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responsabile di sé stesso e per questo richiede maggior attenzione, da parte di
tutti: genitori, parenti, produttori dei materiali con cui ha a che fare.
Il secondo motivo per cui ho scelto Mattel, è per la grandezza che da subito ha
caratterizzato la sua crisi: da una crisi di mercato diventa questione etica
(proprio per la questione dei bambini), poi politica. La crisi si espande, dilata,
invade ampi campi, fino a riservare un ruolo quasi marginale, o comunque
meramente partecipativo, alla stessa Mattel, per cedere il posto ai Governi e ai
politici.
Il terzo e ultimo motivo della mia scelta, è che la valutazione della
comunicazione della crisi gestita da Mattel non è semplice da giudicare: molte
sono le variabili coinvolte, molti i cambiamenti e
gli scossoni subiti da questa multinazionale,
diverse le gestioni nei diversi Paesi (all’interno
di questo testo verrà a tal proposito effettuato
un confronto tra la comunicazione di crisi Mattel
negli Stati Uniti e in Italia). Insomma, è
necessario chiarire bene il contesto, i diversi
scenari, gli attori in gioco, per poter tirare le
somme alla fine e capire pregi e difetti della
comunicazione Mattel, che (come vedremo)
poteva esser migliore, nonostante sia stata
condotta seguendo un buon metodo.
Se a questi tre motivi aggiungiamo che i valori che producono la personalità di
Mattel si basano sul gioco (“giocare con passione, insieme, pulito e per
crescere”, come cita la stessa Mattel), completiamo con dati interessanti il
cerchio metaforico.
La comunicazione di crisi è un gioco (di nuovo questa parola), una
partita, o meglio: una finale. Appena iniziata, è già una finale per cui si deve
fare tutto per vincere, schierando in campo i migliori giocatori per rendere
competitiva la propria squadra. L’allenatore (metaforicamente, il vertice
Figura 1 la formazione schierata in
campo.
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aziendale) decide la formazione e insieme al suo
team schiera la formazione, attribuendo a ciascun
giocatore un ruolo: attaccanti (i sostenitori, chi
interviene a favore dell’azienda in crisi nel
dibattito), tra cui il bomber (il portavoce chiave);
difensori e portiere (il team di esperti dedicati alla
funzione di pianificazione della comunicazione);
tifoseria di supporto (che ci si auspica sia il
pubblico interno, cioè le persone che lavorano
all’interno dell’azienda, pubblico, consumatori, comunità locale, azionisti,
analisti, Governi, opinion leader, media). La formazione si muove seguendo una
strategia ben precisa: il piano di comunicazione è lo schema di gioco.
Non è una partita per cui ci si può permettere di pareggiare, poiché il turno di
ritorno non esiste: è un match di sola andata. Chiaramente, la squadra
avversaria è composta da giocatori validi, eterogenei ma armonici: i
competitors, ma talvolta anche parte di quello che abbiamo descritto come
pubblico. Altrettanto logicamente, più si è scorretti nel gioco, più l’avversario e il
pubblico stesso si adirano. E’
consigliabile, quindi, una condotta
di fairplay.
Al fischio (cioè la scoperta della
crisi) la partita ha inizio.
Obiettivo: fare goal, ovvero
raggiungere il proprio obiettivo,
riuscendo a farsi rispettare e a
guadagnare anche la stima degli avversari. La partita è scandita da tempi e,
durante le pause, è possibile aggiustare lo schema in base a come la partita
procede.
Figura 2 l'inizio della partita: ci si
muove.
Figura 3 l'obiettivo: fare goal.
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E’ inevitabile, qualcuno deve segnare e ci si auspica sia l’azienda caduta in
crisi. Solo dopo il goal, il fischio dell’arbitro, gli applausi del pubblico e la stretta
di mano degli avversari è possibile affermare: “ottimo lavoro, ragazzi”.
Eppure non finisce qui. Anche dopo il termine della partita e una bella doccia
rinfrescante, è necessario fare il punto della situazione su ciò che è stato: come
migliorare, come essere più veloci, proattivi, pronti a scattare e a gestire gli
improvvisi scambi di pallone, nella valutazione complessiva di ciò che è stata la
strategia selezionata e lo schema di gioco prescelto.
Giochi pericolosi, quindi. Perché di gioco si tratta, in tutti i sensi: ma non
è un gioco per divertirsi, bensì un’opportunità per mettersi alla prova e
guadagnare punteggio in classifica. Del resto, nell’essere leader è incluso
anche questo: una grande capacità di autogestione.
