5
E’ stato evidenziato il ruolo fondamentale dell'autonomia collettiva nel momento
genetico, nella strutturazione del fondo, nella identificazione delle prestazioni, nei
momenti di finanziamento.
Particolare attenzione è stata prestata al principio di libertà che investe ogni
aspetto della disciplina dei fondi; all'ambito di autonomia lasciato al singolo
attraverso l'esercizio dell'adesione e del recesso.
Sono state esaminate le caratteristiche peculiari dei fondi: le forme (esterni ed
interni), l'autorizzazione all'esercizio dell'attività, la vigilanza, la gestione (diretta e
convenzionata), i soggetti gestori ( le SIM, le imprese assicurative, la società di
gestione dei fondi comuni di investimento mobiliare, le banche), il finanziamento (la
destinazione del TFR).
E’ stata sinteticamente esposta la disciplina delle forme pensionistiche
individuali introdotte dal D.Lgs. 18.2.2000 n. 47.
Nel capitolo III vengono affrontato varie problematiche: l'ambito d'applicazione
della previdenza complementare, il modello di erogazione delle prestazioni
(convenzionata o diretta), l'identificazione dei soggetti destinatari delle stesse, il
regime pensionistico (a contribuzione definita e prestazione variabile ed a
prestazione definita e contribuzione variabile), il sistema finanziario di gestione; la
natura delle prestazioni (carattere previdenziale o retributivo), i requisiti richiesti per il
sorgere del diritto alle prestazioni.
Sono stati, quindi, affrontati i problemi della garanzia dell'effettiva erogazione
delle prestazioni in caso di insolvenza del datore sottoposto a procedura
concorsuale, quello dell'opzione tra rendita e capitale, del trasferimento e del riscatto
della posizione individuale.
Attenzione è stata posta alle norme transitorie (vecchi e nuovi fondi), ai dubbi di
incostituzionalità dalle stesse posti, alla problematica dei diritti quesiti ed alle
modifiche apportate dall'art. 59, co. III, legge 27.12.1997 n. 449 che ha meglio
precisato il rapporto tra previdenza pubblica e privata.
6
Nel corso del lavoro si è fatto riferimento agli Statuti ed ai Regolamenti di alcuni
Fondi pensione (Cometa, Previambiete, PreviRas, Fon.te, Fonchim, Fondo Dentisti,
Fondo pensione aperto INA, Previndai e Previndapi).
7
CAPITOLO I
LA PREVIDENZA PUBBLICA E COMPLEMENTARE IN ITALIA
Sommario: 1-Premesse storiche: dalla mutualità volontaria all'assicurazione obbligatoria. 2-La
previdenza pubblica nell'Italia repubblicana: il principio di solidarietà nella Costituzione: evoluzione,
crisi. 3-La previdenza complementare: precedenti legislativi. 4-Il fondamento giuridico della previdenza
complementare. 5-Ratio e funzione della previdenza complementare.
1 Premesse storiche: dalla mutualità volontaria all’assicurazione
obbligatoria
Secondo un’autorevole dottrina,
1
le prime manifestazioni di assistenza e
previdenza sociali vanno rinvenute nella Francia della seconda metà del XVIII sec.,
che con la costituzione redatta da Robespierre nel 1793, affrontò il problema
dell’assistenza dei lavoratori, e nell’Inghilterra della prima metà del XIX sec. quando
con l’avvento della rivoluzione industriale e lo svilupparsi della coscienza di classe ad
opera del proletariato, si venne creando quel rapporto sociale che diede origine al
problema assistenziale-previdenziale.
Già alla fine del 1700 in Inghilterra si andava affermando una politica di
assistenza sufficientemente aperta attraverso un sistema che prevedeva
l’erogazione di sussidi alle famiglie in tutte le parrocchie nonché interventi di
assistenza pubblica legate alle variazioni del prezzo del pane: i sussidi parrocchiali
integravano il salario in misura proporzionale al numero delle bocche da sfamare.
