51. LE STATEGIE COMPETITIVE: DIFFERENZIAZIONE E
LEADERSHIP DI COSTO
1.1. Il modello di Porter: differenziazione vs leadership di costo
Alla base del successo di un’impresa ci sono il raggiungimento prima, e il
mantenimento poi, di un vantaggio competitivo sostenibile. Questo si manifesta
nella capacità dell’impresa di creare un valore che sia percepito dal mercato come
superiore rispetto a quello sviluppato dai competitors e tale vantaggio si traduce,
quindi, in una redditività stabilmente maggiore rispetto ai concorrenti (Fontana F.,
Caroli M., 2006).
Michael Porter (1980, 1985) identifica tre particolari strategie che consentono
all’impresa di raggiungere tale posizione: la strategia di leadership di costo, la
strategia di differenziazione e quella di focalizzazione.
La prima consiste nella capacità dell’impresa di offrire prodotti simili o equivalenti
a quelli offerti dai concorrenti ad un prezzo minore, ovvero consiste nella capacità
di questa di operare a un livello di costi unitari inferiore a quello dei rivali. Ciò
consente all’impresa di controllare la leva competitiva del prezzo: essa può
abbassare il prezzo di vendita della propria offerta ad un livello che, pur rimanendo
al di sopra del proprio costo medio, risulta inferiore a quello degli altri operatori
dello stesso gruppo strategico. Ciò porta ad un aumento della domanda che si
riflette naturalmente nell’incremento del livello di produzione dell’impresa con
conseguente possibilità per quest’ ultima di aumentare il grado di sfruttamento delle
economie di scala. Essa rafforza così il proprio vantaggio di costo, e si trova nella
condizione di poter ridurre nuovamente il prezzo di vendita e acquisire nuova
domanda.
6Il vantaggio conseguente alla leadership di costo non si manifesta necessariamente
nella riduzione del prezzo, è infatti evidente che, se l’impresa leader di costo
mantiene il prezzo della propria offerta ai livelli medi dei concorrenti, essa si
troverà a beneficiare di un margine di redditività più alto che consente, da un lato un
più alto livello di autofinanziamento, dall’altro una maggiore remunerazione del
capitale di rischio attraverso la distribuzione dell’utile. In definitiva, la leadership di
costo si traduce in una maggiore capacità di crescita dell’impresa e/o in un
rafforzamento della propria posizione competitiva. Le determinanti del livello dei
costi sono da un lato fattori quali: i diversi tipi di economie (di scala, di scopo e di
apprendimento), il grado di utilizzazione della capacità produttiva, la tecnologia di
processo, la progettazione del prodotto, la localizzazione delle attività produttive, il
potere contrattuale dei fornitori, l’ottimizzazione delle relazioni con i distributori e
fattori generici di efficienza interna; dall’altro troviamo fattori relativi ai legami tra
l’attività in questione e le altre attività della catena del valore1. L’impresa può,
infatti, raggiungere un vantaggio di costo attuando una riconfigurazione della
propria catena del valore, ovvero modificando la propria organizzazione e il modo
in cui svolge le sua attività, raggiungendo così una differenziazione strutturale
rispetto ai costi sostenuti dai concorrenti (outsourcing, reingegnerizzazione dei
processi produttivi, razionalizzazione dell’insieme delle unità produttive e
modificazione della posizione nella filiera produttiva).
La seconda strategia individuata da Porter è quella della differenziazione. Questa
consiste nella capacità dell’impresa di imporre un premium price per i propri
prodotti superiore al costo sostenuto per differenziarli, cioè dotarli di caratteristiche
1 1 Per catena del valore si intende un modello che permette di descrivere la struttura di una organizzazione
come un insieme limitato di processi. Questo modello è stato teorizzato da M. Porter nel 1985 nel suo best-
seller Competitive Advantage: Creating a Sustaining Superior Performance. Secondo questo modello,
un’organizzazione è vista come un insieme di 9 processi, di cui 5 primari e 4 di supporto:
Attività primarie: logistica interna, operations, logistica esterna, marketing e vendite, servizi.
Attività di supporto:attività infrastrutturali dell’impresa, gestione delle risorse umane, sviluppo della
tecnologia, approvvigionamenti
7uniche alle quali i consumatori riconoscano un valore tale da spingerli ad acquistare
quei prodotti anziché quelli dei concorrenti, anche a fronte di un esborso maggiore.