A questo punto:
“cos’è, la crisi? Come è da intendersi, in ambito aziendale?”
Dal dizionario:
“crisi= rapido mutamento del decorso di una
malattia”
“crisi= fase della vita individuale o collettiva,
particolarmente difficile da superare e
suscettibile di sviluppi più o meno gravi”
Ecco, queste definizioni sono solo una piccola parte di quella che è il vero modo
d’essere di una crisi. Una crisi non è una
malattia e non può nemmeno esser ridotta ad
una fase che porta a sviluppi sicuramente gravi.
Ho deciso di aderire alla definizione di crisi in
lingua cinese (curioso, dato l’argomento della
tesi): a mio avviso, una crisi è un universo di
opportunità da sfruttare, un momento di sfida, un
Figura 4 ideogramma cinese che
traduce la parola “crisi”:
pericolo/opportunità.
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gioco pericoloso da vincere, una partita entusiasmante.
Il fascino della comunicazione di crisi sta nella sua particolarità, nella sottilità
con cui deve trattare le persone e allo stesso tempo garantire trasparenza. La
comunicazione di crisi si posiziona su un filo di rasoio, decisa ma in bilico
percorre il suo cammino con lo sguardo fisso sulla meta. Il fascino della
comunicazione di crisi sta nel fatto di dover correre prima degli altri per
prenotarsi la risposta, e, correndo, superare un ostacolo dopo l’altro, far fronte
ad imprevisti incalcolabili.
Crisi che è una medaglia a due facce: pericolo da un lato, opportunità dall’altro:
possibilità di cambiare, di dimostrare, di elaborare nuove strategie e per questo
crescere, di far emergere nuove potenzialità competitive, di perfezionare i propri
sistemi e, come catarsi, rafforzare visibilità e credibilità.
Mattel sembra possedere una condotta perfetta: una comunicazione
poliedrica, ad alti e bassi, giudicabile solo alla fine nel suo esito.
Se la crisi ha impatto emotivo, in un mercato il cui target è rappresentato da
genitori e bambini questo s’amplifica eccezionalmente. Mattel è un’azienda
presente e leader nel suo mercato da decenni ormai. Chi non ha acquistato, a
chi non è stato regalato o chi non ha comunque giocato almeno una volta con
Barbie, Polly Pocket, bambole o automobiline firmate Mattel? Io stessa. Società
quotata, dalla grande reputazione, con una tradizione storica alle spalle, che si
è trovata su tutti i giornali e canali televisivi, coinvolgendo attori diversi,
imbrogliata ad un certo punto dalle sue stesse mani si sbroglia. Lo studio si è
fatto interessante, nei pro e nei contro della sua comunicazione di crisi.
Comunicare la crisi significa gestirla e diviene tanto più complicato quanto più
l’azienda coinvolta è grande, globale e visibile. Non solo, ma la buona
conduzione di una comunicazione di crisi dipende dall’etica che la stessa
adotta. Basta poco, anche un solo errore, per poter dare la rotta sbagliata.
Un’etica, quindi, che per coerenza rispecchi filosofia e valori dell’azienda.
Un’etica che sia contenuta all’interno del buon piano di comunicazione ad hoc
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per la crisi, in quanto la crisi sì evolve, ma è anche possibile gestirla: a una
prima fase di previsione, che come esito dà una soluzione preventiva (ipotesi
per la soluzione del problema) segue la programmazione, la gestione e la
comunicazione della crisi nel momento in cui si ha a che fare con l’evento
critico, che possono dare esito positivo o negativo. Entrambi i due esiti vengono
gestiti nell’ultima fase, quella appunto della conduzione del dopo crisi, che
permette di imparare dall’esperienza e analizzare le variabili per comprendere
come meglio tarare la macchina (una sorta di analisi ex-post). La gestione del
dopo-crisi si riallaccia alla prima fase di previsione: il processo, infatti, è
circolare:
Figura 5 processo circolare di evoluzione e gestione della crisi
L’etica della comunicazione di crisi è viva all’interno dell’intero procedimento e
rispecchia delle caratteristiche fondamentali ed imprescindibili: deve essere
onesta, tempestiva ed esaustiva, veloce (in modo da mantenersi l’unica vera
voce autorevole e in prima fila), continuamente aggiornata per rilevare eventuali
modifiche del punto d’origine, centralizzata per mantenere coerenza (questo
può essere difficoltoso talvolta, poiché in un’azienda come Mattel, diffusa sul
territorio a livello mondiale, è difficile a farsi: ci deve essere una capacità di
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agire periferica, prefigurata prima, e ci vuole condivisione delle informazioni),
trasparente (ammettere le proprie colpe aiuta) e sempre pronta ad ascoltare.
