II
chiedere se l’Islam abbia dato vita ad un insieme di credenze che pongono la
società civile lontana da quei concetti che forniscono la base al sistema di
governo democratico, quali laicità dello Stato o sovranità popolare. I primi
due capitoli di questo lavoro si prefiggono come obiettivo un’analisi generale
dei principi politici ricavabil i dalla teoria e dalla prassi nel pensiero
musulmano. Innanzitutto si dovrà osservare quali siano i presupposti su cui si
basano le teorie politiche degli autori musulmani, cioè quale sia
l’interpretazione canonica attribuita ai test i sacri; in secondo luogo si
analizzerà l’evoluzione storica di questo pensiero, arrivando infine a valutare
le teorie contemporanee, da quelle riconducibili al cosiddetto
fondamentalismo islamico a quelle dichiaratamente filo-democratiche. La
prima parte del secondo capitolo sarà dedicato a valutare la compatibilità a
livello teorico, ove esista, t ra valori democratici e concezioni poli tiche
nell’Islam. Nella seconda parte si vorranno invece mettere in risalto alcune
realtà considerate significative nell’analisi, indicando i principali indicatori
di cambiamento ed il ruolo svolto dai part iti riconducibili all’area islamista.
L’ultimo capitolo, invece, costi tuirà un’analisi più ravvicinata del
modello costi tuzionale iraniano costruito dall’ayatollah Khomeini. Il sistema
iraniano ri leva per alcuni importanti fattori. Innanzitutto, l’ Iran si differenzia
in maniera abbastanza netta dai propri vicini geografici, in particolar modo
dal vicino oriente arabo: per quanto riguarda l’appartenenza etnica, essendo
costituito per una buona metà da appartenenti all’etnia persiana, per la
restante parte da popolazione di origine turca e curda; per ciò che att iene al la
sfera religiosa, essendo l’unico grande paese musulmano a schiacciante
maggioranza sciita. Un secondo fattore di grande interesse rimane, a
trent’anni dalla rivoluzione, il fatto che l’Iran sia l’unico paese in cui il
fondamentalismo islamico (almeno come percepito in occidente) sia riuscito a
prendere il potere e ad instaurare un peculiare sistema di governo. Ma
l’elemento che più è riuscito ad attirare l’attenzione per questa analisi è la
forte compresenza, nell’architet tura costituzionale iraniana, di elementi
decisamente democratici (come l’elezione diretta del capo del governo) con
un’autocrazia religiosa particolarmente potente. Quali sono gli elementi che
hanno portato a questa peculiarità tutta iraniana? Si vorranno ricercare, nel
corso del terzo capitolo, le ragioni che hanno fatto dell’Iran, agli occhi del
III
mondo occidentale, i l baluardo del fondamentalismo islamico; ci si addentrerà
nei particolari della religione scii ta, andando a valutare quali siano gli
apporti originali che questa confessione ha dato alla teoria politica, e si
valuterà in che modo tal i principi abbiano influenzato (o si siano posti in
contrasto con) il pensiero di Khomeini e la costruzione della Repubblica
Islamica. Analizzando poi l’architettura istituzionale dell’Iran, si cercherà di
mettere in evidenza il dualismo proprio di questa costi tuzione, che pone in
contrasto degli organi a legittimazione religiosa con organi che traggono la
propria legittimazione dal voto popolare. In ult ima analisi , si cercherà di
valutare quanto gli aspetti democratici della Repubblica Islamica siano
rilevanti nelle scelte di governo; inoltre si cercherà di fare una panoramica
sulle forze in campo nell’Iran odierno, mostrando l’estrema vitalità di una
società civile che cerca di cogliere i pochi spiragli offertigli dal regime degli
ayatollah per esercitare la propria pressione per la democratizzazione del
sistema nel suo complesso.
