che per quasi venti anni ha generato il numero di rifugiati più elevato del
Mondo.
Le guerre combattute in sequenza negli ultimi decenni in questa regione,
hanno prodotto come effetto collaterale, più di sei milioni di rifugiati afghani,
per certi versi anche prevedibile, ma paradossalmente sottovalutato dagli Stati
e dalle Organizzazioni internazionali. Il mio interesse per l’oggetto di questa
tesi, nasce proprio dalla volontà di approfondire un aspetto della tormentata
storia dell’Afghanistan che troppo spesso, ed in maniera colpevole, non ha
ricevuto la dovuta considerazione.
Le vicende della diaspora del popolo afghano seguono l’andamento
altalenante della storia di questo paese. Nel pieno delle guerre che hanno
devastato l’Afghanistan, i rifugiati hanno ricevuto il sostegno e la solidarietà
della comunità internazionale e di alcuni specifici donors, quando invece si
sono spenti i riflettori sui conflitti, l’assistenza economica e logistica ai
rifugiati è tornata a gravare esclusivamente sull’Alto Commissario delle
Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e su poche Organizzazioni non
Governative di carattere umanitario. Questa tendenza si è manifestata per ben
due volte. Dopo la ritirata dei sovietici, l’appoggio finanziario destinato ai
governi pakistano ed iraniano per l’assistenza dei rifugiati afghani è
drasticamente calato;dodici anni dopo, in seguito alla caduta del regime
talebano, gli Stati donatori hanno progressivamente ridotto il budget per
finanziare il programma di rimpatrio volontario dell’UNHCR, mettendo cosi a
serio rischio la stabile reintegrazione di oltre cinque milioni di rifugiati
rimpatriati.
In assenza di specifici testi inerenti alla tematica dei rifugiati afghani, ho
basato la trattazione dell’argomento quasi esclusivamente sulla raccolta
telematica di reports documenti ed articoli, frutto dell’operazione
dell’UNHCR sul campo e della ricerca condotta da alcuni studiosi per conto
dell’organizzazione AREU (Afghan Research and Evaluation Unit).
Le principali difficoltà riscontrate nel reperimento del materiale non sono
dipese dalla sua scarsità, data l’imponente mole di documenti disponibili
6
sull’argomento, quanto piuttosto dalla necessaria selezione delle fonti più
attendibili e aggiornate.
La tesi è strutturata in cinque capitoli, divisi in due parti, nella prima ho
cercato di ricostruire le tappe principali della storia recente dell’Afghanistan e
di ripercorrere il processo che ha portato alla nascita ed allo sviluppo
dell’organo delle Nazioni Unite a tutela dei rifugiati (l’UNHCR); nella
seconda ho invece cercato di trattare in maniera dettagliata il fenomeno della
diaspora del popolo afghano e l’attività dell’UNHCR in favore dei rifugiati e
degli sfollati interni.
Il primo capitolo si apre con una breve descrizione delle caratteristiche
geografiche dell’Afghanistan, un paese aspro ed inaccessibile, ma che sin dai
tempi di Alessandro Magno, ha rappresentato un crocevia fondamentale per
accedere al cuore del continente asiatico. Le sue risorse naturali, idriche e
forestali risultano oggi gravemente danneggiate da più di trenta anni di
conflitti, che hanno deturpato alcune zone a tal punto da renderle invivibili per
la popolazione del luogo. Alla conformazione territoriale si deve anche la
nascita e il perpetuarsi di un mosaico etno-linguistico composto da
popolazioni divise da tradizioni e culture profondamente diverse, strenuamente
difese grazie a una diffusa struttura tribale, le cui rigide tradizioni hanno però
condizionato il processo di sviluppo sociale e di ammodernamento del sistema
politico.
L’Afghanistan rimane uno dei paesi più sottosviluppati del Mondo, la sua
economia è gravemente compromessa dalla presenza di bande criminali e dei
signori della guerra, che con il redditizio mercato della droga, impediscono la
nascita di attività economiche alternative. Nel 2008 più dell’80% dell’oppio
mondiale è stato prodotto in Afghanistan. Il capitolo si chiude con la
trattazione di uno degli aspetti che da sempre ha svolto un ruolo primario nella
vita sociale del popolo afghano, ovvero l’Islam, considerato l’unico fattore di
unità, ma anche fonte dei recenti integralismi.
