VIII
ripercussioni sulla qualità delle acque, sulle risorse biologiche e sulle attività umane collegate,
ed infine sulla salute umana.
La presente ricerca è stata condotta considerando alcune importanti tematiche collegate
all'ambiente marino presentando e raccogliendo i dati ottenuti da studi effettuati su differenti
specie animali marine di interesse commerciale (Chamelea gallina, Mytilus edulis, Ostrea
edulis, Crassostrea gigas, Salmo salar, Gadus morhua). Tali studi si sono proposti di valutare
gli effetti della variazione di importanti parametri fisici (temperatura) e chimici (xenobiotici
come farmaci, idrocarburi e pesticidi) sulle cellule responsabili della risposta immunitaria
(emociti) e su alcuni importanti sistemi enzimatici coinvolti nei processi di biotrasformazione di
xenobiotici (complesso del citocromo P450) e nei processi di difesa antiossidante (Superossido
Dismutasi, Catalasi, Heat Shock Protein) ad essi collegati, da un punto di vista biochimico e
biomolecolare. Alla base della risposta biologica di un organismo vivente, l'ossigeno riveste un
ruolo di primaria importanza e il suo consumo nei normali processi fisiologici di respirazione
cellulare e di biotrasformazione di sostanze “estranee” porta alla formazione di specie reattive
dell’ossigeno (ROS) potenzialmente tossiche e responsabili di danni a diverse macromolecole
biologiche (con conseguente insorgenza o peggioramento di numerose patologie). Tali processi
possono portare ad una alterazione qualitativa dei prodotti derivati, ma anche ad uno stato
generale di sofferenza che nei casi più gravi può provocare la morte dell’organismo stesso, con
importanti ripercussioni in campo economico circa il rendimento degli allevamenti, della pesca
e dell’acquacoltura.
Nel corso di tale lavoro si è ritenuto interessante applicare anche metodologie alternative
attualmente in uso in campo medico (citofluorimetria) e in studi di proteomica (elettroforesi
bidimensionale e spettrometria di massa) allo scopo di individuare nuovi biomarker, da
affiancare ai metodi tradizionali per il controllo della qualità degli alimenti di origine animale.
I
STATO DELLE CONOSCENZE
Alimentazione e Inquinamento
3
CAPITOLO 1
Alimentazione ed Inquinamento
Nella sopravvivenza degli organismi viventi e nel caso specifico dell’uomo, l’alimentazione
riveste un ruolo di primaria importanza. Gli alimenti di origine animale forniscono diversi
principi nutrizionali fra cui soprattutto una frazione proteica contenente tutti gli aminoacidi
essenziali e una frazione lipidica che comprende diversi acidi grassi, saturi e polinsaturi (di cui
alcuni considerati essenziali) (Colavita, 2008).
Tuttavia i prodotti alimentari di origine animale possono presentare problematiche igienico-
sanitarie di varia natura che condizionano la sicurezza legata al loro consumo. Oltre alla
possibile presenza di agenti patogeni virali, microbici o parassitari, un altro importante
problema deriva da contaminazioni di varia natura (biologica, chimica, fisica) che si traduce con
l’ingresso nella filiera di produzione di un fattore estraneo normalmente non compreso nella
composizione dell’alimento e la cui assunzione può rappresentare un pericolo (fig. 1.1). Le
contaminazioni legate agli alimenti di origine animale sono connesse alla capacità che gli
animali hanno di elaborare, concentrare e/o trasmettere principi terapeutici assunti, sostanze
somministrate allo scopo di incrementare la produzione e contaminanti di varia natura. Il
controllo dei contaminanti e della loro trasformazione rappresenta un punto fondamentale per
garantire la sicurezza alimentare (Colavita, 2008).
