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INQUADRAMENTO
GENERALE
Cenni storici
Ciclicamente l’interesse per possibili applicazioni terapeutiche o sportive della
vibrazione meccanica si risveglia nel mondo scientifico, e negli anni ha dato
luogo ad una letteratura imponente quanto, almeno in apparenza,
contraddittoria.
Come di regola, è bene iniziare con il definire ciò di cui si parla, nello specifico
si tratta di definire il concetto di vibrazione meccanica.
È, come sempre, opportuno iniziare facendo chiarezza sulla terminologia. Con
vibrazione intendiamo un modo di propagazione dell’energia, sia essa
elettromagnetica, elettrica, magnetica, termica o meccanica. Una vibrazione è
semplicemente un’oscillazione di ampiezza, spesso periodica, dell’energia. Nel
nostro caso parlando di energia vibratoria ci riferiamo ad una propagazione di
energia meccanica.
L’espressione “vibrazione meccanica” si riferisce in particolare ad
un’oscillazione meccanica attorno ad un punto d’equilibrio.
La grandezza delle oscillazioni prende nome di ampiezza. Il numero di
oscillazioni nell’unità di tempo (di solito in un secondo) costituisce la
frequenza. L’intensità si esprime in genere, in ambito biologico, in millimetri di
spostamento ma, più correttamente, con unità di misura di forza (Newton o
grammi o chili).
Ampiezza e frequenza sono i due parametri di maggiore rilievo in questo
contesto.
Esistono innumerevoli forme di vibrazione e in generale si può definire la
vibrazione come una sequenza periodica di stimoli meccanici, come un
campanello che suona, o un cellulare che vibra; producono vibrazioni
meccaniche un autobus, un treno, una moto ecc.. Non per tale ragione se ne
traggono benefici, al contrario di solito se ne hanno danni.
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Ai muscoli vengono solitamente applicate, a fini di ricerca, vibrazioni la cui
ampiezza va da 0,5 a 2 mm e una moltitudine di ricerche scientifiche ha
permesso di giungere ad alcune conclusioni certe.
I primi test scientifici riguardanti l’utilizzo delle vibrazioni a scopo potenziativo
sul corpo umano risalgono al 1949, quando Whedon e alcuni colleghi
analizzarono degli effetti positivi ottenuti grazie all’applicazione di vibrazioni
generate da un particolare letto oscillante, sulla struttura osseo/muscolare dei
pazienti costretti a letto dal gesso a seguito di fratture complesse.
Un successivo studio sperimentale (Hettinger, 1956) dimostrò come la
somministrazione di vibrazioni di frequenza pari a 50 Hz fosse in grado di
aumentare l’area della sezione muscolare (quindi di incrementare la massa
magra), nonché di diminuire il tessuto adiposo (quindi diminuire la massa
grassa) all’interno del muscolo stesso.
La domanda che si posero fu: “se si aumenta la capacità del muscolo e la
diminuzione del grasso, stando fermi, quali possono essere le applicazioni?”
In campo prettamente terapeutico, quasi quaranta anni più tardi, Schiessl (1997)
brevettò l’utilizzo di un macchinario vibratorio. Sempre nello stesso periodo
Fritton e colleghi (1997) misero a punto una macchina basata sulle oscillazioni
di tipo traslatorio (tecnica poi abbandonata per i suoi scarsi risultati). In
entrambi i casi lo scopo applicativo di queste apparecchiature era quello di
ottenere una stimolazione sulla crescita ossea, grazie a delle specifiche
frequenze che potremmo definire con il termine di “osteogeniche” (relative allo
sviluppo delle ossa).
Un anno più tardi i lavori sperimentali di Flieger e colleghi (1998),
dimostrarono come negli animali sottoposti a vibrazioni si registrasse un
incremento nella proliferazione ossea.
Tuttavia sino al 1987 tutti gli studi applicati alla pedana vibrante erano rivolti al
quanto si poteva ottenere sull’apparato scheletrico, quindi la cura
dell’osteoporosi, recupero dei traumi, decalcificazione ossea, degenerazione
ossea, e diminuzione della calcificazione negli astronauti.
Solamente alla fine degli anni ‘80 comparvero i primi studi sulla possibilità di
incremento delle capacità contrattili dei muscoli sottoposti a sollecitazioni di
tipo vibratorio (Nazarov e Spivak, 1987): da allora le ricerche in questo
specifico campo si sono fatte sempre maggiori ed esaustive, e i benefici delle
vibrazioni controllate cominciarono ad essere analizzati anche dal punto di vista
muscolare.