Nel secondo capitolo ho fatto un excursus degli ultimi trenta anni di storia
dell’Afghanistan. I vari conflitti, che quasi ininterrottamente si susseguono dal
1980, possono far pensare che la guerra sia diventata una prassi della storia di
7
questo paese. Ho cercato di soffermarmi con particolare attenzione ai periodi
nei quali si sono generate le due maggiori ondate di profughi, ovvero durante
l’invasione sovietica e nella fase finale del regime talebano. Il processo di pace
iniziato a Bonn alla fine del 2001, aveva inizialmente suscitato l’ottimismo
della comunità internazionale e le speranze del popolo afghano, tristemente
deluse dalla nuova escalation di violenza promossa dai talebani a partire dal
2006, con dei risvolti drammatici sulla popolazione civile.
Ho ritenuto opportuno dedicare un parte del lavoro, il terzo capitolo, alla
nascita ed al funzionamento dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i
Rifugiati; organo che nell’ambito del sistema internazionale, svolge un ruolo
essenziale nell’assistenza e nella protezione di tutti i rifugiati del Mondo. Le
Global Consultations e l’Agenda for Protection sono i documenti sui quali si
basa l’attività concreta dell’UNHCR in favore di tutti i soggetti (rifugiati e
sfollati) che ricadono sotto la sua protezione.
La seconda parte del lavoro si apre con il quarto capitolo, nel quale viene
trattato specificamente il fenomeno della diaspora del popolo afghano, a
partire dal 1979, diede vita ad un esodo di immani proporzioni verso i paesi
confinanti Pakistan e Iran, in seguito al quale l’Afghanistan guadagnò il triste
primato, mantenuto per oltre venti anni, del paese con la più numerosa
popolazione rifugiata al Mondo. Le modalità attraverso le quali i rifugiati
afghani si sono stabiliti nei paesi ospiti sono state differenti, per questo motivo
ho deciso di trattare in maniera separata i profughi in Pakistan ed in Iran.
In Pakistan i rifugiati, prevalentemente di etnia pashtun, si sono stabiliti
nelle province di confine con l’Afghanistan, ricevendo l’iniziale calorosa
accoglienza della popolazione locale, soprattutto per ragioni di affinità
culturale ed etnica, oltre che per i legami sociali consolidati da secoli. Per le
stesse ragioni in Iran la maggior parte dei rifugiati era di etnia hazara, essi si
stabilirono quasi totalmente nelle principali città della Repubblica Islamica,
diversamente dai profughi in Pakistan, che inizialmente affollarono le
centinaia di campi profughi disseminati al confine. Dopo più di un decennio,
entrambe le popolazioni di rifugiati hanno dovuto subire la progressiva ostilità
8
dei governi di Islamabad e Teheran, che si è tradotta in arresti e deportazioni
di massa.
All’interno della diaspora del popolo afghano vanno sicuramente inclusi gli
sfollati interni, costretti a lasciare le proprie case senza però poter fuggire
dall’Afghanistan. Molti dei cosiddetti IDP erano in precedenza dei rifugiati,
che una volta rimpatriati non riuscendo a tornare nei luoghi d’origine, sono
andati a popolare i campi profughi alla periferie di Kabul e delle altre
principali città del paese. Si calcola che ancora oggi gli sfollati in Afghanistan
superino le 250.000 unità. Nei due paragrafi conclusivi viene descritta la
struttura e la dura vita dei rifugiati nei campi profughi, infine ho raccolto
alcune drammatiche testimonianze di rifugiati, in particolar modo delle
categorie più vulnerabili, ovvero le donne.