La globalizzazione, l’apertura dei mercati internazionali, le crescenti domande di consumo e le
evidenti differenze tra qualità e prezzo in differenti mercati favoriscono l’instaurarsi di nuove
strategie finalizzate all’aumento del profitto con frequenti episodi di falsificazione della
documentazione che deve accompagnare i generi alimentari (Martinez e Friis, 2004). Le
conseguenze possono essere veramente serie e nei casi estremi letali. Una delle possibili
soluzioni per contrastare tale fenomeno è stata applicata recentemente nell'Unione Europea, in
campo ittico, dal momento che nome delle specie di pesce, provenienza geografica e metodo di
produzione sono obbligatori nell’etichettatura di tali prodotti dal gennaio 2002. La tracciabilità
rappresenta uno strumento destinato ad essere esteso a tutti i prodotti alimentari e spesso
dipende da come il prodotto viene trattato (Quinterio et al., 1998). A questo proposito, le analisi
relative al contenuto proteico di un prodotto di origine animale possono risultare fondamentali
per garantire l’assenza di tessuti a rischio (dove agenti tossici possono accumularsi come ad
esempio nel fegato) nell’alimento destinato all’alimentazione umana (Martinez e Friis, 2004). In
tal senso la sicurezza in campo alimentare riveste un ruolo centrale.
Capitolo 1
4
1.1. Sicurezza degli alimenti
La legislazione alimentare si sta attualmente strutturando intorno ad un sistema unitario di
principi e requisiti generali che hanno trovato un primo riconoscimento sistematico nel
regolamento n. 178/02/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio volto ad istituire, tra l’altro,
l’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), nonché a fissare le procedure nel
campo della sicurezza alimentare. In particolare l’art. 6 della legge n. 229 del 29 luglio 2003,
delega il Governo ad adottare, entro tre anni dalla data di entrata in vigore della legge, un
decreto legislativo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di prodotti alimentari nel
rispetto di prefissati principi e criteri direttivi. Il Governo è quindi posto di fronte all’importante
compito di riorganizzare la legislazione del settore alimentare, nel generale rispetto del
principio della libera circolazione dei prodotti, in un quadro giuridico unitario e coerente con il
corpus normativo comunitario incentrato sulla massima tutela possibile, sulla base delle attuali
conoscenze scientifiche, di principi, interessi e valori fondamentali quali, ad esempio, quelli
relativi alla protezione della salute, dell’ambiente e del consumatore (www.eur-
lex.europa.eu/LexUriServ).
In seguito ad una serie di crisi legate alla sicurezza degli alimenti negli anni ‘90 (ad esempio i
casi BSE e diossina), l’Unione Europea ha istituito l’organo scientifico EFSA succitato
(European Food Safety Authority). Compito dell’EFSA è fornire dei consigli scientifici sulle
questioni di sicurezza degli alimenti, lungo tutta la catena alimentare. Con l’aiuto di esperti e
del comitato scientifico, l’EFSA fornisce una valutazione dei rischi su tutte le questioni legate
alla sicurezza delle derrate alimentari e degli alimenti per gli animali, compresa la salute ed il
Fig. 1.1. Schema delle cause che provocano rischi nell'approvvigionamento degli
alimenti (www.isoful.net)
Alimentazione e Inquinamento
5
benessere degli animali e la protezione dei vegetali. Allo stesso tempo vengono inoltre forniti
importanti consigli per la nutrizione nei riguardi della legislazione comunitaria (www.eur-
lex.europa.eu/LexUriServ).
Il Libro Bianco
Gli obiettivi che si prefigge l’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare sono delineati nel
Libro Bianco sulla sicurezza alimentare, tra questi lo scopo principale è: “contribuire al
raggiungimento di un elevato livello di protezione della salute dei consumatori nel campo della
sicurezza alimentare, che permetterà di ristabilire e di mantenere la fiducia dei consumatori”
(www.c.europa.eu/dgs/health_consumer). Le valutazioni del rischio sono eseguite dal comitato
scientifico e da 8 gruppi scientifici specializzati nei seguenti campi:
1. Additivi alimentari, aromi, materiali in contatto con gli alimenti (AFC);
2. Additivi, prodotti o sostanze usate nei mangimi animali (FEEDAP);
3. Salute delle piante, dei prodotti fitofarmaceutici e loro residui (PPR);
4. Organismi geneticamente modificati (OGM);
5. Prodotti dietetici, nutrizione ed allergie (NDA);
6. Rischi biologici;
7. Contaminanti della catena alimentare (CONTAM);
8. Salute e benessere degli animali (AHAW).
Il Rischio Alimentare
Per rischio alimentare si intende “La probabilità che si verifichi un evento avverso, pericoloso o
dannoso tenendo conto del suo potenziale impatto nel momento in cui accade”. L’analisi del
rischio prevede l’adozione di un metodo sistematico per valutare i rischi in modo completo, per
chiarire fenomeni complessi e per affrontare incertezze e lacune sulla loro origine, allo scopo di
meglio gestire un ipotetico rischio e l’eventuale sua comunicazione.
