stavolta senza chiedere o dire nulla. Domanda: perché Luigi è riuscito laddove Luca e
Osvaldo hanno fallito?» (Attili, 2005, p. 28-29).
Questo esempio evidenzia come un aspetto fondamentale della crescita di ogni essere
umano è la competenza sociale, che può essere definita come efficacia nelle interazioni,
poiché comprende l’insieme delle capacità che permettono di interagire, comunicare e
relazionarsi con le altre persone in modo adeguato e soddisfacente, mettendo in atto le abilità
socio-relazionali possedute e/o necessarie in una situazione interattiva, in modo funzionale e
socialmente adeguato. La competenza sociale opera a diversi livelli di complessità, quindi, da
un punto di vista empirico, è opportuno osservarla laddove viene messa in atto, cioè nelle
relazioni interpersonali.
Un osservatorio privilegiato delle competenze sociali possedute dai bambini è
rappresentato, dunque, dalle relazioni tra i pari che permettono al bambino di mettere alla
prova le proprie abilità sociali, relativamente libero dai vincoli imposti dall’adulto. La
competenza sociale, infatti, insieme all’interazione sociale realizzata a livelli differenti è
responsabile dell’attivazione delle relazioni tra pari. L’importanza delle relazioni con i
coetanei aumenta nel corso dello sviluppo e già a due-tre anni i bambini iniziano ad interagire
sempre di più con i pari. L’importanza dell’adulto resta comunque fondamentale, anche se
diminuisce nel corso del tempo, tanto che nell’adolescenza, i coetanei diventano una fonte di
sostegno affettivo e di vicinanza di pari importanza.
Per studiare il contributo che le interazioni tra pari forniscono allo sviluppo delle
competenze sociali, non bisogna soffermarsi solo sul singolo individuo ma bisogna analizzare
il livello di interazione diadico, dal momento che l’interazione, come la maggior parte dei
fenomeni sociali è per definizione interpersonale. Poiché in letteratura la maggior parte degli
studi, italiani e internazionali, sull’argomento utilizzano un livello di analisi individuale,
abbiamo condotto una ricerca per poter valutare lo sviluppo della competenza sociale
osservando l’interazione tra pari in un contesto di gioco diadico.
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CAPITOLO 1
LA VALUTAZIONE DELLA COMPETENZA SOCIALE
1.1 Introduzione
La psicologia dello sviluppo, a partire dagli anni ’70, rivoluzionando la precedente
prospettiva, ha iniziato a considerare il bambino come essere un competente. Una ricaduta
importante di questo punto di vista è stata quella di riconoscere e studiare la competenza
sociale infantile, che è un aspetto fondamentale della crescita di ogni essere umano.
Nonostante il rilevante numero di ricerche tale concetto si presenta, per molti versi, come uno
tra quelli meno definiti ed epistemologicamente più elusivi della psicologia dello sviluppo.
Intuitivamente si può pensare che acquisire competenza sociale significhi divenire
capaci di rapportarsi agli altri. Ma la competenza sociale va anche al di là di questa
definizione. Secondo Damon (1985) lo sviluppo sociale assolve al tempo stesso due funzioni:
1) quella di socializzazione, che può essere considerata il versante integrativo del
processo, poiché assicura all’individuo la possibilità di partecipare efficacemente alla vita
sociale;
2) quella di individuazione, che costituisce il versante della differenziazione e
garantisce la formazione dell’identità personale dell’individuo, ciò che lo distingue dagli altri
e gli dà il senso di essere attore principale del proprio destino.
Damon osserva come entrambe queste funzioni siano essenziali per un buon
adattamento ed equilibrio personale. Se si accetta una visione come quella proposta da questo
autore, non si può non considerare gli effetti che lo sviluppo sociale, ed in particolare lo
sviluppo del legame amicale, hanno sullo sviluppo dell’individuo lungo l’arco della vita.
Ovviamente, il solo fatto di avere degli amici non garantisce in assoluto un buon adattamento
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sociale. Tuttavia, nonostante le cautele che una tematica così complessa impone, il legame tra
pari può assolvere nel corso della vita una serie di funzioni fondamentali, non sostituibili con
quelle derivanti da altri tipi di rapporti.
Rose-Krasnor (1997), invece, nel tentativo di mettere ordine nella letteratura sulla
competenza sociale, ha individuato quattro approcci ai quali ricondurre le numerose ricerche
condotte su questo tema.
Un primo approccio identifica la competenza con le abilità sociali, attuali o attese, dei
soggetti (Cavell, 1990; Mize e Ladd, 1990; Anderson e Messick, 1974). All’interno di questo
approccio l’attenzione è stata volta ad identificare le abilità ritenute necessarie per individuare
i bambini socialmente competenti, al fine di formulare misure o interventi che servissero a
riabilitare individui «socialmente sgrammaticati» (Caprara, 1992).