Nel quinto capitolo ho trattato la controversa tematica del rimpatrio dei
rifugiati afghani, iniziato nel 2002 con il lancio del Voluntary Repatriation
Programm, da parte dell’UNHCR, il cui successo iniziale è andato altre le più
rosee previsioni. Il numero dei rimpatri è però progressivamente diminuito
negli anni successivi, a causa dei mancati progressi della situazione economica
e di sicurezza dell’Afghanistan. I numerosi progetti promossi dall’UNHCR e
dalle ONGs, finalizzati a garantire una stabile e duratura reintegrazione di
rifugiati rimpatriati, non hanno purtroppo raggiunto i risultati attesi. Le cause
non sono da ricercare solamente nelle difficoltà d’accesso del personale
umanitario nelle zone di conflitto e nelle limitate capacità d’assorbimento
della fragile economia dell’Afghanistan, ma anche nella scarsa copertura
finanziaria che gli Stati donatori hanno concesso per l’attuazione dei
programmi stessi.
Le problematiche sorte in merito alla reintegrazione dei rifugiati rimpatriati,
hanno prodotto una seria riflessione da parte dell’UNHCR e delle Agenzie
umanitarie, sull’opportunità di proseguire, in futuro, con il rimpatrio degli
oltre tre milioni di rifugiati che sono nati in Pakistan ed Iran o che vivono in
questi paesi da oltre venti anni. Alcuni studiosi ed esperti del fenomeno delle
migrazioni hanno suggerito soluzioni alternative al rimpatrio in pianta stabile
9
dei rifugiati, che negli anni passati hanno deciso di emigrare non solo per
sfuggire alla guerra, ma anche per motivi economici.
Data la tradizionale tendenza alla mobilità del popolo afghano, associata ad
una sempre più sottile distinzione tra le categorie di rifugiati e migranti
economici, le migrazioni stagionali di numerose comunità, possono essere
interpretate come una valida strategia di sopravvivenza dai risvolti positivi,
non solo per le sempre più numerose famiglie che l’adottano, ma anche per
l’Afghanistan stesso.
La facilitazione delle migrazioni, da e verso l’Afghanistan, possono dunque
costituire uno stimolo per il processo di ricostruzione del paese. Il futuro
dell’Afghanistan e dei suoi profughi continuerà comunque a dipendere dalla
necessità di un maggior impegno non solo militare, ma anche economico ed
umanitario da parte di tutti i governi e le Organizzazioni internazionali
impegnate sul campo.
10
I rifugiati afghani: un popolo in fuga
tra esodo e rimpatrio
Prima parte: L’Afghanistan e la sua storia
Capitolo 1
L’Afghanistan: un Paese multietnico nel cuore
dell’Asia.
1.1 Geografia e caratteristiche del territorio
Tra i vecchi saggi mujahed afgani è diffusa un’antica leggenda, su come Dio
abbia creato l’Afghanistan: “Dopo che Allah ebbe creato il resto del mondo,
vide che era avanzato materiale di scarto che non si adattava a nessun luogo.
Raccolse questi scarti e li gettò sulla terra. Quello fu l’Afghanistan”.
1
Tale leggenda in realtà, poco si adatta ad una descrizione obiettiva di un
Paese posto nel cuore dell’Asia, che sin dai tempi più remoti è stato
attraversato (più che visitato) da tanti viaggiatori provenienti dall’Occidente
europeo, che spesso, nelle loro opere e testimonianze, hanno esaltato gli
splendidi paesaggi aspri e selvaggi.
Questo Paese rappresenta il crocevia tra l’area mediterranea dell’Asia
centrale e quella iraniana del subcontinente indiano; nonostante la scarsità
delle risorse naturali, la mancanza di sbocchi sul mare e con un’economia
rurale di sussistenza, esso è stato da sempre considerato un luogo di
1
Ahmed Rashid, Taliban: Islam, Oil and the New Great Game in Central Asia, I.B. Tauris,
Londra, 2002, pag 7.
11
fondamentale importanza geostrategica dalle grandi potenze. Nell’Ottocento,
infatti, è stato oggetto delle mire espansionistiche di Russia e Gran Bretagna
divenendo uno stato cuscinetto tra i due imperi coloniali.
Durante la fase cruciale della guerra fredda, tra le due superpotenze
americana e sovietica, è stato terreno di scontro dell’ultima guerra per procura
del Mondo bipolare coinvolgendo anche altri attori regionali quali Pakistan
Iran ed Arabia Saudita. Dopo il crollo dell’Urss, grazie alla scoperta di ingenti
giacimenti petroliferi e di gas nell’area del Mar Caspio, ha assunto una grande
ed inaspettata importanza per le compagnie petrolifere e per i loro governi
quale potenziale rotta per il transito degli idrocarburi centro-asiatici.