I russi Nazarov e Spirav lavoravano per il governo Russo e i loro studi sulla
pedana vibrante vennero impiegati a supporto delle attività ginniche degli
astronauti nello spazio.
Nei primi anni ‘90, gli americani riuscivano a stare nello spazio non oltre i 120
giorni ed avevano sempre gravissimi problemi muscolari ed ossei, mentre gli
astronauti russi riuscirono a stracciare record su record facendo stazionare nello
spazio, sulla stazione orbitante MIR due astronauti per ben 450 giorni.
Successivamente si sono susseguiti vari studi in questo campo, tra cui è bene
ricordare:
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Levitskii, 1997: Miglioramento nella riabilitazione di pazienti affetti da traumi
dei nervi periferici e contratture articolari.
Bosco, 1999: Miglioramento meccanico dei muscoli estensori della gamba in
pallavoliste di livello nazionale.
Bosco, 1999: Miglioramento della prestazione in saltatori in alto e in pugili
(muscoli flessori del braccio) di livello internazionale.
Bosco, 1999: Miglioramento della flessibilità della colonna vertebrale di gran
lunga superiori a ogni forma classica di allungamento (passivo, balistico, statico
o PNF), riducendo il dolore nel 69% dei pazienti.
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Differenze tra Whole Body Vibration e Focal
Vibration
La vibrazione meccanica può giungere in relazione con il nostro corpo
fondamentalmente in due forme:
1. può interessare l’intero corpo ed in questo caso è convenzionalmente
chiamata Whole Body Vibration (vibrazione corporea totale, WBV):
2. può interessare singoli muscoli o piccoli gruppi di muscoli adiacenti e viene
per questo spesso indicata come Focal Vibration (vibrazione focale, FV).
L’interesse per queste due forme di vibrazione meccanica ha seguito un iter
contorto.
La WBV ha attratto ed attrae l’attenzione della ricerca clinica
fondamentalmente in quanto è spesso causa di patologie, in particolare in ambiti
lavorativi. L’esposizione alla WBV è infatti presente e in parte inevitabile in
molti ambienti di lavoro. In genere la WBV parte dalle mani o dai piedi per poi
propagarsi a tutto il corpo.
La prolungata esposizione a tale tipo di stimolo meccanico è associata ad una
elevata occorrenza di disturbi e patologie a carico degli apparati vascolare,
neurologico e muscolo-scheletrico. Per tale ragione esiste un’importante e
dettagliata normativa europea in materia, destinata a delimitare e circoscrivere
l’esposizione alla WBV.
La prudenza nell’esposizione a tale forma di stimolo meccanico deve essere
ancor maggiore in quanto, ad oggi, non sono definite con sicurezza la
combinazione o le combinazioni di ampiezza, frequenza, tempo e ripetitività di
esposizione alla WBV pericolose per la salute dell’individuo.
La WBV è considerata in modo unanime dalla comunità scientifica fortemente
dannosa (Seidel H Am J Ind Med. 1993; 23:589-604; Bovenzi M. Int Arch
Occup Environ Health 1998; 71:509-519; Lings S, Leboeuf-Yde C., Int Arch
Occup Environ Health 2000; 73:290-2977). Il dato è così certo che la dannosità
della WBV è stata ormai recepita dalle legislazioni di quasi tutti gli stati
industrializzati (Kakosy T. Baillieres Clin Rheumatol 1989;3:25-50).
A partire dagli anni ‘70, numerosi studi provenienti dall’Europa dell’Est e
quindi dall’occidente hanno preso in considerazione la WBV per contrastare
l’osteoporosi, o per incrementare la performance motoria o per indurre il
rilascio di vari tipi di ormoni, ma non si giunse a nulla di applicativo.
Tuttavia per quanto riguarda l’utilizzo della WBV nella riabilitazione, esistono
pochi lavori che ipotizzano anche degli effetti positivi della WBV come, ad
esempio, gli studi sostenuti dal fisiologo Carmelo Bosco (Bosco C. e colleghi,
Eur J Appl Physiol Occup Physiol 1999; 79:306-11; Clin Physiol 1999; 19:183-
7; Eur J Appl Physiol 2000; 81: 449-54), ma la certezza della sua dannosità,
anche su individui sani rende l’applicabilità del tutto sconsigliabile. Alcuni
autori sostengono la presenza di effetti a breve termine rilevanti, mentre
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autorevoli riviste parlano di una totale inefficacia. Gli effetti appaiono essere
fondamentalmente transitori, al più persistenti per tempi molto brevi dopo la
stimolazione, mentre sono incerti e particolarmente contrastanti quelli
lungamente persistenti nel tempo.