Il rischio implica un impatto potenziale sui consumatori. I possibili pericoli alimentari possono
essere causati, per esempio, da microrganismi patogeni, sostanze chimiche contaminanti (come
detersivi, idrocarburi) o agenti fisici (figg. 1.1, 1.3). La valutazione del rischio, grazie ad un
approccio strutturato, permette di stimare il rischio e prendere coscienza dei fattori che lo
influenzano in modo positivo o negativo. Coloro che gestiscono il rischio (riskmanager)
guidano la sua analisi e decidono se è necessaria o meno una sua valutazione per risolvere il
problema e assistono gli esperti durante lo svolgimento del loro lavoro. Una volta completata la
valutazione del rischio, i riskmanager si basano sul risultato per decidere le azioni da
intraprendere (Colavita, 2008).
Capitolo 1
6
Pericoli per la sicurezza alimentare
La possibilità che il cibo venga contaminato da sostanze chimiche o microrganismi sussiste già
a monte della filiera produttiva e permane fino al momento del consumo. In generale, i pericoli
per la sicurezza alimentare possono essere classificati in due vaste categorie:
1. Contaminazione microbiologica (per es. batteri, funghi, virus o parassiti). Questa categoria
provoca, nella maggior parte dei casi, sintomi acuti.
2. Contaminanti chimici, tra cui sostanze chimiche presenti nell’ambiente, residui di farmaci di
uso veterinario, metalli pesanti e altri residui involontariamente o incidentalmente introdotti
nella catena alimentare. Il fatto che un contaminante costituisca o meno un rischio per la salute
dipende da molti fattori, tra cui l’assorbimento e la tossicità della sostanza, il livello di tale
sostanza nel cibo, la quantità di cibo contaminato consumata e la durata dell’esposizione. Gli
organismi hanno inoltre una diversa sensibilità ai contaminanti e altri fattori della dieta possono
influire sulle conseguenze tossiche del contaminante (www.politicheagricole.gov.it).
1.2. Alimenti “nobili”: i prodotti ittici
Nel vasto gruppo degli alimenti di origine animale, i prodotti ittici hanno gradualmente
conquistato una notevole importanza in campo economico/alimentare grazie a importanti
innovazioni tecnologiche per il loro trasporto e conservazione. Tra i prodotti della pesca si
ricordano tutti gli organismi marini e di acqua dolce, selvatici o allevati che, in seguito alla
cattura, vengono opportunamente trattati e destinati al consumo umano (Tiecco, 2000).
Questa categoria alimentare comprende numerose specie appartenenti ai pesci (Ciclostomi,
Condroitti e Teleostei) e agli invertebrati (Molluschi, Crostacei, Celenterati, Echinodermi,
Tunicati). Nel triennio 2005-2008, in base a dati dell’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo
Alimentare (ISMEA), il numero di famiglie che in Italia ha consumato prodotti della pesca
almeno una volta alla settimana è passato dal 45% al 51%. Le motivazioni di questa crescita
sono da ricercarsi nelle diverse emergenze che hanno investito nell’ultimo decennio il settore
delle carni e nel notevole incremento quali-quantitativo delle fonti di approvvigionamento
extra-comunitario e della rete distributiva (Colavita, 2008).
L’acquacoltura è uno dei settori nel campo alimentare che più di altri ha subito negli ultimi anni
una forte crescita superando il tasso di incremento della popolazione. La disponibilità pro capite
dei prodotti derivanti dall’acquacoltura è cresciuta da 0,7 kg nel 1970 a ben 7,8 kg nel 2006, con
un tasso medio di crescita del 6,9% (fig. 1.2). Tale settore è dunque destinato a superare la
pesca tradizionale come fonte di approvvigionamento di prodotti ittici. Da una produzione
inferiore al milione di tonnellate all’anno nei primi anni ’50, la produzione nel 2006 è stata di
circa 51,7 milioni di tonnellate con un valore stimato di 78,8 miliardi di dollari ed un tasso
Alimentazione e Inquinamento
7
medio di crescita annuale pari a circa il 7% (Colavita, 2008).
