Nel 1944 la famiglia fa ritorno a Napoli, dove il drammaturgo
comincia gli studi regolari che lo porteranno alla maturità classica,
conseguita al Liceo Genovesi, ‹‹l’unica forma di maturità di cui io
sia in grado di esibire regolare certificazione››. Degli anni
dell’infanzia Santanelli custodisce una memoria precisa e racconta,
accanto ai momenti felici, episodi che ancora oggi lo turbano e che
non mancano di lasciare traccia nei suoi scritti.
‹‹La sensazione terribile della paura, per esempio, per me è
legata ad una corsa nel buio che ogni pomeriggio ero costretto a
compiere per uscire dall’oratorio dove andavo a giocare a
pallone con gli amici. Avevo dieci anni e per tornare a casa
dovevo necessariamente superare la navata laterale di una chiesa
passando prima dietro un altare. A quell’ora la chiesa era buia,
ma a rendere ancora più inquietante il passaggio era la presenza,
all’interno della navata, di una tomba che apparteneva a un
bambino. Per me, ogni pomeriggio, la partita era sempre
minacciata da quel passaggio che mi aspettava e che diventava
una sorta di discesa negli inferi finchè arrivavo alla porta e
allora “uscimmo a riveder le stelle”. Spesso aspettavo che
qualcun altro se ne andasse per compiere così quel rito obbligato
in compagnia e con animo più leggero ma il più delle volte
dovevo tornare a casa prima degli altri, avendo degli orari
precisi, e per questo dovevo affrontare da solo la prova. Mi
ricordo che una volta, dopo aver già superato l’angolo buio, la
nicchia laterale dove c’era un lumicino sempre accaso che
proiettava ombre sinistre, andai a scontrarmi contro una
montagna di stoffe nere, una monaca che si trovava a passare.
Fu una sequenza quasi da film dell’orrore che mi è rimasta
impressa nella memoria. Ecco perché ancora oggi collego lo
spavento a quel episodio.››
- 2 -
L’adolescenza dell’autore è segnata dalla dolorosa perdita
della figura paterna, della quale conserva un ricordo assai tenero,
nonostante poche fossero le ore condivise con il genitore, assorbito
per larga parte del giorno dalla sua professione di psichiatra:
‹‹Mio padre tornava a casa solo di sera e io lo aspettavo per
poter giocare con lui, ricordo che mi interrogava sempre sulle
capitali d’Europa. Mia madre quindi rappresentava ai miei
occhi l’aspetto naturale e affettivo e mio padre l’aspetto
culturale. La sua perdita mi ha segnato molto anche come
autore. Forse è per questo che nelle mie commedie il padre è una
figura che aleggia, latita, nonostante sia lui che dovrebbe tenere
le redini anche dal punto di vista delle scelte primarie››.
In quegli anni Santanelli si appassiona allo sport e in
particolare alla pallacanestro, attività nella quale dichiara di
‹‹secondeggiare con onore››. In realtà arriverà fino alla serie “C”
nella Partenope e otterrà gli onori delle cronache sportive dei
quotidiani locali. È qui che il fratello, più grande di lui di qualche
anno, comincia a collezionare ritagli di stampa che lo riguardano.
Nello stesso periodo nasce in lui l’interesse per la musica che lo
spingerà ad esplorare il ricchissimo repertorio della canzone
napoletana, e a dedicarsi alla chitarra classica, uno strumento che
ancora oggi ama suonare: ‹‹così aspetto la voglia di lavorare››.
Si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza, scelta che fa ‹‹per
non emulare le strade prese dai miei tre fratelli›› ed è lui stesso a
raccontare di ‹‹preferire gli esami storico-filosofici a quelli di
procedura››. Una inclinazione “umanistica” che lo porterà a
- 3 -
conseguire la laurea con una tesi in “Filosofia del Diritto” e a
decidere di non intraprendere né la professione forense né la
carriera in magistratura.
