esclusivamente per il pattugliamento e per la difesa delle coste esposte al rischio di incursioni
barbaresche: la Spagna del Siglo de Oro fu una nazione in perenne conflitto che riuscì a fare della
guerra una «merce d’esportazione», e questo risulta ancor più evidente se si esamina la politica
estera di Filippo II
6
. Negli anni immediatamente successivi alla pace di Cateau Cambresis (1559), si
ebbe il rafforzamento dell’egemonia asburgica in Europa e una ripresa della potenza marittima
spagnola nel Mediterraneo con la vittoria sui Turchi a Malta nel 1565
7
. Negli anni compresi fra il
1565 e il 1573 il Sovrano rispose in maniera decisa tanto alla minaccia turca nel Mediterraneo con
la vittoria di Lepanto, quanto alla ribellione nelle Fiandre con l’energica repressione del duca
d’Alba, abbandonando gradualmente, ma definitivamente, il progetto di conquista dell’Africa del
Nord per concentrarsi sul Nord Europa
8
. Fu soprattutto dopo l’annessione del Portogallo nel 1580
che la politica militare di Filippo si spostò sul versante Atlantico e subì una metamorfosi. Il 1580 è
una data che funge da comodo spartiacque per individuare il passaggio da una politica militare
preminentemente difensiva ad una particolarmente offensiva.
Per gli storici come per i contemporanei l’interpretazione delle scelte di politica estera
effettuata da Filippo II è stata sempre problematica. Non sono chiari, ad esempio, i motivi che lo
spinsero ad intervenire nelle guerre di religione di Francia e Inghilterra. Per studiosi come Davies e
Pierson le incongruenze insite nella politica filippina di fine secolo, si spiegherebbero solo
accreditando il tentativo di perseguire anche fini strettamente personali. Una tesi, questa, in aperto
contrasto con quella del Von Ranke, per il quale Filippo finì per vedere nel progresso del proprio
potere il progresso della religione; o quella del Parker, secondo il quale la religione era il movente
6
Le uniche eccezioni riguardarono la rivolta dei moriscos del 1568-70, limitata alla città di Granada e al massiccio delle
Alpujarras, e la conquista del Portogallo nel 1580, più che altro uno spostamento di truppe da un confine ad un altro. Si
possono inoltre ricordare la campagna di Filippo II nella valle dell’Ebro nel 1585-86 e i disordini della città di
Saragozza provocati dal fuggitivo Antonio Perez attorno al 1590. Cfr. B. BENNASSAR, Il Secolo d'Oro spagnolo,
Milano, Rizzoli, 1985, pp. 61, 68-69.
7
A. MATTONE, Il Regno di Sardegna e il Mediterraneo nell’età di Filippo II. Difesa del territorio e accentramento
statale, in Filippo II e il Mediterraneo, a cura di L. Lotti, R. Villari, Roma-Bari, Laterza, 2003, pp. 155-156.
8
Abbandonato dai suoi maggiori contendenti (anche i Turchi lasciarono il Mediterraneo per concentrarsi nell’entroterra
persiano), il Mare Nostrum entrò in una fase di lenta ma inesorabile decadenza. Il disimpegno delle due superpotenze
non determinò la fine della guerra che, al contrario, si cronicizzò in un insieme di attacchi, operazioni navali e
incursioni contro cui, gli unici interventi efficaci, si rivelarono quelli di prevenzione basati sul sistema di avvistamento
costiero e di pattugliamento dei mari. Cfr. ivi, pp. 155-159.
principale di un intervento armato
9
. Una posizione equidistante da quelle sopraesposte appartiene a
storici del calibro di Kennedy e Koenigsberger, che vedono nel tentativo di preservare lo status quo
una delle cause di fondo di forti tensioni internazionali, ma tendono ad escludere che il monarca
avesse un cosciente piano di dominio come, per esempio, Napoleone o Hitler
10
. Ogni guerra
intrapresa da Filippo era necessaria alla difesa della Spagna e della religione cattolica: così era stato
nel caso dei primi conflitti con la Francia, cominciati in seguito ad ultimatum o a dichiarazioni di
guerra, o quelli mediterranei contro il Turco che minacciava l’esistenza stessa degli Stati cattolici
11
.
