Inoltre verrà analizzata l’evoluzione delle normative di carattere restrittivo negli
anni, ed il loro impatto sugli scambi commerciali e sui prezzi internazionali delle
materie prime. Lo studio si focalizzerà poi sul mercato del cacao, attraverso
un’analisi approfondita sulle dinamiche che caratterizzano tale mercato
oligopolistico, nel quale pochissimi attori multinazionali determinano le regole del
gioco. L’intero settore del cacao è caratterizzato da un alto grado di concentrazione:
sette paesi rappresentano l’85% della produzione di cacao, cinque imprese
controllano l’80% del commercio del cacao, cinque società detengono il 70% della
lavorazione del cacao e sei multinazionali del cioccolato controllano l’80% del
mercato del cioccolato.
In questa situazione il ruolo delle organizzazioni del commercio equo è fondamentale
per permettere la sopravvivenza di milioni produttori, per permettere loro di
mantenere le loro famiglie, le loro attività e per uscire dalla soglia di estrema
povertà. I prezzi bassi del cacao sui mercati non permette, infatti, spesso nemmeno di
coprire i costi di produzione, e l’impossibilità di raggiungere direttamente i mercati
di sbocco costringe sovente i produttori a sottostare alle regole ed ai prezzi dettati
dagli intermediari. L’analisi prosegue poi nell’individuazione delle differenze che
caratterizzano il canale alternativo di distribuzione fair trade rispetto a quello
tradizionale nella determinazione delle differenze di prezzo sugli scaffali delle
principali catene di supermercati che li distribuiscono. L’obiettivo è quello di
certificare l’efficienza del modello CES, che riesce a sfruttare vantaggi strutturali in
alcune pratiche, riuscendo a garantire prodotti di qualità a prezzi allineati a quelli
delle principali aziende di mercato. L’obiettivo del network non è infatti quello di
fornire prodotti a prezzi superiori a quelli medi di mercato, facendo leva sulla loro
valenza sociale e ambientale, bensì quello di portare nei punti vendita merci che
possano sostenere sia dal punto di vista qualitativo che da quello della convenienza,
la pressione concorrenziale dei prodotti della rete tradizionale.
L’obiettivo del lavoro è dunque quello di mettere in risalto i vantaggi garantiti sia
all’offerta che alla domanda, poiché il commercio equo e solidale non è
assolutamente un’ ‘opera di beneficienza’ ma una forma commerciale sostenibile che
punta sulla più equa redistribuzione dei vantaggi economico commerciali.
6
CAPITOLO I
ANALISI DELLE CAUSE DELLA POVERTA’ NELL’ AFRICA
TROPICALE
1.1. Cause del sottosviluppo nelle regioni tropicali e subtropicali
Forse la più forte evidenza empirica riguardante la ricchezza e povertà dei popoli è la
relazione riscontrabile tra zone eco-geografiche e reddito pro capite. Le economie
delle nazioni situate nelle regioni tropicali sono tra le meno sviluppate al mondo,
mentre quelle delle zone temperate sono generalmente ricche; e quando non lo sono è
generalmente dovuto a fattori terzi, come la presenza di regimi totalitari oppure
l’estremo isolamento geografico. Tra le trenta economie classificate come ‘high
income’ dalla Banca Mondiale, infatti, solo due piccole economie, Hong Kong e
Singapore si trovano nella fascia tropicale. Inoltre le nazioni con sbocco sul mare
hanno in genere un PIL pro capite più alto di quelle senza accesso al mare. In
considerazione di ciò le regioni che sono caratterizzate sia da clima temperato che da
accesso al mare hanno quasi ovunque raggiunto elevati gradi di sviluppo economico;
al contrario i paesi tropicali senza sbocco sul mare, come la Bolivia, il Ciad, il Niger,
il Mali, il Burkina Faso e l’Uganda, sono tra i più poveri del mondo.
Nel World Development Report del 2000/2001 la Banca Mondiale definiva paesi ad
alto reddito quelli con lordo Prodotto Nazionale Lordo (PNL) pro capite superiore ai
9.266 USD pro capite annui. Secondo tale classificazione i paesi ad alto reddito, con
popolazione superiore al milione di abitanti, sono: Australia, Austria, Belgio,
Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Hong Kong, Irlanda,
Israele, Italia, Giappone, Corea, Kuwait, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Norvegia,
Portogallo, Singapore, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, Taiwan, Emirati Arabi
Uniti, Regno Unito, Stati Uniti. Di questi paesi, solo di Hong Kong e Singapore, con
una popolazione complessiva di circa 10 milioni di unità, si trovano nella zona
geografica tropicale.
