4
immediatamente diverso e per molti aspetti contrastante, ha mostrato,
contemporaneamente, reciproche influenze capaci di instaurare un
dialogo costante e complesso.
Nello studio della ritrattistica in pittura, fondamentali per una
ricognizione generale sulla storia della fisiognomica, sono stati i testi
di Flavio Caroli “Storia della fisiognomica, arte e psicologia da
Leonardo a Freud” e il catalogo di una mostra, da lui curata, dal titolo
“L’anima e il volto. Ritratto e fisiognomica da Leonardo a Bacon”, nel
quale, oltre a suoi saggi, sono contenuti studi di vari autori che
affrontano il tema del ritratto dalle origini dell’arte fino alla grande
rivoluzione della psicanalisi di Freud, fino, cioè, alla scoperta di un
“volto” interiore che solo l’artista riesce a catturare. Oltre a questi
studi e ad altri, come anche quelli di Gombrich, indispensabili per una
visione d’insieme di un problema ampio e in costante mutazione, un
suggerimento, ancora una volta casuale e inatteso, è venuto ancora
dalle pagine del libro di Pericoli. Egli, infatti, ad un certo punto cita
una frase del filosofo francese Jean-Luc Nancy, illuminante circa la
finalità specifica di un ritratto pittorico rispetto a quello fotografico:
<< La somiglianza fedele consiste proprio nel mostrare un’altra cosa
rispetto alla corrispondenza dei tratti >>
1
. Da questa frase alla ricerca
e alla lettura del saggio di Nancy “Il ritratto e il suo sguardo”, il passo
è stato breve ed indispensabile, poiché in questo testo il ritratto
pittorico è analizzato non solo nei suoi elementi o nel rapporto che
intrattiene con la realtà, bensì viene indagato come oggetto che nello
sguardo trova la sua essenza di auto esposizione, di eterna esposizione
1
Jean-Luc Nancy citato da Tullio Pericoli in, L’anima del volto, Bompiani, Milano
2005, p. 38.
5
verso lo spettatore, il quale su quella superficie può scorgere tutto ciò
che di sfuggente e misterioso un volto trattiene.
Se per il ritratto pittorico il libro di Nancy è stato un punto di
svolta per un’analisi che si spingesse oltre i parametri puramente
estetici o percettivi, verso un approfondimento che tenesse conto
anche delle implicazioni filosofiche e concettuali che un volto esprime
nel mostrare la propria superficie sulla superficie della tela, per quanto
riguarda l’altra anima del presente studio, ossia quella legata alla
fotografia, l’equivalente teorico può essere individuato nel testo di
Roland Barthes “La camera chiara”. Ancora una volta sono state le
pagine del libro di Tullio Pericoli a suggerire la lettura di questo testo,
infatti, in più punti l’artista si confronta con il testo dell’autore
francese, soprattutto quando si trova a dover parlare del proprio
rapporto tra pittura ed istantanea, mettendo a confronto il ritratto
pittorico con quello fotografico, non per sottolinearne una maggiore o
minore artisticità, ma per evidenziare le specificità di ognuna delle
due. In special modo, ciò che interessa a Pericoli del libro di Barthes,
è il concetto di morte legato all’istantanea, all’immagine bloccata,
ossia quel senso di spazio e tempo “fossilizzati” che, presi
direttamente dal reale, sono per sempre bloccati da uno scatto su un
rettangolo di carta, creando così una dimensione altra rispetto alla
realtà, isolando un’azione avvenuta ma ora priva di sviluppo. Questa
morte dell’istantanea, fa del volto fotografato una posa perenne
perfettamente indagabile, legata al reale dalla memoria, ossia da ciò
che quell’immagine suggerisce di altro rispetto a se stessa. L’interesse
di Pericoli per il mezzo fotografico trova la sua ragione in questo,
6
nella possibilità, partendo da un’istantanea che immortala una
persona, di poter, attraverso il disegno, suggerire ciò che di altro quel
volto ha da dirci e che, allo stesso tempo, mostrandosi senza censure,
in modo innegabile ci dice.