La linea inizialmente seguita dal giovane Filippo in politica estera è da attribuirsi certamente ai
consigli paterni, che lo spingevano a considerare la sovranità come esecuzione di un comandamento
divino e l’esercizio del potere non un impegno verso la stirpe, non una questione d’affari, ma un
caso di coscienza del Sovrano
12
. La guerra, dunque, doveva essere una “guerra giusta” e
l’aggressione doveva essere giustificata dal tentativo di difesa, ma è innegabile che nella seconda
parte del suo regno Filippo attuò veri e propri atti di provocazione, non giustificabili col concetto di
guerra giusta, e forse nemmeno con quello di guerra preventiva
13
.
Il concetto di “guerra giusta”, che può applicarsi totalmente soltanto alla guerra santa contro
i Turchi
14
, deriva dai consigli paterni come anche un’altra caratteristica della politica militare di
Filippo: la “guerra su più fronti”, che può ascriversi all’intero arco del suo regno e deve
chiaramente essere considerata un continuum della gestione paterna
15
. Quando Carlo V, nel 1556,
abdicò dividendo la Castiglia dall’impero, Filippo non ebbe un ridimensionamento dei compiti, né
degli obiettivi, perché si trovò ad amministrare un regno ad ogni modo vastissimo e articolato,
9
G. WOODWARD, Filippo II, Bologna, Il Mulino, 2003, p. 115.
10
G. PARKER, La gran estrategia de Felipe II, Madrid, Alianza, 1998, pp. 31, 38-39.
11
Ivi, pp. 38-39.
12
G. DE CARO (a cura di), Istituzioni del principe cristiano. Avvertimenti ed istruzioni di Carlo V al figlio Filippo II,
Bologna, Zanichelli, 1969, p. 19.
13
G. WOODWARD, op. cit., p. 116.
14
La Porta (per un certo verso potenza guerriera speculare alla Spagna, animata anch’essa da una forte tensione
religiosa) fu senz’altro un avversario temibile. In realtà favorì sempre l’unità e la coesione del mondo cristiano,
concretizzatasi poi con la vittoria di Lepanto del 1571. Il protestantesimo, al contrario, come tutti i nemici intestini, si
rese capace di distruggere quell’unità diffondendosi in Europa e cercando di penetrare nella stessa Spagna, per questo fu
spietatamente perseguito. Cfr. R. PUDDU, Il soldato gentiluomo…cit., p. 248.
15
R. PUDDU, Eserciti, guerre, diplomazia, in La Storia. I grandi problemi dal Medioevo all’Età Contemporanea, a cura
di N. Tranfaglia, M. Firpo, vol. III L’Età Moderna, 1 I quadri generali, Torino, Utet, 1987, p. 391.
minacciato tanto da musulmani quanto da protestanti
16
. Durante i primi vent’anni, infatti, la
minaccia turca si accompagnò al caso fiammingo e il Sovrano fu deciso nell’affrontare insieme i
due problemi; ma nonostante il confronto con i Turchi si sia risolto in un sostanziale pareggio, la
lotta all’eresia protestante non ebbe i risultati sperati e, pur avendo a disposizione l’argento
americano e l’esercito più numeroso d’Europa (circa 100.000 uomini), lo scacco fu inevitabile. Se
Filippo avesse seguito i consigli dei suoi ministri e avesse concentrato tutte le sue forze sui vari
obiettivi, in momenti distinti, forse i risultati sarebbero stati diversi
17
.
