5
il centro del mondo finanziario si era spostato dall‟altra parte dell‟Atlantico».2 Gli
Stati Uniti avevano una struttura economica molto diversa, meno dipendente dal
commercio estero e quindi meno integrata a livello mondiale, tendente al
protezionismo (specialmente agricolo) e molto più soggetta ad oscillazioni tra boom e
crisi. Tutto ciò faceva sì che l‟intera economia fosse costretta a gravitazionare attorno
ad un punto centrale incostante e fragile.
Fu così che la crisi che colpì gli Stati Uniti e si estese quindi a tutto il mondo diede
uno scossone all‟intera politica internazionale; la Grande Depressione facilitò senza
dubbio l‟ascesa al potere dei regimi totalitari e pose dunque le basi per il clima di
tensione che da lì a poco avrebbe gettato un‟altra volta il mondo nel baratro della
guerra.
Ancora nel 1936, quando la situazione iniziava a surriscaldarsi ma ci si augurava
che la guerra potesse essere una possibilità remota, Roosevelt sottolineava che «Stati
Uniti e America Latina, in generale, non possono che rappresentare un solo ruolo: una
neutralità ben definita, non facendo nulla che possa stimolare il conflitto; una difesa
adeguata per proteggere noi stessi da qualsiasi implicazione di tale conflitto e da
qualsiasi attacco; un esempio e uno stimolo affinché si convinca la maggior parte dei
paesi a tornare sul cammino della pace e della buona volontà».3
L‟atteggiamento dell‟amministrazione Roosevelt appariva tanto più
incomprensibile considerando la predisposizione degli altri paesi verso l‟evolversi
della situazione: Neville Chamberlain, Primo Ministro di Sua Maestà, se da un lato era
convinto che l‟unica soluzione possibile fosse l‟appeasement, contemporaneamente
sfruttava al massimo la clausola “Cash and carry” sul rifornimento di armi della legge
di neutralità americana del 1935; il Giappone, con il pretesto della guerra in Cina si
armò “fino ai denti” violando i limiti fissati alla sua flotta dai trattati del 1919; la
2
Ibid. pp. 395-396.
3
Cárdenas de la Peña E., Gesta en el Golfo. La segunda guerra mundial y México. Editorial
Primicias S.A., México, 1966. p. 4.
Cfr. Duroselle J.B., Política exterior de los EE.UU, 1913-1945. p. 279.
6
Germania proseguiva sulla via del riarmo e della provocazione e l‟Italia portava avanti
le sue pretese imperialistiche. A tutto ciò gli Stati Uniti seguivano rispondendo con un
atteggiamento “prudente”: non riconoscimento, timida condanna morale, nessuna
azione concertata o sanzione imposta; evidentemente non si sentivano ancora
sufficientemente minacciati e consideravano i loro interessi geostrategici fuori dal
continente americano non in imminente pericolo. Da lì a poco però il pericolo sarebbe
stato colto – talvolta anche esagerato – e l‟approccio con cui Washington condusse la
sua politica estera fu secondo John Spanier «il prodotto di esperienze domestiche e
valori sviluppati nell‟isolamento dal sistema internazionale».4 Fu soprattutto colta,
senza dubbio, l‟opportunità che avrebbe costituito sostenere le “democrazie” europee
in un‟ottica futura per penetrare economicamente e politicamente nel continente
europeo. La guerra infatti significò per Washington una crescita del Prodotto Interno
Lordo senza pari, con un livello che salì tra il 1941 e il 1944 da 240 a 360 miliardi di
dollari, di cui 160 impiegati solo per lo sforzo bellico.5
Quella futura penetrazione avrebbe sostanzialmente assunto i medesimi caratteri di
quella voluta da Washington nei confronti dell‟America centro-meridionale: a mio
giudizio la “difesa emisferica”, con la guerra, sarebbe stata convertita dagli Stati Uniti
in “difesa mondiale” - o per lo meno “dell‟occidente” - dalla minaccia comunista nel
dopoguerra. Il sostegno economico destinato ai paesi americani, cioè il Lend-Lease
Act, la creazione dell‟Import-Export Bank e la creazione nell‟agosto 1940 dell‟Ufficio
Coordinatore degli Affari Interamericani, e tutti gli altri accordi e programmi bilaterali
di natura militare-economica, può secondo me essere traslato nel tempo fino a essere
paragonato al celebre Piano Marshall destinato alla ricostruzione dell‟Europa devastata
dalla guerra. Non sorprenda infatti che al termine del conflitto, l‟America Latina non
fu inserita nel programma che prese il nome dal Generale statunitense poi Segretario di
4
Spanier J., American Foreign Policy since World War II, Prager Publishers, Sixth Edition,
1973. p. 3.
5
Niblo S., War, diplomacy and development. The United States and Mexico - 1938-1954,
Delaware, S.R. Books, 1995. p. 26.
