9
parte della gravidanza e dopo la nascita del bambino, per le malattie del bambino
nei primi anni di vita.
All’art. 38, si afferma che, “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi
necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale. I lavoratori hanno
diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso
di infortunio, malattia, invalidità o vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i
minorati hanno diritto all’educazione ed all’avviamento professionale”.
La Costituzione ha previsto, a difesa dei lavoratori, il diritto di libera
associazione sindacale (Art. 39). I sindacati, secondo l’articolo 39, hanno il
compito di stipulare contratti collettivi o, più in generale, di tutelare il
lavoratore (la parte più debole) nei confronti del datore di lavoro, sia riguardo
alla retribuzione sia riguardo all’aspetto normativo.
Infine, la Costituzione all’Art. 40, prevede il diritto di sciopero, il quale “si esercita
nell'ambito delle leggi che lo regolano”.
La tutela del lavoro, cui la Costituente aveva dedicato particolare attenzione, è oggi
oggetto di una serie di azioni politiche e legislative che, giorno dopo giorno, la mortificano
e la ridimensionano, rendendo il lavoro stesso, un valore secondario e oggetto di tutele non
efficaci.
La precarizzazione del rapporto di lavoro, l’ assenza di possibilità di autodeterminazione
lavorativa, il ricorso, ormai consuetudinario, ad assunzioni “in nero” ed il preoccupante
aumento del numero delle” morti bianche”, sono tutti sintomi di un funzionamento non
corretto dei meccanismi di tutela del lavoro, ma soprattutto di tutela del lavoratore.
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Il mobbing, se pur in maniera meno evidente, rientra tra le principali disfunzioni di un
sistema, quello italiano, che solo di recente ha, pienamente compreso, la pericolosità di tali
condotte.
Il presente lavoro nasce con lo scopo di analizzare questo fenomeno da un punto di vista
giuridico.
Alla base di questo lavoro vi sono gli elementi e le definizioni fornite dalla psicologia del
lavoro; gli sviluppi giurisprudenziali che nel corso degli anni si sono susseguiti in tema di
mobbing e di vessazioni sul lavoro; il danno cui la vittima può andare incontro ed, infine,
la responsabilità che sorge in seguito alla condotta illecita del mobber.
L’obiettivo è di indicare, in maniera esaustiva, i profili giuridici che nel nostro paese
riguardano questo tipo di azioni vessatorie, e come l’ordinamento giuridico italiano
risponde all’esigenza di tutela del lavoratore nel caso di mobbing.
Come è ampiamente documentato nel primo capitolo, di mobbing è lecito
parlarne solo con riferimento allo svolgimento dell’attività lavorativa.
Nell’ambito lavorativo, la parola mobbing assume il significato di pratica
persecutoria o, più in generale, di violenza psicologica perpetrata dal datore di
lavoro o dai colleghi (mobbers) nei confronti di un lavoratore (mobbizzato), per
costringerlo alle dimissioni o, in ogni modo, ad uscire dall’ambito lavorativo.
I motivi della persecuzione possono essere i più svariati: invidia, razzismo,
diversità religiosa o culturale rispetto al gruppo prevalente, carrierismo sfrenato, o
semplice gusto nel far del male ad un’altra persona.
Le conseguenze di tale persecuzione, possono essere estremamente gravi per la
vittima.
11
Il primo capitolo racchiude, dunque, la nozione di mobbing, le tipologie, gli
attori, le fasi e qualsiasi altro elemento indicato dalla psicologia del lavoro, e che
permette di comprendere quale sia il contenuto specifico del fenomeno.
Si fa, inoltre, riferimento alla distinzione esistente tra il mobbing nel settore
pubblico, ed il mobbing nel settore privato, e alle ragioni che, nell’uno o nell’altro
caso, possono determinare la condotta illecita.
È, infine, indicata la distinzione esistente tra “LIPT” (Leymann Inventory of
Psycological Terror), elaborato all’inizio degli anni Novanta da Leymann ed il
“LIPT Ege”. Essi rappresentano i due principali strumenti cui si fa riferimento nel
rilevare la presenza del mobbing.
