5
dell’assassina. Ed è questo punto che riteniamo meriti una particolare
attenzione perché spesso fonte di definizioni stereotipe e di
preconcetti: come può la donna divenire una criminale violenta e
spietata quando le vengono attribuiti caratteri “naturali” quali, ad
esempio, la generosità, la pazienza e lo spirito di sacrificio? Questo
studio verterà principalmente sulla possibilità di trovare una o più
risposte a questa fondamentale domanda. Per suffragare le ipotesi che
emergeranno in relazione ai costrutti psicologici di cui si parlerà,
faremo riferimento, inoltre, a reali fatti di cronaca.
Si renderà necessario tracciare un “identikit” della donna
omicida, senza tuttavia precostituire uno schema classificatorio o
“idealtipo”. Si tratterà dunque di tracciare una “mappa di variabili”, un
insieme complesso di caratteri e peculiarità: ogni singolo individuo,
infatti, è sempre contrassegnato da una propria personalità e da
un’unica ed incancellabile storia. La psicoanalisi e le teorie
psicoanalitiche ci insegnano che, sia nell’uomo che nella donna, sin
dalla nascita, sono presenti dei potenziali di aggressività che in qualsiasi
momento possono emergere. Come sostiene Margarete Mitscherlich:
6
“La differenza tra i sessi si esprime in ultima analisi nell’elaborazione e
nell’espressione degli impulsi o dei moti pulsionali aggressivi”2.
Un altro degli obiettivi che ci poniamo è quello di smentire il
luogo comune secondo cui “Assassini si nasce”, cercando di
dimostrare quanto sia forte l’influenza del rapporto interpersonale sul
comportamento di un individuo, indipendentemente dal fatto che sia
uomo o donna.
Per comodità espositiva, elenchiamo, qui di seguito, le principali
tematiche che affronteremo lungo il nostro percorso di ricerca:
• psicologia della donna: analisi della psicologia della donna, suo
percorso evolutivo (dall’infanzia fino all’età adulta), facendo
riferimento all’opera di diversi Autori che si sono occupati
prevalentemente della psicologia femminile;
• origine del comportamento omicida:
1) riferimento alla “teoria della pulsione di morte” di Freud, al
concetto di “Ombra” di Jung e ad altri autori (p.e. J.Hillmann);
2) differenze del comportamento omicida tra la donna e l’uomo
2
M. Mitscherlich, La donna non aggressiva, La Tartaruga edizioni, Milano, 1992, p. 199.
7
(nella modalità dell’atto; nella sua relazione con la vittima; e altre
possibili );
• Panoramica e descrizione delle principali “Sindromi” e
“Complessi” femminili nell’atto delittuoso: Complesso di Medea;
Sindrome di Munchausen, S.M. per procura; Sindrome della
Vedova Nera; Sindrome della “follia a due”;ecc.; le rispettive
implicazioni cliniche (personalità Borderline, Narcisistica, teoria del
“ciclo dell’abuso”, “coazione a ripetere”, ecc.);
• Conclusioni: la donna è meno violenta dell’uomo? qual è la
peculiarità della donna assassina?
8
CAPITOLO I
PSICOLOGIA DELLA DONNA
9
Affrontare il problema della psicologia della donna, oggi, espone
a qualche rischio: si può essere considerati dei reazionari, oppure dei
tradizionalisti o, comunque, persone non prive di pregiudizi. E’
possibile infatti che con il concetto di ‘donna’ si cerchi ancora di
indicare una “diversità” che sottintende non la differenza, ma
l’inferiorità: il “femminile”, dunque, come sottocategoria dell’umanità.
Nella società e cultura occidentale da sempre la donna è stata
considerata il supremo “altro” in opposizione al quale l’uomo si
definisce come soggetto. Così, alle donne, che hanno espresso
l’alterità degli uomini, è stata negata individualità.
Nel rimarcare quanto sia stata forte la subordinazione della
donna rispetto all’uomo, Simone de Beauvoir scrive:
“ Un uomo non comincia mai col classificarsi come individuo di un certo
sesso: che sia uomo, è sottinteso. .......Il rapporto dei due sessi non è quello di due
elettricità, di due poli: l’uomo rappresenta insieme il positivo e il negativo al punto
che diciamo “gli uomini” per indicare gli esseri umani, il senso singolare della
10
parola “vir” essendosi assimilato al senso generale della parola “homo”. La
donna invece appare come il solo negativo, al punto che ogni determinazione le è
imputata in guisa di limitazione, senza reciprocità”3.
La casa è stata, per la donna, l’unico luogo di possibile
espressione e la femminilità è stata definita dai rapporti all’interno della
famiglia: i rapporti della donna con il proprio marito e con i figli.
