INTRODUZIONE
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fini istituzionali sono diversi dalle aziende così dette capitalistiche
ma l'agire in senso economico si può spiegare facendo riferimento
allo stesso schema concettuale. Abbiamo pertanto effettuato una
verifica empirica di quest'ultimo aspetto all'interno di una realtà
economico territoriale decisamente orientata alla cooperazione: il
distretto imolese
1
. L'analisi ha seguito un approccio econometrico
quantitativo tramite i dati di bilancio di 40 cooperative riferiti
all'anno 1998 organizzati in cross section. La tesi è organizzata
come segue. Il primo capitolo, composto di tre paragrafi, illustra le
particolarità economiche, giuridiche e finanziarie delle
cooperative. In particolare il primo paragrafo inquadra la
classificazione econmico-giuridica, il secondo definisce, gli
schemi e le formalità legislative per la redazione e la
pubblicazione dei bilanci in sostanza come si formano le
informazioni economiche (pubblicamente disponibili) utilizzate
per la nostra analisi. Il terzo paragrafo, invece illustra le fonti di
finanziamento specifiche delle cooperative. Nel secondo capitolo,
composto anch'esso di tre paragrafi sono illustrate le scelte di
specificazione compiute sulla relazione empirica successivamente
analizzata. Nel primo paragrafo, mancando in letteratura un unico
modello strutturale, sono presentati i vari schemi concettuali a cui
si fa riferimento sia per la domanda che per l'offerta di debito. Nel
secondo paragrafo viene descritto il campione utilizzato mentre
nel terzo si specifica un modello strutturale di comportamento.
Infine nel terzo capitolo sono esposti i risultati empirici ottenuti,
con sostanziale non contraddizione delle ipotesi teoriche utilizzate
e resistenza di stabilità. Nell'ultimo paragrafo sono formulate
alcune considerazioni conclusive. In coda al primo e al secondo
capitolo si trovano appendici di approfondimento, che riguardano
rispettivamente il recente adeguamento delle cooperative a nuove
forme di capitalizzazione e l'esposizione dei dati e delle variabili
1
Il distretto cooperativo imolese, per l'anno 1998, si compone di 96 imprese cooperative
diverse tra loro per dimensione e settore di appartenenza, conta su, 46.255 soci, 5.766 addetti
fissi e 1.264 soci stagionali.
INTRODUZIONE
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utilizzati per le stime.
I BILANCI E IL FINANZIAMENTO DELLE IMPRESE COOPERATIVE
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1 I BILANCI E IL FINANZIAMENTO DELLE
IMPRESE COOPERATIVE
1.1 L'impresa cooperativa dal punto di vista
economico e giuridico
1.1.1 Punto di vista economico
Le cooperative moderne si fanno risalire alla "Società dei probi
pionieri" di Rochdale del 1844, poiché in essa furono stesi quei
principi ritenuti ancora oggi il fondamento della cooperazione.
Tali principi fondamentali e universali fatti propri anche dall'Aci
(Alleanza cooperativa internazionale) sono:
a) adesione volontaria, come sinonimo di libertà di intraprendere
un'attività economica (porta aperta) senza costrizioni o
discriminazioni;
b) amministrazione democratica, che equivale all'autogesione
(una testa un voto);
c) interesse limitato sul capitale (si vuole ribadire il ruolo
meramente strumentale del capitale senza dubitare della sua
importanza per far funzionare le cooperative, che sono sempre,
economicamente, vere e proprie aziende [Tessitore, 1968]);
d) distribuzione dei residui (questo principio afferma l'esistenza
dei residui e che i risultati dell'impresa devono essere ripartiti
in modo da evitare che qualcuno guadagni a scapito di altri);
e) educazione cooperativa (sotto il profilo sociale significa
promuovere i valori delle cooperative, e sotto il profilo
economico fare formazione);
f) collaborazione tra le cooperative (quest'ultimo principio
sottolinea che le singole cooperative devono creare
cooperazione, cioè devono collegarsi fra loro, sia in senso
orizzontale che verticale, sia a livello locale che internazionale,
qui troviamo la giustificazione delle cooperativa di secondo e
I BILANCI E IL FINANZIAMENTO DELLE IMPRESE COOPERATIVE
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terzo grado, ossia le cooperative di cooperative ed anche la loro
intrinseca dimensione macrosociale e macroeconomica).