Per attendere ai vari obiettivi e mantenere, nel contempo, il suo territorio inviolato, la
Spagna dovette sostenere uno sforzo umano e materiale veramente notevole. Sin dalla prima parte
del regno filippino, gran parte dell’impegno finanziario per gli armamenti fu concentrato sulla flotta
navale e ciò dipese sia dalla notevole espansione delle frontiere marittime, sia dai continui attacchi
portati da turchi e barbareschi
18
. La flotta mediterranea era divisa in varie squadre
19
: quella
spagnola contava 34 galere, quella di Napoli e Sicilia 26, mentre a 18 ammontavano
congiuntamente quelle di Savoia, Firenze e Genova. Dopo il disastro di Herradura che nel 1562
costò la perdita di 25 galere di Spagna e Sicilia, gli investimenti aumentarono notevolmente e
cospicui furono anche gli aiuti del Papa, che fece pressioni affinché la Spagna guidasse la Lega
Santa. Nel 1574, dopo Lepanto, la Spagna dispose di ben 146 galere e quando il teatro delle
operazioni navali si spostò nell’Atlantico, dove i pirati inglesi e olandesi si dimostrarono pericolosi
quanto quelli barbareschi, i cantieri cantabrici si misero subito al lavoro per costruire una flotta di
vascelli d’alto bordo. Ben 106 furono disponibili per il 1587, altri 60-70 vennero costruiti dopo il
disastro dell’Armada del 1588 e varati negli anni 1596-98: un risultato che permise la protezione
16
Ibidem.
17
Sull’argomento cfr. B. ANATRA, La Sardegna dall’unificazione aragonese ai Savoia, in La Sardegna medievale e
moderna, a cura di J. Day, B. Anatra, L. Scaraffia, Torino, Utet, 1987, p. 475-476 e R. PUDDU, Eserciti, guerre,
diplomazia…cit., p. 391.
18
B. BENNASSAR, op. cit., pp. 65-67.
19
Sui numeri della flotta rimando ancora a B. BENNASSAR, op. cit., pp. 66-67 e a E. GARCÍA HERNÁN, La Armada
española en la monarquia de Felipe II y la defensa del Mediterraneo, Madrid, Ediciones Tempo, 1995, pp. 19-20.
delle coste dalle scorrerie inglesi e quella dei convogli spagnoli provenienti dalle Indie, ma che
andò a detrimento della flotta mediterranea.
Anche le cifre relative all’esercito del Re Cristianissimo sono impressionanti
20
. Quando il duca
d’Alba partì per le Fiandre nel 1567 portò con sé solo i quattro tercios d’Italia, in tutto 7.804 uomini
(3.194 del tercio di Napoli, 1.765 di quello di Sardegna, 1.641 di Sicilia e 1.204 di Lombardia), ma
al momento della sua sostituzione col Requeséns nel 1573, l’esercito dei Paesi Bassi era cresciuto
fino a toccare 57.000 uomini, divisi in 269 compagnie. Nei primi anni Ottanta in Portogallo erano di
stanza 35.000 uomini e circa 85.000 nei Paesi Bassi. Elevato era anche il numero degli uomini che
avrebbero dovuto prender parte all’Armada: 19.000 soldati e 11.000 marinai trovarono posto su 130
imbarcazioni, mentre sulle coste fiamminghe attendeva di essere imbarcato il duca di Parma con
circa 60.000 uomini. Tra il 1590 e il 1600, si rese necessario l’arruolamento permanente di altri
17.500 uomini, per lo più fanti, per far fronte alle nuove tensioni col Nord Africa e la Francia; tra la
fine del secolo e il 1640, si calcola, invece, che l’amministrazione spagnola sia riuscita a reclutare
una media di 9.000 soldati di diversa nazionalità all’anno.
La necessità di creare eserciti permanenti fece lievitare il costo della guerra nel corso di tutto il
Cinquecento, un secolo nel quale, più di ogni altro, essa dominò la vita degli uomini. In particolare
si impose la necessità di pagare meglio i soldati e di creare una struttura militare solida e
rigidamente gerarchizzata, con tecnici che studiassero tattiche nuove e introducessero innovazioni;
ma in realtà queste non furono eclatanti e si scontrarono con una diffusa corruzione e l’inefficienza
che permasero a tutti i livelli
21
. Inoltre, intorno alla metà del Cinquecento, la spinta verso la
creazione di eserciti di massa incontrò vari ostacoli che ne ridussero l’estensione, come le ondate di
rivolta nelle città e nelle campagne di mezza Europa, il ridimensionamento dei picchieri a favore di
archibugieri e moschettieri e, soprattutto, il mutamento di strategie e tattiche che si verificò
20
Sui numeri dell’esercito cfr. sempre B. BENNASSAR, op. cit., pp. 61-67; A. FARA, La città da guerra nell’Europa
moderna, Torino, Einaudi, 1973, p. 68; J. R. HALE, Guerra e società nell’Europa del Rinascimento (1450-1620), Roma-
Bari, Laterza, 1987, p. 60.