Sono state proposte cinque ipotesi per giustificare il sottosviluppo tropicale:
7
ξ Le tecnologie in settori critici (in particolare quelli della sanità e
dell’agricoltura, ma anche quello dell’energia e l’ingegnerizzazione dei
processi produttivi) sono molto specifiche e non sono esportabili facilmente
tra zone ecologiche diverse.
ξ Dall’inizio della moderna, se non molto prima, le tecnologie sviluppate nelle
zone temperate si sono dimostrate più produttive di quelle della zona
tropicale; specialmente nei settori fondamentali, come sanità, agricoltura, ed
energia. Inoltre queste differenze erano profondamente radicate nelle
caratteristiche ecologiche delle zone temperate e non potevano essere
superate attraverso lievi ritocchi.
ξ L’innovazione tecnologica è un’attività influenzata dal ritorno di scala che la
misura dei mercati di output può garantire. Dato ciò, l’innovazione nelle fasce
temperate è stata fortemente favorita da una popolazione più ampia e più
ricca, che ha garantito più sbocchi di mercato ed un costante ritorno alle
imprese innovatrici.
ξ Le dinamiche sociali, in particolare i processi di urbanizzazione e di
transizione demografica, sono altri due amplificatori del processo di sviluppo,
che hanno favorito un ampliamento deficit a discapito delle zone tropicali.
ξ Fattori geopolitici, come la dominazione imperiale nelle regioni tropicali, la
la superiorità nell’ambito della tecnologia militare, ed il controllo delle
“istituzioni della globalizzazione”, sono ulteriori amplificatori.
-Definizioni e misure del sottosviluppo tropicale
I tropici possono essere visti in due modi: su base geografica e su base ecologica.
Geograficamente i tropici sono convenzionalmente definiti come la regione del
pianeta in cui il sole passa perpendicolarmente almeno una volta durante il corso
dell’anno. Dunque a causa dell’inclinazione della rotazione dell’asse terrestre di 23,5
gradi, tale area comprende la fetta di terra compresa tra 23,5 gradi di latitudine nord
(Tropico del Cancro) e 23,5 gradi di latitudine sud (Tropico del Capricorno).
E’ però difficile capire perché la distanza dall’equatore, di per sé, dovrebbe essere
una variabile esplicativa dello sviluppo economico, ad eccezione del fatto che la
latitudine possa impattare sulle attività economiche attraverso il grado di insolazione,
8
di precipitazioni, e di altri fattori climatici. Inoltre, paesi situati alla stessa latitudine
possono avere climi molto diversi, per l’influenza di montagne, venti e correnti
oceaniche. Sicuramente la latitudine determina la vicinanza o meno ai principali
mercati e quindi anche i costi di trasporto, ma in tal caso sarebbe
la distanza dai mercati, piuttosto di quella dall’equatore a dover essere determinante.
Inoltre se così fosse, l’emisfero settentrionale avrebbe un netto vantaggio rispetto a
quello australe.
Altre definizioni dei tropici invece si basano sulle caratteristiche climatiche ed
ecologiche, anziché sulla latitudine. Naturalmente sono stati creati molti sistemi
alternativi di classificazione, sulla base di temperature, precipitazioni, vegetazione..
In generale, le zone tropicali sono definite da un elevato livello di precipitazioni
durante tutto l’arco dell’anno e dall’assenza di gelo invernale.
I modelli basati su differenze di temperatura sono generalmente combinati con altri
basati sulle differenze di precipitazioni; ciò ci permette di distinguere tra tre
categorie: tropici umidi (caratterizzati da foresta pluviale o tropicale), tropici secco-
umidi (savana e zone monsoniche), e tropici aridi (regioni desertiche). Certamente le
caratteristiche ecologiche specifiche di un’economia dipenderanno anche dalla
topografia (altezza sul livello del mare), dalla geologia (presenza di complessi
rocciosi, di depositi di minerali, e dall’attività vulcanica, così come dalla presenza di
fiumi, laghi e correnti oceaniche), dalla prossimità dei principali mercati, dalla
presenza di malattie endemiche della flora e della fauna e una miriade di altre
caratteristiche geografiche.