Una definizione economica univoca dell'Impresa Cooperativa
risulta quindi poco agevole; taluni autori (si veda, in particolare,
Sertel, 1982) ritengono che la caratteristica specifica che
differenzia l'impresa cooperativa dall'impresa capitalistica verta
sulla proprietà della stessa, in cui tutti i soci sono pure suoi
lavoratori e viceversa. Altri (quali Vanek, 1970; Jay, 1980), al
contrario, ritengono che la peculiarità della cooperativa vada
individuata nella gestione della stessa. In particolare si distinguono
due tipi di "imprese autogestite". Da un lato, vi sono le Labour
Managed firms (LMF), in cui:
a) tutte le decisioni relative all'attività produttiva, comprese le
scelte di investimento, sono prese dai lavoratori dell'impresa;
b) i lavoratori stessi si appropriano del residuo fra ricavi di
impresa e costi di produzione, così che il lavoro può essere
considerato l'"input imprenditoriale";
c) il capitale rientra fra i fattori produttivi remunerati fra i costi di
produzione, cioè esso non viene apportato dai lavoratori, ma
viene reperito interamente a prestito.
Si noti che, nella LMF, l'organizzazione produttiva risulta
capovolta rispetto all'impresa capitalistica; infatti, in quest'ultima
il capitale assume forza lavoro, prende le decisioni, paga i costi di
produzione e si appropria del residuo (profitto); nella LMF, così
come definita, è invece il lavoro a prendere a prestito il capitale,
decidere, remunerare i fattori produttivi in forma di costi, tranne il
lavoro stesso, che si appropria del residuo. Inoltre, in una siffatta
organizzazione, i lavoratori (non apportando il capitale di rischio e
non essendo perciò soci) sono degli usufruttuari dell'impresa, la
cui proprietà, pertanto, non potrà che essere pubblica. Dall'altro
lato, si definiscono le Workers' managed firms (WMF) come
imprese in cui valgono le proprietà a) e b) di cui sopra
(autogestione e remunerazione residuale ma, in luogo della c) vale
la seguente:
I BILANCI E IL FINANZIAMENTO DELLE IMPRESE COOPERATIVE
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c) il capitale di rischio è fornito dagli stessi lavoratori
dell'impresa, o sotto forma di apporti, ovvero di utili non
distribuiti.
Nella realtà (paesi occidentali e altri) le forme di Imprese
cooperative rientrano nella definizione di WMF e non di LMF.
Pertanto, non si tratta di imprese diametralmente opposte a quelle
capitalistiche ma di una sorta di ibrido, in cui vi è coincidenza fra
"capitalisti" e "lavoratori".
1.1.2 Punto di vista giuridico
1.1.2.1 Lo scopo mutualistico e il movimento cooperativo
Le imprese cooperative sono regolate dal Titolo VI del quinto
libro del nostro codice civile e da numerose leggi speciali. Il
codice civile distingue pertanto dalle società lucrative le società
cooperative, la loro caratteristica è, per l'Art. 2511, lo «scopo
mutualistico» e non lucrativo, perseguito dai soci, o meglio -
secondo la precisazione contenuta nella stessa relazione
ministeriale, n. 1025, - lo scopo «prevalentemente mutualistico».
Che cosa sia lo «scopo mutualistico» il codice civile non dice o,
quanto meno, non lo dice in termini positivi: una definizione in
termini negativi è desumibile nell'Art. 2518 n. 9, ai sensi del quale
l'atto costitutivo della società cooperativa deve indicare «la
percentuale massima degli utili ripartibili». Questo evidenzia, sia
pure parzialmente, un'antiteticità fra scopo mutualistico e scopo di
lucro. Analogo elemento negativo di definizione si ricava dall'Art.