L’influenza della fotografia, tuttavia, non si esaurisce
esclusivamente in una dimensione teorica poiché, infatti, a
conclusione dello studio si è azzardato un paragone tra l’impostazione
dei ritratti di Pericoli (pose dei soggetti, prospettiva) e l’impostazione
dei lavori di due grandi fotografi, Henri Cartier-Bresson e Diane
Arbus. Da questo strano raffronto si può osservare come l’istantanea
non sia per Pericoli soltanto uno spunto, ma interessi la percezione
tutta dello spazio e la struttura interna dell’opera, in una mescolanza di
punti di vista ed elementi che fanno dei suoi volti un qualcosa capace
di vivere due dimensioni differenti nel medesimo istante.
La riflessione sulla ritrattistica di Tullio Pericoli sviluppata da
questo studio, ha sicuramente il suo nucleo centrale nell’analisi del
rapporto tra disegno e foto, ma tuttavia non poteva tacere riguardo agli
inizi dell’artista come vignettista, satirico e, soprattutto, caricaturista.
Si è cercato, infatti, di evidenziare come il ritratto caricato della sua
produzione artistica matura, intrattenga vari elementi in comune con la
caricatura e l’illustrazione, ossia con gli aspetti tipici dei suoi inizi
lavorativi a Milano. Attraverso diversi confronti e parallelismi, si è
visto come si possa parlare di un’evoluzione, o meglio, di
un’amplificazione e di un approfondimento di alcuni aspetti della
caricatura e dell’illustrazione, al fine di creare uno stile ritrattistico
personale e “polifonico”, capace cioè, di racchiudere e fondere
7
elementi e caratteristiche di modalità espressive differenti. Si può così
vedere come alcuni aspetti della caricatura siano presenti, anche se
mutati, negli stessi ritratti di scrittori e intellettuali dagli anni ottanta in
poi; e, allo stesso tempo, notare come la ristrettezza di analisi della
caricatura, sia stata da stimolo all’artista per cercare nella ritrattistica
vera e propria, quella profondità di indagine necessaria alla riuscita di
un’opera il più complessa e varia possibile. Nell’analisi della
caricatura, oltre ai testi di Gombrich e Simmel, concentrati sulle
vicinanze e le differenze tra caricatura e pittura, indispensabile è stata
la lettura del volume “La satira politica in Italia” di Adolfo Chiesa,
importante per delineare la temperie culturale all’interno dell’editoria
italiana che va dagli anni ’50 ai giorni nostri. In questo libro vengono
riassunte le storie delle maggiori testate satiriche italiane e gli artisti
che vi hanno collaborato, mettendone a confronto stili ed intenzioni.
In questo modo si è potuto notare come la coppia Pericoli e Pirella, si
sia sempre posta a lato di correnti o partiti, indirizzando il proprio
lavoro verso lo svelamento delle menzogne e delle incongruenze della
classe dirigente italiana, senza remore o tabù.
Il presente studio, quindi, prende in esame tutta la produzione
ritrattistica di Tullio Pericoli, dagli inizi come caricaturista e
vignettista, al ritratto caricato degli uomini di cultura della maturità,
concentrando l’attenzione su quel particolare rapporto che l’artista
riesce ogni volta ad instaurare con il mezzo fotografico e il suo
linguaggio, creando sempre volti capaci di imporsi come realmente
vibranti proprio esulando dal veristico reale. Si assiste così
all’evoluzione, alla mutazione di uno stile personalissimo che trova
8
nel confronto con l’altro, volto o genere artistico, la sua ragion
d’essere e di completezza, in una tensione che nella leggerezza e
profondità del segno, ha la sua anima.
9
Capitolo I - Vignette, strisce, caricature: Tullio Pericoli
satirico.