Nel capitolo successivo si è ritenuto opportuno soffermarsi sugli aspetti giuridici
del fenomeno.
La disciplina comunitaria del mobbing, è enunciata dalla risoluzione del
Parlamento Europeo significativamente intitolata “Mobbing sul posto di lavoro”.
Essa rappresenta il fondamento giuridico, cui tutti i paesi comunitari si sono
attenuti, nell’adeguare i propri ordinamenti nazionali all’esigenze di tutela del
lavoratore, di fronte alle condotte mobbizzanti. Alcuni tra i principali paesi
europei, hanno adeguato il proprio ordinamento giuridico alle disposizioni della
Risoluzione altri, invece, hanno previsto una disciplina autonoma della
fattispecie. È, a tal proposito, analizzato il caso svedese, considerato un punto di
riferimento nel contrasto al mobbing, poiché capace di fornire una disciplina
autonoma e coerente del fenomeno, già prima dell’intervento del Parlamento
Europeo.
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Si è proseguito soffermandosi sull’evoluzione giurisprudenziale e la posizione
assunta dalla dottrina relativamente al mobbing in Italia.
La giurisprudenza italiana ha affrontato il problema del mobbing in diversi
momenti, ha progressivamente approfondito e specificato il contenuto della
fattispecie, ed è giunta ad indicare gli elementi determinanti per una corretta
definizione del fenomeno.
Nel corso della dissertazione, sono indicate le principali sentenze che dagli anni
’80, hanno in qualche modo affrontato il problema del mobbing.
È opportuno precisare che inizialmente si disconosceva tale fenomeno, ed, infatti,
è stata realizzata la distinzione tra la fase del premobbing, caratterizzata dalla
disciplina di figure analoghe al mobbing; e la concezione del mobbing nella prima
giurisprudenza, nella quale il fenomeno cominciava ad assumere una propria
identità.
Particolarmente interessante è l’analisi della ripartizione della competenza
legislativa tra Stato e Regioni in tema di mobbing, soprattutto con riferimento alla
riforma del Titolo V della Costituzione italiana, attraverso la quale, anche nel
settore in esame, è stato ampliato l’ambito di competenza regionale.
Il capitolo è completato dall’analisi giurisprudenziale del demansionamento e
della dequalificazione professionale, e dall’approfondimento della problematica
del licenziamento e della molestia sessuale, aspetti questi, intimamente collegati
alla fattispecie e principali condotte illecite perpetrate dai mobbers al fine di
determinare un danno alle proprie vittime.
Il danno da mobbing è l’oggetto del terzo capitolo.
13
La condotta mobbizzante è in grado di generare conseguenze molto negative nella
sfera psichica della vittima. Ed, infatti, quando si parla di danno da mobbing, se
ne parla principalmente in termini non patrimoniali, prevedendo comunque la
possibilità di risarcire la vittima per la violazione subita.
Più precisamente i danni in esame sono: biologico, esistenziale e morale, cui si
aggiunge un’ulteriore particolare tipologia di danno ovvero quello alla
professionalità.
Nel corso del capitolo è sottolineato il rilevante contributo del medico legale nella
definizione del danno da mobbing; questi ha il compito di individuare l’esistenza
di una reale patologia in capo alla presunta vittima e non, la sola esistenza, di un
semplice “mal d’ufficio”.
Il mobbing, è una condotta vessatoria, che indirettamente può riguardare anche i
parenti delle vittime: è stato per questo previsto un paragrafo avente per oggetto i
danni da uccisione ed il risarcimento dei congiunti della vittima.
Si è ritenuto opportuno concludere il capitolo, facendo riferimento ad una
questione che ha interessato giurisprudenza e dottrina, e che ha contribuito ad
alimentare il dibattito in tema di mobbing: la tutela assicurativa proposta
dall’INAIL per i danni da mobbing.
Solo di recente, infatti, l’INAIL ha considerato il mobbing come una malattia
professionale.