Commercio e controllo
Secondo stime della Food and Agricolture Organization (FAO), la produzione di pescato nel
1999 è stata di 126,2 milioni di tonnellate, di cui il 25% deriva da acquacoltura (Fao, 2000).
Altri autori hanno sottolineato che la produzione di pesce prevista per il 2020 dovrà essere
moltiplicata di sette volte per poter soddisfare la domanda di consumo a livello mondiale (Hew
e Fletcher, 2001). Questa previsione implica un aumento della produzione in acquacoltura, viste
le limitate risorse disponibili negli oceani, per poter soddisfare una domanda così alta.
L’acquacoltura si sta espandendo e intensificando in quasi tutte le regioni del mondo, eccetto la
regione Africana Sub-Sahariana. Globalmente la produzione derivante dalla pesca tradizionale è
diminuita e la maggior parte delle principali aree di pesca hanno raggiunto il loro massimo
potenziale. La produzione sostenibile di pesce derivante dalla pesca non sarà dunque in grado di
venire incontro alla domanda globale crescente per i prodotti alimentari ittici (Pineiro et al.,
2003).
All'interno delle singole aree geografiche, la produzione è molto diversificata. L’acquacoltura
mondiale è controllata prevalentemente dalla regione Asiatico-Pacifica, che rappresenta ben
l’89% della produzione in termini di quantità e il 77% in termini di valore. Questa
predominanza è dovuta soprattutto all’elevata produzione cinese, che incide per il 67% della
produzione globale in termini di quantità e per il 49% del valore globale. Per fare alcuni esempi
la Cina produce il 77% di tutte le carpe (ciprinidi) e l’82% della fornitura di ostriche. La regione
PAESI Consumo pro capite annuo
Portogallo 58,6 kg
Spagna 38,4 kg
Francia 29,0 kg
Ital i a 23,0 kg
Grecia 22,5 kg
Danimarca 20,5 kg
Belgio, Lussemburgo 18,6 kg
Regno Unito 18,5 kg
Ir landa 15,1 kg
German i a 12,5 kg
Olanda 11,4 kg
U E 22,6kg
Fig. 1.2. Consumo pro capite di pesce nei paesi dell’Unione Europea (www.FAO.com)
Capitolo 1
8
Asiatico-Pacifica incide per ben il 98% per quanto riguarda le carpe, il 95% per la produzione
di ostriche, l’88% per i gamberetti. La Norvegia ed il Cile sono i due produttori principali a
livello mondiale nell’allevamento dei salmoni, incidendo per il 33 e il 31% rispettivamente
(Pineiro et al., 2003).
Dal momento che le abitudini alimentari umane si sono significativamente spostate verso i
prodotti di origine acquatica, la sanità dei prodotti ittici diventerà una delle sfide principali da
affrontare nei prossimi anni (Shahidi et al., 1998). Ciò è ulteriormente enfatizzato dal fatto che i
consumatori sono sempre più consapevoli dei benefici per la salute umana derivati dal consumo
dei prodotti ittici.
Nelle attuali linee di ricerca pubblicate dalla Commissione Europea, la sicurezza degli alimenti
costituisce uno degli argomenti principali. I prodotti ittici infatti possono essere veicolo di
sostanze tossiche (ad esempio diossine, PCB e tossine) o molecole allergeniche di natura
proteica. Nello studio dei casi di avvelenamento provocato da frutti di mare (molluschi,
crostacei), molti lavori sono stati incentrati sulla identificazione e sulla determinazione dei
composti tossici (Pineiro et al., 2003).
Le carni di pesce si deteriorano molto più velocemente di altri cibi di origine animale e le
condizioni di conservazione rappresentano un punto cardine. Per questo motivo, il
congelamento a bordo subito dopo la pesca può costituire un’ottima scelta per assicurare
prodotti di alta qualità per il consumatore. A causa del ricco e positivo contenuto di acidi grassi
polinsaturi, i lipidi nei pesci sono altamente suscettibili ad ossidazione (Frankel, 1998).
L’ossidazione dei lipidi contribuisce dunque significativamente al deterioramento dei pesci
grassi, mentre nei pesci magri come il merluzzo, i maggiori responsabili della riduzione della
qualità sono parametri come i cambiamenti o l’aggregazione delle proteine ed un aumento della
perdita di acqua (Kjærsgård et al., 2006).