La crisi è il momento in cui tutti osservano l’inquisita, tutti sviluppano
un’attenzione particolare nei suoi confronti: in questo momento, l’azienda in
pericolo ha l’opportunità più grande per dimostrare il suo valore.
La crisi spiazza, modifica la percezione che gli interlocutori hanno, sorprende,
fa perdere il controllo, è severa, fa sviluppare una mentalità di stato d’assedio,
genera panico. Manca il tempo, talvolta ci si trova senza un portavoce capace
di rendere immagine e parole corrette e coerenti agli occhi di chi osserva e
vuole ascoltare. A volte, si ha paura di parlare, incertezza su cosa dire e cosa
tacere, seppur consapevoli del fatto che, infondo, il pubblico vuole che gli si
dica ciò che vuol sentirsi dire. Eppure, dal principio e in generale, solo una è la
soluzione:
COMUNICARE.
Tacere serve solamente a temporeggiare e prender tempo peggiora le cose,
perché lascia il palco libero a chiunque, con il pericolo che sopraggiunga una
distorsione dei fatti. E’ meglio che gli interlocutori sappiano, ma abbiano
appreso dalla giusta fonte. Comunicare la crisi significa informare sempre i
decision makers, affrontare le preoccupazioni degli interlocutori coinvolti,
ascoltarli, parlare e collaborare con i media, assumere un atteggiamento
offensivo (difendersi non serve e non è responsabile) e controllare che il
problema centrale non si propaghi su tutti gli impianti dell’azienda coinvolta.
Se l’azienda si comporta responsabilmente, allora riesce a stabilire un contatto
con i propri pubblici di riferimento, che dietro un apparente rancore celano una
gran voglia d’esser rassicurati. Il pubblico vuole fidarsi, ma non lo può fare se
non è messo di fronte alla verità: trattare e ritrattare le proprie versioni è
controproducente. E’ importante, infatti, risolvere quel gap che tiene distante le
aziende dal loro pubblico: uno spazio vuoto di tipo comunicativo, dove le prime
tendono a voler decidere per tutti, a garantire senza comprovare, mentre il
secondo valuta, studia e vuol essere tutelato. Il pubblico pretende un contatto e
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per questo è disposto ad assumersi rischi (che hanno diversi significati a
seconda dell’esperienza delle persone), a condividere anche le informazioni più
scomode (purché vere), a farsi capire. La valutazione di quanto un evento
possa essere rischioso dipende non dalla dose di pericolosità dell’evento
stesso, ma dall’emozione che esso genera e che come tale, va gestita.
Emozioni varie, diverse, talvolta contraddittorie, investono tutti gli interlocutori
della comunicazione di crisi, che va tarata: se è vero, infatti che le emozioni che
si susseguono nel momento in cui il pubblico si confronta con il rischio sono:
è anche vero che non tutti gli interlocutori sono nello stesso momento nella
stessa fase: per questo la comunicazione va misurata; è necessario sapere in
che fase si trovano gli interlocutori per avere un atteggiamento coerente ai loro
rifiuto del
rischio
rabbia
depressione
contrattazione
accettazione
Figura 6 il modello raffigurato qui è di Elizabeth Kubler-Ross e
descrive i 5 stadi di elaborazione dell'afflizione.
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bisogni e in generale. Il pubblico deve essere accompagnato attraverso queste
fasi, per arrivare da solo a quella finale e la comunicazione deve essere
bilanciata di conseguenza.
Sicuramente la preoccupazione si riduce conquistando fiducia e per
questo importa basare la propria comunicazione non solo su elementi fattuali,
ma anche più virtuali, come la fiducia e l’empatia. Rispondere al fattore emotivo
è molto importante e dimostrare d’essere una persona, ancor prima che un
portavoce, avvicina al proprio pubblico, stimolandolo ad essere comprensivo e
solidale. Vedremo nei capitoli che seguono come Mattel abbia fatto tesoro di
questa leva strategica per conquistare il pubblico.
