In buona sostanza le disposizioni di riferimento possono essere
individuate negli articoli 9 e 32 Cost., il primo sulla tutela del
paesaggio ed il secondo sulla tutela della salute. La persona umana in
quanto tale ha diritto a vivere in un ambiente salubre e da qui emerge
la necessità della tutela dell’ecosistema. L’ambiente è un bene dotato
di autonoma rilevanza giuridica che, in quanto tale, va specificamente
tutelato.
1.2. La definizione di metagiuridica di ambiente.
Prima di entrare nel merito delle problematiche legate al danno
ambientale occorre definire cosa si intende per “ambiente”.
La tematica della tutela dell’ambiente ha posto il problema di dare una
configurazione al bene protetto, dunque definire legislativamente
l’ambiente come un bene giuridico tutelato di per sé.
Il tentativo di dare una definizione netta e precisa del concetto di
ambiente è stato oggetto di molteplici discussioni ed a tutt’oggi manca
una definizione chiara e univoca del termine ambiente, a causa dei
diversi approcci rintracciabili nella letteratura economica
1
.
In assenza di una ‘definizione normativa nazionale’, si può fare
riferimento alla nozione di ambiente fornita da alcuni Autori.
Denison
2
definisce l’ambiente come l’insieme di tutti gli aspetti
umani, politici e fisici di una società, mentre per Juster
3
l’ambiente
assume una connotazione esclusivamente fisica e biologica. Queste
1
A esempio, Colby segue un approccio che attribuisce una maggiore importanza agli aspetti
ecologici facendo una distinzione tra economia di frontiera, salvaguardia ambientale, ecosviluppo
ed ecologia pura. Colby M. ‘ Environmental management in development : the evolution of
paradigms’, World Bank, Washington D.C. 1990. Bresso, invece, fa un distinzione tra ‘l’economia
dell’ambiente’ e ‘l’economia ecologica’: la prima rappresenta una specializzazione dell’economia
classica, mentre la seconda si configura come una disciplina trasversale che attingendo da scienze
diverse, affronta tutti gli aspetti relativi al problema ambientale. Bresso M., ‘ Per un’Economia
Ecologica’, Nuova Italia Scientifica, 1994.
2
Denison E.F., ‘ Accounting for Slower Economic Growth’, Washington 1977.
3
Juster T.F., Courant P.N., Dow G.K., ‘ A Theoretical Framework for the Measurement of Well-
Being’, The Review of Incomeand Wealth, n.1, marzo, 1981.
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definizioni, difficilmente confutabili, sono tuttavia di scarsa valenza
pratica nel contesto del danno ambientale e della relativa valutazione
nell’ambito dell’azione risarcitoria.
Più utile sembra essere la definizione, richiamata nel “Libro Verde sul
risarcimento dei danni all’ambiente” a pag. 33, adottata dal Consiglio
di Europa per cui “l’ambiente comprende le risorse naturali abiotiche
e biotiche, quali l’aria, l’acqua, il suolo, la fauna e la flora,
l’interazione tra questi fattori, i beni che formano il patrimonio
culturale e gli aspetti caratteristici del paesaggio”.
Anche il recente “Libro Bianco” dell’Unione Europea, non ha dato
contributi significativi alla definizione di ambiente, limitandosi a
riaffermare l’importanza degli effetti sulla biodiversità nelle aree di
particolare interesse naturalistico.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, “l’ambiente è
costituito da un insieme di processi e influenze fisiche, chimiche,
biologiche e sociali che direttamente o indirettamente hanno un effetto
significativo e distinguibile sulla salute e sul benessere dell’individuo
o della comunità’.
Presso la giurisprudenza italiana il principio di unitarietà
dell’ambiente, così inteso, si può rintracciare nella sentenza della
Corte Costituzionale n. 641 del 30/12/1987: “l’ambiente è un bene
immateriale unitario, sebbene a varie componenti, ciascuna delle quali
può anche costituire, isolatamente e separatamente, oggetto di cura e
di tutela, pur essendo tutte, nell’insieme, riconducibili ad unità”.
Il bene ambiente è inoltre caratterizzato da connotazioni di
plurifunzionalità, in quanto è in grado di produrre utilità di tipo
multiplo, sia pubbliche che private, in particolare modo quando il
bene si identifica con risorse fondamentali, quali, ad esempio, l’acqua
ed il suolo.
3
L’agricoltura è un tipico esempio di attività con finalità multiple.