Alte temperature di congelamento (da -20° a -10°C), temperature variabili o conservazione
prolungata tramite congelamento, portano ad una perdita di qualità. La stabilità e la solubilità
delle proteine dei pesci congelati sono state studiate e analizzate per decenni in un vasto numero
di differenti specie di pesce (Brown, 1986). La stabilità delle proteine e la loro solubilità è però
soggetta a numerosi fattori come la tipologia di specie, la temperatura di congelamento, il tempo
di congelamento e le condizioni fisiologiche prima del congelamento. Inoltre si deve
considerare se il prodotto alimentare proviene da pesce integro, tritato o dal filetto (Kjærsgård et
al., 2006).
La valutazione delle condizioni di lavorazione (filiera produttiva) e della freschezza sono
importanti perché lo stesso materiale può essere altamente nutritivo ma allo stesso tempo
estremamente pericoloso a seconda delle condizioni di lavorazione a cui è stato sottoposto
(Martinez e Friis, 2004). La perdita di freschezza ad esempio, sembra aumentare l’allergenicità
Alimentazione e Inquinamento
9
del pesce, attribuita alla formazione di aggregati di parvalbumina (Dory et al., 1998).
Le reazioni allergiche che derivano dall’ingestione dei prodotti ittici sono principalmente
dovute alla presenza di proteine di alto peso molecolare, che provocano una risposta mediata da
immunoglobuline IgE. Alcuni autori hanno riportato l’applicazione della proteomica
all’identificazione e alla caratterizzazione di tali allergeni nei prodotti ittici. La proteomica può
infine avere interessanti applicazioni nell’identificazione dei patogeni come virus, batteri o
parassiti, o di nuovi meccanismi patogeni (Martinez e James, 2000).
Inquinamento e conseguenze sui prodotti della pesca
Nella prima metà del secolo scorso nonostante il palesarsi di pericoli legati alle alterazioni
ambientali, poca attenzione veniva rivolta verso l’immissione dei rifiuti in mare, dal momento
che quest’ultimo era ritenuto in grado di diluire sufficientemente grandi quantità di inquinanti. I
danni ambientali erano considerati insignificanti alla luce delle conquiste dell’era moderna.
Solamente agli inizi degli anni Sessanta, l’aumento dell’industrializzazione e l’urbanizzazione
delle coste, l’espansione dei traffici marittimi, l’inquinamento dell’aria e delle acque e lo
sfruttamento irrazionale delle risorse, hanno fatto apparire in modo evidente il progressivo
degrado dell’ambiente marino. Si è andata così sviluppando una ampia e approfondita attività di
ricerca sugli inquinamenti e le loro conseguenze in mare, al fine di individuare gli interventi più
opportuni da attuare per il risanamento, la prevenzione, la protezione dell’ambiente e la
valorizzazione delle sue risorse (Cognetti e Cognetti, 1992).
Fig. 1.3. Tabella riassuntiva dei prodotti ittici considerati a rischio per la presenza di
contaminanti (www.doh.wa.gov)
Capitolo 1
10
Gli organismi viventi reagiscono in vario modo in rapporto al tipo e all’intensità del disturbo,
dando luogo a situazioni biologiche particolari. Talvolta le alterazioni ambientali possono
dipendere anche da cause del tutto naturali. Il riscaldamento delle acque per fenomeni di
vulcanesimo, la diminuzione di ossigeno per il deterioramento della vegetazione accumulatasi
in aree con scarso ricambio, il dilavamento di terreni mercuriferi, possono condizionare le
comunità biologiche ed i singoli organismi marini. Secondo la definizione ufficiale dell’O.N.U.,
l’inquinamento marino consiste nell’introduzione diretta o indiretta, da parte dell’uomo,
nell’ambiente marino, di sostanze e di energie capaci di produrre effetti negativi sulle risorse
biologiche, sulla salute umana, sulle attività marittime, e sulla qualità delle acque (Cognetti e
Cognetti, 1992).
