Ci sono passi cancellati e variamente contrassegnati in vista di una meno
frettolosa riscrittura, che è mancata; varianti alternative lasciate senza
decisione; correzioni sostitutive apposte a penna nell’interlinea e non di rado
illeggibili. Ci sono indicazioni sommarie d’intenzioni, rimaste imperseguite
(congiungere elementi, trasferire in nota qualche precisazione o inserire note non
ancora redatte…).
Tra le conseguenze dello stato d’incompiutezza in cui l’opera è stata lasciata, la
più vistosa è forse lo squilibrio materiale dei blocchi costruttivi: la Seconda parte
comincia a pagina 459. Ma il contraccolpo più subdolo è quello che altera agli
occhi del lettore la prospettiva intenzionata dall’autore. L’incidenza psicologica
d’ogni singola pagina non può non variare, quando varia l’estensione del
contesto. Se, invece delle duemila pagine previste, ce ne sono arrivate solo
5
cinquecento, il peso relativo di ciascuna aumenta di tre quarti; ancor più se è
mancata a dargli leggerezza artistica l’ultima politura di pialla e di lima.
L’incompleta elaborazione formale favorisce inevitabilmente una lettura di tipo
contenutistico. I vuoti creano una sorta di sottoquadro impremeditato ai rilievi
figurativi e ne accentuano le non levigate spigolosità. Ne consegue che emergono
più esposte e risultano più aggressive per qualsiasi lettore le pagine di più
estremistica crudezza: le provocazioni etiche sul terreno scabroso dell’eros; la
rabbiosa violenza d’accensioni e invettive, polemiche e insinuazioni politiche.
Il rischio è, evidentemente, che a una ricezione impreveduta l’effetto d’urto di
questi appunti e frammenti riesca, rispetto all’ispirazione di fondo e agli obiettivi
finali che l’autore aveva in mente, in qualche modo distorto, e non soltanto sul
piano del giudizio estetico. Il rischio, da non sottovalutare, è che questi materiali,
recepiti candidamente (o malignamente) nello stato in cui di fatto si trovano
finiscano col fornire di Pier Paolo Pasolini un’immagine imperfetta, un po’
troppo grezza e indifesa.
Le parole di Roncaglia ci informano da subito delle difficoltà che si possono
incontrare nel trattare un testo come Petrolio. Si tratta di problemi di tipo
linguistico, strutturale, contenutistico, interpretativo. Tuttavia ciò non deve
scoraggiare il lettore curioso di immergersi in questo romanzo così complesso; le
parole della nota filologica servono principalmente a preparare la ricezione del
testo, delle sue parole, dei suoi motivi di fondo.
6
1.1.1 A proposito del “romanzo”
Il progetto di Petrolio risale alla primavera o estate del 1972, anno in cui Pasolini
stila una scaletta, alla fine della quale spiega la sua decisione di scrivere il
romanzo:
«Mi sono caduti per caso gli occhi sulla parola “Petrolio” in un articoletto,
credo dell’Unità, e solo l’aver pensato la parola “Petrolio” come il titolo di un
libro mi ha spinto poi a pensare alla trama di tale libro. In nemmeno un’ora
questa traccia era pensata e scritta».
Pasolini, per scrivere il romanzo, si ritira nel castello solitario di Chia, in
provincia di Viterbo, risalente al XIII secolo, dove già nel 1964 ha girato alcune
scene del Vangelo secondo Matteo.
Secondo la testimonianza di Nico Naldini “Durante le riprese del Vangelo, per la
scena del battesimo di Gesù ha scoperto un luogo incantevole nelle colline
viterbesi, ai piedi di un caravanserraglio con mura merlate e un’alta torre
d’avvistamento. Si è innamorato del luogo, l’ha acquistato e l’ha reso abitabile.