2
Il progredire del processo di industrializzazione che si verificava in maniera
evidente in detta nazione, stimolò la nascita di associazioni sia tra lavoratori che tra
1
Hernandez, Lezioni di storia della previdenza sociale, Cedam, Padova, 1972, p. 10.
Cherubini, Storia della previdenza sociale, Roma, 1977, p. 15.
2
Deane, La prima rivoluzione industriale. Il Mulino, Bologna, 1990, p. 191-192.
8
datori di lavoro, le Trade Unions, a testimonianza chiara ed evidente dello sviluppo di
una coscienza sociale ad opera del proletariato sempre più marcata.
Adam Smith ebbe ad osservare che “il lavoratore ha ormai acquisito coscienza
sociale delle sue capacità lavorative e muta il suo rapporto nei confronti del capitale,
nonché nei confronti della tutela del suo lavoro”.
3
In questo contesto, siamo verso la seconda metà del XVIII secolo, nacquero le
prime forme organizzate di assicurazione sociale sotto forme di “mutue”, ben viste
anche dal governo in quanto rappresentavano uno strumento di stabilizzazione
sociale, pur presentando una serie di carenze.
La “mutua” si basava sul principio della comunione o divisione dei rischi contro
taluni eventi possibili (malattia, infortunio) o futuri (vecchiaia o morte).
Il soccorso dato dalla mutua non era proporzionale al danno fisico ed
economico che subiva il singolo associato, ma alla capacità del fondo.
Non era ben definito il diritto alle prestazioni, né era prevista una riserva
finanziaria, ma le somme raccolte venivano spese o distribuite annualmente.
4
L’assistenza mutualistica era volontaria.
In Italia, come in Inghilterra, le prime manifestazioni di previdenza si ebbero
come conseguenza del sorgere dell'industria, con la differenza che nella nostra
nazione il processo industriale iniziò con circa un secolo di ritardo rispetto
all'Inghilterra e limitatamente alle regioni del nord.
In effetti, solo il Piemonte, politicamente indipendente, era riuscito, grazie
all'opera di Cavour, ad avviare una politica di industrializzazione e a creare quindi il
presupposto della previdenza.
3
Deane, op. cit., p. 199-200.
4
Cherubini, op. cit., p. 15.
9
Vennero alla luce varie società di mutuo soccorso che tuttavia non ebbero vita
facile, essendo considerate associazioni pericolose sotto il profilo sociale, temendo
che facilmente avrebbero potuto perseguire scopi di lotta sociale.
5
Nelle fabbriche in cui i lavoratori non potevano costituire delle società di mutuo
soccorso, si affermò l'istituto della colletta, costituito da un fondo alimentato dal
versamento di contributi da parte degli operai, al quale si attingeva per soccorrere chi
avesse particolare bisogno. Annualmente si procedeva alla liquidazione mediante
distribuzione del residuo di bilancio.
Nel 1848, lo Statuto Albertino concesse libertà di associazione e segnò il punto
di svolta anche per quanto ci riguarda: da quel momento iniziò un movimento
incessante del ceto operaio verso l'acquisizione di una coscienza sociale sempre più
marcata che andò di pari passo con l'affermazione del concetto di assistenza e
previdenza.
La prima manifestazione di previdenza sociale si ebbe in Italia col nascere delle
società di mutuo soccorso tra gli stessi lavoratori, sull'esempio inglese, che avevano
prevalentemente lo scopo di realizzare la tutela di coloro che si venivano a trovare in
condizioni di bisogno per il verificarsi di eventi che menomavano la capacità
lavorativa.
Le mutue trovarono ben presto terreno fertile tra i lavoratori che in vista di un
rischio comune al quale tutti potevano essere esposti, si impegnarono di buon grado
a ripartire tra loro gli oneri economici connessi al verificarsi dell'evento temuto, allo
scopo di eliminare, o, quanto meno, ridurre le situazioni di bisogno determinatesi.
6
Anche la classe politica dominante accolse con favore le mutue, tanto che fu
emanata una legge, la n. 3818 del 15-4-1886, con la quale si riconobbe personalità
giuridica a quelle società di mutuo soccorso che avessero come fine "di assicurare ai
5
Conti, L'assistenza e la previdenza sociale. Storia e problemi, Giuffrè, Milano, 1958, p. 28.