Mentre l’uomo si afferma attraverso la propria attività esterna, la donna
si realizza, quasi per intero, attraverso i rapporti interpersonali,
sperimentando se stessa come risposta alle esigenze altrui, esigenze
emozionali soprattutto.
Spesso, anche oggi, sentiamo dire che una donna vive per i figli
e per il marito e per questo essa trova difficile stabilire una sua identità
separata e distinta. Secondo la psicoanalista A. Foreman:
“... per parlare in termini esistenzialisti, l’essere per altri della donna tende
ad essere più forte dell’essere-per-sé” 4.
3
S. de Beauvoir, Il secondo sesso , Il Saggiatore, Milano, 1999, p. 15.
4
A. Foreman, Condizione femminile ed alienazione, Edizioni del Prisma, Catania, 1979, p. 127. Il
termine essere per sé, utilizzato qui da A. Foreman ma usato per la prima volta da J.P. Sartre, intende
esprimere un particolare moto essenziale della coscienza individuale. La coscienza però, cerca di
catturare tale moto fuori dal sé per sperimentare se stessa come esistente nel mondo. Così gli
individui cercano di sperimentare e confermare la loro esistenza attraverso il riconoscimento della
loro stessa esistenza da parte di altri.
11
I bisogni, i desideri, le aspirazioni della donna spesso non sono
prodotti di una consapevole coscienza del proprio stato, delle proprie
necessità, dei bisogni veri della propria personalità. Per lo più sono stati
e sono, ancora oggi, il risultato di pressioni esterne indirizzati a modelli
entro il cui ambito la donna crede di identificare i mezzi e le mete che
vuole conseguire.
Nel corso del tempo, a uomini e donne, fin dalla prima infanzia è
stato spesso imposto di identificarsi con un modello prestabilito che
non teneva conto delle attitudini proprie del singolo individuo, ma solo
dell’appartenenza a un determinato sesso (identità di genere).
Nella società occidentale, molto precocemente, i bambini
cominciano a ricevere precisi messaggi sul modo in cui ci si attende
che essi si comportino a seconda che siano maschi o femmine.
L’individuo vive la sua prima forma di socializzazione5 nell’ambito della
famiglia ed in seguito acquisisce costantemente nuovi comportamenti
che corrispondono ai ruoli che riveste. Il concetto di socializzazione è
5
N. J. Smelser definisce il termine “socializzazione” come: “il processo con cui apprendiamo le
abilità e gli atteggiamenti legati al nostro ruolo sociale, inteso come l’insieme di comportamenti
attesi e richiesti ad un individuo per il fatto che esso occupa una specifica posizione in una
società”, (N. J. Smelser, Manuale di sociologia, Il Mulino, Bologna, 1987, p. 44).
12
un assunto sociologico che alcuni psicoanalisti hanno ripreso e, anche
se non rientra strettamente nel lessico psicoanalitico, può essere utile,
in quanto l’educazione specifica riservata ai maschi e alle femmine e
l’atteggiamento inconscio che i genitori assumono di fronte ad essi,
dipendono ampiamente dal sistema sociale dei valori. Soprattutto il
particolare rapporto che le madri instaurano con i figli nei loro primi
anni di vita tende a preservare le differenze di ruolo basate sul sesso.
N. Chodorow, psicoanalista, sottolinea come il peculiare
rapporto tra le madri e i figli, durante i primi anni di vita, tenda a
mantenere le differenze di ruolo basate sul sesso. Secondo la sua
concezione, le figlie, in particolare, crescono identificandosi con le
madri, dalle quali si aspettano cura e assistenza. L’effetto delle cure
materne contribuisce a rafforzare nelle donne l’idea del loro dovere di
accudire la prole assumendosene la responsabilità6.
La precocità con cui avviene l’identificazione del ruolo sessuale,
il suo carattere inconscio, contribuisce a rafforzare ulteriormente gli
atteggiamenti tradizionali.
6
N. Chodorow,: The Reproduction of Mothering Psychoanalysis and the Sociology of Gender,
University of California Press, Berkeley, 1974, p. 208.
13
A questo punto ci sembra opportuno un approccio più
direttamente psicoanalitico in quanto tale disciplina si pone il compito
specifico di “leggere tra le righe”. Si può ritenere che la psicoanalisi
possa aiutarci a decifrare proprio il modo in cui acquisiamo nel nostro
inconscio il patrimonio ereditario delle idee e dei modelli della società
umana.