Nel quarto capitolo, l’attenzione si sposta sul tipo di responsabilità che sorge in
capo all’autore della condotta mobbizzante; sulle forme di tutela che devono
essere garantite dal datore, al proprio dipendente, in un comune rapporto di
14
lavoro; sul principio di buona fede che deve essere rispettato nel rapporto datore –
lavoratore e sulla competenza giurisdizionale nella risoluzione delle controversie,
aventi per oggetto condotte mobbizzanti.
L’art. 2087 c.c., rappresenta il fondamento della responsabilità del datore di
lavoro. Si trova applicazione dell’art.2087 c.c. in molte importanti sentenze in
tema di mobbing. Da queste pronunce, si rileva per altro, come l’applicazione
della norma possa indistintamente adattarsi sia ai casi di bossing, quanto a quelli
di mobbing orizzontale: ad esempio, nel caso Erriquez c. Ergom Materie
Plastiche S.p.A. il mobber non era il datore di lavoro, bensì il capo di turno diretto
superiore della vittima; in Mulas c. Banca Nazionale Agricoltura, i mobbers
erano stati un gruppo di dirigenti ed il personale dell’amministrazione; in Stomeo
c. Ziliani S.p.A. il mobber era il datore di lavoro, il quale allo scopo di condurre il
proprio dipendente alle dimissioni, aveva attuate una serie di condotte tipiche da
bossing.
Di notevole importanza è pure il riferimento all’art. 2049 c.c. in cui è indicata la
responsabilità extracontrattuale del datore di lavoro, quale strumento volto ad
incentivare l’adozione di misure contro le condotte mobbizzanti perpetrate
all’interno dell’azienda
Con riferimento alla recente pronuncia della Corte di Cassazione (quinta sezione
penale, sentenza n.33624) datata 29 agosto 2007, la quale esclude la
configurabilità del mobbing come reato, non essendo prevista la fattispecie nel
codice penale, assume ancora maggiore importanza la responsabilità dell’autore
della condotta mobbizzante. La vittima, infatti, per difendersi dalle vessazioni del
datore o dei colleghi, potrà solo chiedere il risarcimento del danno in un processo
15
civile, o fare una denuncia per maltrattamenti in sede penale. In quest’ultimo
caso, tuttavia, dovrà provare la reiterazione della persecuzione e della
discriminazione, altrimenti non vi sarà condanna. Insomma, nel nostro codice
penale non esiste una precisa figura incriminatrice per punire il cosiddetto
mobbing.
Altro delicato problema che viene affrontato nel corso di quest’ultimo capitolo è
quello riguardante l’onere della prova. Il mobbing non si presenta sottoforma di
condotta isolata, ma è il risultato di una molteplicità di azioni vessatorie, che si
producono per un certo tempo, che si verificano all’interno del luogo di lavoro e
che possono interessare più soggetti.
La vittima dovrà, dunque, ripercorrere tutte le tappe di una vicenda estremamente
complessa ed articolata, indicando i diversi capi di prova.
A questo si devono aggiungere i diversi ostacoli che il mobbizzato deve affrontare
per fornire una valida dimostrazione dei capi di prova: nelle controversie
lavoristiche, non sempre le testimonianze fornite dai colleghi rendono giustizia,
tanto più nel caso di mobbing, in cui gli stessi colleghi rischiano di configurarsi
come mobbers, capaci di proseguire la condotta persecutoria anche all’interno del
processo stesso.
16
CAPITOLO 1
IL MOBBING: DEFINIZIONI E CONSIDERAZIONI
1.1 Il Mobbing: cosa è e cosa non è.
Il termine mobbing, utilizzato soprattutto nel campo dell’etologia, deriva
dall’inglese to mob che significa accerchiare, assediare, circondare, attaccare,
assalire in massa, fare ressa.