6
Persiani, Diritto della Previdenza sociale, Cedam, Padova, 1996, pp. 6-7.
10
soci un sussidio in caso di malattia, di impotenza al lavoro, o di vecchiaia; o di venire
in aiuto alle famiglie dei soci defunti".
Ben presto però, il mutualismo manifestò le sue carenze: prima fra tutte l'onere
economico della contribuzione che consentiva l'iscrizione solo ai lavoratori meglio
retribuiti, e creava invece grosse difficoltà agli operai, specie in periodi di
depressione economica, di disoccupazione, ecc.; il numero esiguo dei soci fra l'altro
neppure consentiva di costituire idonee riserve.
Il problema si pose ben presto anche a livello politico e ci si convinse che
doveva essere compito dello Stato intervenire direttamente contribuendo, unitamente
ai datori di lavoro e ai lavoratori, a risolvere il problema dell'assicurazione sociale.
Nel 1898 vi furono due importanti interventi legislativi: col primo fu resa
obbligatoria l'assicurazione contro gli infortuni nell'impresa
7
e col secondo fu istituita
la Cassa Nazionale di Previdenza per la vecchiaia e l'invalidità degli operai.
8
Nel primo ventennio del XX secolo si attuò il passaggio definitivo dal
mutualismo volontario all'assicurazione obbligatoria attraverso una serie di norme e
provvedimenti di natura previdenziale.
Il sistema si andò evolvendo in senso pubblicistico, fino all'istituzione di enti
previdenziali pubblici, col compito specifico di gestire le assicurazioni obbligatorie:
ormai quasi tutte le assicurazioni in campo sociale erano divenute obbligatorie
9
.
7
La legge 17.3.898 n. 80 stabilì che l'assicurazione, obbligatoria, venisse "fatta a cura e spese
del capo o dell'esercente dell'impresa, industria o costruzione" e coprisse "tutti i casi di morte o lesioni
personali provenienti da infortunio avvenuto per causa violenta in occasione di lavoro".
8
La Cassa fu istituita con legge 17.7.898; gestiva però solo un'assicurazione facoltativa.
9
Riorganizzazione della legislazione antinfortunistica (1904), riorganizzazione della legge
sull'invalidità e vecchiaia degli operai (1907), istituzione della Cassa Nazionale di maternità per la tutela
delle donne in occasione del parto e dell'aborto (1910), assicurazione obbligatoria contro gli infortuni
11
sul lavoro nel settore agricolo (1918), assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione (1919),
obbligatorietà dell'assicurazione per l'invalidità e vecchiaia (1919).
12
2 La previdenza pubblica nell'Italia repubblicana: il principio di solidarietà
nella costituzione: evoluzione, crisi
Il secondo comma dell'art. 3 della Costituzione afferma: " È compito dello Stato
rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e
l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e
l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica economica e
sociale del Paese".
Tale principio trova specificazione in altre disposizioni della carta costituzionale
ed in special modo nell'articolo 38 che così recita: "Ogni cittadino inabile al lavoro e
sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza
sociale.
I lavoratori hanno diritto a che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle
loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia,
disoccupazione involontaria.
Gli invalidi e i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento
professionale.
Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o
integrati dallo Stato.
L'assistenza privata è libera".
È bene notare che nell'art. 38 si distingue la posizione dei "lavoratori", per i
quali devono essere preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita
in campo di infortunio, malattia, ecc., da quella di "ogni cittadino" cui viene
riconosciuto il diritto al mantenimento e all'assistenza sociale solo se inabile al lavoro
e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere.
Su queste disposizioni si fonda tutto il sistema previdenziale italiano dal dopo
guerra in avanti; in base ad esse si può ritenere che la tutela di chi viene a trovarsi in
stato di bisogno non può essere considerata come una graziosa concessione dello
Stato, né può essere lasciata all'iniziativa delle categorie interessate, ma costituisce
un'espressione necessaria di solidarietà di tutta la collettività organizzata a Stato.