- 3 -
Avvertenze
Il termine “Imam” viene correntemente utilizzato nel linguaggio arabo con diversi
significati, fatto che provoca non pochi problemi in quello occidentale. Tale appellativo può
identificare il predicatore musulmano che dirige la preghiera comunitaria del venerdì (è
abbastanza facile imbattersi in articoli giornalistici che parlano dei predicatori delle moschee
italiane riferendosi ad essi col termine “Imam”), oppure può stare ad indicare un caposcuola
(ad esempio di una tradizione giuridica). Per quanto riguarda nello specifico l’ambito qui
trattato, cioè le teorie politiche e del potere di area islamica, e precisamente rispetto allo
sciismo, l’epiteto assume una sua dimensione specifica. Nella teologia sciita, l’Imam in senso
proprio è un discendente del Profeta, al quale solo spetta l’autorità religiosa e politica sulla
comunità. In quanto tale l’Imam assume contorni quasi sacrali: come si vedrà, ad esso verrà
attribuito da alcuni gruppi persino il crisma dell’infallibilità. La teologia sciita maggioritaria
(appunto imamita, o duodecimana) riconosce come tali solo dodici Imam (da ‘Ali a
Muhammad al-Mahdi), da cui ne consegue che il titolo oggi non può essere legittimamente
attribuito a nessuno che non sia accolto come il Mahdi, il Messia. Per evitare confusioni
terminologiche, in questo lavoro si preferisce adottare il termine solamente con riferimento
agli Imam sciiti, preferendo parlare di ulema (singolare: alim) quando si debba identificare i
dottori della legge islamica sunniti, o utilizzando appellativi specifici quando si parla delle
gerarchie ecclesiastiche sciite (mujtahid, hojatoleslam, ayatollah). Per quanto riguarda le
teorie politiche sunnite, si preferirà in ogni caso la denominazione “Califfo” (khalifa) per
identificare la carica suprema politica e religiosa dell’Islam a quella pur utilizzata di “Imam”.
Analogamente, per i fini che ci si propongono in questo lavoro, non sarebbe stato
adeguato nel riferirsi in generale ai movimenti politici che si analizzeranno nel seguito
adoperare etichette specifiche quali radicali(sti) o fondamentalisti o integralisti islamici;
termini che mal si adattano alla natura variegata di tali movimenti, e che in ogni caso portano
come bagaglio imprescindibile un impronta culturale pregiudiziale. Si utilizzerà dunque il
termine “islamismo” per identificare generalmente tutti quei movimenti politici (e dunque
utilizzando un ampio spettro che include posizioni tra loro diversissime, accomunando ad
esempio sotto la stessa etichetta il Partito Fazilet turco e la corrente wahhabita) che pongono
alla base della loro azione i principi islamici, limitandosi ad utilizzare la definizione
“radicalismo islamico” in riferimento a precise tendenze estreme dell’islamismo.
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CAPITOLO PRIMO
Fondamenti teoretici e teoria politica nel mondo islamico
“Sceicchi custodi di passaggi a livello nel deserto
spargono lacrime di petrodollari, sufi soffocati,
Mullah immobili nel silenzio delle sparatorie” F.B.
Nel 657 A.D. (36 dell’anno dell’Egira (Hijra), A. H.1), durante la
battaglia di Siffin, le armate del governatore siriano e futuro Califfo al-
Mu’awiya, sconfitte sul campo da quelle del Califfo (e genero del profeta
Muhammad) ‘Ali, brandirono sulle loro spade dei fogli con il testo del
corano, chiedendo che la disputa tra i pretendenti al califfato fosse risolta
solo da Dio. Qualche anno dopo, nel 659 A.D. (38 A.H.), l ’arbitrato che ne
conseguì fu respinto da una setta estremista, quella dei khariji ti , i quali
sostennero che una decisione divina (la successione di ‘Ali al califfato) non
poteva essere sottoposta ad un arbitrato umano, e perciò rifiutarono in tal
modo non solo l’autorità di Mu’awiya, ma anche quella di ‘Ali, colpevole di
non aver difeso la volontà di Allah.
Questi due avvenimenti (il richiamo alla volontà divina da parte di
Mu’awiya e la nascita dei kharijiti) vengono presi come sintomatici del “vizio
originario” dell’Islam2, rappresenterebbero cioè l’inizio della politicizzazione
di questa religione, o meglio la sua strumentalizzazione da parte del potere
temporale (mulk). In realtà, le radici “politiche” dell’Islam stanno già nella
1
La corrispondenza tra l’era cristiana e quella musulmana non è agevole, poiché quest’ultima basa lo
scorrere del tempo su un tipo di calendario lunare che conta undici giorni in meno rispetto a quello solare. Si
possono trovare sul web diversi siti che propongono un “convertitore di date”; qui si adotta la conversione
proposta dal sito www.rabiah.com/convert/.
