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Quanto alla televisione, in assenza di regolamentazione specifica,
intervenuta solo di recente con la l. 223 del 1990, la crescita e lo sviluppo delle
emittenti locali ha dato vita ad un altro fenomeno: la nascita di un potere
concorrente a quello statale che non tende, almeno per il momento, ad
esautorarlo completamente, ma che si affianca ad esso dando vita una ad sorta
di correggenza o di duopolio, alterando l’equilibrio istituzionale e ricalcando,
seppur marginalmente, un fenomeno già conosciuto nell’antica Roma e che
vedeva accanto al Senatus, il cui compito principale era controllare l’aerarium, i
consules che, a detta di Polibio, esercitano in Roma l’autorità su tutti pubblici affari.
Non è tutto. Appare significativo, infatti, che nell’intento di attuare il disposto
dell’art. 21 Cost., la stessa libertà d’espressione abbia ricercato o ripensato
nuove forme di diffusione delle informazioni e di manifestazione delle idee: si
pensi all’enorme numero di radio e network che invadono l’etere o
all’impressionante dilatazione delle reti telematiche.
E’, quindi, innegabile che il quadro politico istituzionale sia talmente
mutato, negli ultimi cinquant’anni, che oggi si rendono necessari, all’occhio
del legislatore, immediati interventi di riforma costituzionale.
Mutati sono i rapporti di potere e mutata è anche l’informazione.
Questa, infatti, non è più vista come la notizia del giorno, buona o cattiva che
sia, ma come la possibilità di un lucro pressoché illimitato, fintanto che ci
saranno alla base gli accordi necessari a permetterlo. Non è più informazione:
è il businness dell’informazione!
Come se non bastasse, a peggiorare le cose, c’è da considerare la
velocità di circolazione delle notizie che, similmente al denaro, si diffondono
in tutto il mondo e diventano così conoscibili già all’atto della emissione. Ciò è
possibile grazie alla moderna tecnologia informatica che attraverso il telefono,
la televisione, la radio e i satelliti, riesce a diffondere, praticamente in tempo
reale, qualsiasi tipo di dato. Ciò comporta, però, almeno due ordini di
problemi.
Se, da un canto, è aumentata e migliorata l’informazione, considerando
le due variabili direttamente proporzionali, dall’altro è aumentato il rischio di
essere esposti a minacce o pericoli di vario genere, poiché l’intrusione
autorizzata di qualsiasi genere di notizia, rende l’uomo inevitabilmente meno
libero e meno sicuro.
E’ in questi termini che bisogna inquadrare il problema dei diritti della
personalità ed i limiti nell’ingerenza di questi rappresentati dai reati di
diffamazione, ingiuria, ed illecita pubblicazione di atti. Ed è, inoltre,
paradossale osservare che, all’abnorme proliferazione dei mezzi di
comunicazione, non corrisponda, o quantomeno non sia corrisposta fino ad
oggi, un’altrettanto logica e consequenziale crescita dei mezzi di tutela
dell’individuo. E’ necessario, quindi, un intervento del legislatore che, ora su
disposizioni di legge o regolamento, ora avendo riguardo ad specifiche
modifiche della Costituzione stessa, fornisca, in definitiva, una tutela efficace
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ed omogenea contro ogni indebita intromissione causata da informazioni,
notizie o immagini nocive o pericolose.
Significativa, al riguardo, è l’espressione coniata da Orson Wells –
Quarto Potere – facendo appunto riferimento al ruolo che l’informazione gioca
nel sistema politico italiano. Si potrebbe dire che ogni affermazione resa al
pubblico attraverso la televisione, la stampa o internet, leda in qualche modo
un complesso di situazioni soggettive facenti capo a ciascun individuo. Se
questo è vero, allora si pone il problema dei limiti costituzionali di questo tipo
d’ingerenza.