Il secondo approccio assimila la competenza sociale allo status dei singoli bambini
all’interno del gruppo dei pari (Furman, 1984; Gresham, 1986; Parker et al., 1995). Questa
posizione rileva l’associazione tra lo status di rifiutato nell’infanzia e l’emergere di una
situazione di disadattamento nelle età successive. Un problema centrale riguarda la direzione
della relazione causale ipotizzata tra competenza sociale e status sociometrico: è lo status che
determina la qualità delle competenze sociali o, viceversa, il possesso o la mancanza di tali
competenze condizionano in modo decisivo le sorti del bambino nel gruppo?
Il terzo approccio identifica la competenza sociale con l’abilità di formare relazioni
positive, sia verticali che orizzontali: un bambino sicuro, capace di esprimere i propri bisogni
e di influenzare il comportamento degli adulti, è considerato socialmente competente ed avrà
pertanto maggiori probabilità di instaurare relazioni significative anche con i propri
compagni. Anche in questo caso ci si può porre l’interrogativo: è la qualità delle relazioni che
assicura lo sviluppo della competenza o il contrario?
Infine, l’approccio funzionale considera la competenza sociale in rapporto all’efficacia
e ai risultati dell’azione individuale e ai processi che li determinano. Uno dei modelli più noti
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è quello sviluppato da Dodge (1985), il quale spiega la competenza sociale “in atto”
esaminando le modalità di risposta alle situazioni sociali. Egli ritiene che le informazioni
sociali vengano processate e usate in modo simile a quanto avviene per le informazioni non
sociali. I bambini socialmente competenti utilizzano diverse abilità sociali ad ogni passo del
processo di lettura delle situazioni e sono capaci di integrare i vari passaggi in una sequenza
armoniosa ed efficace. I bambini socialmente incompetenti invece, essendo meno abili
nell’interpretare i segnali, rispondono in modo non adeguato, favorendo l’instaurarsi di un
circolo vizioso che porta alla loro esclusione (Pepler e Rubin, 1991).
Rose-Krasnor si propone di integrare i quattro diversi approcci attraverso un modello a
più facce e a più livelli, definito “prismatico”. Una relazione gerarchica integra le diverse
componenti e i processi transazionali fra gli individui: al livello superiore, la competenza
sociale è intesa come efficacia nell’interazione sociale, al livello intermedio è letta attraverso
una serie di indici di natura sociale che comprendono la qualità delle interazioni e delle
relazioni, mentre al livello inferiore è identificata nelle motivazioni e nelle abilità individuali
(sociali, emotive, cognitive).
La metafora del prisma sta ad indicare il fatto che la competenza sociale opera a
diversi livelli di complessità, in interazione tra loro, e che da ciò discende, sul piano empirico,
la necessità di osservare la competenza laddove è messa in atto, cioè nelle relazioni
interpersonali.
1.2 Come nasce la competenza sociale
I bambini nascono in una realtà sociale complessa: fin dall’infanzia fanno attivamente
parte di un mondo costituito da altre persone – adulti, bambini, persone familiari ed estranei.
Da piccolissimi imparano rapidamente tutto ciò che riguarda gli stimoli che interagiscono con
il proprio comportamento. All’età di due mesi distinguono già una persona che intende
comunicare con loro, da una che parla con qualcun altro. All’età di sette-otto mesi sono
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sintonizzati con le diverse espressioni emozionali degli adulti e cominciano a condividere con
gli altri una struttura comunicativa fatta di gesti e segnali: agitano la mano per salutare, usano
gesti condivisi dalla famiglia per fare richieste. Come nota Bruner (1983) “il principale
strumento del bambino per raggiungere i propri obiettivi è costituito da un’altra persona”. I
bambini piccoli, quindi, “sono altamente sociali, sono creature socievoli” (Dunn, 1988).
Lo sviluppo della comprensione e della comunicazione sociale implica una vasta
gamma di abilità che vanno oltre l’acquisizione della sintassi e della semantica, poiché tra le
persone non avvengono solo scambi verbali, ma esse comunicano i propri stati d’animo, i
propri desideri, la disapprovazione, l’orgoglio o la vergogna. Per diventare una persona il
bambino deve imparare a riconoscere e condividere gli stati emozionali, a capire i rapporti tra
gli altri, comprendere le regole e le proibizioni del suo mondo.