7
Stato Marshall, e che sostanzialmente non fu più considerata tra le principali “aree di
rischio”. La nuova situazione geopolitica che emerse dalla seconda guerra mondiale
relegò l‟America Latina ad un ruolo, questa volta, veramente marginale, eccezion fatta
per il “grattacapo” che poco tempo dopo avrebbe costituito Cuba.
Da questo punto di vista geopolitico, è abbastanza interessante l‟analisi fatta dal
diplomatico statunitense a lungo operante a Mosca George Kennan. Secondo questi,
era necessario per gli Stati Uniti abbandonare la concezione “idealista” della politica
estera dominante fino alla seconda guerra mondiale. Seconda questa visione infatti,
tutto il mondo, e l‟Unione sovietica nello specifico, venivano ancora visti come
potenziali partecipanti al “nuovo ordine mondiale”. In realtà, secondo Kennan, questa
strategia del “contenimento mediante l‟integrazione” non era affatto sostenibile, anzi,
l‟incertezza crescente stava indebolendo ulteriormente la posizione sulla scena
internazionale degli Stati Uniti. Lo spostamento di priorità nella politica estera di
Washington rispondeva ad una analisi geopolitica che aveva origini abbastanza
lontane: la diplomazia USA si rifece alla teoria del “cuore continentale” di Sir Halfold
Mackinder, secondo cui la regione più importante a livello geopolitico, il cui controllo
avrebbe permesso il controllo dell‟intero mondo, era la zona euroasiatica. Ora, alla
fine del conflitto mondiale, una potenza effettivamente stava controllando gran parte
di questa zona, ed una sua ulteriore espansione avrebbe messo a rischio l‟indipendenza
del restante globo. Per questo gli Stati Uniti fecero propria una teoria del 1904
destinata alla diplomazia britannica. Nell‟opinione di Kennan, lo spostamento
dell‟attenzione verso altri orizzonti, nella fattispecie l‟Europa e l‟Asia, a discapito
quindi delle Americhe, si rendeva strategia necessaria per il mantenimento del “nuovo
ordine mondiale” in cui gli Stati Uniti dovevano – e soprattutto volevano – ricoprire
un ruolo da leader.6
6
Kennan G., American Diplomacy 1900-1950, The University of Chicago Press, Chicago, 1951.
pp. 3-5. Per una trattazione abbastanza specifica su teorie e codici geopolitici vedere Taylor P.J e Flint
C., Geografia Politica. Economía-mundo, Estado-nación y localidad. Trama Editorial, 2002. pp. 53 e
segg.
8
Come sottolinea Spanier, l‟atteggiamento tenuto dagli Stati Uniti durante la
seconda guerra mondiale fu figlio di un insegnamento colto anni prima: «alla fine del
primo conflitto mondiale – infatti – gli americani rifiutarono di affrontare la
responsabilità di giocare il proprio ruolo di grande potenza negli affari internazionali e
favorire l‟equilibrio mondiale, nascondendo la testa nella sabbia per più di vent‟anni».7
Tutto ciò ebbe come risultato il totalitarismo in Germania, Italia, Giappone e Unione
Sovietica. Chiaramente gli Stati Uniti non potevano rimanere ancora a lungo
indifferenti al generale sconvolgimento politico internazionale: intervennero con forza
nel conflitto e chiusa la questione guerra, si dedicarono a ricoprire il ruolo di
superpotenza nel nuovo scenario mondiale bipolare.
Per quanto riguarda il caso messicano, quello che qui verrà trattato maggiormente
nei dettagli, l‟impatto della seconda guerra mondiale sulla situazione complessiva del
paese costituisce, come sottolinea lo storico Rafael Loyola, autore-coordinatore del
dettagliatissimo libro Entre la guerra y la estabilidad politica. El México de los 40, un
fatto di capitale importanza: «la guerra, si può dire, marcò un pietra miliare nello
sviluppo del paese, il quale in gran parte, per le circostanze propiziatorie del conflitto,
si diresse verso la via dell‟industrializzazione».8 La guerra ebbe, tra l‟altro, anche
dirette ripercussioni sulla vita politica interna, e fu apparentemente sfruttata dalla
amministrazione del Presidente messicano Manuel Ávila Camacho per promuovere il
suo progetto di unità nazionale. Con riguardo alle relazioni con l‟estero, l‟appoggio
alla causa alleata e, in particolare, l‟adesione alla politica di sicurezza emisferica,
situarono in maniera definitiva il Messico nell‟area di influenza statunitense. Negli
anni della guerra, non solo si strinse la cooperazione tra i due paesi, ma vennero
portate a soluzione numerose tra le questioni pendenti, tra cui ovviamente, il conflitto
petrolifero.
7
Spanier J., American Foreign Policy... pp. 19-20.