Non appena riesce ad allontanarsi dagli stabilimenti cinematografici, è il luogo
prediletto dei suoi ritiri. Attorno all’antico rudere al centro del caravanserraglio
ha fatto costruire un’abitazione semicircolare a grandi vetrate. A pochi passi,
nascosto dalla vegetazione, c’è un vasto padiglione in legno che funge da studio e
dove, dopo molti anni ha ripreso a disegnare. Il padiglione di Chia è anche il
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luogo ideale per il lavoro attorno al suo nuovo romanzo, Petrolio, che prevede
lungo, forse interminabile.
2
2
N.Naldini, “Mio cugino Pasolini”, pag 85
8
Ci si è molto interrogati su quale avrebbe dovuto essere il vero titolo del libro,
perché tra i fogli iniziali della cartella, uno recava solo la parola ROMANZO, un
secondo solo VAS, un terzo solo PETROLIO. Ci si è chiesti se si trattasse di
soluzioni alternative o tra loro complementari.
Secondo le testimonianze esterne di Nico Naldini e di Enzo Siciliano, VAS
avrebbe dovuto sostituire PETROLIO, come titolo definitivo. Secondo quella di
Paolo Volponi, che si riferisce a confidenze ricevute nell’ultimo incontro con
Pasolini, “Il libro s’intitolerà PETROLIO”. Probabilmente la scelta era rinviata a
quando l’opera avrebbe assunto la sua definitiva fisionomia. Tuttavia la parola
PETROLIO è ripetuta all’inizio della seconda parte e costituisce anche il titolo
della scaletta conservata alla fine della cartella e risalente al 1972.
Anche la definizione di romanzo è soggetta a qualche perplessità, perché il
libro sfugge alle caratteristiche del genere. Lo dichiara lo stesso Pasolini: “Non
ho intenzione di scrivere un romanzo storico, ma soltanto di fare una forma»
(p19); “La mia decisione…è quella di non scrivere una storia, ma di costruire
una forma…” (p155); “Il romanzo che sto scrivendo…non è nemmeno un
romanzo;…forse è un saggio” (intervista su Il Mondo 31 Maggio 1973); “È un
romanzo, ma non è scritto come sono scritti i romanzi veri: la sua lingua è quella
che si adopera per la saggistica, per certi articoli giornalistici, per le recensioni,
per le lettere private e anche per la poesia” (lettera a Moravia).
C’è una continua e ossessiva interrogazione sulla forma romanzo, che
accompagna Petrolio, l’ambizione di un progetto totalizzante che mescola stili,
voci, generi.
Secondo G. Patrizi appartiene al terreno della sperimentazione, il tentativo stesso
di trovare una forma letteraria per l’esperienza assoluta che il protagonista di
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Petrolio, Carlo, vive e cerca nel sesso. La forma-romanzo è il traguardo di
un’opera destinata a essere non-finita, una struttura duttile, aperta agli stimoli
provenienti dalla cronaca, dall’ideologia e dalla passione, e la sua doppiezza fa sì
che Petrolio possa essere inscritto senza problemi all’interno della varietà
morfologica che il genere romanzo è andato acquisendo nel corso del Novecento.
L’epoca moderna è infatti, caratterizzata da una profonda crisi del romanzo e
della rappresentazione in generale. Si è affacciata all’orizzonte la cruda realtà
della caducità di tutte le cose che prima si credevano eterne ed immortali.
Sempre dal saggio del cugino Nico Naldini, apprendiamo che “riflettere sulla
struttura del romanzo, sulle novità di composizione, è il tema ossessivo del suo
lavoro mentale finché, come egli stesso racconta, coglie “l’idea formale” che gli
mancava per procedere con sicurezza. Anche se è costretto ad ammettere che
esso “complicherà maledettamente le cose”. Per realizzare quest’idea dovrà
trasformare il padiglione di Chia in un laboratorio…. Altro non c’ è dato sapere
dall’autore. Se non che negli ultimi tempi aveva ripreso a disegnare dei simboli
di proiezione mentale e sentimentale e si era fatto fotografare all’interno della
sua casa di vetro, nudo al di là delle vetrate: materiale anche questo forse
destinato al romanzo. Quanti anni di lavoro? Sei, sette anni? Ancora non lo sa.
Tuttavia nel 1973 gli pare di poter fare il punto avendo intravisto l’esito finale.
