diventando così l’unica forma lecita di rappresentazione dell’assoluto.
In contrapposizione a ciò, Formaggio nella sua lettura dell’estetica hegeliana
evidenzia il significato dialettico del termine “morte” in tutta la problematica
hegeliana.
Passa perciò a una rassegna di tutti gli scritti di Hegel, in cui sia possibile
riscontrare questa dialetticità. Negli “Jugendchriften”, nel frammento “L’Amore”
la morte è vista come una autonegazione cosciente, opposta alla fine come
dissoluzione meccanica di un essere non autocosciente. La morte dell’uomo e
dell’arte non uccide il suo sentimento, il suo spirito. La morte di un’arte è
generata dalla vitalità dell’arte nel suo procedere. Il sentimento dell’amore vale
quindi come legge che tende a unificare il mortale stesso, a farlo immortale. La
possibilità della separazione rafforza l’identità di un’unità vivente. Mentre finire
è il prevalere dell’estraneo sull’io, morire è coscienza della propria individualità
e finitezza. La coscienza della vitalità non muore.
Una prefigurazione dell’idea di morte dell’arte è individuata inoltre da
Formaggio nella teorizzazione romantica della poesia della poesia o poesia
riflessiva.
Egli procede quindi a un’analisi delle differenti forme di poesia riflessiva:
Heidegger nella sua conferenza su Holderlin la chiama poesia sull’essenza della
poesia e la vede come un ricominciamento dell’essenza poetica. Nella cerchia
dell’Athenaeum, Friedrich Schlegel teorizza la poesia trascendentale come
poesia che, mentre si rappresenta, si teorizza e che è universale. Unisce la
modernità all’universalità dei grandi come Pindaro, Dante, Shakespeare,
Goethe. Essa è affine alla poesia “sentimentale” teorizzata in precedenza da
Schiller in contrapposizione a quella “ingenua” degli antichi. In essa l’unitaria
relazione di ideale e reale è contemperata da una riflessione su se stessa che
intellettualizza la poesia unendo all’espressione un momento di riflessione che
ne rende più complesso l’impianto.
Schiller nel 1795 aveva pubblicato un saggio “Sulla poesia ingenua e
sentimentale” che rappresenta il trait d’union tra le tematiche romantiche e la
precedente “Querelle des anciens et des modernes”. L’umanità greca vi è
descritta come uno stadio di equilibrio tra chiarezza, sentimento e intuizione.
Nello sviluppo storico dell’arte, la ricerca di maggiore chiarezza porta a
dissolvere l’unità artistica di natura e di spirito: muoiono l’individuo e l’arte
come totalità, per la divisione del lavoro e dei saperi.
L’intelligenza è spinta dall’ampliarsi delle proprie cognizioni a separarsi dal
sentimento e dall’intuizione e a procedere per vie separate. Il nesso con le
polemiche neoclassiche sta poi nel confronto tra poesia antica e poesia
moderna, che approda all’evocazione di una età dell’oro, in cui l’ingenuità
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dell’antica poesia è andata perduta per eccesso di consapevolezza. V’era una
tradizione antica di lamentazioni sulla decadenza dell’arte, a partire dai Greco-
Romani. Nasce un mondo sentimentale sospeso tra un non più del divino e un
non ancora dell’umano liberato. In “Lettere per il progresso dell’umanità”
Schiller descrive il progredire di una chiarezza di conoscenza che abbandona
sempre più i piani dell’intuizione e del sentimento. Il maximum di chiarezza
teoretica compatibile col calore poetico era stato toccato dai Greci :
necessariamente ci sarebbe stata una decadenza successiva della civiltà fino al
sacrificio della totalità dell’uomo. Nella “VI lettera sull’educazione dell’umanità”
è descritta la legge della formazione umana come un divaricarsi di ragione e
sentimento, fino alla divisione tecnologica del lavoro assieme alla divisione e
specializzazione dei saperi. Progredisce l’egoismo assieme a una sorta di
barbarie con il differenziarsi della società: accenti analoghi a quelli di Hegel.
Analogamente in Leopardi, nello Zibaldone, è descritta la vastità
dell’immaginazione antica, in contrapposizione al breve respiro
dell’immaginazione moderna, per il suo carattere egoistico e disingannato. I
tempi moderni sono dominati dal dispotismo tranquillo dell’interesse e dalla
bassezza dei singoli.
