perché, semplicemente, più lo si è in questi anni analizzato e più si è
visto che ancora molti spazi di ricerca ed anche molte sorprese poteva
rivelare.
Anche questa tesi, nel suo piccolo, nasce da questo stesso pensiero: che
nonostante l'ormai straripante mole di lavori pubblicati su questo cinema
ci sia ancora spazio per una ricognizione che sia in grado di portare a
risultati non banali, ed anzi che possa evidenziare elementi anche poco
notati e talora anche insospettati. Un'analisi, dunque, che di necessità
deve potere, quando ne sospetti l'utilità, indugiare anche minuziosamente
su un singolo aspetto, e soprattutto su un singolo testo filmico. È stata
questa infatti la prima linea-guida che mi sono imposto di seguire nel
dedicarmi a questa ricerca: l'attenzione ai film doveva, piuttosto che
limitarsi ad un livello medio di citazione quantitativamente vasta ma di
superficie, saper accantonare quando era il caso l'oggetto-film per
qualche istante, ma porre il testo filmico stesso al centro assoluto ed
imprescindibile dell'analisi ogni qual volta il discorso giungesse ad un
punto centrale, ad una acquisizione. Il rispetto sommo dovuto ai lavori di
chi prima e meglio di noi ha studiato e scritto sul cinema è sacro, ma
quando i testi primi, cioè i film, sono disponibili e fanno la loro
comparsa in scena, sono fermamente convinto che ad essi si debba
lasciare il primo piano. Tanto più che, al livello dell'analisi testuale, la
grande maggioranza di questa produzione non è stata studiata o lo è stata
superficialmente: si può dire che il 90% delle pagine scritte sul cinema
del fascismo si occupi, in realtà, di neppure il 10% dei film del periodo
fascista.
Questo argomento porta anche ad un'altra delle questioni tipiche circa
questo cinema, ovvero l'inestricabile problema della visibilità e del
reperimento dei film: uno scoglio contro il quale si scontra chiunque si
6
accinga ad intraprendere degli studi di una qualche serietà. Degli oltre
settecento film prodotti in Italia fra il 1930 e il 1943 (ma anche il
semplice numero è quantomai incerto) quelli che sono sopravvissuti fino
a noi sono approssimativamente poco più di duecento; ma da questo a
poter pensare che essi siano tutti accessibili e visibili passa un'enorme
differenza. Quasi nulla è cambiato, nonostante il moltiplicarsi ed anche
un moderato aprirsi degli archivi e delle cineteche, da quando nel 1975
Casetti, Farassino, Grasso e Sanguineti, riuniti sotto il nome di "Gruppo
Cinegramma, scrivevano: "Le difficoltà materiali di accesso […]
l'irritazione e la frustrazione che accompagnano in Italia queste ricerche
[…] impediscono per lo più di considerare nella giusta prospettiva
storica l'esistenza residua dei film"
1
. A venire almeno in parte in
soccorso al ricercatore sono giunti nel frattempo l'home video e la
televisione, che ogni tanto ripesca del fondo dei suoi archivi uno di
questi film e lo trasmette in orari improbabili: è tramite questi mezzi che
sono riuscito, nel corso di qualche anno, a visionare e raccogliere un
numero comunque ristretto di titoli dell'epoca, agevolmente analizzabili
grazie alla praticità del supporto su videocassetta. Resta il fatto che, in
una produzione 1930-43 già pesantemente mutila, anche tra i film
superstiti una larga parte rimane di accesso difficilissimo o impossibile.
Per questa nostra tesi i film che abbiamo avuto modo di visionare ed
analizzare integralmente in modo adeguato sono stati all'incirca una
cinquantina. L'ineludibile necessità di sopperire alla ridotta proporzione
del campione visibile conduce ad affidarsi allo spoglio delle riviste
cinematografiche coeve (ma anche a quotidiani e periodici non di settore,
specialmente per quanto riguarda le recensioni), prime fra tutte Bianco e
1
Gruppo Cinegramma (F. Casetti, A. Farassino, A. Grasso, T. Sanguinetti), Neorealismo e cinema
italiano degli anni trenta, in L. Miccichè (a cura di), Il neorealismo cinematografico italiano,
Marsilio, Venezia, 1975, p. 341
7
nero e Cinema, fonti essenziali per ricostruire il panorama di tanto
cinema che non è più, per noi, recuperabile per via diretta. Alla visione
delle pellicole si è dunque alternata la lettura e lo spoglio in archivi e
biblioteche, tra i quali mi permetto di citare, tralasciando le note strutture
maggiori, l'archivio della Fondazione Micheletti di Brescia, ricco benchè
ancorra bisognoso di sistemazione, che ha mostrato grande disponibilità
verso le mie ricerche.
