impone per grandiosità e splendore, di là dai suoi significati religiosi. Quasi nessuno di fronte agli affreschi di
Luca Signorelli, alle grandiose figurazioni dell’abside e della cappella del reliquiario, alle sculture del Maitani e
alle decorazioni dell’Orcagna, si pone in preghiera, perché il valore artistico è assolutamente soverchiante.
Invece il visitatore che arriva a Bolsena, è condotto dallo steso tracciato stradale, senza alternative, al
santuario dei SS. Giorgio e Cristina, complessa struttura religiosa che comprende, uno dietro l’altro, le
catacombe di S. Cristina, il Cimitero Longobardo di S. Michele, la Cappella del Miracolo, la Cappella delle
Reliquie, la grande basilica, diversi oratorii e, qualora giungesse a Bolsena di luglio, le sacre rappresentazioni
che occupano per due giorni l’intero borgo.
Luoghi importanti come l’area archeologica romana, il castello medioevale con il suo ricco museo o le mura
etrusche sembrano situati in una sorta di periferia concettuale.
Le decorazioni artistiche dei monumenti religiosi sono assai discrete, eseguite da artisti devoti, pellegrini di
passaggio per la Via Francigena che vollero lasciare un segno della loro fede. Tutto ha un sapore mistico,
come se il luogo fosse per sua vocazione destinato al culto.
I restauri del santuario, effettuati alla fine del ’800, hanno liberato l’interno dalle decorazioni seicentesche,
rendendolo ancora più spoglio.
Il pellegrino o il turista dopo la visita agli edifici religiosi avrà modo di apprezzare Bolsena anche per le sue
bellezze naturali. E’ soprattutto attraente lo splendido lago vulcanico, le cui acque riflettono le colline
verdissime che lo circondano e le isole che emergono dall’immenso bacino lacustre.
Eppure la presenza del lago non sembra avere influenzato gli artisti che hanno operato a Bolsena, o quelli che
altrove l’ hanno evocata iconograficamente, intenti a rappresentare solo il miracolo eucaristico, i santi e i
martiri, le torture inflitte loro dagli aguzzini, trascurando la dolcezza del luogo e la magia visiva di quello
specchio d’acqua, la vera origine - secondo molti studiosi- del misticismo del luogo.
Per esempio, nel celebre affresco di Raffaello delle Stanze Vaticane, si vedono chiaramente l’altare del
miracolo, il papa Urbano IV nelle sembianze di Giulio II, il sacerdote che eleva l’ostia e una splendida sequela
di dignitari e di devoti. Del lago non vi è traccia.
Solo in qualche immagine particolare di S. Cristina si intravede il lago, lontano, sullo sfondo, i cui contorni
servono solo ad individuare la località; ma naturalmente è parte integrante nell’annegamento, l’ultima tortura
subita dalla santa. Simile è la situazione iconografica dell’altro patrono: S. Giorgio, che in alcune
rappresentazioni ispirate al suo martirologio è ritratto durante la lotta contro il drago, con lo sfondo di uno
specchio d’acqua che però porta il nome di Silene.
Nessun artista in conclusione, ha mai rappresentato S. Giorgio con lo sfondo della cittadina laziale.
A questo punto ci sorgono e spontanee alcune domande: quale rapporto può legare santi così diversi -
Cristina è una martire bambina seviziata dal padre e Giorgio è un santo guerriero che uccide un drago – tanto
da farli venerare entrambi come patroni; se, per caso, abbiano qualcosa a vedere con il celebre miracolo e se
abbiano qualche legame con il lago.
E’ da notare che i due santi sono stati ritratti insieme solo nell’ambito territoriale di Bolsena: ad esempio nella
lunetta in maiolica del portale della Basilica eseguito da Benedetto Buglioni (seconda metà del ‘400), nella
pala dell’altare maggiore della stessa basilica, opera del senese Sano di Pietro, e nella predella di Benvenuto
di Giovanni che li rappresenta anche nel momento del martirio.
I due santi compaiono insieme anche in alcuni dipinti nei palazzi di Bolsena e in due quadri seicenteschi situati
nella Cappella del Miracolo. Non vi sono nella cittadina laziale immagini del solo S. Giorgio, con l’unica
eccezione di una statua policroma del ‘700 posta sull’altare maggiore, molto probabilmente rappresentante S.
Michele arcangelo, anche esso sempre ritratto in sembianze di guerriero catafratto. Bolsena sembra aver
messo in secondo piano il santo combattente, preferendogli senz’altro Cristina, giovane martire
dell’intolleranza pagana, che ha ispirato molto di più del santo guerriero.
Cristina, come esamineremo in seguito, a Bolsena è visibile in un rilievo lapideo dell’XI secolo, posto sull’arco
che immette nella Cappella del Miracolo, quindi in una splendida scultura lignea senese del XV secolo situata
in fondo ala navata destra ed in una serie di affreschi nelle cappelle laterali della Basilica, ove è ritratta
insieme alla Vergine e ad altre sante. E’ rappresentata ancora in un bassorilievo in pietra del XVI secolo nella
cappella del Rosario e in una terracotta di Benedetto Buglioli, situata all’ingresso delle catacombe della
Basilica vulsiniese.