21
J. R. HALE, Eserciti, flotte e arte della guerra, in Storia del mondo moderno, a cura di G. R. Potter, vol. III, La
controriforma e la rivoluzione dei prezzi, 1559-1610, a cura di R. B. Wernham, Milano, Garzanti, 1997, p. 210.
principalmente durante il conflitto coi Paesi Bassi, nel corso del quale si ebbe il passaggio da una
guerra di movimento culminante in grandi battaglie a una guerra di posizione e di logoramento
incentrata su interminabili assedi
22
.
La Spagna aveva segnato un certo ritardo nel percorso verso la formazione di un grande esercito
permanente e fra i suoi uomini, molti erano inaffidabili, inadatti o per nulla addestrati
23
. Inoltre,
sebbene il controllo regio sulla produzione di armi fosse stato proclamato fin dal 1488 e la Corona
amministrasse un certo numero di arsenali, la capacità produttiva iberica era quantitativamente
esigua e scarsamente professionale. I cannoni, per esempio, non venivano ancora costruiti da
professionisti, ma da artigiani che alternavano la produzione di artiglieria alla costruzione di
campane. L’insufficiente controllo amministrativo portò, per di più, ad un sorta di libero mercato
che costrinse la Corona a comprare armi e munizioni straniere con un inevitabile incremento dei
costi di armamento
24
. Negli anni Settanta si cercò di porre rimedio alla drammatica carenza di aste
di picche, armi da fuoco, cannoni e salnitro, dapprima ordinandoli dall’Inghilterra poi, in seguito al
divieto di esportazione verso i Paesi cattolici emanato dalla Regina Elisabetta, trasferendo le nuove
tecnologie in Biscaglia e favorendo l’immigrazione di manodopera specializzata da Londra e
Liegi
25
. Questo piano fallì a causa della comprensibile riluttanza mostrata dai fonditori protestanti a
trasferirsi in un paese in cui vigeva un Tribunale dell’Inquisizione
26
. Negli anni Ottanta l’intera
produzione fu affidata a funzionari regi, i quali, prima di effettuare vendite ai privati, avrebbero
dovuto soddisfare la domanda governativa; in questo caso l’esperimento non ebbe successo perché
la Spagna non fu mai in grado di saldare i propri debiti nei tempi dovuti, continuando così a pagare
le armi alle tariffe più antieconomiche del mercato
27
.
22
P. DEL NEGRO, Guerra ed eserciti da Machiavelli a Napoleone, Roma-Bari, Laterza, 2001, p. 13.
23
Sulla qualità dell’esercito spagnolo cfr. J. R. HALE, Guerra e società…cit., pp. 62-64, 252.
24
C. M. CIPOLLA, Velieri e cannoni d’Europa sui mari del mondo, Torino, Utet, 1969, p. 20.
25
Ivi, pp. 33-34.
26
Ibidem.
27
Ibidem, cfr. anche J. R. HALE, Guerra e società…cit., p. 252.