Reso il quadro delle fonti, è il momento di spendere ancora due parole
introduttive su questa mia tesi, per indicare almeno quali siano stati i
metodi seguiti (e quindi anche gli strumenti di analisi) e quali gli intenti
ed obbiettivi. La prima questione, particolarmente, è stata piuttosto
complessa: mancavano infatti punti di riferimento precisi che facessero
da guida in un'analisi che, fin dal principio, ho voluto condurre non su un
doppio binario che facesse scorrere parallelamente, ma quindi senza farle
sostanzialmente incontrare, la prospettiva propriamente storica legata al
dipanarsi degli eventi del periodo fascista, quella sociologica che
verificasse gli effetti della prima sui costumi e sui mutamenti della
società e particolarmente della famiglia in Italia, ed infine quella
principale, la prospettiva strettamente cinematografica, che doveva
essere scandagliata per vedere se, come, in che misura ed in quale modo
le costanti ed i cambiamenti storici e sociologici del periodo fascista si
riflettessero nella rappresentazione che della famiglia il cinema aveva
creato.
Vi erano passaggi che presentavano scarse o nulle difficoltà
metodologiche, come quello sugli stereotipi dei generi cinematografici,
questione che è stata ormai ampiamente dibattuta ed assorbita, o come
quello relativo alla suddivisione dell'attenzione fra i diversi membri del
sistema familiare, nel quale la scelta di scomporre dapprima
8
elementarmente l'insieme in base alle componenti di sesso e d'età, per
poi analizzare le figure emerse in base al loro ruolo relazionale con le
altre figure del sistema familiare, è stata dettata semplicemente dalla più
immediata ed intuitiva logica. Dove invece il discorso sulle strutture si
faceva più arduo, come nei due capitoli su invarianza del modello
tradizionale e diacronia del modello modernista, è stato necessario talora
cooptare definizioni e categorie da altri campi, ed in alcuni casi,
avanzando nell'analisi verso le conclusioni più originali del lavoro, anche
utilizzare strumenti inconsueti e coniare definizioni nuove ad hoc. Con
tutto ciò, c'è almeno un testo ormai classico che è stato essenziale per
questa ricerca, dal quale proviene molto della struttura ed anche
dell'indirizzo del presente lavoro, oltre a strumenti e definizioni
essenziali, come quelle, centrali, di ideologia e mentalità, che pure ho
applicato con un minimo di libertà: si tratta della Sociologia del cinema
di Pierre Sorlin
2
, testo il cui apporto, a dispetto dell'esiguità di citazioni
dirette che ne ho fatto, segue costantemente le pagine di questa tesi,
sorvegliandola senza farsi troppo notare.
Più in generale, è stato fondamentale, nella comprensione degli stereotipi
operanti nei film, un lavoro di adattamento: di fronte alla estrema
carenza di testi propriamente cinematografici sull'argomento si rendeva
infatti necessario tentare un'operazione di cooptazione di modelli propri
di altre discipline; una delle sfide che questa tesi ha comportato è stata
dunque quella di applicare all'analisi del cinema degli anni Trenta
schemi e metodi provenienti dagli studi compiuti su quel periodo in
ambiti diversi, in primo luogo naturalmente la storia e la sociologia. Il
2
P. Sorlin, Sociologia del cinema, Garzanti, Milano 1979 (trad. di: Sociologie du cinéma, Ed. Aubier
Montaigne, Paris 1977)
9
riflesso di questa operazione di traduzione interdisciplinare è evidente
soprattutto nelle parti riguardanti la figura della donna.