“Questa visione finale è allegra e lieve, non rinunciataria e triste”.
Pasolini parla direttamente dell’architettura del romanzo e scrive: “ Nel
progettare e nel cominciare a scrivere il mio romanzo, io in effetti ho attuato
qualcos’altro che progettare e scrivere il mio romanzo: io ho cioè organizzato in
10
me il senso o la funzione della realtà; e una volta che ho organizzato il senso o la
funzione della realtà, io ho cercato di impadronirmi della realtà
3
.
E ancora:“ Non so se realmente una struttura formale comprenda tutta la realtà
di un libro. Su tale identificazione non avrei la certezza di Slovskij, anche perché
ogni unità, a quanto pare, è sempre risultata idealistica. Tuttavia non c’è dubbio
che un’identità di forme linguistiche implica un’identità di forme non
linguistiche. Per esempio l’intera presente opera è divisa nettamente in due parti
(in senso strutturale perché, lo ribadisco, io non sto scrivendo una storia reale,
ma sto facendo una forma): la prima parte è un blocco politico imperniato sulla
lotta del potere contro l’opposizione comunista; lotta reale, con una tensione
reale; la seconda parte è un blocco politico imperniato sulla lotta del potere
contro l’eversione fascista: lotta, viceversa, pretestuale, con una tensione
pretestuale”.
4
Sin dall’inizio, l’autore raccomanda l’attenta e scrupolosa valutazione degli
elementi formali ed afferma: “Poiché non ho intenzione di scrivere un romanzo
storico, ma soltanto di fare una forma, sono inevitabilmente costretto a istituire le
regole di tale forma. E non posso che istituirle in ‘corpore vili’ cioè nella forma
stessa”.
5
L’ambizione dell’autore di costruire una forma, è un tema che ritorna spesso
all’interno del romanzo stesso, ad esempio nell’Appunto 131 “Nuova Glossa”,
che a sua volta, rimanda ad Appunti precedenti. Ad esempio il 37, dove Pasolini
scrive “la mia decisione è quella non di scrivere una storia, ma di costruire una
forma: forma consistente semplicemente in qualcosa di scritto. Non nego che
3
Pier Paolo Pasolini, “Petrolio”., pag 448
4
Ibid.
5
Ibid, pag 19
11
certamente la cosa migliore sarebbe stata inventare addirittura un alfabeto, ma
di carattere ideografico o geroglifico, e stampare l’intero libro così. Del resto
l’ha fatto recentemente xxx Michaux
6
(?), disegnandosi l’intero libro, riga per
riga, in una paziente e infinita invenzione di segni non alfabetici. Ma la mia
formazione culturale e il mio carattere mi hanno impedito di costruire la mia
“forma” attraverso simili metodi, estremistici, sì, ma anche estremamente noiosi.
Ecco perché ho scelto di adoperare, per la mia costruzione autosufficiente e
inutile, dei materiali apparentemente significativi”.
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E ancora nell’Appunto 98
scrive: “La vera storia che vi sto raccontando riguarda l’assoluta indipendenza
delle leggi che istituiscono una forma rispetto alle leggi che più in generale
istituiscono l’universo (caratterizzato dalla mancanza di ogni soluzione di
continuità) non c’è dubbio, è un dato. Ma nel suo rapporto col dato che la
contraddice e la nega, cioè la mancanza di ogni continuità – il momento
dell’autonomia – essa, almeno per un istante “ideale”, scompare. Continuità e
autonomia di una forma sono la sua contraddizione. Ma esse non coesistono, non
possono coesistere. O c’è una o c’è l’altra. La contraddizione non è che
intermittenza di coesistenza………La nostra storia isola e analizza in sé il
momento dell’autonomia della forma”.
8
Scorrendo le pagine degli Appunti, il lettore realizza che l’assunzione di una
forma da parte del romanzo, avviene attraverso il suo “essere letto”.
Ma la lettura non riesce comunque a rendere più semplice l’impresa di raccordare
le varie parti, né quella di distinguere le “zone d’ombra” da quelle in cui le parole
sembrano avere un chiaro significato.