I meccanismi ipotizzati sono di tipo metabolico o più semplicemente
meccanico, anche se per gli effetti cronici si sono adombrati possibili interventi
da parte del Sistema Nervoso.
La WBV esplica i suoi effetti dannosi in ordine crescente per gravità sulle
articolazioni del ginocchio e del gomito, dell’anca e della spalla, sulla colonna
vertebrale. Ragione di ciò è la deformazione che il segnale d’onda meccanica
subisce nella propagazione a distanza attraverso i tessuti (danni tanto più
sensibili quanto più vicini alla frequenza di risonanza delle articolazioni).
L’avvicinamento alla frequenza di risonanza implica l’amplificazione
dell’energia meccanica e il conseguente rapido e ed esteso instaurarsi del
danno.
Infine è opportuno considerare come in caso di patologia od anche nei soggetti
sani, siano presenti in realtà delle asimmetrie motorie, ovvero dei gruppi
neuromotori deficitari rispetto ad altri. In simili situazioni un intervento globale,
ancorché efficace e privo di rischi, non farà altro che mantenere l’asimmetria,
mentre un’azione topica è certamente più auspicabile.
In sintesi, ad oggi, i risultati clinici della WBV sono contrastanti e non è chiara
l’interazione con gli aspetti negativi della WBV.
Diverso è invece il percorso scientifico della vibrazione focale.
Nel 1963 si dimostrò che la FV a bassa ampiezza fosse in grado di stimolare
potentemente e selettivamente alcuni tipi di recettori nervosi implicati nel
controllo motorio. Questo dato aprì le porte ad un largo impiego della FV per
studiare la fisiologia di questa parte del controllo motorio e per individuare
eventuali effetti benefici di tale forma di stimolazione per la funzione motoria.
Vibrazione meccanica focale
La vibrazione meccanica focale ed i recettori nervosi muscolo-
tendinei
Muscoli e tendini possiedono due tipi di recettori nervosi innervati da fibre di
medio e grande calibro, quindi con velocità di conduzione elevata, i fusi
neuromuscolari e gli organi tendinei di Golgi (GTO, Golgian Tendon Organ).
I primi, mediante fibre sensitive convenzionalmente chiamate Ia (primarie, con
velocità di conduzione compresa tra 72 e 120 m/s) e II (secondarie con velocità
di conduzione compresa tra 24 e 72 m/s), avrebbero la funzione di controllare
velocità ed estensione nell’allungamento o nell’accorciamento delle fibre
muscolari.
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I secondi, le cui fibre nervose sono denominate Ib (con velocità di conduzione
compresa tra 72 e 120 m/s), sono considerati essere destinati a rilevare le
tensioni sviluppate da singole unità motrici.
Poiché questi recettori nervosi sono sensibili all’allungamento, questo tipo di
vibrazione è utilizzato in modo da imporre al muscolo sequenze di allungamenti
ed accorciamenti di almeno 0,5 millimetri, di solito 1-2 millimetri, con
frequenze tra i 20 e i 60-80 Hz.
Nel 1963 il Prof. R. Bianconi, primo docente di Fisiologia Umana
dell’Università Cattolica di Roma, dimostrò come la vibrazione meccanica,
applicata ad un singolo muscolo, ad opportune ampiezze e frequenze, fosse in
grado di attivare selettivamente e in modo differenziato afferenze fusali
primarie (Ia), secondarie (IIb) o GTO, a seconda delle caratteristiche dello
stimolo. Inoltre, non solo venne dimostrata la possibilità di attivare in modo del
tutto non invasivo classi selezionate di recettori, ma si evidenziò un altro
aspetto di straordinaria importanza per la ricerca: per determinate caratteristiche
di frequenza ed ampiezza della vibrazione applicata questi recettori generavano
frequenze di potenziali d’azione corrispondenti alla frequenza di vibrazione
applicata, guidando (fenomeno del “driving”) le afferenze attivate ad una
frequenza di scarica identica a quella di stimolazione.