Come vedremo, lo stesso Freud, pur non riuscendo a fare
completa chiarezza sul “continente” femminile, contribuì tuttavia, a
gettar le basi di un’attenta analisi in questo ambito, sviluppata, poi,
come vedremo, da alcuni suoi discepoli.
Prima di esporre i vari assunti teorici sulla psicologia della donna
è necessaria una piccola ma indispensabile premessa: quando faremo
riferimento nel nostro lavoro a concetti quale ad esempio, invidia del
pene, faremo sempre riferimento alle teorie psicoanalitiche, prese nella
loro interezza. Spesso, le critiche femministe7 di Freud hanno
7
Tali critiche giungevano dal movimento socio-culturale denominato “Femminismo”. “Sviluppatosi
soprattutto alla fine degli anni Sessanta, esso è teso ad effettuare una ricognizione dell’identità
femminile in contrapposizione agli stereotipi ideologici della tradizione storica e determinanti
la condizione attuale della donna. Inoltre, vi troviamo una presa di posizione critica della
donna rispetto a ciò che assume la fisionomia di un destino sessuale: di qui l’esigenza di un
confronto di alcuni atteggiamenti e ruoli che si presumono istintivi e connaturati alla femminilità
con le diverse mozioni culturali che scavano dialetticamente il vissuto femminile” (U.Galimberti,
Dizionario di psicologia, UTET, Torino, 1992, p. 399).
14
estrapolato le sue opinioni sulla femminilità dal loro più ampio
contesto. Con questo metodo non è difficile rendere ridicoli o
ideologicamente pericolosi tali concetti.
In Psicoanalisi e femminismo, la psicoanalista J. Mitchell
sostiene che quando Freud cominciò ad analizzare ruolo e tendenze
dell’ideologia nell’ordinamento umano, si rese conto che rimandavano
a strutture di tipo patriarcale8 e cercò, quindi, di spiegarne modelli e
processi. Ciò non implicava però una simpatia della psicoanalisi verso
la società patriarcale (come la maggioranza del movimento femminista
ha sostenuto): semplicemente essa si limitava ad analizzare quel tipo di
ordinamento. Se il nostro scopo è quello di comprendere la condizione
della donna, non possiamo non tenere presenti queste considerazioni.
Converrà ora passare brevemente in rassegna i principali
contributi di Freud sul tema e quelli di coloro che hanno condiviso i
suoi punti di vista o che li hanno sviluppati, come pure di chi a questi
ha opposto concezioni teoriche diverse9.
8
Per “patriarcato” J. Mitchell intende la legge del padre che conferisce all’uomo poteri assoluti e a
autorità. Inoltre spiega come la psicoanalisi possa aiutare a capire i meccanismi di un sistema
patriarcale che deve, per definizione, opprimere la donna (J. Mitchell, Psicoanalisi e femminismo ,
Einaudi editore, Torino, 1976, p. 419).
9
Per la nostra analisi, abbiamo ritenuto opportuno enunciare gli aspetti più significativi dei suddetti
(continua)
15
1.1. SIGMUND FREUD: L’ENIGMA DELLA FEMMINILITA’
“ La richiesta femminista di una parità di diritti per i due sessi
non può su questi temi andar molto lontano: la differenza morfologica
non può non riflettersi in disparità dello sviluppo psichico. Parafrasando
un detto di Napoleone, possiamo dire che “l’anatomia è il destino”.
SIGMUND FREUD
“ Della vita sessuale della bambina sappiamo meno che non di quella del
maschietto. Non dobbiamo del resto vergognarci di ciò: anche la vita sessuale
della donna adulta è ancora un dark continent per la psicologia”10.
Così scriveva Freud giungendo ad ammettere l’ignoranza della
psicoanalisi a proposito della donna e a non far mistero delle sue
incertezze su questo “continente nero”, sull’enigma che per ogni uomo
il problema della femminilità rappresenta. Tuttavia ciò non gli impedì di
avanzare una teoria della psicologia femminile che contribuì a dare ai
suoi numerosi lettori un’immagine precisa della donna.
studi. La scelta delle varie posizioni teoriche è stata fatta in base alla loro attinenza al tema
discusso, preferendo quindi quelle concezioni che sono divenute l’oggetto delle controversie.
10
S. Freud (1926), Il problema dell’analisi condotta da non medici, in Opere, vol. 10, Boringhieri,
Torino, 1989, p. 379.
16
Freud descrisse la donna a partire da ciò che le mancava da un
punto di vista anatomico, anziché a partire da ciò che era presente nel
suo corpo e nella sua psiche. La sua teoria era centrata sulla cosiddetta
invidia del pene, cioè sulla sua mancanza nelle donne. Questa
mancanza riduceva la donna a essere menomato e inferiore: le donne,
assediate dall’invidia, nella loro normalità, mantenevano tensioni
masochiste e narcisiste11, bloccando l’evoluzione del Super-Io ad uno
stadio di coscienza inferiore.