2
Così l’egiziano Abou Zayd, il quale, prendendo a prestito un concetto tipicamente marxiano,
definisce la battaglia di Siffin come ‹‹l’inizio della falsificazione della coscienza dei credenti da parte di un
gruppo politico in cerca di legittimità” (corsivo aggiunto), riportato in BICCHI, GUAZZONE, PIOPPI (a cura di),
(2004) La questione della democrazia nel mondo arabo, Polimetrica, Milano, pag. 46.
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storia della sua fondazione da parte di Muhammad, e si svilupperanno ancora
di più al l’interno delle dottrine gravitanti attorno alla teoria del califfato (e
dell’imamato, nel mondo sciita) e alle sue scuole giuridiche. Perciò, volendo
comprendere i meccanismi di partecipazione dei movimenti interni al l’Islam
moderno e le ideologie da essi elaborate, sembra corretto partire dall’analisi
dell’Islam delle origini (o degli antichi , salaf , a cui si richiamano gli odierni
islamisti) e del suo insieme di credenze e pratiche strettamente intrecciate
con la vita politica. D’altronde, gli stessi ideologi dei vari movimenti che si
svilupperanno all’interno di quello che viene definito “spazio di senso
islamico”3, si richiameranno, ed attingeranno a piene mani ai concett i dei
pensatori tradizionali (tra tutti , Ibn Taymiyya) e alle tradizioni giuridiche
che, formatesi nei primi anni dell’era musulmana, hanno pervaso tutta la
tradizione successiva, arrivando praticamente intatte (in specie nei propri
principi costitutivi) fino all’era contemporanea.
I. Le origini
La grande costruzione politica dell’Islam inizia notoriamente nel 622
A.D. (anno 1 dell’Egira), quando Muhammad e i suoi compagni (tra cui i
futuri quattro califfi Rashidun , ‹‹i ben guidati››) furono costretti ad
abbandonare La Mecca dall’ostilità delle famiglie dominanti appartenenti alla
tribù dei Quraysh (la stessa del Profeta), infastidite dalla diffusione della
nuova religione che destabilizzava i rapporti di potere cristallizzati nella
società pre-islamica. Nel pieno della sua predicazione, il Profeta (nabi) si
trasferì (forse su invito dei suoi cit tadini) con la sua comunità nella città di
3
Così definisce Gilles Kepel lo spazio in cui l’Islam è maggioritario e viene percepito come
fondamentale nell’organizzazione della società.
- 6 -
Yathrib, che prese poi il nome di Madinat al-Nabi , la Città del Profeta,
costituendo il primo vero nucleo di una società governata secondo principi
islamici .
L’importanza delle sure4 medinesi per l’evoluzione delle teorie poli tiche
nell’Islam può essere difficilmente sopravvalutata per due motivi. In primo
luogo, mentre i l Corano meccano si concentra più che altro sul tempo
escatologico e sulle problematiche connesse alla fede in senso stret to, le
rivelazioni di Medina si occupano dei problemi contingenti riguardanti
l’amministrazione della collettività e i rapporti con le comunità già insediate
a Yathrib (principalmente ebraiche e cristiane) e della diffusione della nuova
rel igione nella penisola arabica5. In questo periodo sono concentrati i dettami
politici direttamente desumibili dal Corano, nonché tutta una serie di hadith
riguardanti l’attività propriamente politica del Profeta. E perciò dall’analisi
di queste fonti che si possono desumere alcuni dei principi fondamentali
sull’organizzazione politica conforme allo Stato islamico.
Il secondo motivo è strettamente legato alla visione sacra del Corano.