Il “driving” consente di guidare un’afferenza fusale primaria a frequenze di 20
o 30 o 100 Hz applicando vibrazioni a frequenza di 20 o 30 o 100 Hz, senza
dover usare stimoli elettrici o dover isolare chirurgicamente le fibre nervose, ma
semplicemente applicando una FV su un singolo muscolo.
Dunque, con opportune frequenze ed ampiezze di vibrazione è possibile sia
selezionare le afferenze attivate, sia determinare la frequenza di potenziali
d’azione inviati al Sistema Nervoso Centrale.
Per la prima volta si potevano inviare a specifici centri del Sistema Nervoso
Centrale (quelli che lavorano utilizzando le informazioni dai fusi e dai GTO)
frequenze di potenziali d’azione predefinite, scegliendo opportunamente i
parametri della vibrazione, seguendo, al tempo stesso, modalità di attivazione
non invasive e vie afferenti fisiologiche. Si trattava di un radicale cambiamento
delle modalità di stimolazione di vie sensitive rispetto a quelle realizzate,
mediante stimolazione elettrica, su interi tronchi nervosi od anche su singole
fibre.
La possibilità di attivare selettivamente afferenze propriocettive “importanti”,
dischiuse 2 grandi linee di ricerca:
1. La prima, per mole ed importanza di risultati, si è volta all’impiego della FV
per studiare le caratteristiche dei recettori muscolari e tendinei e la loro azione
sui centri.
2. La seconda è stata mirata ad individuare possibili effetti positivi indotti dalla
FV. Mentre gli studi sulle caratteristiche funzionali dei recettori muscolo-
tendinei esula da questa trattazione, la ricerca sulle possibilità applicative della
vibrazione deve essere invece considerata.
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Potenzialità applicative della FV
A differenza della WBV, la FV consente un utilizzo molto preciso di questo
tipo di stimolo. La non diffusione lungo il corpo, propria della FV, e il suo
restare confinata a piccoli distretti impedisce un fenomeno tipico della
propagazione di segnali meccanici attraverso strutture disomogenee come i
tessuti biologici (adipe, cute, muscoli, ossa, cartilagini, connettivi, ecc.): la
distorsione del segnale applicato. Con la FV sappiamo quale segnale
applichiamo, quali terminazioni nervose si stimolano e quale segnale giunge ai
centri.
Tuttavia gli studi sull’applicabilità della FV, in un susseguirsi di alti e bassi
nell’interesse della comunità scientifica, si sono sempre scontrati con un
problema fondamentale: tutti gli effetti sparivano al termine della stimolazione
vibratoria.
Inoltre si è evidenziato come la vibrazione, se si impongono al muscolo
variazioni di lunghezza superiori a 0,12 millimetri (120 micron), provochi
lesioni muscolari (Necking L.E. e colleghi, J Hand Surg 1996; 21:753-759).
In anni più recenti si sono tuttavia individuati alcuni parametri della FV in
grado di modificare in modo persistente e complesso il controllo motorio. In
particolare la ricerca ha evidenziato 3 aspetti rilevanti:
1. come già ampiamente documentato da molti autori, la frequenza della
vibrazione deve essere un segnale “puro”, costituito da un’unica armonica,
ovvero da un’unica frequenza, in grado di dare luogo ad un fenomeno di
“driving”;
2. gli effetti persistono solo se viene applicata una frequenza pura, compresa tra
70 e 120 Hz;
3. gli effetti persistono se la stimolazione viene protratta per almeno 10 minuti.
Inoltre la FV appare in grado di modificare l’eccitabilità corticale dell’area
motrice primaria, sia durante la vibrazione, sia dopo la fine della vibrazione e,
in altri recenti studi, la FV, a 100 Hz, applicata sui muscoli nucali, è apparsa in
grado di migliorare, in modo persistente la percezione di sé nello spazio.
Alcuni gruppi di ricerca hanno quindi affrontato il problema in modo
sistematico, così da definire un protocollo applicativo in grado di ottenere
risultati ripetibili e quindi valutabili nei meccanismi sottesi.
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Una nuova procedura
Introduzione
Negli anni ‘80 un gruppo americano ha dimostrato che è possibile produrre
potenziamenti plastici della rete propriocettiva utilizzando stimoli meccanici
secondo paradigmi associativi pavloviani (Wolpaw JR, Tennissen AM. Annu
Rev Neurosci 2001; 24:807-843).