‹‹Ma non mi sono mai pentito della scelta perché della
Giurisprudenza mi colpì più che altro l’aspetto conflittuale e l’ho
interpretata sempre come una forma di ritualità molto vicina al
teatro. Cosa c’è di più teatrale di un processo in cui ci sono
proprio degli scontri di posizione?››.
La lettura occupa parte significativa del suo tempo,
soprattutto narrativa, più che testi teatrali: i classici russi
(Dostoevskij, Cechov), la letteratura sudamericana (Borges,
Marquez) e viennese (Musil, Kafka, Kraus). Dice di amare
enormemente tutto Conrad, dai racconti più brevi ai romanzi, ‹‹più
di tutti Cuore di tenebra che è il più bello che sia mai stato
scritto››.
3
Dichiara che gli autori europei come Ionesco e Mrozeck,
Beckett e Pinter:
‹‹hanno modificato il mio mondo interiore dilatando, se non
proprio le mie capacità espressive […], quanto meno il mio
desiderio di non restare legato mani e piedi alla tradizione entro
la quale sono inserito per anagrafe ed estrazione, e della quale
Eduardo è pur sempre uno dei più autorevoli rappresentanti››.
4
Essere nato in una famiglia borghese condiziona in modo non
marginale la formazione culturale e intellettuale di Santanelli, che
3
G. BAFFI, Visti da vicino, vol. I, Napoli, Edizioni Guida, 2006, p. 126.
4
M. SANTANELLI, L’ineffabile piacere di amarlo e tradirlo, nonostante tutto, in “Il
Mattino”, anno CIX, n. 141, 26 maggio 2000, inserto speciale su Eduardo De Filippo, p. 18.
- 4 -
percepisce e descrive il nucleo familiare come ‹‹luogo della
deformazione piuttosto che della formazione››. Così non apprende
il dialetto in casa, ‹‹dove non era permesso parlarlo››, ma vi si
accosta attraverso l’esperienza della “strada”, che avviene con
grande curiosità e poi a scuola, quella pubblica per scelta dei
genitori, dove ricorda che
‹‹uno dei miei amici più cari, non era di estrazione omogenea
alla mia, ma proveniva dalla Maddalena (quartiere degradato di
Napoli) e si chiamava Esposito. Quest’ ultimo ricambiava l’aiuto
nelle versioni con inviti a casa sua, dove davo sfogo al mio
interesse per il modo di vivere popolare e per quelle espressioni
tipiche delle mamme napoletane del tipo “magn che à ‘e crescre”
che non avrei mai potuto ascoltare a casa mia. Naturalmente,
tornato a casa, raccontavo di essere stato a pranzo dalla famiglia
“bene” che conoscevano i miei genitori››.
Il rapporto col dialetto si approfondisce in età adulta grazie
alla lettura e allo studio di alcuni tra i testi più significativi della
letteratura napoletana, come “La Vaiasseide” di G.C. Cortese e il
“Pentamerone” di G.B. Basile, nei quali, a suo parere, ‹‹il
napoletano ha preso coscienza di essere una lingua che
bisognerebbe insegnare nelle scuole››. Giocano indubbiamente un
ruolo fondamentale nell’apprendimento del dialetto la scoperta
della musica e del complesso delle canzoni partenopee tradizionali,
dal Duecento ad oggi, che il drammaturgo considera un vero e
proprio archivio della lingua napoletana così come si è andata
evolvendo e stratificando nel tempo: ‹‹Si parte dalle prime canzoni
- 5 -
che sembrano scritte quasi in latino per arrivare alle ultime che sono
assolutamente metropolitane››.
Arrivano gli anni ’60, Santanelli entra alla RAI di Napoli;
‹‹Colsi la palla al balzo, data la mia passione e tentazione per lo
spettacolo, partecipando ad un bando di concorso come
assistente alla regia, ed ebbi la fortuna di entrare a via Marconi,
luogo delle speranze di tanti giovani napoletani di quegli anni.