Diversamente dalla Bibbia cristiana o dalla Torah ebraica, le quali sono opere
umane (scritte dai profeti) seppur riportano la Parola di Dio, il libro sacro dei
musulmani è in senso proprio la Parola di Allah, nel senso che il suo Inviato è
solo una sorta di redattore. In questo quadro, il testo del Corano diviene
sacro; si potrebbe dire che esso svolge per l’Islam la stessa funzione che ha
4
Le sure sono i capitoli in cui si divide il Corano (a loro volta suddivise in versetti o ayat, segni).
Sono in totale 114 ordinate grosso modo in ordine decrescente di lunghezza, e si possono classificare in base alla
loro datazione: quelle cioè rivelate al Profeta alla Mecca, e quelle relative al periodo medinese. Per le citazioni
del testo coranico ci si rifà alla traduzione di FEDERICO PEIRONE, pubblicata per Arnoldo Mondadori Editore,
Milano 1979.
5
Cfr l’analisi che dà di questi due periodi PEIRONE nell’introduzione alla sua traduzione del Corano:
‹‹i capitoli medinesi sono in gran parte consacrati alla legislatura, alla chiarificazione e stabilimento di quelle
leggi che d’ora in poi regoleranno la vita nei paesi conquistati all’Islam […]. L’Islam che è giunto fino a noi
sarà, tutto sommato, un Islam medinese››, cit., pag. 52. Si veda anche BRANCA, I Musulmani, Il Mulino 2000, p.
24-25.
- 7 -
Gesù Cristo6 per il cristianesimo. Il corollario di questo dogma ha forti
implicazioni per la visione della politica nel mondo islamico. Se, come è
stato notato, il Corano contiene disposizioni che si qualificano in maniera
prettamente giuridica, la sua sacralità rende queste norme eterne. A questo
riguardo si è sviluppato un dibattito alquanto peculiare sulla natura creata o
non-creata del libro sacro7: se sull’atemporalità del messaggio meccano vi è
concordia tra gli studiosi, diversificato è l’atteggiamento sulle rivelazioni
medinesi. In particolare, la natura non-creata di queste ultime slegherebbe le
norme giuridiche in esse contenute dal momento storico del governo di
Medina, proiettando così nel mondo moderno una struttura giuridica di base
valida per ogni tempo. È sulla base di quest’assunto che gli odierni
movimenti islamisti sostengono la validità dell’applicazione della shari’a ad
imitazione della società perfetta del Profeta. La connessione di questi due
elementi (il contenuto giuridico delle sure medinesi e la natura sacra del
testo) si deve senz’altro associare al più potente dei principi teologici
dell’Islam: l’unicità di Dio ( tawhid). Nel suo rigido monoteismo8, l’unicità
appare come principio ordinatore del mondo stesso; non si può distinguere il
sacro dal profano, né tantomeno la politica dalla religione, essendo tutto
riducibile al tawhid .
La prima caratterist ica dell’Islam delle origini che pare fondamentale ai
fini di quest’analisi è la tematica dell’uguaglianza. A questo riguardo bisogna
tener presente l’acquis in cui nacque e visse Muhammad. La società araba
pre-islamica, e in part icolar modo quella dell’Arabia centrale, era in gran
6
Così BAUSANI A., (1999) L’Islam. Una religione, un’etica, una prassi politica, Garzanti, Cernusco
(MI), pag. 110.
7
Si veda l’argomentazione dello studioso egiziano Abu Zayd riportato in RAGIONIERI R., SCHMIDT DI
FRIEDBERG (a cura di), (2003) Culture e conflitti nel mediterraneo, Trieste, Asterios, pag. 51.
8
È particolare il contrasto con il cristianesimo, bollato come associazionista, colpevole cioè di
associare al Dio il Figlio e lo Spirito Santo.
- 8 -
parte costi tuita da popolazioni nomadi (beduine) che si concentravano
principalmente nell’attività agricola e commerciale. La struttura sociale era di
carattere nettamente tribale: la connessione di questi due aspetti (il
nomadismo e il t ribalismo) rendeva impensabile l’esistenza di un’autorità
accentrata; piuttosto, in conformità al le tradizioni, esistevano dei primus
inter pares (sayyid) e dei consigli (majlis) tribali delle famiglie più in vista
che si rendevano necessari perlopiù in periodi di guerra9. La relativa autorità
che seppe imporre i l clan dei Quraysh alla Mecca durante il VI secolo si
inquadra perfettamente in quest’ottica, rappresentando una classe di
commercianti che lentamente si stabilizzava nel territorio dell’Hijaz10, ma che
era ancora imbevuta di ideali e forme organizzative derivate dai beduini
(come dimostrazione, si può considerare appunto l’amministrazione
comunitaria degli affari, che veniva gestita da un majlis delle famiglie
dominanti).