13
Si può affermare che nell'ordinamento costituzionale italiano il principio di
solidarietà costituisce un obbligo per i pubblici poteri e per i cittadini, ai quali sono
imposti "doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale" (art. 2
Cost.).
10
Si può altresì sostenere che il concetto di libertà dal bisogno si collega con
quello di eguaglianza, intesa come parità dei cittadini, in forza della rimozione degli
"ostacoli di ordine economico e sociale".
Il bisogno cui si fa fronte con la solidarietà è un bisogno al quale tutti i
componenti del corpo sociale sono potenzialmente esposti, perché tutti esposti, per
così dire, agli stessi rischi, e pertanto ne discende l'obbligo della collettività di
contribuire alla garanzia dell'intervento solidarista.
11
È stato giustamente affermato l'obbligo di solidarietà verso soggetti sfavoriti sul
piano economico sociale, al pari dell'obbligo di contribuire alle spese pubbliche
secondo la propria capacità contributiva.
12
Il principio di solidarietà trova dunque fondamento nelle norme costituzionali e
costituisce a sua volta la base dell'obbligatorietà dell'assicurazione e dell'estensione
degli obblighi contributivi a carico anche di quei soggetti che non beneficiano
direttamente della copertura assicurativa.
È chiara la differenza col concetto di mutualità in base al quale gli oneri
contributivi -come abbiamo visto prima - gravano sugli stessi beneficiari della
copertura assicurativa legati tra loro da un vincolo assicurativo: in questo caso vi è
identità fra soggetti esposti al rischio e soggetti su cui grava l'obbligo del pagamento
dei contributi.
10
Cinelli, Diritto della Previdenza Sociale, Giappichelli, Torino, 1996, pp. 23-24.
11
Simi, Il pluralismo previdenziale secondo costituzione, Cedam, Padova, 1986, pp. 22 24.
12
Corte cost. 14.07.72 n. 146, in Giust. Cost., Ed. INPS, II, 1988, p. 121.
14
Il concetto di solidarietà ha comportato l'affermarsi del sistema c.d. a
ripartizione.
Con tale sistema l'onere delle prestazioni che vengono erogate agli assicurati
non è coperto dai contributi da essi versati, ma ricade (ripartito) sui lavoratori (e
datori di lavoro) che nello stesso periodo di tempo (in cui vengono erogate le
prestazioni) pagano i contributi senza beneficiare delle erogazioni.
In altri termini tale sistema comporta che, ad esempio, le pensioni che oggi
vengono erogate sono pagate con i contributi dei lavoratori attivi e non con quelli
versati in passato dai pensionati stessi.
A loro volta i lavoratori di oggi fidano per il pagamento della loro futura
pensione sui contributi che saranno pagati dai lavoratori futuri.
Si configura così un patto intergenerazionale che tacitamente si rinnova, in
forza del quale ogni generazione si impegna a pagare pensioni ad altri e
contestualmente acquisisce il diritto a beneficiare di identico trattamento quando
avrà raggiunto l'età pensionabile.
Questo meccanismo non ha consentito di effettuare alcuna riserva finanziaria
ed anzi ha dato luogo ad un debito previdenziale sempre più consistente.
13
Il metodo a ripartizione viene ovviamente messo in crisi se il numero di coloro
che lo finanziano (i lavoratori) diminuisce o se il numero di coloro che percepiscono
le prestazioni (i pensionati) aumenta. Ed è ciò che si è verificato nel nostro sistema a
causa del calo delle nascite da una parte e l'allungamento della vita media dall'altro.
Basta ricordare che la percentuale di anziani (ultrasessantacinquenni) in Italia
nel 1950 era dell'8% dell'intera popolazione, nel 1990 era salita al 14% e, secondo
attendibili stime, nel 2030 arriverà al 22%; il rapporto tra popolazione attiva e
pensionati si avvia ad essere pari ad uno: il che significa che, col sistema a
ripartizione, un lavoratore dovrà sostenere un pensionato.
13
Gai, I fondi pensione, Giappichelli, Torino, 1996, p. 4.