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La predominanza figurativa di S. Cristina su S. Giorgio attesta forse la maggiore venerazione dei vulsiniesi
verso una santa originaria della cittadina, a differenza del santo guerriero ritenuto, a torto o a ragione,
proveniente da altri paesi.
Infine, per cercare di rispondere ad un’altra domanda e comprendere che cosa possa legare tra di loro S.
Cristina e S. Giorgio ed entrambi al miracolo eucaristico, bisogna ripercorrere la storia di Bolsena.
Secondo gli storici classici
i[1]
la città, importantissimo centro etrusco, si chiamava Volsinii (o Vulsinii)
ii[2]
e fu
costruita sulle rive del lago dopo la distruzione dell’abitato originale chiamato dagli archeologi Vulsinii Veteres
(il plurale nei nomi di città è ricorrente nella toponomastica antica).
iii[3]
Il console romano Marco Fulvio Flacco nel III secolo a.C. distrusse la Volsinii antica, capitale religiosa degli
etruschi, sebbene le guerre etrusco – romane
iv[4]
fossero finite da qualche tempo. Il fatto avvenne non per
cause militari o per egemonia commerciale, ma per motivi politici.
A Vulsinii antica nel III secolo a.C., erano avvenute cose che, così come narrano gli scrittori antichi, ci lasciano
sorpresi.
v[5]
Lo storico bizantino Giuseppe Zonara, che riprende le cronache di Dione Cassio, narra che nella
città, “uno dei centri etruschi più antichi ed importanti”, il ceto popolare aveva preso il sopravvento su quello
aristocratico, accusato di debolezza verso i dominatori romani e si era impossessato delle ricche terre
dell’Etruria centrale.
Questa rivoluzione poteva essere un pericoloso precedente per gli altri territori controllati dai romani, senza
dimenticare che molti patrizi etruschi erano imparentati con i romani e mal sopportarono la rivolta.
Il Senato aveva inviato allora il console M.F. Flacco con un potente esercito che pose sotto assedio Vulsinii
Veteres fino a costringere gli abitanti alla resa. I romani saccheggiarono il centro etrusco; portarono a Roma
ben 2000 statue d’oro e di bronzo,
vi[6]
di cui una parte fu esposta in un “donario”, fatto erigere da Flacco nel
Velabro, a poca distanza dal Campidoglio Lo storico greco Metrodoro di Scepsi, citato da Plinio il Vecchio, cui
era noto il fatto, accusò i romani di aver effettuato il saccheggio solo per la cupidigia delle ricche offerte
conservate nel tempio.
vii[7]
Tale notizia ebbe conferma nel ‘900 quando, durante una campagna di scavi, nell’area nei pressi della chiesa
di S. Omobono, tra il Palatino e il Campidoglio, è stata ritrovata, studiata e pubblicata un’iscrizione dedicatoria
dall’archeologo Mario Torelli.
Distrutta la città, il console romano fece trasferire gli abitanti nel sito attuale, vicino al lago, in una zona più
accessibile in caso di rivolta che fu chiamata Vulsinii Novi. Il console inoltre, aveva spostato a Roma, per
mezzo dell’istituto della “evocatio” il culto del dio Volturno, venerato a Vulsinii. Cioè veniva trasferito il culto del
dio con tutti i suoi ex voto, dalla sede precedente ad una nuova che ne assorbiva i poteri e ne garantiva il
culto.
viii[8]
. Del tempio dedicato a Volturno a Roma, però non si è trovata traccia. Si sa che nel periodo cristiano l’edificio
del donario venne sostituito dalla chiesa di S. Omobono, e probabilmente al posto del tempio del dio etrusco
sull’Aventino venne eretta un’altra chiesa.
ix[9]
La rivoluzione sociale di Vulsinii era stata probabilmente appoggiata da una parte della stessa classe patrizia
per contrastare lo strapotere degli amministratori romani e alcuni archeologi, per esempio W. Von Vacano,
sono convinti che la presenza dei plebei nella dirigenza di Volsinii, che era la capitale religiosa dell’Etruria, li
avrebbe successivamente autorizzati a rivestire le cariche sacerdotali e, infine, a gestire anche le attività
militari.
E’ risaputo che le leggi etrusche consentivano il passaggio ereditario attraverso le donne e se, come dice
Plinio, c’erano stati matrimoni tra esponenti della nobiltà e del popolo, quest’ultimo avrebbe potuto vantare
diritti anche sui latifondi, creando un pericoloso precedente.
La fondazione di una nuova città nel sito sulla riva del Lago fu voluto dai romani per consentire una radicale
rifondazione e una rinnovata gerarchizzazione sociale, naturalmente sotto il controllo dei vincitori.
Secondo molte testimonianze, a seguito di ciò i patrizi etruschi cedettero ai romani i terreni siti presso la
vecchia Vulsinii e si trasferirono nell’Urbe per sfuggire ai pericoli insiti nel sito della nuova città, impervio,
insalubre per le di paludi alimentate dalle acque del lago e infine soggetto a spaventosi fenomeni vulcanici –
come abbiamo testimonianza dagli scrittori romani.
x[10]
Se per gli archeologi è evidente che Vulsinii Novi corrisponde all’attuale Bolsena, qualche problema resta per
l’identificazione del sito abbandonato con la forza: la Vulsinii Veteres.
3