Infatti, alla tradizionale produzione di derrate, essa affianca esternalità
sia negative, come l’inquinamento idrico, la semplificazione del
paesaggio, sia positive, come la manutenzione del territorio, la
produzione di paesaggio ed il controllo idrogeologico. Un altro
esempio è costituito dalla selvicoltura, che produce legname
commerciabile ed altri prodotti a fruizione, talora libera e talvolta
privata (funghi, piccoli frutti, ecc.), e servizi tipicamente pubblici,
quali quelli paesaggistico - ricreativi e di protezione idrogeologica. Un
altro esempio è dato dall’edilizia rurale tradizionale che, considerata,
fino a qualche lustro fa, l’emblema della povertà delle popolazioni
contadine, ora assurge a testimonianza di valori tradizionali.
1.3. Il danno ambientale.
Comunemente per “danno ambientale” si intende l’insieme di
esternalità o conseguenze negative indotte sull’ambiente dalle
molteplici attività antropiche che operino sullo stesso una pressione
inquinante superiore a quella che è la naturale capacità dell’ambiente
di rigenerarsi.
Tali esternalità o effetti negativi sono di natura complessa e
molteplice: effetti sui fattori biotici (specie animali e vegetali) e
abiotici (radiazione, acqua, elementi minerali, ecc.), sugli ecosistemi
ecologici, sull’assetto (idrogeologico, paesaggistico, ecc.) del
territorio, sulle attività economiche (produttive e di consumo), sul
patrimonio (capitale prodotto dall’uomo, storico-culturale, ecc.).
Non solo, va rilevato come il danno ambientale in quanto tale abbia la
caratteristica di riflettersi a catena sui sistemi, biologici ed economici,
che abbiano un qualche legame con un determinato sistema
direttamente colpito.
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Ad esempio, si ipotizzi che i reflui inquinanti di una conceria siano
stati accidentalmente scaricati in un canale, danneggiando la fertilità
dei terreni circostanti e compromettendo le coltivazioni agricole in
corso. A livello di aziende agricole, il danno diretto viene stimato dai
mancati redditi lordi realizzabili dalla produzione: produzione lorda
vendibile al netto dei costi colturali e di raccolta non ancora sostenuti.
Se l’evento si fosse verificato in largo anticipo rispetto alla semina,
l’agricoltore, probabilmente, non avrebbe acquistato i fattori
produttivi (sementi, fertilizzanti, pesticidi, carburanti) né assunto
salariati avventizi. I settori a monte che forniscono beni o servizi
all’attività agricola avrebbero subito un danno indiretto, pari alla
perdita di reddito o di salario per il mancato impiego di fattori
produttivi. Analogamente, i settori a valle, che dipendono dai prodotti
di quella specifica coltivazione, potrebbero soffrire un danno indiretto
a causa della mancata disponibilità di output. I danni indiretti, sia a
monte sia a valle, dovrebbero essere conteggiati nella valutazione dei
danni complessivi.
Ed inoltre, si pensi ad esempio, al danno ad un bene pubblico quale un
lago: oltre al danno diretto subito dai pescatori e da quanti fruiscono
liberamente del lago a scopo ricreativo, costituiscono danni indiretti
da valutare, se non già reclamati dagli interessati, quelli subiti dalle
attività economiche colpite di riflesso. È questo il caso, ad esempio,
delle imprese turistiche e di tutto l’indotto colpito dal diminuito
afflusso turistico conseguente all’inquinamento del lago.
Ancora, il danno arrecato in seguito all’impossibilità di irrigare con
acqua inquinata viene valutato dalla riduzione del potenziale
produttivo sofferto a seguito della minore disponibilità idrica (ad
esempio, 100 ton di cereali). Per stimare correttamente il danno
effettivamente sofferto dal danneggiato, pari ai mancati ricavi al netto
5
dei mancati costi di produzione, occorre quantificare il valore della
produzione mancata al netto dei relativi costi evitati.
Tali danni dunque, sia diretti sia indiretti, devono essere tenuti in
considerazione in uno studio di stima che però deve porre particolare
attenzione alla valutazione delle componenti indirette che va effettuata
caso per caso e considerata con una particolare attenzione già nella
fase preliminare, in relazione alla rilevanza dell’evento avverso e deve
sempre essere dimostrato il nesso causale con il danno ambientale
occorso a seguito dell’illecito contestato.
Le esternalità negative legate ad un determinato danno ambientale
generano una diminuzione dell’utilità o del benessere collettivo per
cui sono rilevanti sotto il profilo sociale ma mentre nel caso in cui
siano coinvolti i soggetti economici del mercato tale danno è
classificabile e, senza particolari difficoltà, determinabile in termini di
mancato reddito, nel caso in cui non vengano coinvolti soggetti
economici sorgono problemi per le difficoltà di identificazione e,
soprattutto, di misurazione che spesso può avvenire solo in termini di
parametri fisici (indicatori biologici, fisici, ambientali, ecc...)
restringendone la monetizzazione diretta ai casi di eventuale ripristino
delle condizioni iniziali e a tutti i casi in cui la collettività è in grado
di percepire la gravità e le conseguenze di queste tipologie di danno.