45 della Costituzione, per il quale «la Repubblica riconosce la
funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e
senza fini di speculazione privata». Qui il rapporto di antiteticità
dello scopo mutualistico rispetto a quello lucrativo è più netto che
nel codice civile: il «carattere di mutualità» della cooperazione
comporta, secondo la norma della Costituzione, una radicale
esclusione, e non solo una limitazione, dello scopo di lucro, ossia
dei «fini di speculazione privata». La Costituzione postula, con
I BILANCI E IL FINANZIAMENTO DELLE IMPRESE COOPERATIVE
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ciò, una cooperazione che sia mossa da uno scopo esclusivamente,
e non «prevalentemente», mutualistico, quale invece è secondo la
ricordata testimonianza della relazione ministeriale - la
cooperazione regolata dal codice civile. Il fenomeno è in prima
approssimazione, quello per il quale un gruppo di utenti o un
gruppo di lavoratori di un determinato settore imprenditoriale si
organizza in società per esercitare, esso stesso, l'attività di impresa
di quel determinato settore: un gruppo di utenti, come nel caso
delle cooperative di consumo, costituite per la rivendita al minuto
di generi alimentari, e nei casi, ancora, delle cooperative edilizie,
costituite per la costruzione di case economiche e popolari, delle
cooperative di credito, di assicurazione ecc.; un gruppo di
lavoratori, come nei casi delle cooperative, dette di produzione e
lavoro, operanti nei più diversi settori dell'attività manifatturiera,
delle cooperative agricole, delle cooperative di pescatori, delle
compagnie portuali. Alla gestione capitalistica dell'impresa,
preordinata alla ricerca del profitto, è sostituita l'autogestione
dell'impresa da parte degli utenti o dei lavoratori: il gruppo
organizzato mira - così la relazione al codice civile definisce lo
scopo mutualistico al n. 1025 - «a fornire beni o servizi od
occasioni di lavoro direttamente ai membri della organizzazione a
condizioni più vantaggiose di quelle che otterrebbero dal
mercato». Il fine è di realizzare, anziché il profitto, l'immediato
vantaggio dei soci in quanto utenti o in quanto lavoratori: e se si
tratta di cooperativa di consumo, di vendere ai soci a minor prezzo
di quello praticato dall'imprenditore capitalistico; è, se si tratta di
cooperativa di lavoro, di retribuire i soci con un maggior salario di
quello corrisposto dall'imprenditore capitalistico. In questa sua
prima, ed ancora approssimativa, descrizione è possibile cogliere
un aspetto socialmente importante del fenomeno: la cooperativa si
presenta come l'espressione organizzata di classi economicamente
subalterne, mosse dall'intento di sottrarsi all'egemonia delle classi
economicamente dominanti. La sua natura di organizzazione di
classe si manifesta con tutta evidenza alle origini del fenomeno,
I BILANCI E IL FINANZIAMENTO DELLE IMPRESE COOPERATIVE
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che risalgono alla metà dell'Ottocento: il movimento cooperativo
sorge in Inghilterra, come espressione del proletariato industriale e
sorge a fianco del sindacato, come movimento della più generale
organizzazione della classe operaia contro lo sfruttamento
esercitato dalla classe capitalistica. Gli obiettivi anti-capitalistici
del movimento cooperativo sono chiaramente visibili nelle
cooperative di lavoro. Queste mirano a sottrarre i lavoratori soci
alla suprema «legge» dell'economia capitalistica: al principio cioè,
secondo il quale una quota del valore dei beni prodotti, cosiddetto
plus-valore, è destinato a remunerare il capitale impiegato per
produrli ed è quindi, sottratto ai lavoratori e attribuito
al
proprietario del capitale. La cooperativa di lavoro attua la gestione
operaia del capitale; sono gli stessi lavoratori che formano e,
quindi, gestiscono il capitale, essi impediscono, a questo modo,
che altri si approprino di una quota del valore dei beni da essi
prodotti. Ma l'obiettivo di classe è presente anche nelle
cooperative di consumo: queste sono, anzi, le prime forme
storicamente assunte dal movimento cooperativo
2
. Cooperativa di
lavoro, cooperativa di consumo, e ancora cooperativa edilizia,
cooperativa di credito, mutua assicuratrice ecc. mostrano
l'articolato svolgersi di un movimento che mira a contestare, nelle
sue più diverse manifestazioni, la "legge" capitalistica della
rimunerazione del capitale, a sottrarre all'applicazione di questa
"legge" i ceti sociali apportatori di plus-valore. La cooperativa
edilizia permette di acquisire a minor prezzo la proprietà della
casa: prezzo minore perché in esso non è inclusa la rimunerazione
del capitale dell'intermediario speculatore; la cooperativa di
credito consente di ottenere a più basso interesse danaro in prestito
o altre prestazioni bancarie: interesse più basso perché in esso non
è inclusa la rimunerazione del capitale del banchiere. Nel suo
successivo evolversi il fenomeno cooperativo estende il suo campo
2
La prima cooperativa, la Società cooperativa egualitaria dei pionieri di Rochdale, fondata in
Inghilterra nel 1844, è appunto, una cooperativa di consumo, gestita da operai tessili per la
vendita di generi alimentari.