Degli uomini che componevano il più grande esercito d’Europa, è stato calcolato che solo
una minima percentuale era di nazionalità castigliana
28
. In effetti non combatterono mai fuori della
Spagna più di 20.000 uomini per volta, e la metà era di stanza nei Paesi Bassi, ovvero 10.000 unità
su una forza complessiva di circa 80.000 uomini sul finire del secolo (all’epoca del Requeséns gli
spagnoli erano 7.900, il 13% del totale, contro 25.800 tedeschi e 20.000 valloni). Altri 6.000
militavano invece in Italia nei tercios di Napoli, Milano e Sicilia, ma potevano raggiungere la quota
di 12.000 nel caso si preparassero campagne importanti. Nel complesso gli spagnoli, compresi
quelli di stanza in Castiglia, costituivano poco più di un decimo della forza: 30-35.000 soldati negli
anni Cinquanta; circa il doppio, negli anni Settanta, fra truppe di terra e di mare, mentre il restante
90% si divideva tra italiani, tedeschi, valloni, borgognoni e perfino inglesi reclutati dagli appaltatori
privati della guerra. Secondo Hale la costante emigrazione di italiani, tedeschi e svizzeri verso i
teatri delle operazioni belliche, può spiegarsi col fatto che nell’età moderna l’Europa si divideva tra
nazioni in guerra, che non avevano reclute sufficienti a formare eserciti adeguati (era questo il caso
della Francia e dei Paesi Bassi), e nazioni in pace, dove erano in gran numero gli uomini smaniosi
di combattere per la gloria e l’onore
29
.
Almeno a partire dai tempi dell’assedio di Malta e della battaglia di Lepanto, questi eserciti
iniziarono ad essere composti in gran parte da soldati di mestiere a lunga ferma e bene addestrati,
non più quindi dall’insieme, tipicamente medievale, di truppe regolari, contingenti feudali e
volontari della piccola nobiltà in cerca di riscatto e avanzamento sociale
30
. Col passare del tempo, la
presenza di una folta schiera di nobili negli eserciti iniziò a riflettere arretratezza tecnica piuttosto
che prestigio e l’importanza militare della nobiltà, soprattutto nella vecchia Castiglia, continuò a
consistere nella possibilità di mantenere milizie private che all’occorrenza potessero servire al
Sovrano. È il caso della conquista del Portogallo nel 1580, in previsione della quale quasi metà
28
Sulla forza castigliana all’interno dell’esercito spagnolo cfr. B. BENNASSAR, op. cit., pp. 61-67; R. PUDDU, Eserciti,
guerre, diplomazia…cit., pp. 389-391; I. A. A. THOMPSON, Guerra y decadencia: gobierno y administración en la
España de los Austrias, 1560-1620, Barcelona, Editorial Crítica, 1981, p. 129.
29
J. R. HALE, Eserciti, flotte e arte della guerra…cit., p. 223.
30
R. PUDDU, I nemici del re. Il racconto della guerra nella Spagna di Filippo II, Roma, Carocci, 2000, pp. 58, 86-87.
delle truppe fu reclutata da aristocratici
31
. Un esercito forte, efficiente e prestigioso non poteva più
prescindere dall’addestramento, dalla disciplina e dall’esperienza dei suoi reparti. Nonostante
questo indiscutibile passo in avanti, restava sempre difficile il compito di rendere coesi e
disciplinati gruppi così eterogenei. L’esperimento venne effettuato dai migliori condottieri
dell’epoca, coadiuvati in questo lavoro dai capitani, che tramite una speciale patente regia
reclutavano i soldati su base territoriale e per compagnia, ognuna delle quali era potenzialmente
autonoma e armata e addestrata sul modello del tercio
32
. Il tercio (di cui la Spagna fu pioniera)
rappresentò il massimo prodotto dell’evoluzione militare cinquecentesca grazie ad una più razionale
organizzazione delle unità, sia dal punto di vista amministrativo che militare, con un distaccamento
di artiglieria leggera e tremila fanti ripartiti in una decina di compagnie
33
. In origine metà erano
picchieri e metà archibugieri, ma nella seconda metà del secolo questi ultimi sarebbero ben presto
diventati i due terzi degli effettivi in risposta alle nuove tattiche di logoramento e d’assedio che
preferivano il blocco all’assalto. L’esercito spagnolo fu il più temibile esercito europeo del
Cinquecento, ma nella campagna delle Fiandre non riuscì a sconfiggere definitivamente il nemico a
causa di numerosi elementi. Alcuni di questi erano certamente legati a fattori ambientali; altri
sicuramente intestini, come l’inefficienza dei reparti e dello stesso governo, pesantemente
indebitato e incapace di corrispondere con regolarità il soldo ai suoi uomini. Fu proprio il mancato
pagamento del soldo a provocare il terribile sacco di Anversa nel 1575
34
.