Fin qui il "come" del presente lavoro; quanto, infine, al "perché", mi
preme sottolineare un punto in particolare. Il cinema italiano del periodo
fascista si offre allo studioso, come detto, con un problema di carenza di
testi filmici ma anche con il pregio di presentarsi con strutture
superficiali immediate e riconoscibili, e questo ne agevola lo studio,
specialmente quando lo si affronta prendendo in esame un ambito
particolare, come per esempio un ambiente o l'opera di un regista o,
soprrattutto, un genere. Quello che risulta assai più complesso, e che in
definitiva manca al panorama degli studi su questo periodo, nonostante
qualche sporadico tentativo dagli esiti opinabili
3
, è un discorso di ampio
respiro che sappia porre in relazione la cinematografia con il contesto
storico e sociale, e sappia evidenziare i reciproci influssi. Un compito
arduo e oneroso, di enorme impegno sia per mole che per l'enorme
livello di acquisizione teorica che comporta; e non sarebbe stato certo
proponibile lanciare la nostra piccola barca in tanto grande ed agitato
mare. Si poneva, realisticamente, la necessità operativa di concentrare
l'attenzione su un ambito delimitato e delimitabile; ma, allo stesso
tempo, c'era da parte mia la volontà di non limitarmi ad un ristretto
lavoro di cernita tematica, ma di poter comunque mettere in opera, sia
pure solo su una parzializzazione del complesso della cinematografia di
quel periodo, una serie di metodi ed ancor più di intuizioni che avevo
cominciato ad elaborare già in precedenza, durante il mio corso di studi:
3
Mi riferisco in particolare allo studio di James Hay, Popular Film Culture in Fascist Italy, Indiana
University Press, Bloomington and Indianapolis 1987. Nonostante la discreta fortuna che ha riscosso,
personalmente ritengo che una certa superficialità, una mancanza di unità ed una tendenza al
"meccanicismo" tipica di molta scuola statunitense ridimensionino di molto questo testo, che mi pare
più da annoverarsi nella categoria delle "buone intenzioni" che delle pietre miliari, e che dovrebbe
essere tuttalpiù un punto di partenza da tenersi presente per cercare, com'è auspicabile, di giungere
finalmente a uno studio davvero valido sui rapporti fra cinema, società e regime nel periodo fascista.
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metodi ed intuizioni che potessero essere, se fattibile, applicati ad un
caso il più rappresentativo possibile per verificarne l'eventuale
adeguatezza anche ad un loro utilizzo futuro indirizzato finalmente
all'insieme complessivo (e complesso, se mi si consente il gioco di
parole) della cinematografia del periodo fascista.
La condizione necessaria per giungere a questo era dunque
l'individuazione di un "tema", di una porzione coerente di quel cinema,
tale che fosse sufficientemente ampia e rappresentativa da garantire una
larghezza di movimento alla ricerca ed insieme una esemplarità che
garantisse al massimo l'estensibilità finale di un'analisi che fosse in grado
di uscire dall'angusto spazio della ricerca "di settore" per giungere a
conclusioni accettabili anche come complessive. Il tutto senza
dimenticare che la scelta doveva tener conto della limitatissima
disponibilità dei testi filmici, che ai nostri fini erano essenziali ed anche
nella massima quantità possibile.
Da ciò la scelta del tema della famiglia: è infatti apparso subito lampante
come, in quel cinema, non solo l'immagine della famiglia e dei rapporti
familiari fosse talmente diffusa da non mancare, con maggiore o minore
rilievo, in quasi nessuno dei film di tutta la produzione, ma anche come,
attraverso la rappresentazione di quella struttura sociale fondamentale
che la famiglia era nell'Italia di allora, il cinema finisse con il
rappresentare di fatto uno spaccato pressochè integrale della società
presente, con una rappresentatività elevatissima rispetto al totale del
sistema in questione, quello cioè comprensivo non solo strettamente del
cinema ma anche dei suoi rapporti reciproci con la storia e la sociologia.
Attraverso quella struttura primaria che è la famiglia il cinema fascista
esprime se stesso e la società che esso rappresenta in tutte le sue
tendenze e tensioni, dal rapporto con il sistema dei generi al confronto
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fra tradizione e modernità, fra città e campagna, fra passato e presente,
fra il qui e l'altrove. Una rappresentatività che, talora, ha spinto la nostra
ricerca a spingersi brevemente anche oltre, in punti di particolare rilievo,
all'immediata tematica familiare, per mostrare brevissimamente come
qualcun'altro munito di buona volontà, dopo di noi e certo meglio di noi,
potrà dedicarsi a disegnare finalmente quel quadro generale dei rapporti
e degli schemi di tutta una cinematografia e della sua società che ancora
attende di essere realizzato.
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