Dopo gli attentati dell’11 Settembre, l’Afghanistan dei Talebani è stato il
primo obiettivo della lotta al terrorismo promossa con vigore
dell’amministrazione americana di Bush e sostenuta inizialmente dalla quasi
totalità della comunità Internazionale, finalizzata ad esportare con la forza la
democrazia nei cosiddetti “Stati canaglia”
2
Proprio questi avvenimenti, che
hanno caratterizzato gli ultimi due secoli di storia, sono un esempio di come la
geografia concorra a determinare la storia e la politica di un Paese.
L’Afghanistan, che dal 2004 è ufficialmente una Repubblica Islamica, è
privo di sbocco sul mare, caratterizzato da rilievi innevati, pianure
pedemontane, zone steppiche e aree subdesertiche. Confina a nord con il
Turkmenistan, l’Uzbekistan e il Tagikistan, a nord-est con la Cina, a sud-est
con il Pakistan e a ovest con l’Iran. La superficie totale ammonta a circa
650.000 km2, con una netta prevalenza di territorio montuoso che domina i tre
quarti del Paese. Secondo Louis Doupree, autore di una delle opere più
complete ed accurate sull’Afghanistan
3
, le montagne presenti sul territorio,
seppur imponenti e senza dubbio impervie, non hanno mai rappresentato
realmente delle barriere alla penetrazione politica, economica o culturale, ma
hanno semplicemente canalizzato genti e idee attraverso determinati percorsi.
Nel centro del Paese domina l’imponente sistema montuoso dell’Hindukush
che raggiunge a nord-est vette di circa 7000 m. All’estremo nord-orientale si
2
Elisa Giunchi, Afghanistan storia e società nel cuore dell’Asia, Carocci Roma 2007
3
Louis Dupree, Afghanistan, Princeton, N.J., Stati Uniti, 1973, pag 2.
12
ergono i monti del Pamir, le cui valli innevate ospitano vari gruppi etnici
contraddistinti da una propria storia e da usi e costumi diversi.
A nord dell’Hindukush si stende la steppa dell’Asia Centrale, mentre
nell’Afghanistan occidentale e meridionale si trova la regione piatta, nuda e
arida denominata dalle popolazioni locali “Registan”, un deserto dunoso che
ospita numerose tribù nomadi e che rappresenta il margine orientale
dell’altopiano iranico. Le caratteristiche di questo territorio non hanno favorito
la formazione di uno Stato forte e centralizzato.
Il sistema idrografico afghano è caratterizzato dalla prevalenza di bacini
endoreici. Il fiume principale è l’Amudarja, anticamente denominato Oxus,
che nasce sui monti del Pamir, corre lungo gran parte del confine
settentrionale dell’Afghanistan e attraversa vaste aree dell’Asia Centrale.
Meno di 20 anni fa tale fiume scorreva per 1200 km prima di sfociare nel lago
d’Aral; oggi si prosciuga prima di raggiungere la foce a causa di un’eccessiva
estrazione delle acque destinate alla produzione idroelettrica e di cotone nelle
contigue Repubbliche centroasiatiche
4
.
L’Helmand è il fiume più lungo tra quelli che scorrono interamente sul
territorio; alimentato da piogge e nevi del versante meridionale
dell’Hindukush, questo corso d’acqua termina nelle paludi e nei laghi del
bacino del Sistan dove è situato il 13 % circa delle aree irrigate del Paese.
Negli ultimi anni l’Helmand è stato vittima di un progressivo prosciugamento
causato dal sovrasfruttamento agricolo al punto che, già nel 2001, le sue acque
non riuscivano più a raggiungere il bacino del Sistan. Il fiume Kabul bagna
circa il 9% del territorio che circonda la capitale per poi confluire nel fiume
Indo in Pakistan.