Dopo essersi soffermato sulle posizioni di Schiller e di Leopardi, Formaggio
torna all’arte trascendentale e alla cerchia dell’Athenaeum, esaminando
Novalis. Per quest’ultimo la poesia della poesia o poesia trascendentale
consiste in una totale libertà creativa e indipendenza dalla natura : lo spirito
poetizza gli oggetti, ponendosi a priori come creatore, regista del proprio
spazio artistico.
La scoperta della assoluta trascendentalità dell’arte diviene la scoperta della
sua piena libertà, che si esplica in un “vedere” attivo e originario; essa porta
alla sua dialettica morte e rinascita nella pienezza della soggettività.
Esemplare è l”Enrico di Ofterdingen”, dove la poesia della poesia diventa
poesia di sogno : luogo sia dell’originario che della visione del conoscere.
Predomina un simbolismo che allude a un ricominciamento del mondo e a un
significato poetico della morte come palingenesi della vita.
Formaggio si avvale dei citati esempi per fornire un orizzonte culturale alla sua
interpretazione della morte dell’arte. Ritiene infatti necessario inserirla in una
tradizione interpretativa, che parta dalla querelle antico-moderno per giungere
fino alle più avanzate poetiche dell’avanguardia, in contrapposizione alla linea
che connette Croce all’estetica classica baumgarteniana, a sua volta connessa
con le teorizzazioni classiciste rinascimentali e barocche. Si tratta in sostanza
di liberare l’artisticità da una concezione dogmatica della Bellezza, legata
all’ideale classico di una bellezza immobile, prefissata.
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Formaggio riprende poi ad analizzare i testi hegeliani, alla luce della svolta
artistica romantica e delle analisi sociali ad essa seguite. Passa così alla
“Fenomenologia dello spirito”, dove l’arte è vista ancora come un momento
totalmente interno alla coscienza religiosa. Gli Dei se ne sono andati, le opere
d’arte giacciono come frutti staccati dall’albero del mito : lo spirito si separa
dalla naturalità per farsi autocoscienza. Nasce la commedia, in cui l’umano
raggiunge una sua prima forma di autocoscienza, ma nel contempo sente il
distacco dal divino mitologico come una perdita : Dio è morto: inizia qui il
cammino dello spirito che porterà alla religione rivelata, ma il discorso artistico
cessa, riassorbito nella dialettica dello spirito religioso. L’artistico riaffiorerà
solo nell’”Enciclopedia”. E’ qui opportuno analizzare i passaggi che correlano la
nascita del fare artistico e il processo di liberazione della coscienza umana. La
dialettica servo-padrone percorre il passaggio dall’opera d’arte astratta
all’opera d’arte vivente fino all’opera d’arte spirituale, che a sua volta è
tripartita nel passaggio dall’opera d’arte epica, alla tragedia e alla commedia.
Infatti nella successione di queste forme si ha una progressiva presa di
coscienza di sé e del mondo da parte dell’uomo. Si esplicita a questo punto un
processo di morte dell’arte già in atto : si allontana la dimensione mitico-
unitaria nel modo di concepire e strutturare l’opera d’arte, guadagna terreno
l’indipendenza del soggetto creatore. Punto saliente della teorizzazione è che
l’opera è prodotta dalla coscienza e fatta da mani umane, per cui si produce
un’opposizione tra concetto-opera e concetto-soggetto creatore: l’opera
prevale sull’artista, che cercherà di arrivare a inglobarla nella propria
soggettività; il che è ciò che accade nell’arte contemporanea, nei processi di
poesia della poesia, di arte dell’arte. La morte dell’arte opera quindi sin
dall’inizio come dinamica creativa dell’artista, che provocherà tutte le
rivoluzioni artistiche.
Nell’”Enciclopedia delle scienze filosofiche”, del 1817, l’arte è vista come un
trionfo della forma come soggettività. Nei paragrafi 561, 2, 3 sono descritti i
passaggi dall’arte simbolica alla classica alla romantica. Il momento artistico
acquisisce maggiore autonomia, ma non si separa dal momento religioso :
l’arte deriva dal momento religioso e muore in esso. Si delinea la progressiva
morte dell’arte per un modo dell’inadeguatezza dell’idea e della figurazione.
L’arte bella della grecità si associa a una spiritualità concreta, libera ma non
assoluta. L’arte esplica una forza di liberazione dalle schiavitù naturalistiche,
non dissimilmente dalla filosofia : l’antropomorfismo, la soggezione servile,
l’idolatria. Hegel qui per la prima volta compiutamente teorizza il passare
dell’arte in filosofia, la sua morte filosofica. Il negativo dell’arte si trasforma in
pensiero.