Oggi con la parola mobbing si fa riferimento alle diverse forme di
violenza sul luogo di lavoro che vengono esercitate attraverso atteggiamenti
aggressivi e persecutori ripetuti, da parte di superiori o colleghi, nei confronti di
un collega ritenuto scomodo e a loro parere da eliminare. La vittima di queste
persecuzioni si vede, quindi, emarginata, calunniata e criticata. Spesso, le
vengono affidati compiti dequalificanti, viene spostato da un ufficio all’altro
senza alcuna motivazione apparente o viene messo in ridicolo nei confronti di
colleghi, superiori o clienti. In casi più gravi si può anche arrivare al sabotaggio
del lavoro della vittima e ad azioni illegali.
In Italia vi sono delle credenze legate al concetto in questione che sono
considerate errate poiché confondono il mobbing con altra forme di vessazione e
violenza. E’ quindi importante provare ad evidenziare gli elementi che
caratterizzano questo fenomeno e quali sono le affermazioni diffuse da
considerare sbagliate.
1. Il mobbing non è una singola azione ostile: esso è una vera e
propria strategia con la quale si cerca di colpire la vittima in
maniera duratura e sistematica.
17
2. Il mobbing non è una malattia, come spesso viene considerata da
psicologi e psichiatri; non è sinonimo di depressione, ansia, bensì è
la causa di questi disturbi.
3. Non è vero che il mobbing ha come scopo esclusivo quello di
espellere la vittima dal posto di lavoro, poiché la persecuzione può
avere anche il semplice scopo di umiliare punire e mettere in
cattiva luce la vittima. L’uscita dal luogo di lavoro è la
conseguenza più diffusa.
4. Il mobbing non è bullismo. Il bullismo si avvale di vere e proprie
azioni violente e di attacco. Il mobbing si avvale di comportamenti
emarginanti che tendono ad isolare la vittima.
1
In definitiva si può dire che con il concetto di mobbing si può indicare una
forma di prevaricazione che si verifichi nel tempo con una certa continuità,
realizzata nei confronti di uno o più lavoratori da parte di colleghi o superiori.
1.2 Mobbing: definizioni.
In questo secondo paragrafo si proverà ad analizzare il quadro teorico
sull’argomento mobbing, facendo riferimento ad alcuni dei principali studiosi del
fenomeno in questione.
Il primo studioso che si è interessato di questo fenomeno è stato lo
psicologo e psichiatra tedesco Heinz Leymann, che ha iniziato i suoi studi dopo
avere analizzato il fenomeno dal punto di vista dell’etologia, partendo dal
comportamento dei branchi di animali che tendevano ad escludere alcuni loro
1
Harald E., La valutazione peritale del danno, Giuffrè Editore, Milano, 2002. p, 23-24
18
componenti. Leymann definisce il mobbing nel luogo di lavoro come una forma
di “terrorismo psicologico” da parte di una persona o di un gruppo di soggetti che
attua degli atteggiamenti ostili e poco etici nei confronti di un unico individuo,
che si viene dunque a trovare in una situazione indifesa, causandogli malessere e
sofferenza, soprattutto a livello psicologico.
In Francia la psicologa francese Hirigoyen ha definito il mobbing come
“qualunque condotta impropria che si manifesti, in particolare, attraverso
comportamenti, parole, atti, gesti, scritti, capaci di arrecare offesa alla
personalità, alla dignità, o all’integrità fisica o psichica di una persona, di
metterne in pericolo l’impiego o di degradare il clima lavorativo”.
2
Un altro studioso del fenomeno, Tim Field, usò il termine bullying, invece
di mobbing, e lo definì come “ …un attacco continuato e persistente nei confronti
dell’autostima e della fiducia in sé della vittima. La ragione sottostante tale
comportamento è il desiderio di dominare, soggiogare ed eliminare; la
caratteristica dell’aggressore è il totale rifiuto di farsi carico di ogni
responsabilità per le conseguenze delle sue azioni”.
3
Un’altra interessante definizione è di Casilli che sostiene che “ Il mobbing
è un sistema di organizzazione produttiva dell’attività umana, consistente in una
successione di episodi traumatici e correlati l’uno con l’altro e aventi come scopo
l’indebolimento delle resistenze psicologiche e la manipolazione della volontà del
soggetto mobbizzato”
.