La psicoanalisi, con Freud, cercava di spiegare il
comportamento delle donne assumendo che quelle sicure di sé, tese a
realizzare i loro obiettivi nella vita e capaci di mettere a frutto la propria
intelligenza, in realtà manifestavano un “complesso maschile”. Secondo
Freud, esse si comportavano come se negassero la propria differenza
fisiologica (interpretata come castrazione). In realtà, secondo tale
visione, il bisogno femminile di emergere sarebbe il sintomo di un
11
Freud considera il masochismo legato a componenti passive, presenti sia nell’uomo che nella
donna, che richiamano la condizione infantile del bambino cattivo e indifeso; il masochismo
femminile legato a fantasmi di evirazione e assoggettamento, purché a infliggere la sofferenza sia la
persona amata. Quando parla di narcisismo , attribuibile secondo lui, in maggior misura alla donna,
si riferisce al processo attraverso il quale le relazioni umane servono unicamente allo scopo
d’innalzare l’immagine di sé o di dare conferma alla propria persona: “[il narcisismo] influisce tra
l’altro sulla scelta oggettuale della donna così che per lei il bisogno di essere amata è più forte
del bisogno di amare” (S. Freud, [1932] XXXIII lezione : La femminilità, in Introduzione alla
psicoanalisi, (nuova serie di lezioni), vol. 11, Boringhieri, Torino, 1989, p. 238).
17
complesso di mascolinità: una negazione della propria specificità
femminile.
La donna che desidera un figlio, in realtà, ha invidia del pene; ma
sublima12 questo desiderio sostituendolo con il desiderio di maternità:
“la coscienza della differenza anatomica tra i sessi sospinge la bimba dalla
virilità e dall’onanismo maschile verso nuove strade che conducono allo
spiegamento della femminilità. [...] la libido della bimba scivola (si può soltanto
dire: lungo la già indicata equazione simbolica pene = bambino) in una nuova
posizione. Ella rinuncia al desiderio del pene per mettere al suo posto il desiderio
di un bambino”13.
La donna si sentirebbe, dunque, sessualmente attratta da un
uomo in seguito alla scoperta che la madre non possiede il pene. Nella
teoria freudiana l’eterosessualità femminile risalirebbe al momento
traumatico in cui la bambina, scoprendo che né lei né la madre
possiedono il pene, sposta la libido sul padre. Freud spiega come il
12
Freud chiama “la facoltà di sublimazione [...] la proprietà di scambiare la meta originaria
sessuale con un’altra, non più sessuale ma psichicamente affine alla prima”, (S. Freud (1908), La
morale sessuale ‘civile’ e il nervosismo moderno, in Opere, vol. 5, Boringhieri, Torino, p. 416).
Viene considerato come meccanismo inconscio per cui il campo degli istinti viene trasferito su un
piano superiore, verso valori morali e sociali. Ad es.: la trasformazione dell’impulso sessuale in una
carica di utilità sociale.
13
S. Freud (1925), Alcune conseguenze psichiche della differenza anatomica tra i sessi, in Opere,
vol. 10, Boringhieri, Torino 1989, p. 214.
18
distacco dalla madre non avvenga improvvisamente: all’inizio la
bambina vive la propria presunta evirazione come perdita individuale,
solo a poco a poco la estende alle altre donne, compresa la madre:
“...con la scoperta che la madre è evirata, diventa possibile abbandonarla
come oggetto d’amore”14.
Secondo la concezione freudiana, la donna sessualmente attiva
non gode in realtà della sessualità e non esprime la propria natura
sensuale: si tratta solo di un comportamento compulsivo che ha lo
scopo di calmare le ansie di castrazione.
Il “dogma” dell’inferiorità femminile ha, dunque, sempre
rappresentato una delle colonne portanti della stessa psicoanalisi. La
logica di ogni argomentazione appare fondata prevalentemente su
parametri maschili e retta dall’assunto della non differenza sessuale:
Freud fece sua l’idea di una doppia sessualità (bisessualità) come se
l’individuo non fosse né maschio né femmina, ma l’uno e l’altro, con
prevalenza però, di uno solo dei caratteri.
Egli trattò anche di una bisessualità psichica che sarebbe apparsa
14
S. Freud (1932), Introduzione alla psicoanalisi (nuova serie di lezioni), in Opere, vol. 11,
Boringhieri, Torino 1989, p. 233.