Negli organismi acquatici, gli effetti dell’inquinamento sono determinati dalla concentrazione
interna dello xenobiotico a sua volta legata alle proprietà fisico-chimiche e alla specie
considerata. Ad esempio i composti lipofilici tendono ad accumularsi nel terreno e negli
organismi che occupano una posizione inferiore nella scala evolutiva, portando ad una
significativa bioconcentrazione nei predatori e all’apice della piramide alimentare (fig. 1.3)
(Van Lipzig et al., 2005). Le analisi chimiche in sé non forniscono una utile valutazione del
rischio biologico determinato dagli inquinanti. Si deve infatti considerare la composizione
dell’ecosistema: concentrazioni pericolose sono tali solo se calcolate sulla base della
distribuzione di specie sensibili, analizzando un determinato gruppo di specie che ben possa
rappresentare la naturale biodiversità, studiando gli effetti di diverse concentrazioni di singoli
componenti chimici o di loro miscele (Chévre et al., 2006).
Tra i vari contaminanti chimici, l’inquinamento provocato da idrocarburi policiclici aromatici
(PAH) ha portato negli ultimi anni a numerose ricerche sull’origine, distribuzione e destino dei
PAH nell’ambiente (Bado-Nilles et al., 2008).
Parallelamente ai PAH, un gruppo importante di contaminanti è rappresentato dai Persistant
Organic Pollutant (POP), costituiti da diossine, composti diossina-simili ed altri policloro
bifenili (PCB) che hanno ricevuto grande attenzione da quando sono stati coinvolti in casi di
contaminazione dei pesci (Brustad et al., 2008). Questi composti sono liposolubili e si
accumulano nella catena alimentare marina (fig. 1.3), ed esistono molte prove dei loro effetti
potenzialmente negativi sulla salute (ATSDR, 2000).
Anche i pesticidi clorurati e più recentemente i ritardanti di fiamma bromurati (BFR), sono
composti chimici ampiamente dibattuti in relazione alle conseguenze negative del consumo di
pesce in cui tali sostanze sono presenti. I livelli dei POP convenzionali nei pesci e negli esseri
umani sono diminuiti considerevolmente durante gli ultimi due decenni. Ad esempio, le
concentrazioni dei POP nel pesce, in Svezia, si sono ridotte del 60% dagli anni ’70 (Hagmar et
al., 2006). In contrapposizione, nel Baltico, questa diminuzione sembra essere rallentata e forse
Alimentazione e Inquinamento
11
addirittura fermata (Bignert e Asplund, 2003). Negli esseri umani, il calo è stato dimostrato
essere di circa il 70% in campioni di plasma in Norvegia. Similmente, in Svezia, la Swedish
Food Agency ha stimato che l’apporto di POP con la dieta sia diminuito di due terzi negli anni
’90 (Brustad et al., 2008).
Le diminuite concentrazioni vengono interpretate come conseguenza del divieto nella
produzione di alcuni composti e di una riduzione di immissione di altri. Allo stesso tempo, così
come sono diminuiti i POP tradizionali nei pesci, anche la loro assunzione da parte dei pesci è
diminuita viste le concentrazioni nell’ambiente (Brustad et al., 2008). Nonostante ciò l’apporto
di POP derivante dal consumo di prodotti ittici è aumentato sia nei pesci che negli esseri umani
pur attestandosi in Europa a concentrazioni più basse di quelle dei PCB (Sandanger et al.,
2007). Nel plasma umano, anche i livelli di penta-bromo-difenil-eteri (BDE) hanno raggiunto
un picco ed ora sembrano diminuire o rimanere se non altro stabili in Europa. La diminuzione
non è stata riportata negli Stati Uniti. Attraverso uno studio sui cibi europei, il pesce è stato
individuato come una delle principali fonti di BDE (Voorspoels et al., 2007). I livelli di POP
variano considerevolmente tra i paesi e tra le popolazioni dei diversi paesi.
Tra le patologie che negli esseri umani possono essere imputabili alla presenza di inquinanti nei
prodotti ittici si annovera il morbo di Parkinson (Petersen et al., 2008). La sua frequenza è
doppia in alcuni paesi dove il consumo di tali prodotti è elevato. Nelle Isole Faroe ad esempio,
l’incidenza di questa patologia è doppia rispetto ai livelli medi di altre nazioni (Wermuth et al.,
2007). Ciò potrebbe essere legato all’aumento dell’esposizione a dimetilmercurio (Me
2
Hg) e ai
PCB legati all’usanza di consumare carni provenienti da globicefali (delfinidi) che accumulano
sostanze neurotossiche con molta facilità (Longnecker et al., 2003).