Uno tra i massimi conoscitori in Italia della materia è Harald Ege. Come
altri anche Ege ha dato una sua definizione del concetto di mobbing, a seguito di
2
Hirigoyen M., Molestie morali - La violenza perversa nella famiglia e nel lavoro, Einaudi
Editore, Torino, 2000, p. 48.
3
Field G., 1996, traduzione di Ege.
19
un lungo studio del fenomeno in questione. Secondo Ege “il mobbing è una
situazione lavorativa di conflittualità sistematica, persistente ed in costante
progresso in cui una o più persone vengono fatte oggetto di azioni ad alto
contenuto persecutorio da parte di uno o più aggressori in posizione superiore,
inferiore o di parità, con lo scopo di causare alla vittima danni di vario tipo e
gravità. Il mobbizzato si trova nell’impossibilità di reagire adeguatamente a tali
attacchi e a lungo andare accusa disturbi psicosomatici, relazionali e dell’umore
che possono portare anche ad invalidità psicofisiche permanenti di vario genere
e percentualizzazione”.
4
1.3 Azioni tipiche e parametri che identificano la condizione di Mobbing:
somiglianze e differenze tra Leymann ed Ege.
Secondo Leymann per identificare una situazione di mobbing devono
essere presenti degli elementi specifici. Prima di tutto devono essere coinvolte
almeno due persone che entrano in contrasto tra loro: il mobber e il mobbizzato. Il
primo è definito come parte attiva dell’azione persecutoria, mentre il secondo è la
parte passiva, ossia la vittima delle persecuzioni. Un altro elemento che
caratterizza una situazione di mobbing è l’attività vessatoria continua e duratura
contro la vittima. Infine il mobbing ha come scopo quello di isolare la vittima sul
posto di lavoro per allontanarla definitivamente o fare in modo che non eserciti un
ruolo attivo in ambito lavorativo.
Leymann vuole sottolineare la differenza tra normale conflitto tra colleghi
o superiori e il vero e proprio mobbing che si verifica solo in condizioni durature,
4
Ege H., op. cit., 2002, p. 39
20
quanto l’attività vessatoria perdura nell’arco di un periodo ed è costante nel
tempo. Inoltre la durata dell’attività di persecuzione, l’intensità e la loro gravità
possono provocare un crollo psicologico del soggetto.
Un’altra differenza che Leymann attua è quella con il bullismo e il
nonnismo in ambito militare, persecuzioni, caratterizzate da azioni violente; il
mobbing raramente sfocia in atti di aggressività fisica, in quanto si serve più di
meccanismi subdoli che in maniera sottile mirano ad intaccare l’equilibrio psico-
fisico della vittima.
Leymann individua delle azioni tipiche che servono ad individuare la
presenza di Mobbing; infatti, vi sono una serie di azioni ricorrenti che servono ad
identificare il fenomeno tanto da creare una vera e propria classificazione.
Leymann elaborò una lista di 45 azioni ostili, suddivise in cinque categorie:
1. Attacchi ai contatti umani e alla possibilità di comunicare;
2. Isolamento sistematico;
3. Cambiamenti della mansioni lavorative;
4. Attacchi alla reputazione;
5. Violenze e minacce di violenza.
Per quanto riguarda Harald Ege, come Leymann, ha individuato dei
comportamenti riconducibili al Mobbing suddividendoli come segue:
1. Negazione degli atti umani (impedire alla vittima di comunicare
con i colleghi).;
2. Isolamento sistematico (ponendo la vittima lontano dai colleghi);
3. Demansionamento o privazione assoluta di qualsiasi mansione;
4. Attacchi alla reputazione della persona;
21
5. Violenza o molestie sessuali.
Lo studio di Ege ha come scopo principale quello di riuscire a capire
quando una condizione può essere considerata mobbing e quando No. A questo
proposito lo studioso ha delineato sette parametri che caratterizzano una
condizione di mobbing.