Eccezion fatta per l’Amudarja, alimentato dai corsi d’acqua presenti nei
Paesi a nord dell’Afghanistan, la maggior parte dei fiumi riceve acque piovane
o derivate dallo scioglimento stagionale delle nevi e dei ghiacciai perenni. Per
tale ragione la loro portata può variare da massima in primavera a minima,
4
Legambiente (a cura di Massimiliano Piro), Fiumi contesi, fiumi all'asciutto/Asia, aggiornato al
2008. Sito internet www.legambiente.com.
13
pressoché inesistente, in estate. In caso di precipitazioni abbondanti in
primavera si possono verificare esondazioni.
L’importanza che i laghi rivestono in termini di rifornimento idrico e di
habitat per specie rare è strettamente legata alla loro scarsità. I laghi
permanenti più importanti si trovano nel Band-e-Amir, negli altopiani centrali
e ad altitudini elevate nel Wakan Corridor.
In un quadro contraddistinto dalla scarsità e irregolarità delle
precipitazioni nonché dalla presenza di vaste aree subdesertiche, i corsi
d’acqua e le estensioni palustri acquistano un’importanza cruciale nel
rifornimento di acqua potabile e nel settore dell’agricoltura. Il problema
dell’Afghanistan non risiede tanto nella scarsità di acqua quanto piuttosto nella
gestione delle riserve acquifere.
Sebbene alcune stime evidenzino un utilizzo limitato delle potenziali risorse
idriche del Paese, le differenze a livello regionale nella distribuzione, l’uso
inadeguato e la dispersione delle acque indicano che gran parte
dell’Afghanistan è colpita da deficit idrico. Le foreste e le aree boscose hanno
un valore immenso in un territorio prevalentemente arido: forniscono legna da
ardere e legname, piante officinali e,nelle regioni centrali e settentrionali, i
boschi di pistacchio e mandorlo producono frutti destinati sia all’esportazione
sia a un consumo interno.
Oltre al valore commerciale nel settore delle esportazioni, è importante
ricordare anche il ruolo di tali ecosistemi nella protezione da inondazioni, nel
controllo dell’erosione geomorfologia e nella conservazione ambientale. Il
clima dell’Afghanistan è di tipo continentale arido e semi-arido,caratterizzato
da marcate escursioni termiche sia diurne sia stagionali
5
Durante il giorno le temperature possono oscillare da 0oC al mattino a
38oC a mezzogiorno, mentre temperature estive di 49oC registrate nelle valli
del nord raggiungono medie invernali di 9,4oC a quota 2000 m sui monti
dell’Hindukush
Le precipitazioni sono scarse eccezion fatta sui rilievi elevati: le piogge
raggiungono in media i 300 mm annui e sono più frequenti nei mesi compresi
5
United Nation Environment Programme, “Afghanistan: Post-Conflict Environmental
Assessment”, Svizzera, 2003, pp. 22-24. Sito internet www.unep.org.
14
tra ottobre e aprile. I valori massimi (lievemente superiori ai 500 mm) si
rilevano nel Nuristan mentre precipitazioni molto scarse (150-200 mm) si
registrano nella depressione di Jalalabad
1.2 Le principali città
Le quattro città strategicamente più importanti del Paese formano un quadrato
che incornicia la catena montuosa dell’Hindukush. Alle pendici meridionali si
trova Kabul, capitale dell’Afghanistan, situata su un altopiano a 1797 m, al
punto d’incontro tra importanti vie di comunicazione stradali nell’area
orientale del Paese. Nota sin dai tempi remoti quale fiorente centro
commerciale, tale città vantava una lunga tradizione d’artigianato ed era
rinomata per le attività di trasformazione di materie prime.
La guerra civile, l’avvento dei Talebani e i bombardamenti anglo-
statunitensi hanno però semidistrutto la capitale che si presenta oggi come una
città completamente da ricostruire. Ad ovest si trova Herat, che fino al XV
secolo rappresentava un importante centro commerciale e artistico. Il lento
processo di desertificazione nei secoli ha reso questa città, una volta
circondata dal verde, un’arida landa disseminata di mine lasciate dai Sovietici
e dai Mujaheddin. A sud è situata Kandahar, la seconda città dell’Afghanistan
che, oltre a rappresentare il centro religioso più importante del Paese, funge da
importante via di comunicazione con il Pakistan
6
.