15
In questo quadro di crisi della previdenza pubblica si è sviluppato in modo più
deciso il discorso sulla previdenza privata.
3 La previdenza complementare: precedenti legislativi.
La crisi della previdenza pubblica accennata a grandi linee nel paragrafo
precedente, ha indubbiamente spinto il legislatore verso la costituzione di fondi di
previdenza complementare, ma non si può ritenere che fosse l'unico motivo del
sorgere di essi e neppure il maggiore.
Va subito precisato che il tema della previdenza integrativa non può
considerarsi nel nostro paese una scoperta recente, viceversa varie esperienze di
simile forma di previdenza sono risalenti nel tempo.
Tra le più antiche esperienze, maturate in settori nei quali la vocazione al
risparmio era particolarmente sentita, come in quello del credito nel quale vi era una
maggiore disponibilità finanziaria da destinare all'impiego previdenziale, la
costituzione di forme di previdenza privata ha preceduto la stessa previdenza
obbligatoria.
14
La disciplina della materia è rimasta a lungo affidata all'auto regolamentazione
delle parti interessate, quindi, in forma strettamente privata: il panorama dei fondi
pensioni "aziendali" costituisce l'esempio più lampante.
A questo punto sembra utile soffermarsi sul significato che si deve dare al
termine "previdenza complementare".
Con questa espressione si fa riferimento a tutti quegli istituti previdenziali che
prevedono l'erogazione di trattamenti pensionistici complementari a quelli del regime
obbligatorio o di forme sostitutive o esclusive di questo.
14
Gaboardi, Geroldi e Settimi, La pensione integrativa. L'esperienza nel settore del credito,
Edinioni Lavoro, Roma, 1987.
16
Per la verità, come prima accennato, la previdenza complementare non è del
tutto nuova al nostro legislatore. Già con la legge sull'impiego privato si stabilì che "il
patrimonio delle istituzioni di previdenza a favore del personale delle aziende private
sarà amministrato a parte e rimane assegnato ai fini per i quali è venuto
costituendosi, anche in caso di fallimento, liquidazione o trasformazione dell'azienda,
escluso qualsiasi diritto o pretesa dei creditori dell'azienda stessa" (art. 19 R.D.L. n.
1825 del 1924).
Vanno altresì ricordati gli interventi del legislatore relativi alle agevolazioni
tributarie ex art. 48 comma II D.P.R. n. 917/86 così come modificato dall'art. 2 D.Lgs.
314/97; quelli relativi all'esonero parziale della base imponibile ex art. 9 bis L. 166/91
dei contributi versati ai fondi di previdenza integrativa; quelli relativi all'estensione
della tutela del lavoratore contro l'insolvenza del datore di lavoro del versamento dei
contributi dovuti per forme di previdenza integrativa (art. 5 D. Lgs. n. 80 del 92).
Inoltre l'art. 2117 c.c. così recita "I fondi speciali per la previdenza e l'assistenza
che l'imprenditore abbia costituiti, anche senza contribuzione dei prestatori di lavoro,
non possono essere distratti dal fine al quale sono stati destinati e non possono
formare oggetto di esecuzione da parte dei creditori dell'imprenditore o del prestatore
di lavoro."
Questi fondi si sono posti accanto all'assicurazione generale obbligatoria, quale
forma di previdenza integrativa volontaria e quindi nella stessa logica, anticipandola,
che ha guidato il legislatore nell'istituzione dei fondi complementari.
Si deve notare infatti che i regimi privati di previdenza ex art. 2117 c.c.
potevano integrare il corrispondente regime obbligatorio, ma le norme e i principi che
valevano per i regimi obbligatori non trovavano diretta applicazione nell'ambito dei
regimi privati, la cui disciplina era riservata all'autonomia negoziale delle parti, ferma
17
restando la possibilità che queste avevano , nel proprio ambito, di attribuire rilevanza
ed efficacia giuridica a istituti del regime pubblico.
15
Altri precedenti legislativi si rinvengono negli articoli 2123 e 2754 del c.c.,
nonché nella legge 153 del 1969 e nell'art. 11 dello Statuto dei diritti del lavoratore,
norme di carattere generale che in qualche modo fanno riferimento ai fondi di origine
collettiva.