Insieme alle tecniche di combattimento, alla tattica, alle armi, mutò anche l’architettura
militare, ed enormi stanziamenti di denaro occorsero per nuove fortificazioni lungo le coste e nelle
città. Per quanto riguarda le prime, nella seconda metà del secolo si rese necessario dotare di nuove
sentinelle la costa atlantica, soggetta alle incursioni dei pirati del nord Europa
35
. Un primo progetto
31
Ivi, pp. 86-87; H. KAMEN, L’Europa dal 1500 al 1700, Roma-Bari, Laterza, 1996, pp. 98-99.
32
I soldati delle varie compagnie trascorrevano la loro lunga ferma lontano dal territorio metropolitano. Un’opinione
comune voleva infatti che la fedeltà, la combattività e l’unione dei soldati aumentasse con la distanza dai loro paesi
d’origine. Cfr. R. PUDDU, Eserciti, guerre, diplomazia…cit., pp. 389-391.
33
Sulla composizione del tercio cfr. ibidem, ma anche A. FARA, op. cit., p. 68 e J. R. HALE, Eserciti, flotte e arte della
guerra…cit., pp. 227-228.
34
J. R. HALE, Guerra e società…cit., pp. 60-62; R. PUDDU, Eserciti, guerre, diplomazia…cit., p. 392.
35
B. BENNASSAR, op. cit., p. 67.
venne proposto dall’Antonelli: 23 torri da Gibilterra alla foce della Guadiana e 78 posti di guardia.
Ma non venne mai realizzato interamente e fu dunque integrato nel 1591 col progetto del duca di
Medina Sidonia, che creò un distaccamento di guardacoste a cavallo (ben 1.600 uomini nel 1609)
36
.
Per quel che riguarda i centri urbani, le fortificazioni medievali con la difesa piombante, si
mostravano sempre più inadeguate a causa della potenza della moderna artiglieria. In seguito
all’affinamento delle tecniche d’assedio, dovettero essere rinforzate con bastioni ad angolo e
terrapieni, a base di salienti e rientranti, abbassate per la necessità di proteggerle dal tiro diretto e
infine circondate da una spianata, costituita da una fascia di terreno incolto e sgombro da qualsiasi
oggetto che potesse limitare la vista e il tiro dei difensori. Sono tutti elementi tipici della trace
italienne, la modalità costruttiva che dalla penisola italiana si diffuse in tutta Europa nella seconda
metà del secolo
37
. Dal punto di vista architettonico la bastionatura e la spianata comportarono
spesso la demolizione di un gran numero di case e quartieri addossati al vecchio circuito, mentre dal
punto di vista della tattica militare, furono alla base di assedi molto più lunghi, faticosi e snervanti,
tali da mettere a dura prova la professionalità e la fedeltà dei soldati accampati intorno alle mura,
spesso protagonisti di diserzioni e ammutinamenti
38
.
I principali architetti militari furono italiani (dato che per gran parte del secolo fu proprio l’Italia il
principale teatro delle guerre europee) e furono loro, sovvenzionati dalle potenti città Stato e dalle
Signorie, a rinnovare per primi le fortificazioni adattandole al fuoco d’infilata
39
. Secondo il concetto
di “difesa in profondità”, nessun elemento delle mura doveva essere sottoposto all’attacco
dell’artiglieria pesante: furono pertanto sistemati sulla strada dell’attaccante una serie di ostacoli
successivi come i bastioni angolari; furono abbassate e ispessite le mura, e addossato loro uno
spalto per ovviare alla riduzione del campo visivo e della capacità di comando che l’abbassamento
36
Ibidem.
37
G. PARKER, Guerra e rivoluzione militare (1450-1789), in Storia d’Europa, vol. IV, L’età moderna, a cura di M.
Aymard, Torino, Einaudi, 1995, pp. 440-441.
38
Sull’argomento cfr. A. FARA, op. cit., pp. 68-69; J. R. HALE, Eserciti, flotte e arte della guerra…cit., p. 244; P. PIERI,
Il Rinascimento e la crisi militare italiana, Torino, Einaudi, 1952-1970, p. 253.