Feci sin da subito una scelta di campo: poiché il telegiornale non
mi interessava, i servizi scientifici non erano il mio forte, scelsi la
prosa e mi ritrovai a collaborare stabilmente alla realizzazione
di una commedia al mese, da Ibsen a T. Williams››.
Vi lavora fino al 1980 come assistente di scena e aiuto
regista, nonchè sceneggiatore radiofonico e televisivo:
‹‹Tra una cosa e l’altra vola via un ventennio. Ma in quel tempio
dello spreco economico e della dissipazione del genere umano, e
più ancora di quello umanistico, apprendo comunque tutto
quanto è bene non fare in tema di spettacolo. È un breviario alla
rovescia ma è pur sempre un breviario››.
In RAI ha modo di conoscere i più illustri rappresentanti del
mondo dello spettacolo, collaborando con i migliori attori e registi
italiani, Emma Grammatica, Tino Buazzelli, Cesco Baseggio,
Gilberto Govi, Sandro Bolchi e Eduardo, e di apprendere quello che
lui stesso chiama ‹‹il primo grado della scrittura teatrale››, il
meccanismo di trasposizione di un testo dalla pagina alla scena, sia
pure televisiva. Giovane assistente di studio Santanelli era di fatto
- 6 -
‹‹il mediatore tra gli attori ed il regista che stava in cabina e mi
dava delle disposizioni che io attuavo nel modo migliore. Delle
mie tante funzioni a me piaceva di più la parte artistica, ma
questo mi procurava continui rimproveri perché magari non
ammonivo l’attore di turno che si era presentato tardi sul set,
però allo stesso tempo mi procuravo la stima e l’amicizia degli
artisti. Fu grazie all’amico regista Flaminio Bollini che mi
avvicinai alla stesura di sceneggiature: fu lui che, dopo aver letto
un mio testo, mi propose di scrivere una cosa a quattro mani,
lasciandomi alla fine completare da solo il lavoro al quale si
limitò a dare una correzione definitiva. Tuttavia in RAI ciò che
scrivevo non sarebbe mai andato in onda giacchè, essendo “un
interno”(per non dire internato), non era facile ottenere una
liberatoria. Così dopo una breve parentesi come segretario del
sindacato decisi con coraggio di lasciare il “posto sicuro”. Mi
dedicai alla scrittura radiofonica ed avviai una collaborazione
con la radio e la televisione svizzere che, a differenza delle
emittenti italiane, accettavano un copione solo se gli piaceva e
non perché spinte da qualche telefonata di appoggio››.
Il 1980 è l’anno della svolta: la sua prima opera teatrale
Uscita di emergenza
5
è rappresentata nel tempio dell’arte
eduardiana di Napoli, il teatro San Ferdinando, e Santanelli può
assistere alla comparsa del suo nome sulla stampa nazionale, che
saluta entusiasta la nascita di ‹‹un autore con qualcosa di nuovo da
dire››
6
. Il testo nasce dalla lettura de Il sottoscala di Charles Dyer,
che l’attore Marzio Honorato aveva sottoposto all’autore
invitandolo a trarne una versione napoletana:
5
M. SANTANELLI, Uscita di emergenza , prefazione di G. DE BOSIO, premessa di M.
SANTANELLI, Firenze, La Casa Usher, 1983.
6
T. MARRONE, Un’opera scritta in allegria, in “Il Mattino”, anno XCII, n. 240, 4 settembre
1983, p. 16.
- 7 -
‹‹Lo lessi e poi me ne scordai: troppo inglese, troppo insulare,
poco esportabile. Ma cominciai a pensare alla storia di due
disperati, che corrispondesse in qualche modo alla mia
disperazione, che viaggiava come un fiume carsico. La necessità
di due solitudini entrambe oppresse dalle necessità dell’essere. I
personaggi, l’ex sagrestano Pacebbene e l’ex suggeritore Cirillo,
vennero di conseguenza, mantenendo uno standard di stile basso.