Il fisiologo russo Pavlov dimostrò nel 1927 che l’opportuna associazione di due
adeguati stimoli poteva modificare alcune funzioni motorie e/o
comportamentali del gatto (paradigmi di condizionamento neuronale
associativo, per l’associazione temporale di due stimoli). Successivamente tale
fenomeno è stato definito a livello cellulare e si venne a parlare di Long Term
Potentiation (LTP), ovvero di un potenziamento a lungo termine (mesi) di
selezionate reti nervose.
Ogni anno alcune centinaia di pubblicazioni scientifiche mostrano una
molteplicità di metodiche per indurre fenomeni di LTP in reti neuronali. Gli
effetti dei condizionamenti associativi si caratterizzano per una persistenza di
settimane o mesi a fronte di minuti od ore di condizionamento, grande ampiezza
degli effetti e meccanismi del tutto fisiologici in quanto queste procedure
possono solo attivare meccanismi fisiologici.
Dato questo corpus di lavori è apparso possibile indurre una forma di LTP nella
rete propriocettiva, migliorando così rapidamente e a lungo termine la
performance muscolare, utilizzando una procedura molto semplice e del tutto
non invasiva.
Alcuni gruppi di ricerca, afferenti a diversi istituti universitari (Dipartimento di
Scienze dell’ Apparato Locomotore e Scuola di Medicina dello Sport Università
degli Studi di Roma “La Sapienza”, Cattedra di Medicina Fisica e
Riabilitazione. Dipartimento Medicina Interna, Sez. Fisiologia Umana e
Dipartimento di Specialità Medico Chirurgiche sez.Ortopedia, Università degli
Studi di Perugia, Istituto di Fisiologia Umana Università Cattolica Roma,
Dipartimento di Scienze e Società, Facoltà di Scienze Motorie Università di
Cassino) hanno così cercato di individuare uno stimolo meccanico vibratorio in
grado in primo luogo di non provocare alcun danno, in secondo luogo di avere
effetti terapeutici agendo sulla rete di controllo propriocettiva.
Complessità di sviluppo della strumentazione
Lo sviluppo della strumentazione ha comportato numerose problematiche
tecniche.
Infatti un oggetto vibrante tende a far vibrare anche ciò che lo sostiene e, per
leggi fisiche, questo vibrerà probabilmente con caratteristiche diverse,
comportando, con elevata probabilità, almeno due diverse frequenze destinate a
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miscelarsi con il risultato di una oscillazione non più pura, quindi non più a 100
Hz, ma caratterizzata da frequenze ben più alte. Tutto l’apparato di sostegno
doveva quindi avere caratteristiche strettamente antivibranti e tali da permettere
il trasferimento del segnale dal vibratore alla muscolatura da trattare, senza
interferenze aggiuntive.
Infine lo strumento doveva essere concepito in modo da poter agire su
qualunque gruppo muscolare, ed essere liberamente orientabile nello spazio in
tutte le direzioni.
L’esperienza ha fatto scartare le ipotesi, pur allettanti, di strumenti in grado di
agire contemporaneamente su più di due gruppi muscolari: l’applicazione di FV
in molti punti avrebbe sia trasformato la FV in una WBV, sia favorito il
prodursi di frequenze ed ampiezze di vibrazione completamente diverse da
quelle desiderate.
Ne è nato uno strumento caratterizzato da una centralina elettronica, uno stativo
abbastanza particolare destinato a sostenere ed orientare il motore
(elettrodinamico a magnete permanente) e degli applicatori destinati ad agire
sui muscoli selezionati.
Lo strumento è stato denominato “CroSystem”, un acronimo per Counter
Reaction Loop System, letteralmente sistema ad anello di controreazione (la
traduzione tecnica italiana di “sistema a feedback”), in quanto lo stimolo parte
dal muscolo, modifica i centri di controllo e torna alla funzione muscolare dello
stesso muscolo trattato.
Il protocollo: repeated Muscle Vibration (rMV)
Superati i problemi relativi allo sviluppo della strumentazione è stato possibile
passare alla sperimentazione di una nuova procedura di stimolazione
meccaniza.