1.2.1 La prima infanzia
Il neonato dispone di caratteristiche che lo predispongono alla costruzione di rapporti
con gli altri e, già nel corso del primo anno di vita, si manifestano e si affinano ulteriori
capacità in tal senso. Il pianto, il sorriso endogeno e successivamente esogeno, le varie
vocalizzazioni, sono tutti segnali che attivano risposte appropriate da parte di chi si prende
cura di lui. Inoltre, il bambino si orienta attivamente verso stimoli di origine sociale, come
certe caratteristiche della voce o del volto umano, e, verso il quarto o quinto mese, mostra di
distinguere la madre da altri oggetti sociali e la voce del padre dalle voci di altri uomini. Sulla
base di queste disposizioni e delle acquisizioni che ne derivano, nel corso del primo anno di
vita il bambino diviene capace di partecipare in modo sempre più appropriato ad interazioni
diadiche, specialmente con la madre. Grazie allo stabilirsi di queste relazioni con gli adulti di
riferimento, il bambino può affrontare meglio anche la diversità dell'interazione con altre
persone.
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Tuttavia, fino al sesto mese, il bambino si limita a mostrare interesse nei confronti di
un altro bambino, ma non si comporta nei suoi confronti in maniera molto diversa da quanto
avviene di fronte ad un oggetto inanimato. Tra i 6 e i 12 mesi le azioni che i piccoli rivolgono
all'altro denotano già un'aspettativa sociale, anche se manca una completa coordinazione
reciproca e molte delle "aperture" sociali non trovano un appropriato riscontro.
Nel secondo anno di vita, la competenza mostrata dai bambini negli incontri con i pari
cresce rapidamente. Appare l'imitazione speculare, la capacità di scambiarsi ruoli e rispettare i
turni. Questo, però, non significa che ogni scambio interattivo si trasformi in una vera e
propria relazione interpersonale. Perché si possa parlare in questi termini, secondo Howes, è
necessaria la presenza di tre caratteristiche: la preferenza reciproca, la capacità di interagire
appropriatamente e il piacere reciproco (Howes, 1983). Sempre secondo questo autore, i
piccoli mantengono un riferimento più stabile al proprio amico perché ne traggono
rassicurazione emotiva in assenza delle figure di attaccamento, mentre a due o tre anni diventa
più importante una sorta di esplorazione del mondo sociale, da cui deriva il maggior numero
di relazioni intraprese e la concomitante minore stabilità.
1.2.2 L’età prescolare
Nel periodo dai tre ai sei anni le abilità sociali dei bambini si arricchiscono, grazie
soprattutto alle maggiori occasioni di incontro con i coetanei e con adulti al di fuori della
famiglia. Il bambino entra a far parte in modo stabile di un gruppo di coetanei, con i quali ha
l'opportunità di compiere nuove esperienze, ma questa convivenza gli pone nuove sfide:
capire il punto di vista dell'altro e adattarvisi per non interrompere la relazione, trovare il
proprio posto nel gruppo, collaborare con gli altri e frenare gli impulsi aggressivi, ma anche
difendersi quando occorre Un aspetto importante dello sviluppo sociale che inizia in questo
periodo è anche l'acquisizione di regole morali e la distinzione tra queste e le convenzioni
sociali. Gli scambi sociali dell'età prescolare concorrono allo sviluppo di una basilare abilità
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sociale, quella di role-taking, ossia quella di assumere punti di vista diversi dal proprio. In
parallelo, si sviluppa anche la capacità del bambino di percepire, comprendere e valutare gli
altri e, in particolare, le cause dei loro comportamenti. Tutte queste nuove competenze
giocano un ruolo fondamentale nella risoluzione dei conflitti, soprattutto con gli amici
(D’Aniello e Morra Pellegrino, 1992). A quest’età, inoltre, si attua la comprensione della
specificità delle regole che governano i rapporti con i coetanei, basati sulla reciprocità
simmetrica, rispetto a quelle in vigore con gli adulti, basate sulla reciprocità complementare
(Youniss, 1980).
1.2.3 Il confronto con la madre
Nel secondo e terzo anno di vita del bambino si verifica la crescita del comportamento
ostinato, disubbidiente e oppositivo soprattutto nei confronti delle madri. L’emozione
sperimentata dal bambino in queste situazioni influisce su ciò che egli impara nel corso di
queste interazioni. Da questi conflitti impari tra i bambini molto piccoli e le loro madri
emerge la crescente capacità di comprensione dei bambini: comprensione dei sentimenti della
madre, delle connessioni tra la propria azione e i sentimenti materni.
Madri e figli si confrontano in situazioni originate da una vasta gamma di motivi:
questi possono includere se sia o meno accettabile portare giocattoli in bagno, distruggere le
costruzioni del fratello, richiedere un altro pezzo di cioccolato, essere coccolati. A variare
enormemente non è soltanto la natura del motivo del litigio – cercare di far sì che un bambino
si comporti bene o evitare che faccia male a qualcuno – ma varia enormemente anche
l’intensità delle emozioni espresse: i protagonisti possono manifestare una collera furibonda
come anche una relativa calma, oppure ci può essere divertimento da una parte e irritazione e
rabbia dall’altra.