Il primo parametro è l’ambiente lavorativo cioè si può parlare di mobbing
solo quando la vicenda conflittuale ha come palcoscenico un contesto lavorativo;
nessun altro contesto può fare da sfondo, ne la scuola, ne tanto meno la famiglia.
Per quanto riguarda quest’ultima è molto spesso coinvolta in quanto aspetto
principale della vita di ogni individuo; una situazione di mobbing potrebbe
ripercuotersi anche all’interno delle mura di casa, si parla in questo caso di
doppio-mobbing. Ciò non vuol dire comunque che questo è il contesto da cui ha
vita il mobbing.
Il secondo criterio è la frequenza, che è uno dei parametri classici del
Mobbing, elaborati da Leymann. Quest’ultimo stabilì che si poteva parlare di
mobbing solo se il soggetto era vittima di attacchi almeno una volta a settimana.
Ege ha ritenuto utile ampliare questo criterio in alcune volte al mese.
Il terzo parametro, in correlazione con il secondo è quello della durata.
Esso sta ad indicare il periodo di tempo entro il quale il conflitto si è protratto.
Ege considera la formula di Leymann che prevede una durata di almeno sei mesi,
ma tiene in considerazione anche il fatto che ogni situazione va analizzata
singolarmente; egli considera, infatti, dei casi particolari che definisce “Quick
Mobbing”, in cui il conflitto sembra esplodere in modo molto veloce e immediato
in tutta la sua forza. In questi casi si parla di mobbing anche dopo i primi tre mesi.
22
6. Il quarto parametro è il tipo do azione;
Secondo Ege le azioni subite dalla vittima devono appartenere ad almeno
due delle cinque categorie elaborate da Leymann.
Con il quinto parametro, il dislivello tra gli antagonisti, Ege vuole
sottolineare come la vittima si trovi costantemente in una situazione di inferiorità
rispetto al mobber.
Sesto parametro è l’andamento secondo fasi successive, secondo il quale il
Mobbing è una condizione che segue un certo percorso, che può essere incluso in
6 fasi.
Secondo Ege, in merito al sesto parametro la vicenda deve aver raggiunto
almeno la seconda fase, prima di potersi definire Mobbing.
Ultimo parametro è l’intento persecutorio; secondo Ege deve esserci da
parte dell’aggressore uno scopo negativo nei confronti della vittima. L’intento
persecutorio è dato da tre fattori: lo scopo politico, l’obiettivo conflittuale e la
carica emotiva. Il primo fattore consiste nel fine ultimo per cui il mobber inizia la
sua azione, l’obiettivo conflittuale sono le singole azioni che vengono messe in
atto per raggiungere lo scopo iniziale ed infine la carica emotiva che serve a
conferire ai primi due parametri la forza necessaria. Ege sostiene che si può
parlare di mobbing se sussistono all’interno della vicenda tutti e tre i fattori.
Anche l’INAIL ha individuato delle azioni che caratterizzano una
condizione di Mobbing in quanto ha riconosciuto l’esistenza di “fattori di
costrittività” nell’ambiente lavorativo.
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mancata assegnazione dei compiti lavorativi con inattività forzata,
mancata
assegnazione degli strumenti di lavoro, ripetuti trasferimenti
ingiustificati;
2. prolungata attribuzione di compiti dequalificanti rispetto al profilo
professionale posseduto;
3. prolungata attribuzione di compiti esorbitanti o eccessivi, anche in
relazione ad
eventuali condizioni di handicap psico-fisici;
4. impedimento sistematico e strutturale all’accesso a notizie;
5. inadeguatezza strutturale e sistematica delle informazioni inerenti
l’ordinaria
attività di lavoro;
6. esclusione reiterata del lavoratore rispetto ad iniziative formative,
di
riqualificazione e aggiornamento professionale;
7. esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo”.
5
1.4 Le fasi del Mobbing.
Il Mobbing si articola in una serie di fasi successive l’una all’altra.
Leymann ha suddiviso questo processo in quattro fasi:
1. Segnali premonitori;
5
INAIL, Circolare n. 71/2003, allegato n. 1.