Bisognava sfuggire alla trappola dell’Accademia tratteggiando
questi due uomini ai confini dell’esistenza, due componenti della
mia psicologia e che appartengono un po’ a tutti: mettendo in
relazione te stesso con gli altri e allora capendo che il teatro è
uno scontro di caratteri, di due mondi opposti››.
Nel 1982 Uscita di emergenza vince il premio IDI (Istituto
Dramma Italiano) come migliore novità ’81, e nello stesso anno
ottiene il premio ANCI (Associazione Nazionale dei Critici
Italiani). Nel telegramma che comunica all’autore l’attribuzione del
premio, l’opera viene riconosciuta come
‹‹commedia che, oltre ad essere sostenuta dagli umori della
grande tradizione comica partenopea, si colloca autorevolmente
(per valenze metaforiche e spessore di linguaggio) nel filone della
più inquietante produzione europea contemporanea››
7
.
Il testo viene rappresentato in Austria, Francia e Germania,
trasmesso dalla RAI, riproposto in versione radiofonica in Italia,
7
Estratto del telegramma inviato a Manlio Santanelli dall’Associazione Nazionale dei Critici di
Teatro in occasione del conferimento del Premio Critica Teatrale 16-09-1982. Dall’archivio
privato di M. SANTANELLI.
- 8 -
Svizzera e Francia, e da ultimo viene tradotto in inglese per la
pubblicazione negli Stati Uniti.
Il successo di Uscita di Emergenza segna il divorzio
definitivo dalla televisione pubblica, ‹‹una tribù che tutto d’un tratto
mi era sembrata un carcere››
8
, e l’avvio di un periodo di grandi
soddisfazioni professionali, durante il quale Santanelli scopre il
gusto di “rappresentarsi”, di esprimere il proprio vissuto di
esperienze umane e culturali attraverso la scrittura.
‹‹Non avevo mai messo su carta la mia vita. Poi ho cominciato a
scrivere e da allora subisco il peso di una scrittura che cerca in
tutti i modi di tener dietro al pensiero che viaggia più veloce
della penna››.
Nel frattempo lo colpisce un’ ulteriore perdita familiare: la
morte del fratello maggiore smorza l’entusiasmo e la soddisfazione
per il brillante esordio del drammaturgo.
‹‹Mio fratello se ne andato smentendo penosamente la mia
solida convinzione che fosse immortale. E dunque i ritagli di
giornale che accennano alla mia persona, se voglio ancora
esercitare questo veniale peccato di narcisismo, ormai li devo
raccogliere da me››.
La seconda prova è L’isola di Sancho
9
del 1983, presentata
alla rassegna “Città Spettacolo” di Benevento, che non viene però
accolta benignamente da pubblico e critica: avvertendo l’esigenza
8
G. BAFFI, op. cit. , p. 128.
9
M. SANTANELLI, L’isola di Sancho , Fiesole, Centro Internazionale di Drammaturgia,
Edizione Passigli,1983.
- 9 -
di esplorare nuovi percorsi, l’autore sviluppa un copione di
tragicommedia, tra la farsa in costume e il gioco di paradosso, che
racconta una folle, ideale giornata di Sancho, un povero pescatore
che passa dalla ingenua ricerca del potere alla disillusione. Dietro le
forme della metafora e del divertimento Santanelli affronta temi
cruciali come quello della protervia dei governanti e del
trasformismo dei ceti popolari nell’assalto alle istituzioni, il tutto
condito da una scrittura asciutta, espressiva e molto stimolante.