L’importanza di una buona comunicazione di crisi è data da molteplici
fattori che non sempre sono facili da trovare e sfruttare; bisogna impegnarsi con
costanza in questo senso, per riuscire a individuare i migliori strumenti e
sfruttarli al massimo, nel perseguimento del proprio scopo: salvaguardare e
proteggere la reputazione e la fiducia conquistate con il sudore della fronte e
pazienza lungo tutta la propria storia.
Un’utile azione è quella, in un momento di crisi, di rendere partecipi i propri
pubblici al carattere di “opportunità” che l’emergenza offre: infatti, il pubblico è
disposto ad accettare dei rischi ragionevoli se gli viene presentata l’evidenza di
un beneficio. Se durante il periodo di ordinaria tranquillità si costituiscono
benemerenze con gli interlocutori chiave e sviluppano relazioni con terze parti
autorevoli (siano esse i Governi, o i lobbysti ad esempio), quindi se il rapporto
con i propri pubblici è solido, la gestione della crisi (e la sua comunicazione) è
meno difficile.
Un’altra leva strategica è costituita dall’accordo con i media, allineando la
propria comunicazione alle logiche mediatiche. Innanzitutto, bisogna
riconoscere cos’è una buona notizia: i mezzi di comunicazione sono interessati
a dichiarazioni facilmente memorabili, spettacolari e immagini. Un contatto
umano e diretto, inoltre, può favorire il consolidamento del rapporto.
Particolarmente interessante è la predilezione che in genere i mezzi di
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comunicazione hanno per la politica e le persone, piuttosto che per la scienza e
statistica: riempire le caselle di posta della stampa con documenti colmi di
grafici e numeri non è utile, annoia; al contrario, rilasciare dichiarazioni
personali, magari in una conferenza stampa (durante la quale ci si espone
pesantemente e ci si guarda negli occhi) è forse più rischioso, ma infondo lo
stato di crisi presuppone una buona dose d’impegno e assunzione di rischio: le
persone che sanno gestire la comunicazione di crisi non sono certo quelle
avverse al rischio. Evitare di ritrarsi dalla prima linea, combattere in prima fila,
affrontando gli interessi e le preoccupazioni del pubblico: questo è il
comportamento ideale da adottare durante una crisi aziendale. Bisogna aprire i
cancelli, spalancare le porte per parlare con i pubblici (perché si sentano
estremamente coinvolti dal disagio) e soprattutto ascoltare in modo attivo,
apprendendo anche dai propri interlocutori: il monitoraggio e la valutazione di
come evolve il contesto sono importanti per la stessa sopravvivenza della
reputazione dell’azienda. Il pubblico, infatti, può (anche senza rendersene
conto) suggerire i cambiamenti migliori: attraverso un lavoro spalla a spalla è
possibile aiutarlo a superare le diverse fasi di risposta emotiva.
Aprire i canali (o, in gergo tecnico, i “cancelli”) e le porte non serve solo a
dimostrare di voler ascoltare: manifesta tutto il proprio impegno nei confronti dei
propri pubblici, ma soprattutto permette loro di conoscere cosa si è fatto e cosa
si farà, scandendo tempi di realizzazione e risultati attesi. I pubblici non sono
solo quelli esterni all’azienda, ma anche (e soprattutto) i suoi lavoratori, il suo
personale. La voce interna all’azienda e il clima che s’instaura sono importanti,
devono essere controllati; l’apertura che intendo è quindi rivolta non solo ai
media, agli azionisti, ai Governi e così via, ma anche al personale che si trova
improvvisamente e fortemente coinvolto dall’emergenza, perciò si pone
domande, pretende di conoscere la situazione e i suoi risvolti. Controllare il
flusso d’informazione che scorre tra i corridoi, comunicando con le proprie
persone, concede all’azienda di mandare all’esterno una voce positiva sul nome
dell’azienda stessa: per il pubblico esterno, infatti, l’affidabilità dell’opinione di
qualcuno “come lui”, che lavora nell’azienda, è ritenuta più vera e sincera di
qualunque giornale o filmato, poiché è una voce che parla schiettamente e non
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è tenuta a farlo in modo positivo. Il personale interno, quindi, è uno stakeholder
prezioso e non ne va ignorata l’influenza: è da curare, bisogna seguirlo,
rassicurarlo ma soprattutto non bisogna mentirgli, poiché il danno conseguente
avrebbe delle ripercussioni gravissime (che si verificano inevitabilmente, perché
soprattutto in situazione di crisi le bugie vengono a galla) sia sull’interno
dell’azienda (ad esempio proteste e reclami con il vertice), che fuori. Le parole
del pubblico interno diventano quelle dell’azienda stessa, nel suo complesso.