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Nelle “Lezioni di estetica”, l’arte acquisisce una autonomia sistematica e una
trattazione autonoma. Anche qui, Formaggio individua i temi riguardanti il
processo di morte dialettica dell’arte, all’interno di una teorizzazione e
classificazione generale. Il tema emerge in due caratteristiche del trattato : il
morire dialettico dell’arte nel trapasso storico da una forma d’arte a un’altra; e,
all’interno dei paragrafi sulla dissoluzione della forma d’arte romantica, in quei
passaggi che descrivono il mutare dell’essenza dell’arte, il suo perdere di unità,
l’insinuarsi di un momento speculativo che contribuisce a distruggere quelle
forme che sembravano determinarne la specificità.
Rispetto a Schelling, per cui l’arte è la più alta forma dello spirito, per Hegel
l’arte è subordinata alla finalità dominante della verità e del pensiero.
Nell’epoca di Hegel, “l’arte è e rimane per noi, vista nella sua destinazione
suprema, un passato”. L’ideale di arte come totalità che intenzionalizzava l’arte
greca è ormai definitivamente tramontato, anche nel residuo che ne serbava
l’era cristiana. Infatti è in atto un processo per cui il pensiero tende a staccarsi
dalla sensibilità. L’arte classica diventa per noi oggetto di rappresentazione
distaccata, non possiamo più partecipare in prima persona della sua ingenua
adesione alla realtà. Questo perché l’arte si dissolve in pensiero; è in atto un
processo di dissoluzione-inveramento del sapere immediato in sapere mediato
e scientifico, della vita in giudizio. Nell’arte le forme, da organiche e viventi
diventano meri oggetti di rappresentazione. Qui Hegel riconosce esplicitamente
il suo debito con le tematiche romantiche e, in particolare, schilleriane.
Formaggio sottolinea poi quei passi in cui la vera causa della morte dell’arte
bella è individuata nel prevalere dell’utilitarismo legalitaristico borghese e dei
suoi meschini interessi sulla disinteressata libertà della gioia artistica. Il potere
triste del concetto indurito, del conformismo legalitario e della regola generale
uccide la spontaneità della vita nel suo traboccare creativo al di là delle norme.
Ma qui bisogna precisare che Formaggio, saltando alcuni passaggi, collega
direttamente la fine dell’arte classica con l’avvento di un’arte già postromantica
e del nuovo ordine borghese. Giova allora ricordare che per Hegel nell’arte
pagana l’assoluto si risolve nell’immanenza della realtà rappresentata; poi,
nell’arte cristiana la verità è posta in una trascendenza al di là del reale
apparente: l’arte decade a verità inferiore, inizia già il processo di scissione tra
rappresentazione e realtà.
Bisogna dire che qui Formaggio inizia a ribaltare marxisticamente la dialettica
hegeliana. Si veda infatti la descrizione del reciproco condizionarsi e riflettersi
della società nel pensiero (la legalità astratta nell’astrazione dei concetti) e del
pensiero nella società : il passaggio della rappresentazione artistica
dall’oggettivo al soggettivo è interpretato più come un fenomeno sociale che
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non come una dinamica interna allo spirito.
L’utilitarismo particolaristico e il conformismo legalitario dissolvono l’ideale
cavalleresco dell’uomo e il rapporto più armonico con l’arte che allora esisteva.
Ma qui è l’ordine borghese, per Formaggio, che determina questa
contrapposizione, non il movimento dello Spirito.
Formaggio parla di “oggettività cosale degli ordini borghesi” che svuotano di
senso gli ideali e riducono l’individuo da rappresentazione totale e vivente
dell’ordine sociale a puro “membro” inquadrato, a malinconico non ingranaggio
persuaso e non persuaso ingranaggio della legalità esterna. Perciò, l’età
contemporanea è vista da Hegel come generalmente non favorevole all’arte.
Ma, precisa Formaggio, è soprattutto l’arte come conoscenza del divino che è
passata. Ciò che muore è solo un modo dell’arte : l’ingenuità religiosa
dell’antica arte.
Le simpatie della cultura hegeliana vanno all’arte classica, ma non ne è
inficiata l’evoluzione artistica. Muore il valore universale e di orientamento
ideale per la società dell’arte, che non è cosa da nulla. Nasce un’arte più
indiretta, più comprensibile attraverso la riflessione che attraverso la
sensibilità. La nostalgia romantica dell’arte classica è inglobata nel sistema,
diventando momento della dialettica delle forme artistiche, della loro
dissoluzione-inveramento. E’ riferita da un lato al momento dialettico della
dissoluzione dell’arte classica, dall’altro al terminare della forma d’arte
romantica. Ma, sullo scorcio della sua fine, essa raggiunge la massima
autoconsapevolezza.