I BILANCI E IL FINANZIAMENTO DELLE IMPRESE COOPERATIVE
- 9 -
di applicazione oltre l'ambito, originario, del movimento operaio,
anche se le cooperative operaie, o comunque quelle collegate al
movimento operaio, sono tuttora le più numerose e le più potenti
organizzazioni cooperative. Alla cooperazione fanno oggi ricorso
anche altri ceti sociali, in diverso modo o in diversa misura
subalterni rispetto alle classi dominanti: vi fa ricorso - come nel
caso delle cooperative edilizie - anche la piccola borghesia,
assecondata nella sua aspirazione alla proprietà dell'abitazione; vi
fanno ricorso anche gli intellettuali: sono significativi, al riguardo,
i casi delle cooperative fra attori teatrali, che si fanno impresari di
se stessi, o delle cooperative fra giornalisti, che gestiscono
«testate» di giornali, delle cooperative fra architetti ecc.
L'aspetto economicamente più rilevante di questa tendenza
espansiva del fenomeno cooperativo è però dato dalla formazione
di cooperative fra gli stessi imprenditori. Tali sono le cooperative
costituite fra imprenditori agricoli per la trasformazione o la
alienazione dei loro prodotti: essi si sostituiscono, o si affiancano
in posizione concorrenziale, alle tradizionali imprese industriali
che utilizzano prodotti agricoli come materie prime (industrie
saccarifere, conserviere, vinicole ecc.), o si sostituiscono al
commerciante all'ingrosso e all'esportatore di prodotti agricoli.
Tali sono, ancora, le cooperative costituite fra dettaglianti per
l'approvvigionamento, in sostituzione del grossista intermediario,
dal produttore delle merci; le cooperative fra artigiani o piccoli
industriali per l'esportazione dei loro prodotti.
In quest'ultimo ordine di casi la cooperazione presenta un aspetto
peculiare che, quanto meno a prima vista, sembra deviare
dall'originario spirito mutualistico. Gli imprenditori soci mirano,
attraverso l'organizzazione cooperativa, a conseguire un vantaggio
che è, propriamente definibile come un maggior profitto: la
cooperativa costituita per la trasformazione industriale o per
l'esportazione di prodotti agricoli acquisterà i prodotti degli
agricoltori soci per un maggior prezzo rispetto a quello praticato
dall'industriale o dall'esportatore consentendo, quindi, ai soci di
I BILANCI E IL FINANZIAMENTO DELLE IMPRESE COOPERATIVE
- 10 -
rea1izzare ciascuno per la propria impresa, un maggior profitto; i
dettaglianti che gestiscono, uniti in cooperativa, una attività
sostitutiva dell'intermediario grossista realizzano anch'essi un
maggior profitto, giacché potranno trattenere per sé, e non
corrispondere al grossista, una parte del prezzo al minuto delle
merci. Tutto ciò non tradisce, come può sembrare, lo spirito
originario del movimento cooperativo: anche in questo ordine di
casi la cooperazione si presenta, al pari delle sue originarie
manifestazioni, come l'espressione organizzata di ceti
economicamente deboli, quali sono gli agricoltori rispetto agli
industriali o ai commercianti all'ingrosso o quali sono i dettaglianti
rispetto agli intermediari. C'è, anche qui, l'intento di affrancarsi
dall'egemonia di classi economicamente dominanti: da quella del
grande o del medio capitale rispetto al piccolo capitale. Si intende
che il perseguimento dello scopo mutualistico, presuppone
l'esercizio di una impresa, ossia di una attività definibile come tale
sulla base dell'Art. 2082: non c'è società cooperativa, ma c'è
associazione, ove uno scopo di solidarietà venga perseguito da più
persone con l'esercizio di attività non definibili come
imprenditoriali.