In questo senso la classificazione della zona ecologica tropicale è solo una prima
“macro clusterizzazione”, con la finalità di consentire una successiva analisi più
dettagliata. In tal senso una delle analisi più dettagliate e qualificate è rappresentata
dal noto sistema Koeppen-Geiger (KG).
Questo differenzia le regioni principalmente per temperatura e precipitazioni. Il
mondo secondo Koeppen-Geiger individua tre zone tropicali (AF umide; AW
secche; AM monsoniche); due zone aride (BW deserti; BS steppe); tre zone
temperate (CW sub-tropicale con inverni secchi; CS mediterraneo; CF umido e
temperato); due zone di neve (DF nevoso umido; DW nevoso secco) ed una zona che
caratterizza le regioni di alta quota (H altopiani e montagne). Inoltre la regione
9
identificata con CW (che, ad esempio, caratterizza l’India e la valle del Gange) è
caratterizzata da un clima “mite”, più fresco rispetto a quello delle regioni
prettamente tropicali.
Tabella 1: Sistema di classificazione delle zone climatiche Coepper-Geiger
Fonte: World Bank 1998
Utilizzando il sistema di mappatura GIS (Geographic Information System) è
possibile integrare zone climatiche e dati economici. Per prima cosa si deve
assegnare un PNL pro capite alle singole regioni tutto il mondo, utilizzando il
maggior livello di dettaglio e disaggregazione economica possibile. Gli individui
vengono poi anche assegnati alle diverse zone del sistema KG attraverso l’utilizzo di
una mappa digitalizzata della popolazione mondiale. Inoltre viene anche tenuta in
considerazione la distanza dalle coste marine e la presenza di fiumi navigabili.
Il più alto reddito pro capite è stato registrato nelle zone CF, CS, e DF. Inoltre in
tutte le zone ecologiche, le parti situate vicino a mari e corsi d’acqua navigabili
10
risultano più ricche rispetto a quelle interne. Il predominio economico dell’area CF
(clima umido e temperato) risulta netto, come si può anche notare dal grafico che
segue. Questa piccola regione del mondo, che ha una superficie pari a circa l’8 per
cento di tutto il mondo abitato, ed il 22 per cento della popolazione mondiale,
produce una ricchezza stimabile nel 52 per cento del PNL di tutto il mondo.
Classificando per aggregazione aree tropicali e temperate, vediamo come il PIL
medio pro capite della zona temperata sia 4,5 volte superiore rispetto a quello della
zona tropicale. Tale discrepanza è stata determinata da un ritmo di crescita
economica media inferiore durante gli ultimi due secoli, dal momento che le
differenze di reddito tra le regioni all’inizio del XIX secolo erano molto inferiori
rispetto ad oggi.
Un aiuto in tal senso ci può essere fornito dagli studi di Maddison
1
, i cui dati ricavati
ci possono permettere di determinare il ritmo di crescita delle varie regioni negli
ultimi due secoli. Sebbene Maddison non disponesse di una serie completa di PIL in
valore assoluto per i vari stati durante l’intero periodo, è riuscito comunque a
determinare delle stime attendibili sulle variazioni totali di PIL e popolazione per le
principali regioni tra 1820 al 1992.
La zona temperata
2
ha iniziato il periodo che possiamo definire di crescita economica
moderna, nel 1820, con un PIL pro capite stimato di 794 USD
3
, rispetto ai 543 USD
del resto del mondo. Pertanto le persone stabilite nella zona non temperata avevano
un reddito pro-capite pari a circa il 68 per cento di quello della zona temperata.
Durante il lungo periodo 1820 al 1992, il PIL pro capite della parte più sviluppata è
cresciuto ad un tasso medio annuo dell’1,4 per cento, rispetto allo 0,9 per cento della
1
Angus Maddison: economista britannico, professore presso la facoltà di Economia dell’Università di
Groningen e Membro della Organisation for Economic Cooperation and Development, nel quale è
stato responsabile della divisione economia dal 1953 al 1962.