Effetti dei contaminanti sui Molluschi Bivalvi
Lo sfruttamento dei Molluschi rappresenta un’attività storicamente diffusa in tutto il pianeta,
particolarmente intensificatasi nell’ultimo secolo. L’ostrica del Pacifico (Crassostrea gigas), è
la specie maggiormente allevata fra tutti i Bivalvi e solitamente vive negli ambienti estuarini
sempre più minacciati dall’esposizione agli inquinanti (Gagnaire et al., 2007). La
contaminazione dei molluschi ad opera dei pesticidi è diventata più comune per
l’intensificazione dell’impiego di sostanze chimiche in agricoltura (Banerjee et al., 1996). I
pesticidi si ritrovano nelle acque dei fiumi a causa del dilavamento del suolo in seguito a
precipitazioni piovose e possono dunque entrare nelle aree marine, soprattutto nelle zone
costiere ed estuarine. Tali inquinanti possono avere importanti conseguenze, sulla crescita degli
organismi, la loro sopravvivenza e riproduzione (Banerjee et al., 1996).
L’emergenza legata al diffondersi di malattie infettive si è evidenziata in molte specie marine
nei decenni passati: la presenza di una condizione patogena è determinata da uno squilibrio tra
Capitolo 1
12
ospite e patogeno, indotto da fattori esterni (compresi gli inquinanti) e/o dalla virulenza del
patogeno e/o suscettibilità dell’ospite stesso. Gli animali con meccanismi di difesa indeboliti
possono essere maggiormente suscettibili a malattie infettive (Gagnaire et al., 2007).
La dimostrazione della relazione esistente fra l’inquinamento e l’aumento di suscettibilità alle
malattie infettive, in mare, è stata ampiamente dimostrata nei vertebrati. Jepson et al. (2005)
dimostrarono infatti che focene morte per malattie infettive avevano un livello di PCB maggiore
di quelle morte in seguito ad un trauma. Alcuni studi hanno anche tentato di correlare la
presenza dell’inquinante e la suscettibilità a malattie infettive nei Bivalvi. Diverse indagini in
tale direzione hanno dimostrato gli effetti dannosi degli inquinanti, con riferimento particolare
ai PAH (Wootton et al., 2003), ai PCB (Canesi et al., 2003), ai pesticidi (Alves et al., 2002) e ai
metalli pesanti (Gagnaire et al., 2004). Chu et al. (2002) dimostrarono che la contaminazione in
Crassostrea virginica, da sedimenti inquinati e da tributilstagno (TBT), aumentava l’intensità
dell’infezione da parte di Perkinsus marinus, ma non veniva influenzato alcun parametro
cellulare o umorale. Al contrario, la contaminazione in Mytilus edulis, seguita da infezione di
Vibrio tubiashii portò ad un aumento del numero di emociti (cellule deputate alla risposta
immunitaria nei molluschi) in seguito ad esposizione al cadmio (Pipe e Coles, 1995) e ad un
aumento della fagocitosi in presenza di bassi livelli di rame (Parry e Pipe, 2004). Nessuna
relazione precisa è stata stabilita tra la presenza di contaminanti e la risposta immunitaria,
specialmente in C. gigas. Queste ricerche sono di particolare interesse alla luce delle
conseguenze economiche sugli allevamenti di molluschi in presenza di sostanze inquinanti
(Gagnaire et al., 2007).
Tra i processi fisiologici potenzialmente influenzati dagli inquinanti, il sistema immunitario
sembra essere particolarmente sensibile (Fournier et al., 2000).
Nei Bivalvi la capacità immunitaria è principalmente deputata agli emociti, che si possono
trovare nell’emolinfa e nei tessuti (Anderson, 1994). Come i monociti ed i macrofagi dei
vertebrati, gli emociti degli invertebrati mostrano una elevata fagocitosi contro le cellule e
le molecole estranee. Accanto alla fagocitosi un altro fondamentale meccanismo per
l’eliminazione delle cellule estranee è rappresentato dalla produzione di specie reattive
dell’ossigeno (ROS) (Gagnaire et al., 2007).
Il sistema immunitario contribuisce dunque all’omeostasi attraverso l’eliminazione di particelle
estranee (virus, batteri, parassiti), distruggendo le cellule anormali e rigettando i componenti
estranei (Fournier et al., 2000). Gli xenobiotici possono interagire con i componenti del sistema
immunitario ed interferire con le funzioni protettive venendo pertanto identificati come
immunotossici (Colosio et al., 2005). Gli xenobiotici possono indurre o inibire
l’immunosoppressione, la risposta autoimmune o la diminuzione della resistenza alla malattia.