1.1.2.2 Elementi formali di differenziazione
Lo scopo mutualistico è pertanto definito sulla base della realtà
storica del fenomeno cooperativo e lo si identifica nella funzione
anticapitalistica di «resistenza al capitale», nel senso che la
cooperativa assolve all'interno dell'economia capitalistica; la
funzione di affrancare coloro che si fanno soci della cooperativa
dalla soggezione alla «legge», propria dell'economia capitalistica,
della remunerazione del capitale. La cooperativa riscatta la
necessità di rivolgersi all'imprenditore capitalistico per procurarsi
determinati beni o determinati servizi, o per procurarsi lavoro, o
per vendere i propri prodotti: produce essa stessa i beni o i servizi
o crea essa stessa l'offerta di lavoro o l'offerta di acquisto dei loro
prodotti. E fornisce ai soci i beni o i servizi che produce, o dà loro
I BILANCI E IL FINANZIAMENTO DELLE IMPRESE COOPERATIVE
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lavoro, o compera i loro prodotti a condizioni più vantaggiose di
quelle praticate dal mercato capitalistico: più vantaggiose perché
determinate al «netto» di quanto sarebbe dovuto, a titolo di
rimunerazione di capitale, all'imprenditore capitalistico. Il codice
civile detta, con le norme del titolo VI del quinto libro, una
disciplina generale del fenomeno cooperativo, destinata ad essere
integrata da leggi speciali che regolano, più specificamente,
singole categorie di cooperative (Art. 2517): delinea, con questa
disciplina generale, le principali strutture formali, che, nella
valutazione del legislatore del '42, apparivano idonee ad assicurare
il perseguimento dello scopo mutualistico. È una disciplina che
contiene molti elementi di contaminazione: la già ricordata
ammissione di uno scopo «prevalentemente», e non
esclusivamente, mutualistico ne offre un primo significativo
esempio. Più generale elemento di contaminazione è nella stessa
collocazione sistematica delle cooperative all'interno del codice
civile quali altrettante società. Sono tali sebbene la nozione
generale di società, formulata nell'Art. 2247, mal si adatti ad esse,
caratterizzate come sono da uno scopo mutualistico e non
lucrativo o, quanto meno, da uno scopo prevalentemente
mutualistico e, quindi, prevalentemente non lucrativo. È accaduto
così che le cooperative, sorte come figure antagoniste all'impresa
capitalistica, siano diventate una specie del medesimo genere al
quale appartengono le società lucrative e per di più di un genere
che, quale lo definisce l'Art. 2247, include in sé lo scopo della
divisione degli utili, ossia lo scopo di profitto tipico dell'impresa
capitalistica. Ciò è significativo per la considerazione che
l'impresa cooperativa, prima ancora che essere cooperativa, deve
essere impresa: se il carattere specifico di questa impresa ne spiega
gli elementi differenziali rispetto all'impresa lucrativa, il genere al
quale appartiene reclama pur sempre l'applicazione di norme
comuni ad ogni impresa collettiva. Alle cooperative, concepite
come società cooperative, il codice civile estende molte delle
norme dettate per le società lucrative e, in particolare, per la
I BILANCI E IL FINANZIAMENTO DELLE IMPRESE COOPERATIVE
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società per azioni, della quale esse ripetono, nella configurazione
che ne dà il titolo V, molti elementi strutturali. Per l'Art. 2516
«alle società cooperative si applicano in ogni caso le disposizioni
riguardanti i conferimenti e le prestazioni accessorie, le
assemblee, gli amministratori, i sindaci, i libri sociali, il bilancio e
la liquidazione delle società per azioni, in quanto compatibili con
le disposizioni seguenti e con quelle delle leggi speciali». Accade,
per effetto di questa norma di rinvio, che la cooperativa si presenti
come una sorta di società di capitali modificata da alcuni elementi
differenziali, che mirano ad adattare la struttura al perseguimento
dello scopo mutualistico. Oltre alla già ricordata necessità di una
previsione statutaria della percentuale massima degli utili
ripartibili (Art. 2518 n. 9), questi elementi differenziali sono:
− il limite massimo alla partecipazione di ciascun socio al
capitale della società. A norma dell'Art. 2521, integrato
dall'Art. 24 dei Provvedimenti per la cooperazione (d.l. 14
dicembre 1947, n. 1577, modificato dall'Art. 17 della L.19
marzo 1983, n. 72 e infine dall'Art. 3 della L.31 gennaio 1992,
n. 59), «nessun socio può avere una quota superiore a Lit.
101.669.000, ne tante azioni il valore nominale superi tale
somma». Il limite è elevato a Lit. 152.504.000 per le
cooperative di trasformazione e alienazione di prodotti agricoli
e per le cooperative di produzione e lavoro, ma non si applica,
in nessun caso, nei confronti delle persone giuridiche socie: nei
confronti, ad esempio delle cooperative socie di altre
cooperative, costituenti i consorzi di cooperative di cui all'Art.
27 dei citati Provvedimenti, che sono cooperative "complesse"
o di "secondo grado".