2
Nei calcoli di Maddison come “zona temperata” vengono inclusi Europa, Stati Uniti e Canada,
Australia e Nuova Zelanda, Giappone e parte settentrionale della Cina. Nella zona “non temperata”
sono stati invece considerate Africa, America Latina, Asia Sud Orientale e Medio Oriente e la metà
meridionale della Cina. Dunque nazioni come Uruguay, Cile e Argentina sono state incluse nella zona
“non temperata”, anche se in realtà non vi apparterrebbero.
3
PIL pro capite misurato in USD costanti 1990.
11
parte meno sviluppata. Come risultato si è avuto che il PIL pro capite della zona
temperata ha raggiunto i 10.095 USD nel 1992, mentre quello della regione non
temperata si è fermato a 2.556 USD, cioè il 25 per cento.
Se facciamo lo stesso calcolo con i dati di Maddison per il periodo che va dal 1960 al
1992, utilizzando le stesse classificazioni aggregate di paesi, otteniamo che entrambe
le regioni hanno registrato una crescita ad un tasso di circa il 2,3 per cento l’anno.
Tale dato è un riflesso della crescita relativamente rapida della zona Asiatica (in
particolare di Cina e India), circa 2,9 per cento l’anno, contrapposta alla continua
cattiva performance di Africa e America Latina.
Quest’evidenza solleva dunque la questione se il disavanzo nella crescita dei paesi
tropicali sia scomparso negli ultimi anni. In realtà si può dire con una certa sicurezza
che ciò non è avvenuto, poiché visto il grande divario di reddito tra paesi ricchi e
temperati e quelli più poveri della zona tropicale, ci si aspetterebbe una crescita della
zona disagiata più veloce rispetto a quella della zona temperata; ciò anche a seguito
di varie forze di convergenza economica, come la diffusione tecnologica e dei flussi
di capitali verso i paesi disagiati.
Come dimostrato dalle teorie di Barro
4
ed altri economisti, a parità di situazione
macroeconomica, i paesi più poveri tendono ad avere tassi di crescita annua superiori
a quelli dei paesi più ricchi. Tuttavia per i paesi tropicali tale tendenza alla
convergenza è fortemente attenuata, se non eliminata del tutto.
Per esaminare l’effetto del clima sulla crescita del PIL nelle varie zone, può tornare
utile un’analisi del metodo di “cross country regression” di Barro; formula in cui il
tasso di crescita annuale in termini di PIL pro capite nel corso di un determinato
intervallo di tempo è regredito del logaritmo del PIL pro capite, degli anni di
scolarizzazione, e di alcune variabili politiche ed istituzionali.
A questo quadro standard, si aggiunge poi una variabile per misurare, la quota della
popolazione del paese che vive in zone a clima temperato (CF, CS, DW e DF).
Pertanto, si ottiene la seguente equazione:
4
Robert Joseph Barro: studioso americano, esperto di macroeconomia classica liberale e professore
all’Università di Harvard. Ha compiuto numerosi studi e pubblicato working papers sui fattori che
influenzano la crescita economica.
12
CRESCITA ANNUA
5
= A0 + A1 ln (PIL pro capite iniziale) + A2 (scolarizzazione)
+ Σ AI (variabili politiche e istituzionali) + B (percentuale di popolazione in zone a
clima temperato).
Utilizzando questo tipo di equazione con la serie di dati a nostra disposizione per
quanto riguarda gli ultimi 40 anni, otteniamo che il coefficiente B sulla quota di
popolazione che risiede in zone a clima temperato è costantemente positiva ed ha una
grandezza di circa 1,6. Ciò implica che un’economia della zona temperata, a parità di
tutte le altre variabili, si svilupperà circa l’1,6 per cento all’anno più rapidamente di
quella di un paese situato nella fascia non temperata (paesi tropicali, aridi, o
altipiani)
6
.
Will Masters e Margaret McMillan
7
nel 2000 hanno introdotto una variabile
climatica nel modello di “cross-country regression”. La loro variabile misurava la
proporzione della superficie dei paesi soggetta al gelo invernale. Questa poteva
assumere valori da 0, ai tropici, fino a 1, nelle latitudini più alte. Tale studio ha
evidenziato che i paesi senza gelo invernale (cioè i paesi tropicali) hanno registrato
una crescita annua più lenta di circa l’1,1 per cento nel periodo che va dal
dopoguerra al 2000.
5
Equazione di Cross Coutry Regression: considera le fluttuazioni di una variabile mantenendo
costanti tutti gli altri elementi. La finalità è quella di determinare l’impatto di una certa variabile a
parità di condizioni.