Nel centro-nord si trova Mazar-i-Sharif, capoluogo della provincia di
Balkh, considerata la più importante città dell’Afghanistan settentrionale e di
fondamentale importanza strategica per i collegamenti con l’Uzbekistan,
ospita la Moschea del Profeta Alì (o Moschea Blu) sacra ai Musulmani perché
edificata sulla presunta tomba del califfo Alì, genero di Maometto. Poco più ad
occidente è collocata la città di Balkh, soprannominata dai Greci “la madre
delle città”, contraddistinta da un antico splendore che per almeno duemila
anni le permise di dominare l’intera regione: oggi si è purtroppo trasformata in
un piccolo villaggio circondato da antiche rovine.
6
Sito internet www.repubblica.it.
15
1.3 Il mosaico etnico-culturale afghano
La componente etnico-tribale molto variegata riveste per l’Afghanistan
un’importanza fondamentale. Le gerarchie tra clan e le rivalità tra le varie
tribù hanno spesso avuto una priorità ed una maggiore legittimità rispetto alle
istituzioni e agli organi del potere centrale. Alcuni gruppi etnici ( come i
pashtun e i beluci) sono strutturati in tribù, caratterizzate dalla discendenza
maschile da un antenato comune e da forme di organizzazione sociale di tipo
concentrico e tendenzialmente egualitario. Ognuna delle tribù è costituita da
un khan (capo) che emerge grazie alla capacità di procurarsi e distribuire
risorse, alle sue competenze oratorie ed alle doti di saggezza che emergono
nelle assemblee di clan chiamate Jirga nonché durante le battaglie.
Tali qualità sono continuamente sottoposte a verifica, pertanto ogni capo
necessita di una legittimazione e di un consenso continuo. Le tribù al loro
interno sono molto eterogenee, infatti tra le varie famiglie che le compongono,
si creano e si disfano alleanze con estrema facilità. I conflitti riguardano
soprattutto l’uso e la proprietà della terra ma anche la gestione del potere e le
questioni inerenti all’onore. Quest’ultimo valore è molto importante all’interno
delle varie tribù, poiché tramite esso si misura il prestigio di ciascun quaum.
L’onore risiede nella capacità di proteggere rispettivamente quelle che sono
considerate le proprietà fondamentali cioè zan(donne) zar(oro) e zamin(terra)
ed è legato principalmente al comportamento femminile, cioè alla castità delle
nubili ,alla fedeltà delle coniugate, alla loro obbedienza a padri e mariti ed alla
loro modestia negli atteggiamenti. Tale concezione dell’onore si è spesso
tradotta in continue discriminazioni e violenze nei confronti delle donne che
non sono mai state perseguite in maniera decisa ne dalle autorità religiose ne
dal potere politico. La condizione di inferiorità e di subordinazione della
donna non è dunque necessariamente legata ai Taliban, ma è insita nella
tradizione tribale propria del popolo afgano.
I processi decisionali ,nel corso della storia dell’Afghanistan , si sono
sempre concretizzati all’interno delle assemblee ( denominate Jirga), in cui
16
sono presenti i rappresentanti di tutte le etnie che si sono dunque sostituite
agli organi giuridico-amministrativi normalmente presenti in qualsiasi Stato.
Questo peculiare aspetto della tradizione afgana ha assunto,nelle maggior
parte dei casi dei connotati negativi, perché proprio la frammentazione etnica e
i conseguenti interessi privatistici tra le varie tribù hanno inesorabilmente
ostacolato la modernizzazione politica, economica e sociale del Paese che ha
dunque accumulato un notevole ritardo rispetto agli altri Stati dell’area centro
asiatica.
I tentativi dello Stato di espandersi a discapito delle tribù si sono sempre
infranti di fronte alle esigenze ed alle peculiarità delle varie componenti
etniche, restie a rinunciare agli ampi spazi di autonomia di cui godono
tradizionalmente. Si potrebbe dire che la storia afgana si gioca sulla dialettica
tra mondo tribale e rurale,luogo della tradizione, e Kabul luogo
dell’innovazione.