− il limite minimo posto, per converso al numero di soci: per
procedere alla costituzione di una società cooperativa occorre
che i soci siano almeno nove (almeno cinque nei consorzi in
forma cooperativa) e se il loro numero sia, successivamente,
diminuito al di sotto del minimo lo si dovrà reintegrare entro un
anno, pena lo scioglimento della società (Art. 22 dei citati
I BILANCI E IL FINANZIAMENTO DELLE IMPRESE COOPERATIVE
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Provvedimenti per la cooperazione). Questo il limite minimo
per la valida costituzione della cooperativa ma la norma citata
aggiunge altri limiti agli effetti della iscrizione della
cooperativa nei registri prefettizi delle cooperative
3
: le
cooperative di consumo debbono ai fini dell'iscrizione, avere
un numero di soci non inferiore a cinquanta; quelle di
produzione e lavoro, ammissibili a pubblici appalti, un numero
di soci non inferiore a venticinque;
− la variabilità del capitale sociale: il capitale della società non è
determinato in un ammontare prestabilito; ed il suo aumento
conseguente all ingresso di nuovi soci, o la sua diminuzione,
conseguente all'uscita di soci dalla società non importa
modificazione dell'atto costitutivo (Art. 2520), a differenza di
quanto accade nelle società di capitali, le quali assumono, sotto
questo aspetto la contrapposta denominazione di società «a
capitale fisso». Con la variabilità del capitale senza
modificazione dell'atto costitutivo si attua il principio
cosiddetto della «porta aperta»: nuovi soci possono aggiungersi
ai soci preesistenti senza alcun limite di numero, mentre nelle
società a capitale fisso il numero dei soci incontra un limite,
superabile solo con modificazione dell'atto costitutivo,
nell'ammontare del capitale sociale il rapporto sociale è nelle
cooperative, strutturalmente aperto all'ingresso di nuovi soci.
L'aspirante socio non deve come nella società a capitale fisso,
attendere che un preesistente socio voglia vendere la propria
quota o le proprie azioni nè deve attendere che la società
aumentando il capitale sociale, permetta la sottoscrizione di
nuove quote o di nuove azioni. L'ammissione di nuovi soci è
fatta con deliberazione degli amministratori, su domanda
dell'interessato (Art. 2525).
− il principio "una testa un voto": ogni socio ha, in assemblea, un
3
L'iscrizione nei registri prefettizi permette agli enti cooperativi di godere di agevolazioni
tributarie e/o di qualsiasi altra natura. L'iscrizione non costituisce pertanto per le cooperative
un obbligo giuridico, ma ha efficacia soltanto ai fini delle agevolazioni, può quindi essere
richiesta in qualsiasi momento decorrendo le agevolazioni dalla data di iscrizione.
I BILANCI E IL FINANZIAMENTO DELLE IMPRESE COOPERATIVE
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solo voto, qualunque sia il valore della sua quota o il numero
delle sue azioni (Art. 2532, comma 20) norma derogabile per le
persone giuridiche socie, alle quali l'atto costitutivo può
attribuire più voti ma non oltre cinque in relazione
all'ammontare della quota o delle azioni oppure al numero dei
loro membri (Art. 2532, comma 30)
Sono principi nei quali si manifestano alcuni dei caratteri
storicamente datisi dal movimento cooperativo quale espressione
organizzata di più vasti ceti sociali o categorie produttive; nei
quali si manifesta, soprattutto; l'organizzazione alternativa
dell'impresa mutualistica rispetto alle forme organizzative proprie
dell'impresa capitalistica. Nel principio della «porta aperta» si
riflette lo spirito di proselitismo e, al tempo stesso, di fratellanza
proprio del movimento cooperativo: il rapporto sociale è,
strutturalmente, aperto all'adesione di quanti appartengono al
medesimo ceto sociale o alla medesima categoria produttiva della
quale la cooperativa è espressione.
La natura della cooperativa quale organizzazione di massa si
manifesta, d'altra parte, nel limite massimo posto alla quota di
ciascun socio e nel limite minimo posto al numero dei soci: la
forza della cooperativa sta nel numero dei suoi soci, e non nella
loro ricchezza; il capitale della società deve essere formato dalla
ingente somma di minuscoli apporti individuali, non dall'apporto
ingente di pochi soci. All'interno della cooperativa, poi, ciascun
socio conta quanto ciascun altro: egli non viene diversamente
considerato se non per la sua appartenenza al ceto sociale o alla
categoria produttiva della quale la cooperativa è espressione; non
gli spetta, perciò, che un solo voto, quale che sia la quota di
capitale sottoscritta. La contrapposizione rispetto all'impresa
capitalistica è qui nettissima: c'è, nella cooperativa, il ripudio del
principio (plutocratico) per il quale il potere economico, il potere
di controllare la ricchezza, dipende dalla proprietà della ricchezza
ed è proporzionale ad essa.