Tuttavia, il crescente interesse verso i beni e servizi ambientali, ha
stimolato la ricerca di nuovi metodi di analisi, con l’intento:
1. di definire indicatori sociali e ambientali in grado di monitorare
fenomeni ambientali e sociali non direttamente monetizzabili;
2. di capire fino a che punto si può spingere la monetizzazione di beni
ambientali senza un esplicito valore di mercato (es. attività ricreative
su suolo pubblico, salute derivata dall’aria pulita, ecc.).
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Allo stato attuale, gran parte degli effetti ecologici, peraltro, sono
misurabili solo in termini di indicatori fisici, è misurabile cioè solo la
loro entità.
La loro stima monetaria è perseguibile solo nei casi in cui sia possibile
effettuare il ripristino (costi di ripristino) o quando si intenda
procedere alla definizione di misure previste dalla norma (profitto del
trasgressore).
Per facilitare l’identificazione e la valutazione degli effetti rilevanti da
un punto di vista non solo economico, ma anche ecologico, ne si può
tentare una classificazione che faccia riferimento: alla natura dei beni
colpiti (danni alle attività economiche, al patrimonio, all’ecosistema,
ai beni storico- culturali, danni diretti sull’uomo); alle modalità di
manifestazione (danni diretti o indiretti); alla reversibilità degli effetti
(danni reversibili e irreversibili); all’orizzonte temporale di
valutazione (danni temporanei e permanenti).
La reversibilità del danno è sicuramente uno degli aspetti più
importanti nella valutazione degli effetti sull’ambiente: essa si
riferisce alla capacità concreta, da parte dell’ecosistema danneggiato,
di attivare dei meccanismi di reazione fisici, chimici, biologici, ed
ecologici che annullano gli effetti provocati dall’evento dannoso
ripristinando autonomamente le condizioni esistenti prima dell’evento
avverso in modo stabile e definitivo. Tuttavia non è sempre possibile
che gli effetti di un danno ambientale si annullino per il ripristino del
sistema. Ciò è, infatti, molto probabile per le attività economiche o per
il patrimonio costruito dall’uomo, ad eccezione dei contesti che
rivestano particolare importanza dal punto di vista storico-culturale,
ma non è sempre possibile per quanto riguarda gli ecosistemi naturali,
i quali possono essere oggetto di effetti la cui natura fisico - chimico-
biologica rende il danno irreversibile ed il ripristino delle condizioni
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iniziali appare difficoltoso, se non addirittura impossibile come nel
caso dell’estinzione di una specie.
Per questi casi sono stati proposti dei metodi di valutazione basati non
tanto sul ripristino, quanto sulla valutazione equitativa del danno.
In altri casi, la reversibilità è solo parziale ed interessa solo alcune
componenti del danno, in particolare quelle legate al ripristino delle
attività produttive o patrimoniali danneggiate, ma esclude quelle
legate agli aspetti ecologici.
Indipendentemente dal grado di reversibilità/irreversibilità del
danno, esso è caratterizzato da una sua dinamica dipendente dal
contesto ambientale interessato e suddivisibile in due intervalli
temporali: una fase transitoria e una fase permanente. La fase
transitoria va dal momento in cui si concretizza il danno ambientale,
con profitto indebito del danneggiante, fino a quando tale
compromissione dell’ambiente non viene accertata e si interviene
affinché venga prima sospeso l’evento avverso e poi attuate le misure
di mitigazione e ripristino il quale, peraltro, spesso non è possibile in
modo completo e definitivo. Le modalità di comportamento e di
diffusione degli effetti del danno nei tempi successivi alla sospensione
dell’evento avverso sono poi strettamente legate alla interazione che si
crea tra il danno ambientale da un lato, in termini di intensità
dell’azione dannosa e caratteristiche di diffusione nell’ecosistema, ed
ecosistema stesso dall’altro in termini di capacità di reagire alla
perturbazioni causate dall’evento avverso. A seconda dell’interazione
che si crea si possono avere molteplici conseguenze ambientali nei
tempi successivi il danno, ed a seconda di ciò cambia la metodologia
estimativa: spesso gli sforzi di ripristino e mitigazione consentono
solo un recupero parziale (dunque si hanno danni parzialmente
reversibili) dell’ambiente, in altri casi invece gli effetti producono.
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