A parte i suddetti antecedenti vi è stato un vuoto legislativo colmato soltanto
con il D.Lgs. n.124 del 1993, che può considerarsi la prima organica disciplina delle
forme di pensioni complementari e di cui ci occuperemo più dettagliatamente in
seguito.
Tale disorganicità legislativa, precedente il decreto appena citato, ha consentito
la nascita di molteplici forme e regimi privatistici di previdenza complementare, qui
basta ricordarne alcuni come i fondi di pensione interni e i fondi di pensione esterni.
a) Fondi interni.
Questi non si distinguono dall'azienda che li ha promossi, sono quindi privi di
personalità giuridica, non godono di autonomia patrimoniale e conseguentemente il
patrimonio del fondo si confonde con quello dell'azienda. In sostanza sembra potersi
affermare che questi fondi consistano in un mero accantonamento di somme di
denaro all'interno dell'azienda che si distingue solo contabilmente nel bilancio.
Va, però, rilevato che la fonte normalmente è la contrattazione collettiva tra
rappresentanti sindacali ed aziendali, anche se spesso è avvenuto che l'iniziativa sia
stata del solo datore di lavoro che autonomamente ha redatto il regolamento del
fondo.
15
Cass. 7.3.86 n 1539, Giust. Civ. Mass. 1986, fasc. III; 18.7.87, n 6350, Giust. Civ. Mass.
1987, fasc. VII; 8.8.87 n 6815, Giust. Civ. 1987, fasc. VIII-IX; 9.2.89 n 816, Giust. Civ. Mass. 1989,
fasc. II.
18
Dalla descrizione sia pure sommaria fin qui data di questo tipo di fondi, è facile
comprendere che il problema principale è il seguente: in caso di dissesto finanziario
dell'impresa potrebbe essere trascinato anche il patrimonio del fondo, con intuibili
conseguenze nei confronti delle legittime aspettative dei prestatori di lavoro? In altri
termini i diritti degli assicurati fino a che punto sono tutelati rispetto al pericolo di
instabilità dell'impresa?
Invero, l'art. 2117 c.c. nello stabilire che la finalità previdenziale ed assistenziale
dei fondi non può subire cambiamenti e nello statuire che gli accantonamenti
contributivi non possono essere oggetto di esecuzione per soddisfare i creditori
dell'impresa o dei prestatori di lavoro, dovrebbe costituire una valida difesa dei diritti
degli assicurati. Tuttavia, l'art. 2117, sotto questo profilo, rischia di essere una pura
enunciazione di principio proprio per quella mancata separazione tra il fondo e il
patrimonio dell'azienda, presupposto essenziale perché il fondo divenga di fatto
indisponibile ed inespropiabile.
16
Dottrina e giurisprudenza hanno dibattuto per molti anni il problema della natura
giuridica dei fondi interni dividendosi sostanzialmente in due posizioni.
Una giurisprudenza maggioritaria ha ritenuto che questi fondi potessero essere
assimilati alle associazioni non riconosciute ex art. 36 c.c..
17
Questa tesi sembra però essere debole per la tutela degli assicurati: l'unica
norma prevista a garanzia dei creditori del fondo è quella dell'art. 38 c.c. che prevede
un regime di responsabilità personale e solidale di "coloro che hanno agito in nome e
per conto dell'associazione", per cui i creditori dell'associazione (e cioè gli assicurati
16
Romagnoli, Natura giuridica dei fondi di previdenza. Art. 2117 c.c., in Riv. Trim. dir. Proc. Civ.,
1960, p. 858; De Valles, Natura giuridica dei fondi per la previdenza e l'assistenza di cui all'art. 2117
c.c., in Dir. Econ., 1961.
17
Cass. Sez. Un. 12.10.1962 n. 2933, 30.8.1967 n. 2137, 14.11.75 n. 3850.
Cass. 22.4.1982 n. 2492, Giust. Civ. Mass. 1982, fasc. IV.