39
I. HOGG, Storia delle fortificazioni, Novara, Istituto geografico De Agostini, 1982, p. 110.
delle stesse comportava
40
. Molte innovazioni furono sperimentate nei Paesi Bassi, l’altro grande
teatro di guerra nella seconda metà del Cinquecento. Anversa, con la sua cittadella pentagonale
progettata da Paciotto d’Urbino, fu una pietra miliare nella storia delle fortificazioni e resistette ad
un assedio in piena regola ancora nel 1832. Qui, però, grazie all’apporto dell’architetto Daniel
Speckle, le fortificazioni assunsero una loro forma peculiare, adattandosi e sfruttando l’elemento
difensivo principale dei ribelli olandesi, e cioè l’acqua, con la creazione di fossati allagati, e con la
prescrizione di costruire «basso e ampio», cosa che consentiva la massima resistenza al fuoco
d’infilata e, in una regione così piatta, la massima visibilità
41
.
La difficile guerra nei Paesi Bassi, il mantenimento della flotta e dell’esercito, le spese per le
fortificazioni e le armi, l’intromissione nelle guerre di religione di Francia e Inghilterra e dovunque
la fede cattolica fosse in pericolo, finirono per svuotare le casse di un tesoro che sembrava
inesauribile. La scoperta dei giacimenti peruviani del Potosì nel 1545, l’introduzione di una nuova
tecnica di raffinazione dell’argento basata sull’utilizzo di un amalgama di mercurio e l’acquisizione
del Brasile nel 1580, resero regolare l’afflusso del metallo americano a Siviglia, tanto che verso la
fine del secolo arrivò a costituire circa un quarto delle entrate globali della Corona spagnola
42
. Ma
l’indebitamento era tale che gran parte del gettito finiva direttamente nelle mani degli asentistas per
il pagamento degli interessi sui crediti fatti al Sovrano
43
. Alla Corona non rimase che continuare a
considerare come principali fonti d’entrata l’Italia e la Castiglia, luoghi in cui si verificarono i
maggiori disordini economici e sociali
44
. In Castiglia le Cortes si videro costrette ad imporre una
nuova tassa detta dei millones perché conteggiata in milioni di ducati, che fu la causa principale
dell’aumento dei prezzi in tutto il Paese. I millones, in teoria più egualitari dei servicios in quanto si
applicavano all’atto della compravendita, andarono a colpire soprattutto il popolo minuto che
acquistava le vettovaglie al mercato e non i proprietari terrieri che potevano rifornirsi dei prodotti
40
Ivi, p. 111.
41
Ivi, pp. 116-17.
42
E. HINRICHS, Alle origini dell’età moderna, Roma-Bari, Laterza, 1984, p. 122; J. H. ELLIOTT, Il vecchio e il nuovo
mondo, Milano, Il Saggiatore, 1985, p. 101.
43
R. PUDDU, Eserciti, guerre, diplomazia…cit., pp. 390-391.
44
A Napoli, nel 1585, scoppiò una rivolta per l’aumento del prezzo del pane. Cfr. H. KAMEN, L’Europa...cit., p. 289.
delle loro terre
45
. Quando la richiesta di nuovi prestiti presso altri banchieri e mercanti, l’aumento
delle tasse, l’imposizione di ulteriori tributi, l’abolizione di antichi privilegi di esenzione, la vendita
di uffici pubblici e titoli nobiliari e la sospensione del pagamento della paga ai soldati, alle ciurme
delle galere e perfino agli ambasciatori non fu più sufficiente a colmare il deficit, la bancarotta fu
inevitabile. Venne dichiarata nel 1596 e rese la Spagna sempre più indebitata e tributaria nei
confronti degli Stati esteri, mentre tutte le migliori fonti di ricchezza del Paese (juros concessi in
garanzia per i prestiti, monopoli, privilegi commerciali ecc.) passarono nelle mani di abili mercanti
e speculatori, soprattutto genovesi, fra i quali si distinsero Lomellini, Spinola, Grimaldi e Gentile
46
.