6
A partire dal giovanile Alphabet (1927) fino agli Exorcismes (1943), Henri Michaux si è spinto
verso un alfabeto “autre”, completamente reinventato. Non risulta però che abbia composto, con
segni inventati, un intero libro
7
Pier Paolo Pasolini, “Petrolio”., pag 167
8
Ibid, pag 438
12
L’autore respinge la possibilità di procedere secondo un ordine prestabilito; egli
privilegia “il disordine, la plurivocità, l’enigmaticità” che “si profilano come
dati strutturali del testo, non soltanto come condizioni contingenti derivate
dall’incompiutezza, ma come valori che dovranno organizzare i significati
narrativi, sia sul piano tematico che su quello formale, molto spesso meta
letterario”.
9
La forma romanzo, il non-finito, l’appena iniziato dell’opera che riusciamo a
scorgere dietro gli Appunti, i frammenti, le bozze, rispecchiano la forma quasi
demoniaca di un testo che si erge sul motivo della doppiezza e dell’ambiguità,
una tipica morfologia che si è a volte presentata durante il Novecento letterario.
Nell Appunto 131, Pasolini parla addirittura di nuovi versi in giapponese che
vorrebbe inserire. “Ciò che io desideravo fare si attua proprio in questo farsi e
spiegarsi dell’opera con se stessa, anche letteralmente. Il caso estremo – che
veniva giustificato dall’Appunto 3c – cioè un’intera sezione dell’opera scritta in
caratteri greci, o neogreci, praticamente illeggibili e costituenti perciò, appunto,
nient’altro che “qualcosa di scritto” – ora si sta per ripetere. Questa volta i
caratteri sono giapponesi. Qui la pura ideografia e la significativa illeggibilità
sono, evidentemente, espresse ancor meglio”.
10
Tali parole chiaramente
illeggibili avrebbero evidenziato solo la forma. Forse proprio questa parte
illeggibile, mai realizzata, sarebbe stata quella più rivelatrice di Petrolio.
9
G.Patrizi, “Petrolio e la forma romanzo”, in “A partire da Petrolio, Pasolini interroga la
letteratura”
10
Pier Paolo Pasolini, Petrolio, pag 567
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1.1.2 Liceità della pubblicazione
Petrolio è stato pubblicato da Einaudi alla fine dell’ottobre 1992. La complessa e
delicata decisione di darlo alle stampe è stata ragionata dalla nipote, nonché unica
erede dello scrittore e curatrice delle sue carte, Graziella Chiarcossi. Dall’età di
nove anni era solita trascorrere le sue estati a Roma, nella casa di Pasolini. A
diciotto anni vi si era trasferita definitivamente per frequentare l’Università e
laurearsi poi con Aurelio Roncaglia in Filologia Romanza. La nipote dello
scrittore si è occupata della cura filologica del libro insieme all’amica Maria
Careri e sotto la supervisione dello stesso Roncaglia, la cui partecipazione è
motivata dal fatto che Pasolini ripeteva spesso che avrebbe avuto necessità di
parlare con lui per avere delle delucidazioni riguardo a dei problemi linguistici
che l’opera gli poneva.
“Mi ricordo, a proposito di Petrolio, che era molto fiero della consistenza dei
fogli. Faceva vedere agli amici quanto aveva scritto, ma a nessuno lo aveva dato
da leggere: era molto geloso. Quando nel ’74 mi diede il manoscritto da
fotocopiare si raccomandò con un sorriso di scusa di fare la fotocopia senza
leggere...”
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È lecito pubblicare un testo non finito alla cui diffusione, l’autore non ha dato il
proprio benestare?
È già successo ad altre opere. Basti pensare, in età classica, al De rerum natura di
Lucrezio edito da Cicerone e, in epoca moderna, alle maggiori opere di Kafka, ( Il
castello, Il processo) pubblicate da Max Brod.
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Intervista a Graziella Chiarcossi, “La Repubblica”, 23 Ottobre 1992
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