A seconda del tema del conflitto (comportamento incontrollato, routine familiari,
igiene, “diritto”) cambia il comportamento del bambino e le sue manifestazioni emozionali. I
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bambini mettono in gioco il loro comportamento più maturo riguardo i temi cui danno più
importanza. Al contrario, quando discutono su temi che suscitano la loro ilarità è molto meno
probabile che producano delle giustificazioni al loro comportamento. Nelle discussioni
emotivamente neutre tra madre e bambino, invece, i bambini non sempre ragionano con calma
e forniscono giustificazioni. I bambini mostrano spesso il comportamento più avanzato
quando le loro mete vengono frustrate ed è minacciato il loro interesse personale.
I bambini usano la loro intelligenza per le questioni che li conivolgono emotivamente.
L’esperienza di tensione e collera vissuta durante questi conflitti probabilmente contribuisce
al loro apprendimento, nel senso che questa esperienza accresce la loro vigilanza e la loro
capacità di attenzione. Un’influenza molto importante è esercitata dal comportamento delle
madri. Se utilizzano tecniche di ragionamento quando discutono di alcuni temi e non di altri, è
probabile che i bambini apprendano da loro strategie simili. I bambini di tre anni, inoltre,
usano il ragionamento soltanto quando credono che sia una strategia vantaggiosa, per esempio
non lo usano in discussioni relative all’aggressività o al comportamento chiassoso perché
sanno che il ragionamento non li tirerà fuori da questo guaio.
I temi di discussione tra bambini molto piccoli e madri, quindi, hanno serie
implicazioni per lo sviluppo della comprensione sociale e morale. I bambini, già a due anni,
sono profondamente interessati alle regole sociali e alla loro trasgressione e manifestano
molta comprensione quando si confrontano con le madri a proposito di queste regole;
l’aumento delle loro capacità va di pari passo con il cambiamento delle emozioni che
esprimono; ci sono marcate differenze di comportamento in rapporto ai diversi tipi di
infrazioni culturali; crescono in un universo di regole sociali che non sono solo circoscritte ad
una particolare famiglia, ma fanno parte di un più ampio contesto culturale (Dunn, 1988).
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1.2.4 Il confronto con i fratelli
La relazione fraterna, nelle sue caratteristiche costitutive di conflittualità e affettività,
favorisce nei bambini lo sviluppo delle competenze sociali, come il perspective-taking e la
capacità di considerare pensieri e sentimenti altrui. I bambini sembrano, cioè, utilizzare gli
scambi con il proprio fratello o sorella come una specie di ambiente di apprendimento in cui
poter sviluppare, mettere in pratica e affinare strategie di interazione sociale che vengono poi
utilizzate ed estese ad altri ambienti relazionali extra-familiari. Tali abilità sono considerate da
una parte consistente della letteratura come effetti intrinseci alla relazione fraterna,
direttamente dipendenti dalla sua stessa esistenza; diversamente la ricerca recente ha
sottolineato come gli effetti della relazione fraterna in termini di abilità sociali siano funzione
della sua qualità e strettamente legati alle specifiche configurazioni che essa assume.
Gli effetti della gelosia tra fratelli perdurano per tutta la vita nella personalità
dell’individuo. Sebbene le azioni di fratelli o sorelle gelosi possano apparire sconvolgenti,
sono estremamente rivelatrici. Osservare da vicino questi scambi rappresenta un punto di vista
ottimale per chiarire la natura della crescente capacità di comprensione del bambino nei
confronti dei sentimenti e dei bisogni di un’altra persona e delle regole morali e sociali vigenti
nella famiglia (Dunn, 1988).
Le liti tra fratelli sono diverse da quelle tra madre e bambino perché gli interessi degli
antagonisti sono più simili. Si riscontra, in questi casi, una comunanza di interessi per cui i
due bambini entreranno in competizione per gli stessi beni; ogni bambino sa cosa piace, o non
piace, all’altro in particolar modo se non c’è molta differenza d’età; i bambini piccoli hanno
meno difficoltà a capire come infastidire i loro fratelli e a confortare e prevedere le loro
emozioni e reazioni rispetto a quelle dei genitori. Questo implica che le liti con i fratelli sono
caricate emotivamente più spesso di quanto accade per le liti con la madre.
Il comportamento dei bambini durante i conflitti con i fratelli non denota soltanto la
loro capacità di comprendere ciò che li può infastidire, ma anche una sempre maggiore
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