1.1
Dai pochi dati biografici che si possono mettere insieme
leggendo quarte di copertina, note conclusive e articoli via internet, di
Tullio Pericoli si riesce a sapere veramente poco, soprattutto su quegli
inizi della carriera oggi oscurati dalla meritata fama di ritrattista,
quegli inizi che lo vedono prima di tutto illustratore e successivamente
satirico vignettista in coppia con Emanuele Pirella. La ricerca, alla
fine, si riduce ad una data certa, il 1961, anno in cui da Colli del
Tronto, suo paese natale vicino Ascoli Piceno, si trasferisce a Milano
per cercare lavoro. Qui inizia la sua carriera di pittore e disegnatore e,
cosa più importante perché gli dà da vivere, di illustratore su testate
quali il “Giorno”, “Linus”, il “Corriere della sera” e “L’Espresso”. Si
arriva così agli anni ’70, decennio che, assieme agli anni ’80, diviene
un ventennio, quasi, di intensa produzione satirica. Oltre a questo
poco altro si sa, dato che nel frattempo Pericoli si afferma come
illustratore e ritrattista, e in quest’ultimo genere trova la sua vera
vocazione e la sua vera poetica. Resta però il problema che senza
conoscere gli inizi della sua produzione artistica, non si può
comprendere perfettamente il suo personale modo di intendere il
ritratto, il volto delle persone, essendo questo quasi una risultante di
certe scelte e ricerche iniziate proprio in quegli anni e venute a
10
compimento alla fine degli anni ’80. Si deve quindi intraprendere una
breve ma attenta lettura di quei decenni che lo vedono protagonista
della rinascita della satira politica e di costume nel nostro paese.
Gli anni ’60, per la satira italiana, da molti studiosi e addetti ai
lavori sono considerati come anni di risveglio dello spirito critico e
accusatorio che, con la fine della seconda guerra mondiale e i difficili
e ambigui anni della ricostruzione, erano stati anestetizzati e messi a
tacere anche con mezzi non troppo civili. Il periodo che va dal ’46 ai
primi anni ’60, secondo le parole di un autore satirico importante
come Gec, descrive un’Italia << malsanamente suscettibile.
Ipersensibile, nevropatica. La democrazia a guida clericale, era
allergica e intollerante ad ogni forma di satira ed a quel mefitico
clima irrespirabile dovettero adeguarsi prefetti e diversi magistrati.
[…] Si deve a quell’atmosfera inquisitoria se molte testate sono state
costrette a scomparire innanzitempo >>
1
. Questo clima lentamente si
stempera, o meglio, allenta un po’ la presa tanto che, nel 1965, si
assiste all’uscita del primo numero della rivista “Linus”, al cui interno,
assieme ad una produzione più classica legata ai comics (i Peanuts di
Schultz e Popeye di Segar), trovavano posto anche artisti più
dissacranti e sovversivi come Chiàppori e, appunto, la coppia Pericoli-
Pirella che vi inizia a collaborare nel 1972: << …«Linus» ruppe il
cliché d’una tradizione e impose un nuovo modo di guardare ai
fumetti. Anche se, probabilmente, i più incisivi autori della odierna
satira politica portata avanti attraverso disegni in sequenza come il
team Pericoli/Pirella oppure Chiàppori e Lunari, rifiutano (possono
1
Enrico Gianeri (Gec), Cento anni di satira politica in Italia (1876-1976), Guaraldi,
Firenze 1976; p. 37
11
rifiutare) qualsiasi parentela col comic tradizionale, è ad esso, da una
matrice ch’essi poi han ribaltato a proprio uso e consumo, ch’è nato
questo modo nuovo di sbeffeggiare non limitandosi alla pernacchia di
eduardiana memoria partenopea; smascherando a suon di sonori
schiaffoni l’arroganza del Potere… >>
1
. Con gli anni ’60 la satira
torna a corrodere le false apparenze e la retorica di stato e lo fa
compiendo una notevole svolta verso la sinistra politica. Prima di
questo periodo, infatti, si era vista una satira capeggiata da vignettisti
e caricaturisti orbitanti nel mondo della destra, pronti a colpire i lati
oscuri di una stato democratico solo di facciata, ma in verità
controllato dal centro democristiano (e la satira contro la Chiesa
corrotta e corruttrice era da sempre stata un cavallo di battaglia di
molte testate satiriche prima e durante le guerre mondiali, basti
pensare all’”Asino”). Il cambiamento non è soltanto di schieramento,
ma coinvolge anche il linguaggio e il tono degli attacchi contro i
politici e gli uomini di potere in generale; si passa da una satira che
mette in ridicolo comportamenti e aspetti fisici, ad una satira che
accusa e smaschera la stortura del sistema, che non ha timore di essere
volgare e feroce fino al vilipendio, poiché l’”avversario” è mutato e si
è fatto più elusivo, si è mascherato e si finge come noi quando invece
ci controlla e limita.
1
Piero Zanotto, Il vento del ’68 in Cento anni di satira politica in Italia (1876-
1976), Guaraldi, Firenze 1976; p.102