Una serie di prove ha evidenziato che un’esposizione a tale vibrazione per 10
minuti continuativi, per 3 volte al giorno, per 3 giorni consecutivi, è adeguata
ad ottenere il massimo effetto con il minor tempo applicativo. Inoltre si è
osservato che eseguire una vibrazione di 30 minuti continuativi, senza effettuare
un sia pur brevissimo intervallo, riduce marcatamente gli effetti, probabilmente
a causa del fenomeno dell’habituation. A causa di questa esposizione ripetitiva
alla vibrazione, si è introdotta la denominazione “rMV” (repeated Muscle
Vibration).
Gli effetti sono riscontrabili solo se il soggetto mantiene una leggera
contrazione volontaria, isometrica, del muscolo da trattare durante tutto il
periodo in cui viene applicata la vibrazione: inizialmente tale condizione è stata
scelta per facilitare la trasmissione della vibrazione meccanica nel contesto
muscolare, grazie all’aumento della rigidità indotto dalla contrazione muscolare
e per incrementare la sensibilità dei fusi neuromuscolari mediante la
concomitante attivazione dei circuiti gamma. Successivamente, si è attribuito a
tale aspetto del protocollo un ruolo ben maggiore.
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La rMV per incrementare le funzioni del cervello
I fondamenti fisiologici e i risultati della nuova procedura (la rMV) sono stati
presentati in occasione del seminario scientifico intitolato “La stimolazione
propriocettiva, il controllo e la riabilitazione motoria. Nuove evidenze cliniche
e correlati neurofisiologici”, che ha avuto luogo sabato 13 dicembre 2008
presso il Policlinico universitario Agostino Gemelli, promosso dal fisiologo
della Cattolica Guido Maria Filippi. Hanno partecipato inoltre: Prof. Vito
Enrico Pettorossi (Istituto Fisiologia Umana dell'Universita' di Perugia); Dr.
Filippo Camerota (Istituto di Medicina Fisica e Riabilitazione, Universita' La
Sapienza di Roma); Dr. Diego Ricciardi (Dipartimento di Scienze
Gerontologiche e geriatriche - Policlinico Gemelli di Roma).
In particolare è stato spiegato come semplici vibrazioni meccaniche ripetute
incrementino le funzioni del cervello, migliorando il controllo muscolo-
articolare.
I nuovi e incoraggianti risultati di questa procedura, ottenuti in campo
neurologico, ortopedico, nella stabilità degli anziani e nel recupero dalla fatica
in soggetti sani sono stati pubblicati sul “Journal of Neurological Sciences”.
Gli studi sono stati condotti da ricercatori dell’Istituto di Fisiologia Umana
dell’università Cattolica di Roma, in collaborazione con Fondazione Santa
Lucia e Ebri, e gli atenei di Perugia e La Sapienza di Roma.
Il protocollo si basa su un particolare strumento che sviluppa una sequenza di
segnali meccanici di piccolissima ampiezza, che vengono letti da specifici
sensori nervosi presenti nei muscoli e inviati al Sistema Nervoso Centrale: ciò
che appare essere una piccola vibrazione meccanica, è in realtà un codice in
grado di riprogrammare selezionate aree del sistema nervoso. Questa procedura
è la prima ad agire in modo semplice, non invasivo e persistente sui controlli
nervosi dei muscoli. Tale stimolazione, grazie agli studi condotti dalla Dr.
Barbara Marconi (Fondazione Santa Lucia e EBRI) e dal prof. Guido M. Filippi
(docente nell’Istituto di Fisiologia Umana dell’Università Cattolica di Roma), è
in grado di modificare la funzione di specifiche aree corticali di controllo
motorio, attivando meccanismi in grado di favorire un netto miglioramento
delle funzioni motorie.
Questi risultati sono stati osservati dai ricercatori Marconi e Filippi in soggetti
sani, in pazienti affetti da esiti di ictus cronico (spasticità), anche dopo anni dal
danno e in soggetti over 70.
Si tratta della prima evidenza sperimentale dell’esistenza di una tale possibilità,
per giunta ottenibile con una procedura semplice, non invasiva, sostanzialmente
priva di effetti collaterali.
La procedura è basata su microvibrazioni localizzate e ripetute, alla quale i
ricercatori hanno dato il nome di “rMV” (repeated Muscle Vibration).
L’applicazione di particolari sequenze di micro vibrazioni meccaniche ad alcuni
muscoli del corpo è in grado di incrementare le funzioni di alcune aree del
cervello, migliorando la funzione muscolare.