Dal primo editto sulla stampa risalente al re Carlo Alberto, passando
per l’epoca del fascismo fino ai giorni nostri, il ruolo della stampa locale e
nazionale è notevolmente cambiato. Causa di questo fenomeno è innanzitutto
il processo di alfabetizzazione che, coinvolgendo l’Italia del dopoguerra, ha
permesso l’evoluzione e l’affermazione di numerose testate giornalistiche sia
nazionali sia locali. Nel tempo, poi, si sono susseguite diverse leggi regolatrici
della materia che intervenendo in diversi settori hanno cercato di attuare le
garanzie previste dalla Costituzione. Tuttavia, il cambiamento è ancora in atto
e ha riguardato ed ancora interessa l’intera società. Dall’emanazione della
Costituzione e della prima legge sulla stampa le cose sono significativamente
mutate. Se cinquant’anni fa le notizie erano diffuse solo tramite giornali e
radio, oggi, il panorama mediatico si rispecchia in altri e più potenti mezzi di
comunicazione che non la carta stampata.
La televisione, sebbene sia il principale mezzo di diffusione delle
informazioni, non è però l’unico, né il più nocivo. La diffusione delle notizie
per via telematica ed il dilagare delle reti informatiche hanno rivoluzionato il
concetto stesso d’informazione che è ora divenuto un qualcosa di personale,
una sorta di pratica che ciascuno, in possesso di un computer, può iniziare
comodamente da casa.
Se i giornali, con l’avvicendarsi delle legislature, delle guerre e delle
crisi hanno conservato nel tempo pressoché immutata la loro funzione,
alterando forse solo l’atteggiamento nei confronti della notizia, con internet il
discorso è totalmente diverso perché l’apprendimento è immediato e
l’atteggiamento nei confronti della notizia muta al mutare (istantaneo) del suo
contenuto: si cerca un sito per trovare qualcosa, si visita un motore di ricerca
per avere quei documenti. Non c’è una terza persona che fornisce
l’informazione come nel caso della televisione e l’attività dell’ISP (Internet
Service Provider) è pressoché celata (si limita a fornire il servizio internet). In
questo modo si ha accesso immediato ad una infinità di informazioni, ma allo
stesso tempo, però, questo enorme flusso di dati è scandagliato e monitorato,
cosicché è possibile arrivare a sapere chi, dove e quando ha visitato quel
determinato sito, con quale frequenza consulta la rete e tutta una serie di altri
dati, strettamente personali, che dovrebbero restare segreti.
La segretezza dei dati personali, però, non è più una virtù, ma è
divenuta merce di scambio, dal momento che ciascun computer risulta visibile
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agli altri attraverso un indirizzo, una sorta di codice di identificazione, che
rilascia automaticamente alla sua immissione nella rete. Quest’indirizzo, quasi
sempre sconosciuto al fruitore del servizio (colui che si collega ad Internet ad
es. da casa), è però, conoscibile da parte di determinati organismi della rete
(primo fra tutti l’ISP, ma non solo), così come sono potenzialmente visibili
tutta una serie di dati protetti. Si rende quindi possibile, per i fornitori di
servizi Internet, conoscere le abitudini dei navigatori e tracciare un quadro,
tutt’altro che virtuale, della personalità, del carattere e dello stile di vita di
ciascuno di essi.
Questa pratica, è evidente, ha uno sbocco favorevole solo per le società
fornitrici, mentre deturpa in malo modo la privacy e la riservatezza di ciascun
internauta. In altri termini, mentre si favorisce al massimo la libertà
d’informazione, si costringe entro limiti sempre più angusti l’inviolabilità del
domicilio, l’identità personale, l’onore e la reputazione di ciascun soggetto, dal
momento che l’accesso ad internet è pressoché a portata di tutti. E c’è di più!
Consapevoli di questa situazione, che molto ha d’incostituzionale e veramente
poco di legale, i fornitori di servizi Internet si assicurano il tacito consenso
dell’avente diritto facendo firmare a quest’ultimo un contratto con il quale
l’interessato acconsente al trattamento dei suoi dati!