La bancarotta significò la fine dei sogni imperialistici di Filippo II: dopo lo scacco dell’Invencible
Armada si era capito che la Spagna non era in grado di prevalere contro le forze protestanti
47
.
Anche le conseguenze psicologiche del disastro furono sconvolgenti per la Castiglia, anzi «se mai si
volesse indicare un anno che segni la divisione tra la Spagna trionfante dei primi due Asburgo e la
Spagna scorata e delusa dei loro successori, quell’anno è sicuramente il 1588»
48
.
Le cause del tracollo sono evidenti: troppi obiettivi, troppi territori sparpagliati da difendere, guerre
su più fronti senza periodi di tregue e ricostruzioni. Ma la causa prima, quella che per gli osservatori
dell’epoca costituì la rovina della Spagna, fu la disastrosa guerra dei Paesi Bassi, il territorio più
difficile da difendere e forse l’unico di cui la monarchia avrebbe potuto fare a meno
49
. Per Filippo,
campione della fede, rinunciare alla crociata contro l’eresia era impossibile, di qualunque natura
essa fosse e in qualunque luogo si presentasse, Europa, oltre Manica o nella stessa Spagna animata
45
Sui millones cfr. J. H. ELLIOTT, La Spagna imperiale 1469-1716, Bologna, Il Mulino, 1982, pp. 327-329
46
M. L. PLAISANT, Aspetti e problemi di politica spagnola (1556-1619), Padova, Cedam, 1973, p. 38.
47
Non solo contro l’Inghilterra, ma anche contro la Francia e i Paesi Bassi. Nel 1593 Enrico di Navarra si convertì al
cattolicesimo cancellando la possibilità, molto ambita, che sul trono francese potesse salire un candidato spagnolo e il 2
maggio del 1598 venne infine firmata la pace a Vervins. Le province protestanti dei Paesi Bassi, dopo la morte del
Farnese, riconquistarono terreno e per questo Filippo decise di affidare il paese all’arciduca Alberto di Savoia e a sua
figlia, l’infanta Isabella Clara Eugenia, in modo da allentare temporaneamente i vincoli e proporre una tregua senza che
lo smacco per la Corona fosse troppo cocente. La prima tregua fu firmata nel 1609 e durò dodici anni. Cfr. J. H.
ELLIOTT, La Spagna imperiale…cit., pp. 331-333.
48
Ivi, p. 331.
49
P. KENNEDY, Ascesa e declino delle grandi potenze, Milano, Garzanti, 1989, p. 96.
da conversos e moriscos
50
. La sua missione, investita di carattere divino, era quella di vedere riuniti
tutti i suoi domini sotto il segno della Chiesa cattolica e per questo ebbe tanta parte nella
convocazione della terza sessione del Concilio di Trento, quanto nella riforma della disciplina
ecclesiastica in Spagna e soprattutto nell’evangelizzazione del Nuovo Mondo, in cui si sentì
strumento prescelto di Dio
51
. Nonostante le centinaia di pirati inglesi che infestavano i mari
caraibici e attaccavano i convogli spagnoli, l’evangelizzazione dei nativi americani e filippini fu il
più grande e compiuto successo del Rey prudente
52
.
Filippo morì il 13 settembre del 1598 dopo una lunga e terribile agonia, senza poter assistere alla
firma della pace con l’Inghilterra (siglata solo nel 1604) e lasciando al figlio, il futuro Filippo III,
un’eredità immensa ma ormai esausta e destinata ad un lento e inesorabile declino
53
.
50
Per la persecuzione di questi nuclei di sospetti Filippo diede pieno appoggio al Tribunale della Suprema e partecipò
personalmente a ben cinque autos da fe. Cfr. G. PARKER, Un solo re, un solo impero. Filippo II di Spagna, Bologna, Il
Mulino, 1998, pp. 122-23.
51
Al 1590 i missionari spagnoli in America erano più di mille, quasi cento nelle Filippine, e il loro compito non era solo
religioso ma anche civilizzatore. Ivi, pp. 136-139.
52
Ibidem.
53
J. H. ELLIOTT, La Spagna imperiale…cit., p. 332.