Alla logica eguali taria delle tribù meccane si deve poi sommare nella
crescita intellettuale del nabi la part icolarità della società che Muhammad
trovò a Medina. In una cit tà lacerata dalle dispute tra le varie componenti
etniche e rel igiose,11 i l Profeta si erse a ruolo di arbitro, come gli fu richiesto
dagli abitanti del luogo, ben felici di adottare la nuova religione per
controbattere il potere delle comunità ebraiche. Questo fatto, insieme
all’osti lità del clan coreiscita che rappresentava una minaccia costante alla
stessa esistenza della comunità musulmana, inevitabilmente portò Muhammad
9
Su questi aspetti si veda LEWIS B., (1993) The Arabs in History, Oxford University Press. Ed.
Italiana 1998, Laterza, Bari, pp. 29-31.
10
Il territorio dell’Arabia centro-settentrionale si divide classicamente in tre aree: il Tihama, che
comprende le pianure costiere del Mar Rosso, l’Hijaz, nella zona montuosa che comprende Mecca e Medina, e
l’altopiano del Najd.
11
Medina era popolata all’epoca da alcune comunità arabe cristianizzate, ma prevalenti erano le tre
tribù ebraiche note come Banu Nadir, Banu Qurayza e Banu Qaynuqa. Il predominio economico fu acquisito
però da due tribù arabe pagane, i Aws e i Khazraj. Si veda LEWIS, cit.
- 9 -
ad adottare un sistema di identificazione sociale basato non più sul sangue ma
sulla religione. Tutt i i componenti della umma , da quel momento in poi,
dovevano essere uguali davanti all’autori tà di Dio esercitata dal suo Inviato
(rasul). Quasi a volerne costituire il fondamento giuridico, questa
impostazione emerse con tutta la sua portata innovatrice nella cosiddetta
‹‹Costituzione di Medina››12, una sorta di atto unilaterale con cui Muhammad
intendeva regolare i rapporti t ra la sua comunità e le tribù ebraiche. In questo
documento venivano innanzitutto riprese e codificate le antiche usanze tribali
che concedevano ampia autonomia a ciascuna unità tribale (i l riferimento era
però specifico alle tribù ebraiche). L’effetto dirompente fu, al contempo,
l’azzeramento di queste tradizioni all’interno della comunità islamica: al suo
interno tutte le dispute dovevano essere sospese per essere sottoposte al
giudizio del Profeta. Per converso, venivano esclusi da questo sistema i non
credenti. L’istituto della dhimmah doveva servire da contrappeso a quello
della comunità dei credenti: i dhimmi13 avrebbero potuto professare
liberamente la propria fede accettando, in compenso, tutta una serie di
limitazioni (tra cui il pagamento di un imposta specifica, la jizya) conseguenti
dal fatto di trovarsi all’interno di una comunità regolata secondo i principi
dell’Islam14. Si delineava, accanto all’egualitarismo sociale dei credenti, un
senso ‹‹solidale-comunistico››15 che doveva permeare tutti i componenti della
Umma; lo stesso Corano recita:
12 L’autenticità di questo documento sembra essere ormai cosa accertata tra gli studiosi. Si veda NOJA
S., Breve storia dei popoli arabi, Oscar Mondadori, Milano, p. 51.
13
Si noti che potevano godere di tale status solamente gli appartenenti alla gente del libro (ahl-al-
Kitab), cioè ebrei e cristiani, nonché i sabei e, secondo alcuni, gli zoroastriani (madzei).
14
Questo dualismo (Umma/dhimmah) trova la sua sistemazione giuridica nell’impero ottomano,
tramite il sistema del millet.
15
Così CAMPANINI M., (1999) Islam e Politica, Il Mulino, Bologna, p. 46.