Ora, è innegabile che, attraverso Internet, si possano perseguire fini di
utilità sociale, ma ciò che andrebbe ripensato, e per questo c’è bisogno di
opportune modifiche legislative, è il rapporto che s’instaura tra l’ ISP ed il
cliente. Articolato in maniera tale da immunizzare totalmente la parte forte di
esso, ossia l’ISP, un contratto siffatto si presta a ragionevoli censure
d’incostituzionalità - stante il disposto degli artt. 2, 3, 4, 10 e 11 Cost. e
dell’intero Titolo I della stessa, dedicato ai rapporti civili - mancando del tutto
un’adeguata forma di tutela per il contraente debole, qualora si attuino
ingerenze non consentite nella sua sfera privata che richiedono soddisfazione
in giudizio.
La legge 675 del 1996 e le sue successive modifiche, si è preoccupata di
disciplinare il trattamento dei dati personali fornendo ragguagli su cosa debba
intendersi per banche dati e dati sensibili. Quanto alle prime, per esse
s’intende una raccolta d’informazioni detenuta aliunde che di solito è custodita
da esercenti un pubblico servizio : giornali, televisioni e portali digitali. Per i
dati sensibili il discorso è diverso. Si tratta di informazioni riguardanti la sfera
personale dell’individuo che come tali dovrebbero essere segrete e protette.
Tuttavia, a fronte di questa possibilità la l. 241 del 1990 consente l’accesso a
qualsiasi tipo di documento, subordinando la richiesta di consenso ad un
interesse rilevante del soggetto procedente.
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Capitolo I
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1.1 - Cenni introduttivi
Nel nostro Paese, la Costituzione rappresenta la legge fondamentale su cui
poggia l’intero sistema giuridico. Nelle parole di Hobbes “legge fondamentale è
in ogni Stato quella che, ove venga abolita, lo Stato cade e si dissolve completamente,
come un edificio di cui vengano distrutte le fondamenta”. Tenendo a mente questo,
l’ordinamento giuridico non è costituito da un sistema di norme dotate della
medesima forza e di eguale gerarchia, ma con riferimento a Kelsen è, piuttosto
“un ordinamento a gradi, composto di differenti livelli di norme. L’unità del sistema è
data dalla concatenazione tra differenti livelli, per cui la produzione e la validità del
livello successivo è interamente stabilita dal livello normativo precedente, risalendo via
via fino al gradino più alto, alla norma fondamentale”. Nella concezione hobbesiana
la Costituzione fornisce il presupposto logico giuridico per la produzione e la
validità delle leggi ordinarie, dei regolamenti governativi, dei decreti
ministeriali, dei regolamenti locali e così a seguire. Ne discende che, in tale
impianto gerarchico, le fonti normative poste su un piano sottordinato non
potranno in nessun modo porsi in contrasto con quelle di livello superiore.
Così, nell’ordinamento giuridico a gradi un eventuale conflitto tra legge
ordinaria, statale o regionale e la Costituzione conduce inevitabilmente ad un
vizio di costituzionalità della prima. Tuttavia, la Costituzione non è solo
l’insieme di regole fondamentali che danno identità ad un ordinamento
generale dei rapporti politici e sociali che si svolgono all’interno di uno Stato.
Nella Costituzione sono rappresentati i principi giuridici da cui dipende la
determinazione degli organi supremi dello Stato, il modo della loro
formazione, i loro rapporti reciproci e la loro sfera di azione e, non ultimo, la
posizione del singolo di fronte al potere dello Stato.
Dalla polis greca all’età medievale, passando per l’età moderna fino a
giungere alle democrazie contemporanee, tali rapporti si sono profondamente
evoluti. Si può pertanto affermare che la nostra Costituzione riflette i caratteri
fondamentali della nostra epoca, poiché fotografa in termini giuridici
l’evoluzione culturale, le conquiste civili e politiche, le trasformazioni
istituzionali che identificano in maniera peculiare la società in cui viviamo.