8
Loyola R., Entre la guerra y la estabilidad política. El México de los 40. México, Grijalbo,
1986. p. 49.
9
Più in generale, la seconda guerra mondiale rappresentò, non solo per il Messico,
ma per l‟intera regione latinoamericana, un «complicato intermezzo nel processo di
riadattamento che la crisi economica aveva provocato, fino a che la Guerra Fredda
avrebbe definito nuovamente i campi, tanto che il sistema interamericano sarebbe
andato sempre più trasformandosi, soprattutto per azione statunitense, in uno
strumento di “guerra fredda”».9
Ma partiamo aprendo il nostro discorso con un quadro generale delle relazioni tra gli
Stati Uniti ed il resto del continente americano, passando poi in rassegna, a grandi
linee, le varie congiunture politico-economiche in cui venivano a trovarsi i principali
paesi americani nel periodo bellico. Analizzeremo infine il caso messicano con le
vicende che fecero da contorno al coinvolgimento del paese nel conflitto.
9
Halperin Donghi T., Historia contemporanea de América Latina, Madrid, Alianza, 1993. p.
359.
10
1 - L’America Latina nella seconda guerra mondiale
1.1 – La storiografia
Nel suo saggio L’America Latina e la seconda guerra mondiale. Riflessioni sulla
storiografia anglosassone recente, Raffaele Nocera mette in primo piano l‟esistenza di
due tesi contrapposte: da un lato una storiografia, con la quale lo stesso studioso
ammette di trovarsi in disaccordo, secondo la quale l‟America Latina può essere
trascurata nelle ricostruzioni sulla seconda guerra mondiale perché regione residuale
toccata solo indirettamente dalle vicende belliche; dall‟altro una ricostruzione
storiografica seconda la quale invece il conflitto avrebbe provocato nella regione
numerosi cambiamenti e rotture che segnarono fortemente i decenni successivi.
Secondo Nocera, possiamo considerare il periodo bellico come «il punto di arrivo
di tendenze di lungo periodo nelle relazioni interamericane affermatesi nel XIX secolo
e nella prima metà del Novecento», ma anche come «avvio di una nuova fase, in cui
vengono posti i fondamenti del dopoguerra».10 In sostanza si tratterebbe di un periodo
testimone non solo della riorganizzazione, in funzione degli interessi statunitensi, di un
sistema di relazioni fino ad allora disomogeneo e frammentato (anche per le
indecisioni degli Stati Uniti non ancora consapevoli della loro responsabilità a livello
globale), ma anche la base su cui si stabilirono gli assetti strategici futuri nel contesto
della Guerra Fredda.
Uno dei contributi più rilevanti a sostegno di tale idea arriva da David G. Haglund,
autore di Latin America and the Transformation of U.S. Strategic Thought, 1936 –
1940. Nel suo libro Haglund illustra come l‟ingresso nel conflitto fu dovuto in gran
10
Nocera R, L’America Latina e la seconda guerra mondiale – Riflessioni sulla storiografia
anglosassone recente, in “ Nuova Storia Contemporanea”, Anno IX, 2005. p. 141.
11
parte alle preoccupazioni strategiche statunitensi in America Latina e non in Europa,
alla salvaguardia della sicurezza latinoamericana, sinonimo all‟epoca di “sicurezza
emisferica”.11 La preoccupazione di Washington per la sicurezza dei vicini del sud era
maturata, infatti, nel corso degli anni ‟30 in virtù della crescente penetrazione
economica e culturale dei paesi dell‟Asse. Va poi aggiunto il lavoro congiunto di
Leslie Bethell e Ian Roxbororugh Latin America between the Second World War and
the Cold War, 1944-1948 in cui, sebbene venga presa in considerazione solo una parte
del periodo da me analizzato, si vuole stabilire che nonostante la partecipazione
latinoamericana nel conflitto fu minore – per lo meno in termini militari - suddetti anni
rappresentarono un‟importante congiuntura nella storia dell‟America Latina nel XX
secolo.12
Per queste ragioni, la mia opinione è che il coinvolgimento della regione
sudamericana nel panorama del secondo conflitto non possa assolutamente essere
relegato al ruolo di “marginale”, ancor più in considerazione dell‟apporto sostanziale
che diede, più o meno direttamente, soprattutto in termini di materiali strategici e
generi alimentari.
Andiamo ora ad esaminare l‟evolversi della congiuntura politica, economica e
diplomatica che condusse le Repubbliche sudamericane verso una partecipazione più o
meno ampia nelle vicende belliche che hanno tragicamente segnato il secondo conflitto
mondiale.
11
Haglund D.G., Latin America and the Transformation of U.S. Strategic Thought, 1936 – 1940,
Albuquerque, University of New Mexico Press, 1984.