7
Le divisioni etniche possono dunque essere considerate una delle cause
primarie della debolezza ,sia passata che attuale, dello Stato afgano e spiegano
come ancora oggi la gestione del potere subisca delle continue spinte
centrifughe. L’Afghanistan non è dunque mai stato uno Stato nazionale nel
senso proprio del termine, ma piuttosto una confederazione tribale e
multietnica in precario ed instabile equilibrio.
8
All’interno delle dinamiche multietniche si può tuttavia riscontrare un
aspetto positivo che ha caratterizzato la storia dell’Afghanistan e che ha fatto
una nazione che nel corso dei secoli non si è mai piegata ai numerosi tentativi
di invasione di potenze straniere. La solidarietà etnico-tribale si è sempre
manifestata in senso aggregativo nel fatto di essere tutti d’accordo che niente e
nessuno possa interferire nelle dispute interne al Paese, all’occorrenza le varie
etnie si sono sempre coalizzate per estromettere qualsiasi usurpatore
proveniente dall’esterno dando la parvenza di una spiccata identità nazionale.
Il popolo afgano è considerato uno tra i più fieri e orgogliosi, disposto ad
una strenua resistenza all’invasore straniero, tuttavia questo unico aspetto di
7
Olivier Roy L’Afghanistan, L’Islam e la sua modernità politica. Egig Genova 1986, pag 73
8
Massimo Armellini,”La posta in gioco è il controllo dello Heartland” Limes, rivista italiana di
geopolitica supplemento al numero 4/2001, ottobre 2002 pag 44, .
17
coesione non è sufficiente per determinare un senso di unità nazionale stabile
ed allargato a tutte le sue componenti. Oggi su una popolazione di circa 22
milioni di abitanti, si stima che vivano in Afghanistan circa 50 gruppi etnici e
che si parlino circa 30 lingue, di cui due, appartenenti al ceppo linguistico
indoeuropeo,sono prevalenti: il dari e il pashto
9
. Nel 1936 il pashto,
appartenente al ramo orientale delle lingue iraniche della famiglia
indoeuropea, divenne la lingua ufficiale dell’Afghanistan, insegnata
obbligatoriamente nelle scuole. Il Dari, lingua del ceppo iranico, rappresenta
una varietà del persiano moderno.
È questa la lingua utilizzata nella comunicazione tra interlocutori di diverse
regioni dell’Afghanistan, come lingua letteraria e culturale, negli affari e negli
atti governativi
10
I Pashtun costituiscono il gruppo etnico predominante in
termini numerici (42% dell’intera popolazione afgana) e di potere politico; le
loro comunità sono stanziate nelle aree sud-orientali e in quelle di confine con
il Pakistan e si dividono in tre gruppi principali: i Durrani (noti nella prima
metà del settecento come abdali), nel sud-ovest tra Herat e Kandahar, i
Ghilzai, situati principalmente tra Kandahar e Ghazni nel sud-est,e i Pashtun
dell’est, lungo la frontiera con il Pakistan, tra Baiaur e il Waziristan.
I primi due furono ferocemente rivali e si scontrarono per il controllo di
Kandahar, la “capitale spirituale” dell’Afghanistan, nel XVII secolo.
Dopodichè il potere centrale è sempre stato nelle mani dei Durrani fino
all’intervento dell’Armata rossa. I Ghilzai ottennero la rivincita nei confronti
dei Durrani solo il 27 aprile del 1978 con il colpo di stato comunista di
Mohammed Taraki. Quest’ultimo era un Pasthun Ghilzay della tribù Taraki,
che fu a sua volta deposto, l’anno seguente da un altro Ghilzay filo sovietico,
Hafizullah Amin. Infine, nel dicembre del 1979, scattò l’invasione sovietica,
che insediò a Kabul Babrak Karmal, anche lui appartenente ai Ghilzay.
I Pashtun dell’Afghanistan, condividono lingua, costumi e consuetudini
tribali con i circa 17 milioni di pashtun che vivono in Pakistan dove sono una
minoranza, (circa il 13%) e vengono emarginati dai centri del potere. Proprio
questi Pashtun “pakistani” si sono spesso mescolati all’interno dei campi
9
Elisa Giunchi, op cit. pp. 18-19
10
www.afghana.com.
18