In sintonia con quest’orientamento si può affermare con Mortati
“l’esistenza di una Costituzione materiale, intesa come l’insieme dei valori, dei
fini condivisi, delle forze politiche e sociali che garantiscono l’effettiva unità e
permanenza di un ordinamento, al di là ed eventualmente anche contro la
Costituzione formale. Proprio per questo motivo, si ritiene ancora oggi, che
una delle caratteristiche peculiari delle Costituzioni moderne sia, insieme alla
rigidità proprio l’elasticità, ossia la capacità delle disposizioni costituzionali di
rinnovarsi ed adattarsi ai mutamenti del tessuto sociale, la possibilità di essere
interpretate e applicate in modo diverso a seconda delle circostanze, dei tempi
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e delle esigenze. Quest’ apertura della Costituzione alla collettività e alla sua
organizzazione, da un lato ne favorisce un maggiore longevità rispetto alle
leggi ordinarie e in generale alle alte fonti dell’ordinamento; dall’altro, tende
inevitabilmente a conformare le norme costituzionali come programmi,
obiettivi da perseguire, disposizioni generali suscettibili di essere riempite di
contenuti diversi a seconda delle vicende storiche, degli orientamenti culturali
e politici, piuttosto che come regole dotate d’immediata precettività.
I principali modelli di riferimento seguiti dalle democrazie
contemporanee sono rappresentati da due precedenti storici:
ξ La Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789, figlia
della nuova concezione del potere statale d’impronta liberale, formatasi
in seguito alla rivoluzione francese;
ξ La Dichiarazione d’Indipendenza Americana del 1776, approvata dopo
l’esperienza della guerra tra gli abitanti delle colonie del nuovo
continente e la madre patria;
In entrambe queste carte, veri e propri prototipi delle costituzioni
contemporanee, assume centralità l’elenco di diritti spettanti all’uomo in
quanto tale.
Patendo da una base concettuale comune, le due esperienze però, si
diversificano profondamente: nel primo caso, la declamazione dei diritti
naturali dell’uomo porta alla sovranità della legge, formata con il consenso dei
cittadini su base statulista e legicentrista; Nel secondo caso, i diritti individuali
trovano un fondamento in una sfera giuridica che precede il diritto positivo, al
punto che i diritti sono considerati un patrimonio da difendere contro tutte le
minacce, comprese quelle provenienti dal potere politico e dal legislatore, in
quadro caratterizzato da una chiara sovranità dei diritti sulla legge.
I modelli costituzionali attualmente prevalenti in Europa occupano una
posizione intermedia tra la tradizione francese e quella americana. In tale
visione mediana, lo Stato - legislatore è anch’esso espressione di un particolare
tipo di diritti, i diritti politici, diversi da quelli finalizzati alla tutela di
situazioni individuali. In base a questa costruzione, Stato e diritti smettono di
contrapporsi: si afferma il diritto di partecipazione dei cittadini alla
determinazione delle scelte politiche, alla direzione politica della vita
collettiva, senza tuttavia rinunciare alla protezione dei diritti individuali e
civili. Da questo equilibrio nasce la convivenza tra i diritti propriamente
politici, che fanno capo a una dimensione statuale e oggettiva, e diritti, e diritti,
e diritti individuali, che invece fanno capo a una dimensione personale e
soggettiva dell’ordinamento; entrambe queste prospettive compongono la
realtà costituzionale delle principali democrazie europee.
Nelle Costituzioni europee del Novecento, pertanto, vengono
positivizzate le principali concezioni che ispirano il costituzionalismo
settecentesco:
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ξ la sovranità popolare da cui discende l’unicità dello Stato e del
legislatore;
ξ la supremazia della Costituzione sulla legge;
ξ l’idea dello Stato come soggetto dotato originariamente di poteri propri;
ξ l’affermazione e la garanzia dei diritti individuali, che divengono una
dotazione giuridica propria del titolare;
ξ il principio democratico, in base la quale si afferma l’esistenza di diritti
politici, non necessariamente legati alla promozione e alla tutela di
posizioni individuali;
Il rapporto tra diritti e Stato nelle costituzioni europee attuali, “per la parte in
cui si allontana da quella francese rivoluzionaria, si avvicina a quella americana e per
la parte in cui si allontana da quella americana, si avvicina a quella francese
rivoluzionaria” (Zagrebelsky 1992).