6
Gli unici 2 paesi situati nella zona tropicale che costituiscono un’eccezione sono Hong Kong e
Singapore. Per questi due paesi il tasso di crescita registrato è stato addirittura dell’1,1 per cento
annuo superiore a quello dei paesi situati nella fascia temperata. Tale risultato rispecchia il fatto che
essi beneficiano della loro posizione geografica di isole, che da un lato favorisce gli scambi
commerciali e dall’altro risulta attutire l’impatto dato dallo sviluppo di agenti patogeni e malattie.
Inoltre l’agricoltura ricopre un ruolo marginale in questi 2 paesi che basano le loro economie sul
settore manifatturiero e terziario; così le condizioni ecologiche che normalmente inibiscono lo
sviluppo delle tecnologie nei paesi a clima tropicale non hanno avuto qui alcun impatto significativo.
7
William Masters: professore del dipartimento di Economia Agricola dell’Università di Purdue
(USA). Ha condotto molte ricerche sulle politiche alimentari e agricole, in particolare per quanto
riguarda l’Africa.
Margaret McMillan: docente canadese di storia e relazioni internazionali all’Università di Oxford.
13
- Possibili spiegazioni del sottosviluppo tropicale
Per lungo tempo molti osservatori hanno ritenuto che il dominio coloniale delle
nazioni europee sui paesi tropicali fosse la spiegazione centrale ai problemi di
sottosviluppo di questi ultimi; e così si prevedeva che la decolonizzazione stessa
avrebbe posto fine a questo modello. Tuttavia, a partire dai primi del ‘900 questa
teoria si dimostrò infondata. Innanzitutto l’Africa tropicale, una delle regioni più
povere al mondo, è stata colonizzata solo a partire dal 1870 ed inoltre, già nel
periodo precoloniale era caratterizzata da un tenore di vita tra i più bassi al mondo.
Anche la zona tropicale dell’America Latina ottenne l’indipendenza a partire dal
1820, ma senza tuttavia registrare nessuna evoluzione improvvisa.
In Africa ed Asia, inoltre, i pochi isolati paesi tropicali che erano riusciti a sfuggire
alla dominazione coloniale, non avevano registrato alcun miglioramento sostanziale
nei loro standard di vita. Restano quindi pochi dubbi sul fatto che la dominazione
coloniale sia stata negativa per lo sviluppo economico nelle zone tropicali, ma non
un fattore scatenante; il fatto che la decolonizzazione nella seconda metà del XX
secolo non abbia rovesciato il modello di sottosviluppo tropicale generò un grande
senso di delusione tra gli studiosi del fenomeno.
Le radici di tale fenomeno sono quindi più profonde. Infatti, si deve sicuramente
considerare che la vulnerabilità dei tropici alla dominazione coloniale è stata almeno
in parte un segnale di conferma del sottosviluppo. Lo studio dei dati raccolti da
Maddison ci suggerisce, che il mondo tropicale aveva un reddito pro capite pari a
circa il 70 per cento di quello non tropicale nel 1820, all’inizio del periodo di crescita
economica moderna.
Una spiegazione alternativa ci è fornita da Max Weber, nella sua opera sociologica di
interpretazione dello sviluppo capitalista; egli sostiene che la crescita moderna sia
strettamente legata al capitalismo, che a sua volta è legato alla cultura europea. In
questa prospettiva, la fonte essenziale del vantaggio della zona temperata è l’Europa,
che l’ha fatto fruttare sia direttamente sul proprio territorio, che esportato nei suoi
insediamenti del Nord America e dell’Oceania. Questa spiegazione non può
però sopportare un attento esame. Infatti, gli europei hanno creato colonie in tutto il
mondo: nel Nord e Sud America, in Africa e in Asia, ma i livelli di reddito raggiunti
da queste ex colonie dipende fortemente dalla posizione geografia.
14
-Tesi del ritardo tecnologico
Le tesi più accreditate sostengono che le tecnologie di produzione nei tropici sono da
tempo in ritardo, soprattutto in due aree critiche: quella della produzione alimentare e
quella della salute; ciò ha determinato l’apertura di un notevole divario di reddito tra
le due regioni. Un terzo fattore che ha sicuramente avuto un ruolo importante è stato
poi, la capacità di mobilitare le risorse energetiche.