Formaggio passa quindi ad esaminare più in profondità la struttura teoretica
delle “Lezioni di estetica”. Afferma innanzitutto che quella hegeliana è
un’estetica del contenuto, il quale si identifica con l’Idea nel suo cercarsi
storico; esso si pone in tensione verso la forma, generandola e bloccando
storicamente un determinato contenuto con una determinata forma. Ma la
costituzione e dissoluzione delle varie forme artistiche è generata dal moto del
contenuto. Nel momento simbolico il contenuto è naturalistico, le forme sono
gli oggetti naturali e le persone; nel momento classico il contenuto è
l’individualità spirituale, la forma è l’attuale presenza umana, ma dominata da
un destino necessario; nel momento romantico il contenuto è la spiritualità
soggettiva, che si esplicita nella rappresentazione dell’interiorità, che però ha
forma sempre accidentale. Nel momento in cui la forma dà segni di crisi, inizia
a trasformarsi fino al punto in cui anche il contenuto dovrà trasmutarsi. Sorge
così una nuova forma d’arte, dalla dissoluzione della precedente. Formaggio
individua l’elemento che catalizza la dissoluzione nella “casualità”
(Zufalligkeit); si tratta dell’irrompere nella rappresentazione di elementi che
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risultano estranei all’equilibrio complessivo, e che conducono a una rottura
della forma precedentemente conchiusa. Tale fenomeno si è, a mio parere,
fatto macroscopico nell’arte contemporanea. Un oggetto estraneo si impone
all’attenzione dell’artista e questi, nel tentativo più o meno cosciente di
inserirlo, finisce col determinare una nuova forma.
L’arte si dissolve per reinverarsi in una nuova forma, finiscono invece le singole
forme storiche, come si vede dai paragrafi “La fine della forma d’arte classica”
e “La fine della forma d’arte romantica”. Si tratta di un momento particolare
della dialettica del procedere dello spirito.
Con la dissoluzione dell’arte romantica, la casualità tende a prevalere su tutto
il campo; un mondo di oggetti si sostituisce al mondo dell’eticità e del divino,
che era più direzionato, finalizzato. La prosa della nuova realtà prende il posto
della grande poesia. Sulla scena irrompono nuove masse plebee e sconsacrate.
L’elemento di casualità agisce sia nella coscienza che nella rappresentazione
artistica, minandone la necessità interna.
Ma il processo di dissoluzione era cominciato molto prima. La prima importante
dissoluzione era stata quella dell’arte classica : la morte degli dei greci e la
nascita della soggettività artistica. Già qui si ha un travaglio che porterà alla
prima forma dell’arte romantica : l’arte cristiana, in cui alla totalità dell’arte e
dell’universo greco si sostituisce, attraverso la rivelazione, la trascendenza
cristiana. Secondo la periodizzazione hegeliana, si è allora già verificata una
prima scissione nell’arte : come rappresentazione del sensibile, non può
pienamente cogliere la verità, che la trascende. L’arte diventa allora immagine
imperfetta e comincia a volgersi verso un punto di vista più soggettivo, meno
legato all’”obiettività” di una piena esplicazione del reale nel sensibile. L’arte, in
realtà, qui ha già perso in buona parte il suo rapporto privilegiato con il divino.
Ho voluto fare questa precisazione perché mi sembrava eccessivo collegare
direttamente la fine dell’arte “ingenua” greca con il soggettivismo
postromantico. Formaggio forse dialettizza due realtà non così direttamente
connesse. Enfatizza un contrasto tra tempi antichi e tempi moderni. Ma
comunque, cerca poi le radici della crisi della forma d’arte romantica nell’ironia
ariostesca e cervantesca. Ne individua l’evoluzione nel nascere di un’arte
borghese, più individualistica, il teatro shakespeariano, con i suoi violenti
accostamenti e l’unificazione di problematiche “alte” e “basse”. Qui la
“Zufalligkeit” si manifesta in parte in episodi di contorno a un fatto più
importante, in parte in vicende più popolari, prosaiche, che si inseriscono nella
narrazione come nuclei totalmente separati. La vita quotidiana assurge così a
protagonista non nel suo legame con l’eticità e il divino, ma nella sua prosaicità
e frammentarietà.
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