I diritti e i doveri individuali sono essenzialmente rappresentati nella
parte prima della Carta costituzionale dagli artt. 13 e ss. e articolati tra diritti
concernenti i rapporti civili, etico – sociali, economi e politi delle persone.
Nonostante che l’intestazione di questa parte della Costituzione sia
formalmente dedicata ai diritti e “doveri dei cittadini”, molte delle posizioni
individuali che in essa trovano collocazione, sono riferibili alla generalità dei
soggetti, come esseri umani, a prescindere dallo status di cittadini italiani che a
essi possa essere riconosciuto; mentre solo i diritti in precedenza qualificati
come politici, e taluni di quelli civili sono riconosciuti ai soggetti che
intrattengono con lo Stato italiano un rapporto formale di cittadinanza.
Uno dei primi dubbi che si pone all’interprete, nell’affrontare l’analisi
dei diritti e dei doveri stabiliti dalla nostra Carta costituzionale, è quello della
esaustività, della completezza della disciplina costituzionale. Si tratta di capire
se l’elenco dei diritti che è riportato nella nostra Costituzione, rappresenti una
lista chiusa, tassativa, il cui ampliamento e adeguamento alle nuove esigenze
imposte dall’evoluzione della società, richieda un procedimento di revisione
costituzionale.
All’origine della codificazione dei diritti umani in molte costituzioni
europee, compresa la nostra, vi è una concezione filosofica che si radica nella
dottrina giusnaturalista, in base alla quale “esistono leggi non poste dalla volontà
umana e in quanto tali precedenti la formazione di ogni gruppo sociale, dalle quali
derivano, come da ogni legge morale o giuridica, diritti e doveri che sono per il fatto
stesso di essere derivati da una legge naturale, diritti e doveri naturali” (Bobbio,
1985). In questa prospettiva, esistono diritti spettanti all’uomo in quanto tale,
indipendentemente dall’apparato statale e dalla legge i quali si caratterizzano
per essere inviolabili da parte dei poteri pubblici, inalienabili da parte dei
titolari e imprescrittibili rispetto al loro utilizzo.
I diritti umani, a volerli costruire come diritti naturali, si legano a ciò che
rappresenta in natura la regola essenziale, l’evoluzione. In altre parole, i diritti
umani diventano una categoria in espansione non statica e immobile nel
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tempo. La loro protezione, in particolare non è assoluta, ma è legata ai bisogni
che la società esprime in un determinato momento storico. Basti pensare che il
diritto di proprietà, ritenuto imprescindibile, nelle dichiarazioni
settecentesche, ha subito in seguito una serie di limitazioni a favore di altri
diritti.
Seguendo quest’impostazione, la dottrina ha individuato diverse
“generazioni” di diritti fondamentali a seconda delle epoche storiche. La prima
generazione dei diritti umani è quella dei diritti tradizionali, sanciti nelle
costituzioni liberal democratiche. Si tratta di diritti caratterizzati da forme di
libertà prevalentemente negative, rivendicate soprattutto nei confronti dello
Stato, in base alla quale un soggetto ha la possibilità di agire senza essere
impedito o di non agire senza essere costretto da altri soggetti. La seconda
generazione dei diritti umani è rappresentata dai diritti sociali, politici ed
economici. Questi consistono in richieste specifiche rivolte allo stato, e non più
in semplici assenze di limitazioni da parte di quest’ultimo. Con la
trasformazione degli stati moderni da monoclasse a pluriclasse e
l’accrescimento costante dei loro compiti, alle c.d. libertà negative si affiancano
una serie di rivendicazioni nei confronti del potere pubblico. Si tratta delle c.d.
libertà positive, che presuppongono un impegno maggiore, dal momento che
per la loro realizzazione si richiede un fare “positivo” da parte dello Stato. Per
tali libertà si parla anche di libertà “nello” Stato, nel senso di diritti che
consentono la partecipazione al potere politico, quali il diritto di voto, di
associazioni in partiti ecc; ovvero di libertà “mediante” lo Stato, in quanto
rivolte ad ottenere prestazioni perequative, dirette a compensare le differenze
sostanziali tra i cittadini, da parte dei poteri pubblici (Barbera, Cocuzza, Corso,
1997).