Nel 1984 collabora con il regista Sergio Fantoni
all’allestimento della commedia Le sofferenze d’amore della
Radegonda e del Capitano della Morte, da un romanzo di Vittorio
Imbriani, “Dio ne scampi dagli Orsenigo”; Santanelli ripropone qui
il grottesco e satirico pastiche linguistico e lessicale di Imbriani,
amplificandone gli effetti sul piano del ricalco e dando vita ad un
brioso divertissement dalle strutture estremamente formalizzate, un
“rondò capriccioso”, come recita il sottotitolo. Da Le sofferenze
d’amore l’autore trae successivamente un radiodramma che vince il
Premio Speciale della Giuria del Premio Italia 1985.
La sua figura di drammaturgo è definitivamente riconosciuta
e consolidata all’uscita di Regina madre
10
, messa in scena per la
prima volta in Italia il 6 luglio 1985 al Festival di Asti, protagonisti
Isa Danieli e Roberto Herlitzka, per la regia di Sergio Fantoni.
L’opera ottiene anch’essa il premio IDI 1985 ed è tradotta e
rappresentata in molti paesi europei (Germania, Svizzera, Olanda,
Francia, Austria, Polonia, Romania, Russia, Belgio). In questi anni
nascono per Santanelli i primi contatti con l’estero, attraverso
10
M. SANTANELLI, Regina madre , Fiesole, Centro Internazionale di drammaturgia,
Edizione Passigli,1985.
- 10 -
un’organizzazione denominata “Text” e, in seguito, grazie ad un
regista attore italo-francese, José Quaglio, che, il 14 novembre 1987
propone Regina madre al Théatre de Poche di Parigi.
Nell’anno 1986 vedono la luce tre nuove realizzazioni:
L’elogio della paura, L’Aberrazione delle stelle fisse
11
rappresentata in Italia nella stagione teatrale 1989-90, e Il naso di
famiglia.
Nel 1987 va in scena Pulcinella
12
, rielaborazione
drammaturgica di un trattamento cinematografico di R. Rossellini, a
sua volta ispirato alle ricerche e agli studi di Anton Giulio
Bragaglia. La pièce, allestita da Maurizio Scaparro con la
partecipazione di Massimo Ranieri, narra il viaggio di Pulcinella e
di un gruppo di comici dell’Arte nel XVII secolo, da Napoli a
Roma e da Roma a Parigi, alla ricerca di pane e di gloria. Giunto
nella mitica capitale francese, Pulcinella sarà però costretto a
ribellarsi alle imposizioni di corte che vorrebbero snaturare il suo
teatro e piegarlo ai fini del Potere. Santanelli costruisce il testo
convinto che la storia di Napoli si ripeta secondo moduli ossessivi,
continuando ad identificarsi oggi con le vicende del suo passato
remoto: sicchè l’avventura di Pulcinella finisce per incarnare la
condizione, dell’intellettuale di ogni tempo, sempre minacciato
nella sua libertà di espressione. Lo spettacolo ha avuto una
lunghissima e fortunatissima circuitazione in Italia e all’estero. Ha
compiuto una tournée negli Stati Uniti, in Canada e in Europa. A
Parigi, è stato ospitato nel giugno del 1999 presso il Théâtre du
11
M. SANTANELLI, L’aberrazione delle stelle fisse, prefazione di R. PALAZZI, Milano,
Ricordi, 1987.
12
Premio Taormina Arte, 1987.
- 11 -
Rond-Point des Champ-Elysées e per la sua forza rappresentativa, è
stato allestito all’Expò di Hannover nel luglio del 2000.
Ancora nel 1987, debuttano Il fuoco divampa con furore
13
, e
Bellavita Carolina
14
, scritta nel 1985, la quale - come ricorda lo
stesso autore -
‹‹non ebbe, almeno in Italia, un giusto riconoscimento di
pubblico forse perché soffrì, indirettamente, della tragedia che
colpì Annibale Ruccello (morto a soli trent’anni in un incidente
stradale). Quest’ ultimo voleva a tutti i costi metterla in scena
perché gli piaceva immensamente, e la sua idea era quella di
utilizzare come attori tutti uomini, cosa che a me non
entusiasmava molto, ma che probabilmente in quegli anni,
quando il teatro “en travestì” imperava e Leopoldo Mastelloni
otteneva enormi successi, si sarebbe rivelata l’intuizione geniale
per una fortuna dell’opera anche al botteghino››.
