il rapporto di sovracostruzione è definibile in termini di dipendenza esistenziale e di autonomia
categoriale del livello superiore (livello portato) rispetto al livello inferiore (livello portatore): il
livello superiore utilizza il livello inferiore non come materia, ma come base esterna di supporto
esistenziale della quale non eredita le categorie; il livello sovraordinato, quindi, risulta indipendente,
quanto a contenuto o struttura, dal livello subordinato, dipendendone solamente per la propria
esistenza.
Un rapporto di sovraformazione sussiste, ad esempio, tra i sotto-livelli, o piani, dello strato
materiale: ciascun livello richiede il livello inferiore come condizione della propria esistenza,
ereditandone al contempo le categorie: gli organismi, ad esempio, sono anche, ma non solo,
formazioni materiali, inevitabilmente soggette alle leggi della natura fisico-chimica. Livello mentale
e livello materiale sono invece connessi da un rapporto di sovracostruzione, per cui i fenomeni
psichici richiedono necessariamente un portatore organico-materiale del quale, però, non assumono
le categorie basilari: materialità e spazialità, dimensioni costitutive della natura fisica, non
appartengono agli eventi mentali, tipicamente immateriali e aspaziali. Analogamente, lo strato
sociale è una sovracostruzione dello strato psicologico: i fenomeni storico-culturali si danno solo
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Per una trattazione più approfondita del pensiero ontologico hartmanniano, cui in questa sede si accennerà solo in modo
sommario, si rimanda al capitolo 2.
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come prodotti dell’attività di singoli individui esistenti, ma si distinguono per il loro carattere
sovraindividuale e per la loro trasmissibilità, in forma di tradizione, da una generazione all’altra.
È fondamentale notare come, in un’ottica di questo tipo, dipendenza e autonomia non siano
elementi contraddittori e inconciliabili, ma concorrano entrambi a caratterizzare la struttura
stratificata e interconnessa del mondo reale. Il tema merita di essere inquadrato rapidamente in
questa sede, illustrando in modo sommario le leggi categoriali dell’autonomia e della dipendenza
formulate da Hartmann.
Per le leggi di autonomia:
- Vi sono categorie del livello inferiore che ritornano nel livello superiore; non si dà mai il caso contrario
(il ritorno di categorie superiori in livelli inferiori). Il ritorno categoriale è limitato: non riguarda tutte
le categorie inferiori, né si estende a tutti i livelli superiori.
- Le categorie che ritornano mutano, essendo sovraformate dal carattere proprio del livello superiore.
- Il carattere proprio del livello superiore non è prodotto dal ritorno delle categorie inferiori, ma risulta
dall’emergere di nuove categorie, indipendenti dai livelli inferiori.
- La serie ascendente dei livelli non è continua, ma si interrompe in corrispondenza dell’emergere di
novità categoriali; i livelli così prodotti risultano separati da uno iato categoriale – sono cioè definiti e
distinti da gruppi di categorie differenti.
Per le leggi di dipendenza:
- La direzione della dipendenza categoriale è univoca e irreversibile: le categorie superiori dipendono
dalle categorie inferiori, e mai viceversa.
- Le categorie inferiori sono il fondamento del livello superiore, ma rispetto a questo sono indifferenti.
- Nel rapporto di sovraformazione, le categorie inferiori fungono da materia del livello superiore, che le
sovraforma.
- Le nuove categorie del livello superiore sono autonome rispetto alle categorie inferiori.
Le leggi menzionate descrivono le relazioni sussistenti tra le categorie dei diversi livelli di realtà,
configurando così la specifica forma di connessione del mondo: si tratta di un ordinamento
gerarchico che riflette una realtà creativa, in grado di produrre autentiche novità qualitative, e
contemporaneamente coesa e unitaria – non in virtù di un’identità di contenuto o di principi, ma per
la presenza di rapporti che connettono le sue multiformi manifestazioni. Eterogeneità ed omogeneità
possono allora coesistere, nel contesto di una concezione pluralistica e non riduzionistica del mondo,
aperta alla varietà e alla complessità del reale.
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