Il divario iniziale è stato poi amplificato da fattori economici, demografici e politico-
militari. Inoltre le tecnologie nei settori critici dell’agricoltura e della salute, possono
essere facilmente esportate all’interno della stessa zona ecologica, ma non altrettanto
attraverso zone diverse.
ξ Produzione alimentare nelle zone temperate e tropicali: per le principali
colture di base, come riso, mais e frumento, la produttività sembra essere
notevolmente più elevata nelle fasce temperate che nelle regioni tropicali. In
generale grandi paesi come gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia, e
l’Argentina sono tra i principali esportatori, mentre quasi tutti i paesi della
fascia equatoriale sono importatori. Le rese per ettaro del grano sono inoltre
notevolmente più elevate nelle regioni temperate (circa il 51% in più).
Da uno studio condotto da Gallup e Sachs
8
nel 2000 è emerso che tale
maggior produttività per ettaro riflette una differenza di output per unità di
input, che è, una maggiore della differenza di produttività totale dei fattori;
ciò ad ulteriore dimostrazione che tale delta di produttività è influenzato in
parte della collocazione geografica. Molti agronomi, ambientalisti, biologi, ed
economisti hanno effettuato studi sui minori livelli di produttività ai tropici, e
hanno individuato diverse possibili ragioni sottostanti a fattori ecologici:
a) Innanzitutto la conformazione e l’erosione del suolo. Nella zona tropicale i
terreni sono spesso soggetti a forti precipitazioni, ad una rapida
8
Gallup: statistico statunitense, noto per i suoi contributi innovativi nell’ambito della teoria del
campionamento statistico. Fondatore dell’omonima agenzia statistica Gallup Organisation.
Jeffrey Sachs: economista americano e direttore dell’Earth Institute alla Columbia University, oltre
che consigliere speciale del Segretario Generale dell’Onu Ban Ki-Moon e direttore del Millenium
Project alle Nazioni Unite.
15
mineralizzazione e alla cristallizzazione dei composti organici in superficie,
come un risultato delle alte temperature. In queste condizioni, quando la
foresta viene smantellata per far spazio all’agricoltura, anche la maggior parte
delle sostanze nutritive vengono rimosse della superficie del suolo,
provocandone così la perdita di fertilità dopo pochi cicli di coltivazione. A
causa della rapida mineralizzazione dei composti organici, dunque la struttura
del suolo risulta povera; nelle zone temperate al contrario, il gelo invernale
annuale aiuta ad evitare la mineralizzazione dei composti organici, e quindi e
favorire l’accumulo di sostanze nutritive nei terreni più in profondità.
b) La rapida diffusione di malattie e parassiti è una seconda importante
caratteristica degli ecosistemi tropicali. Essi sono generalmente caratterizzati
da un elevato grado di biodiversità, e da un’elevata percentuale di umidità che
favorisce la diffusione degli agenti patogeni. Inoltre il clima equatoriale è
caratterizzato dall’assenza di gelo nei mesi invernali, che ucciderebbe i
parassiti e malattie, le quali sono alla base delle alte le perdite di raccolto.
c) La respirazione delle piante dipende dalla temperatura dell’ambiente e ne
condiziona la fotosintesi. In generale l’energia accumulata attraverso la
fotosintesi vengono in parte utilizzate nella fase di respirazione notturna.
Possiamo schematizzare tale evidenza con una formula:
Fotosintesi netta = fotosintesi – respirazione cellulare
Nelle zone tropicali le alte temperature rendono necessario un maggior tasso
di respirazione, che va ad impattare inversamente sul livello di produzione.
d) La disponibilità di acqua e il controllo dell’evaporazione rappresentano un
altro problema non trascurabile. A causa delle alte temperature, infatti,
l’evaporazione dell’acqua in superficie risulta molto rapida, così come la
traspirazione delle piante attraverso la superficie delle foglie. La perdita
d’acqua da queste due fonti, nota come evapo-traspirazione, associata
all’eccesso di precipitazioni durante alcuni periodi dell’anno determina
pesanti scompensi e perdite di raccolto.
ξ Sanità nelle fasce climatiche tropicali e temperate: l’impatto delle malattie è
notevolmente più elevato nelle zone tropicali che in quelle a clima temperato.
Per evidenziare tale fenomeno si possono considerare le misure di aspettativa
16