Negli anni seguenti Santanelli si sposta tra Napoli, Roma e
l’Umbria, per poi tornare a stabilirsi a Napoli (dove attualmente
risiede), una città alla quale sente di appartenere non solo per
nascita e che definisce:
‹‹città senza mezze misure, troppo piccola o troppo grande,
problematica, ma dove tutti ti dicono non c’è problema, città
egheliana, zoppa, che pone la tesi e l’antitesi ma non arriva mai
alla sintesi. Città teatrale per eccellenza, ma io direi per destino;
una metropoli che vive come se fosse sempre su un palcoscenico,
13
M. SANTANELLI, Il fuoco divampa con furore , in “Ridotto”, n. 1-2, gennaio-febbraio
1987, pp. 33-67.
14
M. SANTANELLI , Bellavita Carolina , in “Dopo Eduardo. Nuova Drammaturgia a
Napoli”, a cura di L. LIBERO, Napoli, Guida Editori, 1988, pp. 31-80.
- 12 -
che ad un tempo si rappresenta ed è pubblico di se stessa,
quando addirittura non ricopre il ruolo di personale di sala››.
15
Nel 1988 va in scena a Nora, in occasione del Festival “La
notte dei Poeti”, l’atto unico Disturbi di Memoria
16
che il
drammaturgo giudica essere il suo lavoro più denso ed efficace sul
piano della scrittura e della rappresentazione.
Dopo Un eccesso di Zelo
17
(1988), e Camera con racconti
affittasi (1989), liberamente tratta da I racconti di Malá Strana del
ceco Jan Neruda, segue un testo tragicomico sulla Repubblica
Partenopea, Millesettecentonovantanove (1988), concepito in
occasione del bicentenario della Rivoluzione Francese, come
rimando alla sommossa giacobina partenopea attraverso il
battibecco-scontro di due garzoni di un bar, e presentato alla
rassegna “Settembre al Borgo” a Caserta, con la regia e la
partecipazione di Nello Mascia. Il tema storico è particolarmente
caro a Santanelli che individua nel legame con la tradizione
napoletana un’impronta, una prima pietra di costruzione per il suo
teatro.
Risale al 1988 anche la scrittura dell’atto unico La donna del
banco dei pegni, nel quale Santanelli dichiara lo smarrimento e la
disperazione scaturiti dall’impatto cruento con la difficile realtà
partenopea, con una città che ‹‹non riusciva più né a piangere né a
ridere, ma soltanto ad urlare››
18
. Gli oggetti dati in pegno
divengono il simbolo dell’anima ferita di Napoli e dei suoi progetti
15
G. BAFFI, op. cit. , p. 129.
16
M. SANTANELLI, Disturbi di memoria , in “Ridotto”, n. 12, 1990, pp. 11-28.
17
M. SANTANELLI, Un eccesso di zelo , in “Sipario”, n. 539, novembre 1993, pp. 67-83.
18
E. FIORE, Il rito, l’esilio e la peste. Percorsi nel nuovo teatro napoletano: Manlio
Santanelli, Annibale Ruccello, Enzo Moscato. Milano, Ubulibri, 2002, p. 37.
- 13 -
falliti. Il testo confluirà, insieme con Virginia e sua zia e Le tre
verità di Cesira nel volume Ritratti di donne senza cornice
19
.
Nel 1994 va in scena al Festival Internazionale di Veroli Il
baciamano
20
, che testimonia ancora una volta il legame di
Santanelli con la città in cui è cresciuto e con la sua storia: per la
prima volta, il drammaturgo sceglie, come protagonista di una
propria opera, un personaggio che parla esclusivamente il dialetto.