12
Bethell L. – Roxborough I., Latin America between the Second World War and the Cold War,
1944-1948, Cambridge, Cambridge University Press, 1992. p. 1.
12
1.2 – La dipendenza economica latinoamericana
Ritengo necessario, per chiarire bene il contesto nel quale stiamo per avventurarci,
fare un‟altra breve premessa, questa volta incentrata sulla situazione economica nella
quale versava il continente negli anni precedenti lo scoppio del conflitto. Occorre
infatti sottolineare come la relativa debolezza delle Repubbliche americane e la
preoccupazione statunitense verso la crescente penetrazione economica nel continente
dei regimi totalitari, costituiscano insieme i fattori determinanti la linea politico-
strategica nordamericana degli anni successivi e di conseguenza le sorti dell‟intera
America.
Come ci ricorda R.A. Humphreys, nel primo, e a tutt‟oggi unico, tentativo di
sistematizzare la storia degli anni ‟39-„45 e l‟impatto della seconda guerra mondiale
sull‟America Latina, «nel 1939 questa rappresentava la più ricca area produttrice di
materie prime libera dal controllo di qualsiasi grande potenza. Dal Rio Grande,
confine tra Stati Uniti e Messico, a Capo Horn le venti Repubbliche della regione,
differenti per dimensione, livello di benessere, razze e popolazione, e nello sviluppo
politico, sociale ed economico, occupavano circa un quinto della superficie abitata
dell‟intero pianeta».13 La possibilità di costruire vie di comunicazione e rotte
commerciali era resa difficoltosa, se non impossibile, dalla conformazione naturale del
territorio. Non esisteva alcuna strada che collegasse il nord e il sud del continente
americano, le ferrovie si limitavano a collegare la capitale di ogni Stato con le
rispettive città circostanti, ma non le stesse capitali tra di loro, ad eccezione di
Guatemala City e San Salvador nell‟America Centrale, e Buenos Aires, Santiago del
Cile e Asunción nel sud. Il superamento degli ostacoli naturali aveva già trovato una
soluzione negli anni ‟20 e ‟30 con lo sviluppo del trasporto aereo ma la priorità venne
sempre e comunque data alle rotte verso gli Stati Uniti controllate dalla Pan American
13
Humphreys R.A., Latin America and the Second World War. Volume I, London, Ed. Athlone
1981 pp. 1-2.
13
Airways e verso l‟Europa, attraverso compagnie di proprietà prevalentemente tedesca.
Basti notare che solo un decimo delle esportazioni latinoamericane era diretto verso
altri paesi del continente stesso, una quota decisamente irrisoria.
Dal punto di vista della produzione economica, ogni paese, sebbene in misura
differente, dipendeva dall‟importazione di manufatti e di alcune materie prime;
ognuno, poi, era specializzato nella produzione di singoli o gruppi di prodotti destinati
all‟export, generalmente alimentari (cotone, caffè, zucchero, tabacco, cacao, banane
nelle zone tropicale subtropicali; mais, semi di lino e grano nelle zone più temperate;
carni, pellame e lana nel sud-est) e materiali grezzi (nitrati in Cile; petrolio in
Venezuela, Perù, Colombia e Messico; e in generale tutta una serie di minerali come
ferro, zinco, manganese, tungsteno, e, ovviamente, oro e argento).14
Questa economia di esportazione era inoltre caratterizzata dall‟ingresso di ingenti
quantità di capitali stranieri, prevalentemente britannici15, investiti per lo più in
compagnie ferroviarie e titoli di stato, ma presenti anche in imprese, servizi, mineria e
agricoltura. La quota maggiore era collocata in Argentina, seguita da lontano dal
Brasile e dal Messico. Gli investimenti nordamericani iniziarono tardi, ma all‟inizio
del XX secolo furono proprio gli Stati Uniti a supplire alla decadenza della
partecipazione britannica. L‟investimento “a stelle e strisce” quadruplicò in breve
tempo e nel 1930 la presenza finanziaria in America Latina raggiunse un terzo dei loro
investimenti totali all‟estero. Il capitale servì a costruire ponti, ferrovie, istituti bancari
e assicurativi, linee di navigazione, piantagioni e miniere. L‟effetto immediato per le
Repubbliche americane fu un drastico aumento della dipendenza economico-
finanziaria e la radicalizzazione del loro carattere di economie di esportazione. La
depressione degli anni ‟30 mise in evidenza gli svantaggi derivanti da tale “status”:
molti tra i prezzi dei prodotti esportati crollarono nel 1933 a poco più di un terzo
14
Ibid., p. 3.
15
La Gran Bretagna era stata la prima fonte di capitale già nel XIX secolo. Alla vigilia della
Prima Guerra Mondiale la quota di capitale proveniente dal Regno Unito era nell‟ordine del milione di
sterline. Ibid. p. 4