L’obiettivo dell’azienda, in un momento di crisi, deve essere mantenere (o, se
necessario, ricreare) fiducia.
Ma si può realizzare tutto questo, nel momento stesso in cui la crisi si verifica?
Cioè: la si può gestire on-line, magari improvvisando qualche mossa? La
risposta chiaramente è no: serve una guida, tecnicamente chiamata piano di
prevenzione alla crisi, che deve essere costituito per tempo, per evitare
dispersioni e sovrapposizioni, per dare spazio a tutte le opportunità,
rispondendo con precisione e tempestivamente agli attacchi e agli imprevisti.
Un piano che deve anche essere morbido, flessibile, senza imporre alcuna
misura rigida, ma semplicemente delle linee-guida, un percorso organizzato da
seguire: una sorta di itinerario studiato prima della partenza, adattabile alle
esigenze sia di chi vi partecipa, sia agli imprevisti che si presumono incontrare
(o s’incontrano d’improvviso). Questo perché molto può essere prestabilito, o
quantomeno prefigurato: la descrizione di scenari e aree di vulnerabilità, di
responsabilità e procedure risolutorie possono essere descritte già prima che la
crisi avvenga, dando in questo modo un enorme vantaggio all’azienda che la
deve affrontare. A tal scopo, è possibile utilizzare degli strumenti di
preparazione alle situazioni di crisi, dai più analitici ai più “umani”. Possono
essere condotte analisi delle aree di vulnerabilità, o di scenario, in cui viene
analizzato il contesto e i personaggi che ne fanno parte (alleati potenziali e
interlocutori più ostili). Un mezzo utile, in caso di crisi, è l’istituzione di un
Comitato di crisi appositamente designato per prevenire, seguire, monitorare,
correggere e apprendere dalla comunicazione di crisi. Il fatto che vengano
raggruppate persone competenti, in grado di calcolare il rischio, individuare gli
strumenti ideali di gestione della comunicazione, che quindi conoscono le
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esigenze degli interlocutori e sanno trovare il modo di andar loro incontro
apporta un grande beneficio all’azienda in difficoltà. Servono competenze
specifiche, aggiornate, per poter mettere insieme una buona comunicazione di
crisi. Nello stesso senso, è utile predisporre un crisis training, cioè allenamento
alla crisi: simulazione di situazioni di ipotetiche crisi, in cui il Comitato (o
l’organo che si occupa della crisi) sperimenta le tecniche di gestione teorica
della crisi, nella pratica. Questo permette di correggere il tiro, individuando se vi
sono blocchi al fluire della gestione, quali tipi di difficoltà e imprevisti si possono
trovare. Redigere quindi un piano contingente (o Contingency Plan),
accompagnato da un manuale di risposta, permette di prevenire la
comunicazione di crisi; devono essere sviluppate capacità di centralizzare il
flusso di tutte le informazioni, considerandone i perimetri d’accesso. Gli
specialisti devono concentrarsi sulle criticità, definire da dove proviene il
problema (vale a dire: è un problema interno oppure lo si importa?) ed evitare
quella tensione all’offensiva caratteristica delle situazioni di crisi: si tende, infatti,
ad essere combattivi, quando invece non si dovrebbe aggredire.
I programmi di prevenzione, in questo senso, contengono interventi tecnico-
strutturali per ridurre le probabilità che si manifestino specifiche criticità o
contenere i danni di una crisi inevitabile. Essi prediligono un’intensificazione
delle attività di comunicazione per costruire, mantenere e/o accrescere la
reputazione e la credibilità dell’azienda con serietà e responsabilità.
L’azienda deve dimostrare di avere una formazione valida, dei buoni
giocatori e una calda tifoseria: tutti gli elementi devono dar vita ad una
concertazione degli strumenti a disposizione, per poter condurre un buon lavoro
e anche (perché no?) trarne un valore aggiunto. Sapersi confrontare con una
moltitudine d’interlocutori che variano dalle istituzioni ai mezzi d’informazione,
alla comunità (o alle comunità, come nel nostro caso) in cui l’impresa opera
come a quella finanziaria, ai concorrenti: questo significa vincere. Compito
dell’azienda è quello d’individuare il sistema di alleanze e di coalizioni possibili
da stringere, per avere a proprio favore il maggior numero di voci rilevanti.