Affinché la differenziazione determini una posizione di vantaggio competitivo
devono essere assolte quattro condizioni: l’unicità dell’offerta, che deve essere
distinta in maniera netta da quella dei concorrenti, tale unicità deve effettivamente
creare valore per il cliente, tale valore deve essere effettivamente percepito dal
cliente e, infine, la differenziazione deve essere economicamente sostenibile.
La terza strategia è quella di focalizzazione, che altro non è che l’attuazione di una
o l’altra delle due precedenti strategie in un’area relativamente piccola del mercato.
Consiste, infatti, nella ricerca di una posizione di vantaggio assoluto nei costi o di
differenziazione in una nicchia di mercato.
Figura 1: Le strategie competitive di base secondo il modello di Porter. Elaborazione dell’autore.
Vantaggio competitivo
Costi inferiori Differenziazione
T
ar
ge
t
s
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at
eg
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co
S
e
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Leadership di
costo
Differenziazione
Un
se
g
me
n
to
d
e
l
se
tt
o
r
e Focalizzazione
sui costi
Focalizzazione
sulla
differenziazione
8Secondo il modello di Porter è fondamentale che l’impresa scelga una e una soltanto
delle strategie in esame, per evitare di trovarsi in quella posizione che egli chiama di
“struggle in the middle”, tipica di quell’impresa che, impegnandosi in tutte le
strategie, non riesce a realizzarne nessuna e pertanto non possiede alcun vantaggio
competitivo. Porter, in particolare, teorizza la leadership di costo e la
differenziazione come strategie incompatibili, in quanto la differenziazione richiede
investimenti. Più precisamente, egli sostiene che in uno stadio iniziale potrebbero
essere adottate entrambe, ma quando vi è un’abile concorrenza che mira alla
leadership di costo, si arriverà ad un punto in cui un’ ulteriore riduzione dei costi
richiederà un sacrificio alla differenziazione. E’ a questo punto che le due strategie
risulteranno evidentemente incompatibili. Tenendo a mente che si tratta di
situazioni temporanee, Porter individua tre particolari condizioni che consentono ad
un’impresa di ottenere contemporaneamente sia la leadership di costo, sia la
differenziazione: quando la concorrenza è “struggle in the middle”, ovvero nessuno
dei concorrenti è abbastanza forte, quando i costi sono condizionati dalla quota di
mercato o dalle interrelazioni, ovvero se la quota di mercato è alta e se ci sono
interrelazioni importanti tra settori diversi che un concorrente può sfruttare e gli
altri no, e infine quando un’impresa realizza per prima una novità importante che le
consente di avvalersi di un’innovazione tecnologica di cui gli altri operatori non
dispongono. Ribadisco che si tratta di situazioni temporanee: nel lungo termine, se
l’impresa cercasse di far convivere le due strategie, si renderebbe evidentemente
vulnerabile nei confronti dei rivali emergenti che, concentrandosi su una soltanto,
raggiungerebbero risultati migliori.
In conclusione, il modello di Porter evidenzia l’incompatibilità delle due strategie di
leadership di costo e differenziazione al fine di raggiungere, per l’impresa, un
vantaggio di costo sostenibile.
91.2. Le critiche al modello di Porter
Al fine di ottenere un vantaggio competitivo sostenibile e duraturo, il modello di
Porter risulta evidentemente inadatto per via della sua eccessiva semplificazione e
pertanto è stato oggetto di numerose critiche da parte di teorici successivi.
In particolare Charles Hill (1988) con l’articolo “Differentiation versus low cost or
differentiation and low cost: a contingency framework” critica tale modello
sostenendo due punti fondamentali. Innanzitutto egli afferma che la differenziazione
può essere un mezzo per le imprese per raggiungere una posizione low- cost, quindi
le due strategie non sono necessariamente incompatibili. Secondo poi, vi sono molte
situazioni in cui, per ottenere un vantaggio competitivo sostenibile, viene proprio
richiesto all’impresa di perseguire simultaneamente entrambe le strategie,
specialmente in quei settori maturi in cui le imprese presentano una struttura dei
costi minimi molto simile tra loro. Hill, a differenza di Porter, sostiene che questa
situazione sia abbastanza comune e che la combinazione delle due strategie risulti
spesso vincente.
Anche il teorico Hall (1980) critica il modello di Porter a seguito di uno studio
condotto su sessantaquattro aziende delle otto maggiori industrie dell’epoca. Egli
nota, infatti, che alcune imprese tra le più profittevoli perseguivano
simultaneamente le due strategie.