Contaminanti ambientali
13
CAPITOLO II
Contaminanti ambientali
Tra i principali contaminanti ambientali si annoverano i metalli pesanti, i residui di fitofarmaci,
i bifenili policlorurati (PCB), le diossine, gli idrocarburi policilici aromatici (PAH), le
aflatossine e le biotossine algali. Il riferimento normativo più recente è rappresentato dal Reg.
CE 1881/2006 che definisce i livelli massimi di alcuni contaminanti nei prodotti alimentari
(Colavita, 2008).
2.1. Metalli Pesanti
I metalli pesanti sono rappresentati principalmente da piombo, mercurio, cadmio e stagno e
contribuiscono nell’uomo all’insorgenza di patologie a livello renale, epatico, nervoso,
endocrino e osseo. Queste sostanze entrano nella catena alimentare direttamente dall’ambiente,
attraverso l’acqua o gli alimenti. I principali responsabili di questo genere di contaminazione
sono da ricercare nel settore industriale e agricolo (scarichi, impiego di pesticidi), l’acqua infatti
discioglie molti sali di metalli rendendoli assimilabili dai vegetali (alla base della catena
alimentare), e da batteri che vengono assorbiti dalle alghe e dunque dai pesci (Colavita, 2008;
fig. 2.1).
Fig. 2.1. Principali fonti di contaminazione ambientale (www.disgam.units.it)
Capitolo 2
14
Gli animali tendono poi ad accumulare tali sostanze a livello dei reni, convertendo i sali in
complessi proteici (metallotioneine) e a livello osseo (soprattutto piombo), con tracce anche
consistenti presenti a livello epatico e muscolare (www.europa.eu/scadplus). Nel campo della
Ispezione degli Alimenti, i metalli pesanti vengono ricercati nelle carni, latte, uova, miele e
prodotti della pesca, con una attenzione maggiore verso quei prodotti di importazione che
possono avere all’origine una regolamentazione diversa e una minore tutela del consumatore
finale. Tra i metodi di indagine più utilizzati si annovera la spettroscopia ad assorbimento
atomico, sufficientemente sensibile per individuare tracce di queste sostanze (Alloway e Ayres,
1997).
Metal
Common Health Effects
(some occur only at high exposure levels)
Lead
behavioral problems
high blood pressure, anemia
kidney damage
memory and learning difficulties
miscarriage, decreased sperm production
reduced IQ
Mercury
blindness and deafness brain damage
digestive problems
kidney damage
lack of coordination
mental retardation
Arsenic
breathing problems
death if exposed to high levels
decreased intelligence
known human carcinogen: lung and skin cancer
nausea, diarrhea, vomiting
peripheral nervous system problems
I metalli di transizione come rame e zinco sono essenziali nelle reazioni chimiche per la
capacità catalitica e il ruolo strutturale che giocano nelle proteine ed in altre macromolecole
(Dameron e Harrison, 1998). Concentrazioni eccessive di metalli essenziali e non come cadmio,
mercurio e piombo sono causa di tossicità cellulare e tissutale (tab. 2.1). Molti organismi
utilizzano meccanismi di protezione per limitarne la tossicità, come ad esempio una riduzione
dell’uptake dei metalli stessi, un aumento dell’esportazione, e un meccanismo di sequestro.
Il mercurio (Hg) è uno degli elementi più tossici in natura a causa del suo carattere di
ubiquitarietà, questo perché è l’unico che può esistere sia in fase liquida che gassosa a
temperatura ambiente. Il contributo più significativo della contaminazione da Hg è
rappresentato dall’origine antropica (1000 tonnellate all’anno), composti del Hg usati come
pesticidi, fungicidi in agricoltura nonché nell’industria del legno, della carta e delle batterie
alcaline esaurite (www.iss.it). Gli effetti tossici del mercurio sono soprattutto a livello della
corteccia cerebrale e del sistema nervoso ed è responsabile di gravi patologie a livello renale ed
epatico (Halliwell e Gutteridge, 1999).
Tab. 2.1. Principali effetti di alcuni metalli pesanti (www.pollutioninpeople.org/toxics/metals)