Il testo sarà rappresentato, fra l’altro, nel maggio del 1999 nel
cortile d’onore del Palazzo Reale di Napoli, in occasione del
Bicentenario della Repubblica Napoletana del 1799.
Del 1998 è Chichibio, libero adattamento dalla novella
Chichibio e la gru di Giovanni Boccaccio.
Recente è la realizzazione de Il marchese di Roccaverdina
(2000), tratto dall’omonimo romanzo di Luigi Capuana, e de Le
furberie di Scapino (2001), traduzione della commedia di Molière,
in cui Santanelli trasforma una Napoli, solo suggerita e inventata
dal drammaturgo francese nel 1671, in un luogo vivo e pittoresco in
cui si parla un dialetto sapientemente carico di espressioni gergali,
acceso di colori, in una città affollata di traffici di giorno e
complice, al calar della sera, di amori appassionati.
Nel 2001 viene pubblicato Harold è diventato verde
21
che
Santanelli dedica a Harold Pinter, di cui è appassionato estimatore
e che viene costantemente citato tra gli autori di formazione del
commediografo nella scelta della propria via drammaturgica.
19
M. SANTANELLI, Ritratti di donne senza cornice , trilogia di racconti, Catania, Il Girasole
edizioni, 1990.
20
M. SANTANELLI, Il baciamano , in Manlio Santanelli Teatro, introduzione a cura di T.
MEGALE, Roma, Bulzoni Editore, 2005, pp. 322-351.
21
M. SANTANELLI, Harold è diventato verde , Quaderno di Drammaturgia, Salerno, 2002,
pp. 86-116.
- 14 -
L’8 febbraio 2003 a Kiel, in Germania, debutta Facchini
22
,
con il titolo di Gepacktrager, commedia all’apparenza un po’
diversa, che sembra rispondere all’esigenza di un teatro più astratto.
L’autore ha molto apprezzato l’allestimento dell’opera, in cui
l’assenza di relazioni, di punti di riferimento quotidiani, mostra
perfettamente l’estrema conflittualità dei personaggi.
Gli ultimi testi portati in scena sono La solita cena (2003) e Il
chiodo fisso (2002), un monologo espresso in termini di paradosso
che vede una madre alle prese con le ansie e le paure, destinate a
risolversi tragicamente, nei confronti del figlio appena nato.
In parallelo con la produzione teatrale, Santanelli non ha mai
reciso del tutto il legame con gli ambienti radio-televisivi: è stato
autore del radiodramma Conversazione con il padre, oltre ad aver
firmato – tra le altre – la sceneggiatura di un Dracula in trenta
puntate, trasmesso in Svizzera. Tra gli anni ’80-’90 ha scritto i
seguenti radiodrammi, tutti mandati in onda: Due cuori e una
caverna (15 maggio 1981); Vecchi argomenti (26 ottobre 1983); Il
diavolo nel clavicembalo (26 luglio 1985); Un’altra mattina (18
maggio 1988); Villa Musica (12 luglio 1996); Ritorno a Villa
Musica (6 aprile 1999).
È stato regista per due sole fortuite occasioni, non avendo
mai ceduto a lusinghe di ruoli più appariscenti, nel 1986 dell’
Elogio della paura, andato in scena al Teatro Nuovo di Napoli, e
per necessità nel 1987 di Bellavita Carolina, a seguito
dell’improvvisa scomparsa di Annibale Ruccello che avrebbe
dovuto allestire la pièce.
22
M. SANTANELLI, La polonaise (Facchini), traduzione di E. BOUSQUET, in “Scènes
Parthénopéennes”, numero monografico della rivista “Scena aperta”, n. 3, 2002, [Collection de
l’ É.C.R.I.T.], Università di Tolosa-Le Mirail, pp. 157-218.
- 15 -