L’avvento dei diritti di terza generazione spezza quest’impostazione e
introduce una categoria di situazioni soggettive che prescindono dallo Stato e
dall’autorità nazionale, rivolgendosi alla tutela di valori assoluti e globali,
comprendenti il diritto alla pace, il diritto alo sviluppo dei popoli, il diritto
all’ambiente, il diritto al patrimonio comune dell’umanità e alla sua
conservazione. Sebbene l’affermazione di questa nuova classe di diritti sia
pressoché indiscussa, in diversi ambienti, sia in dottrina che in giurisprudenza,
già si afferma l’idea di una quarta generazione di diritti, legata agli ultimi
sviluppi del progresso tecnologico: ne sono una prova i diritti concernenti
l’impiego e le applicazioni della ricerca biogenetica.
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1.2 – L’articolo 2 della Costituzione
“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo
sia nelle formazioni sociali ove svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei
doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
Con questa formulazione, l’art. 2 si propone come una delle disposizioni
più innovative e a un tempo più discusse della Costituzione italiana. La novità
principale di questa norma consiste nell’uso del verbo riconoscere che rinvia
all’idea di un ordine di diritti antecedente o presupposto rispetto allo Stato e al
potere politico, d’impronta giusnaturalistica. Tuttavia, se questa formulazione
incontra il favore della componente cattolica presente in assemblea costituente,
per l’implicito rimando a sistemi di norme morali su cui si fondano i diritti
umani, per la componente laica e positivista, tale riferimento è accettato solo
come enfatizzazione dell’importanza dei diritti umani all’interno del nostro
ordinamento.
L’art. 2 inoltre, afferma anche l’obbligo dello Stato di “garantire” questi
diritti, rivelando in ciò che i diritti dell’uomo molto spesso, consistono in
posizioni soggettive non autosufficienti che richiedono un intervento attivo
(libertà positive) da parte del potere politico per la loro piena realizzazione.
L’inviolabilità a sua volta limita la possibilità d’incidere sul contenuto e
sull’effettività di questi diritti, valevole tanto nei confronti degli altri consociati
che dell’autorità pubblica, e finanche dello stesso titolare: i diritti
“naturalmente spettanti all’uomo si considerano esercitabili nei confronti di
tutti (assoluti), non cedibili per volontà del titolare (inalienabili), non
suscettibili di costituire oggetto di disposizioni con atti di volontà
(indisponibili e irrinunciabili), non estinguibili per il mancato esercizio da
parte del titolare (imprescrittibili).
L’aspetto più interessante del dibattito sull’interpretazione dell’art. 2
Cost. riguarda la portata del precetto in esso contenuto: la dottrina
d’impostazione positivista ha proposto una lettura che considera questa
disposizione come una “fattispecie chiusa”, in cui troverebbero anticipazione e
sintesi i diritti successivamente codificati dagli artt. 13 e ss. In questa visione
l’art. 2 non aggiunge nulla di nuovo ai diritti individuali espressamente
previsti dalla parte prima della costituzione, ma avrebbe una funzione
meramente “riassuntiva” di ciò che le altre norme costituzionali espressamente
prevedono. Una seconda tesi, che ha ormai trovato pieno riconoscimento nella
giurisprudenza della Corte costituzionale considera, invece, la disposizione
dell’art. 2 Cost. come una “fattispecie aperta”, una sorta di valvola di entrata
che permette l’inserimento e l’integrazione nella nostra Costituzione che, nel
corso del tempo sono espressi dalla società e dalla coscienza collettiva.