Ha prodotto risultati simili anche uno studio condotto da White nel 1986. Egli aveva
scoperto che diciannove business units su sessantanove, che combinavano le due
strategie, avevano ottenuto i più alti ritorni sugli investimenti.
Successivamente criticano il modello anche Phillips, Chang e Buzzel che, in uno
studio condotto nel 1983, individuano una relazione positiva tra quota di mercato e
differenziazione. L’aumento della quota di mercato per mezzo della
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differenziazione consente all’impresa di sfruttare le economie di scala e quindi di
ridurre i costi.
1.2.1. Hill: come e quando combinare le due strategie
Nella sua critica al modello di Porter, Charles Hill osserva che la spesa per gli
investimenti finalizzata a differenziare un prodotto ha diversi effetti positivi.
Innanzitutto crea fedeltà al brand, diminuendo l’elasticità della domanda rispetto al
prezzo, secondo poi amplia la richiesta, permettendo all’impresa di ottenere un extra
profitto dal mercato per un dato livello di prezzi, infine produce un aumento del
volume venduto. Grazie a questi effetti la differenziazione, secondo Hill, permette
all’impresa di raggiungere una posizione low-cost.
Tali effetti sono illustrati nella Figura 2. Tramite la differenziazione diminuisce
l’elasticità della domanda al prezzo e la curva di domanda si sposta da D1 a D2.
Aumenta, inoltre, l’attrattività del prodotto che sposta ulteriormente la curva da D2
a D3. L’aumento delle spese sposta anche la curva del costo medio di lungo periodo
da LRAC1 a LRAC2. Inizialmente al prezzo P1 l’impresa realizza un profitto pari a
abcd; se questa mantiene il prezzo costante, come conseguenza degli sforzi di
differenziazione, la quantità venduta aumenta da Q1 a Q2. L’impresa arriva così a
realizzare un profitti aefg, maggiore di abcd.
11
D3
D2
D1
P1 a b e
c d
f g LRAC 2
LRAC 1
Q1 Q2
Figura 2: Gli effetti della differenziazione su domanda, costi e profitti.
Hill sostiene che l’abilità dell’impresa nel differenziare dipenda da due fattori: la
correlazione tra le spese per la differenziazione e l’aumento significativo della
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domanda, e la correlazione tra la differenziazione e la riduzione dei costi, dovuta ad
un aumento di volume.
Per quanto riguarda la prima correlazione, l’impatto che la differenziazione ha sulla
domanda è riconducibile principalmente a tre fattori. Innanzitutto l’abilità
dell’impresa nel differenziare il suo prodotto, che dipende a sua volta dalle
caratteristiche del prodotto e da quelle dei clienti; queste caratteristiche offrono
diversi spunti per differenziare. Influisce, poi, la natura competitiva dell’ambiente
del mercato del prodotto. Due sono , infatti, i fattori critici: la struttura del mercato e
il livello di crescita del settore. Sembra che esista una relazione a forma di U-
invertita tra il rapporto di concentrazione, determinante della struttura del mercato, e
la differenziazione. Quest’ultima è bassa nei monopoli, raggiunge il picco negli
oligopoli e duopoli, ma è nei mercati frammentati che ha un impatto sostanziale
sulla domanda. C’è, comunque, differenza tra un mercato stabile e uno in rapida
crescita. In quest’ultimo la differenziazione ha un impatto positivo sul volume e
quindi consente di realizzare economie di scala. Infine, influisce sulla correlazione
tra differenziazione e domanda, la fedeltà dei consumatori per i prodotti delle
imprese rivali. Fondamentali risultano essere i costi per il cambiamento da un
prodotto ad un altro e la fedeltà al marchio del consumatore. Se i costi di swich sono
alti, l’impatto che la differenziazione ha sulla domanda sarà attenuato. La fedeltà
sarà alta negli oligopoli, mentre sarà minore quando il prodotto è percepito come
una commodity.
A parte la domanda, affinché la differenziazione sia un mezzo per stabilire una
posizione low- cost, ci deve essere una significativa diminuzione nei costi
all’aumentare dell’output. Hill individua tre economie di costo che risultano essere
importanti. Innanzitutto le economie dovute agli effetti dell’apprendimento. E’
dimostrato che gli effetti dell’apprendimento sono maggiori durante il periodo di
start- up fino a sparire ad un certo valore di output cumulativo.