In primo luogo è possibile osservare come anche in campo
culturale l’ambito competitivo si stia man mano intensificando, specie
per il fatto che, potenzialmente, qualsiasi offerta per il tempo libero
compete reciprocamente. Uno spettacolo dal vivo, un film, un libro,
un viaggio sono potenzialmente concorrenti fra di loro. Spetta
all’organizzazione rendere la propria proposta maggiormente attrattiva
rispetto alle altre. Il mercato del tempo libero è sempre più vasto e
competitivo. Con questa realtà le organizzazioni di spettacolo dal vivo
si devono confrontare, prendendo coscienza del fatto che non si può
più contare solamente di un pubblico, talvolta ristretto e di età
avanzata, di appassionati. Per la sopravvivenza è necessario saper
attirare nuovo pubblico, innovarsi, crescere. Tanto più in un contesto
di finanziamenti pubblici sempre più ristretti, e che vede necessario
l’incontro delle organizzazioni di spettacolo dal vivo con le imprese
private. Dalla sponsorizzazione dello spettacolo esse richiedono
visibilità, riconoscibilità, reputazione.
Ecco che il concetto di brand identity acquisisce un’importanza
strategica anche per le organizzazioni culturali. Ed esse devono
investire risorse ed energie per costruire e comunicare un’identità
quanto più efficace possibile. In questo senso il marketing della
cultura ha già sondato il campo ed elaborato utili strumenti per
l’analisi e l’elaborazione di una brand identity, che risulta, in ultima
istanza, caratterizzata da cinque aspetti fondamentali: brand loyalty,
name awareness, quality perceived, brand associations, proprietary
assets. Risultati importanti su tutti e cinque questi fronti costituiranno
un’identità forte, competitiva, capace di affermarsi fra il pubblico e fra
tutti gli stakeholders, a vantaggio dell’organizzazione stessa.
In secondo luogo si va consolidando la convinzione che, come
affermano le teorie economiche relazionali, dei networks, anche in
ambito culturale risulti vantaggioso un simile approccio: un tipo di
organizzazione reticolare, capace di lavorare in maniera concertata
con diversi attori, diventa maggiormente competitiva e acquisisce
maggiori vantaggi. Essendo il prodotto culturale un prodotto
complesso, che richiede da parte del consumatore un particolare
5
coinvolgimento, sia in termini emotivi, psicologici, ma anche in
termini di tempo e di costo, specie nel caso dello spettacolo dal vivo,
l’organizzazione in network rende possibile l’attenuazione di tali
costi: in termini di marketing, l’organizzazione a rete è capace di
dispiegare importanti vantaggi a livello di sviluppo delle strategie di
comunicazione, delle strategie di distribuzione e anche delle strategie
di prezzo, divenendo maggiormente attrattiva per il consumatore
finale.
Se dunque un tipo di approccio network è auspicabile nel campo
dell’offerta culturale, d’altra parte questo tipo di approccio implicherà
una necessaria revisione del concetto di brand identity così come
concepito nelle teorie di marketing tradizionali. Nelle sue molteplici
relazioni con differenti attori, l’organizzazione culturale verrà
percepita non più come un soggetto unico e riconoscibile, ma come un
insieme di differenti forze, andando ad offuscarne la percezione in
termini di identità. Il fatto stesso di accogliere sponsor privati, che
chiederanno particolare visibilità da parte dell’organizzazione,
presuppone che l’identità e la reputazione di ciascuna delle imprese
finanziatrici influenzerà la percezione dell’identità
dell’organizzazione stessa. Ciò accadrà a maggior ragione in un
contesto di offerta culturale concertata fra più attori, più fornitori, più
territori.
Si vede necessaria l’analisi di queste nuove implicazioni che
comportano l’organizzazione a rete per il concetto di identità. Si vede
necessario lo studio del concetto di “network identity”.
A questo scopo si ritiene utile attingere alla nozione di
“distretto”. Il nostro contesto economico italiano ha particolare
familiarità con tale nozione, essendo caratterizzato da un sistema
produttivo per gran parte derivante dai distretti industriali sparsi sul
territorio. Osservando i distretti industriali possiamo notare che questo
sistema produttivo concertato fra piccole e medie imprese che
lavorano in stretta relazione l’una con l’altra, è stato capace col tempo
di affermarsi per la sua qualità e distintività nei mercati internazionali,
essendo contraddistinto da una sua specifica identità distrettuale. Il
6
mondo della cultura sta guardando con particolare interesse ai distretti,
e, sulla scia di esperienze straniere, si sta cercando anche in Italia di
creare dei distretti culturali.
Tuttavia queste esperienze fanno ancora fatica ad affermarsi come
leve di vero sviluppo economico, e l’impressione diffusa è quella che i
distretti culturali in Italia debbano ancora acquisire un proprio credito
e legittimità tanto fra le istituzioni pubbliche quanto fra le imprese,
tanto fra i soggetti territoriali quanto fra il pubblico. Non si è ancora
sviluppata per questi sistemi una strategia utile per la costruzione,
l’affermazione e la comunicazione di una network identity. A questo
proposito si ritiene opportuna un’ulteriore e attenta osservazione del
passato e dell’evoluzione più attuale dei nostri distretti industriali.
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Obiettivi, struttura e metodologia
Il presente lavoro di indagine sul caso MITO Settembre
Musica è mosso in primo luogo da una serie di osservazioni dirette
che ho avuto modo di fare nel corso della mia esperienza di stage
presso l’ufficio promozione dell’Associazione per il Festival
Internazionale della Musica di Milano. Nel corso dei mesi, e in
maniera più frequente a ridosso del Festival, accadeva di ricevere mail
di disappunto circa il gemellaggio Milano-Torino, e l’organizzazione
milanese veniva accusata, talvolta con toni aspri, di aver “derubato”
Torino del proprio festival.
Si è trattato di dover prendere atto che una fetta considerevole di
pubblico, specie della parte torinese, non avesse accettato ciò che di
fatto era l’anima stessa del festival MITO: un festival di musica
volontariamente nato dal gemellaggio culturale di due città,
all’insegna della collaborazione e della creazione di nuove sinergie
per lo sviluppo di entrambi i territori.
Il medesimo clima era in realtà stato ravvisato già al momento della
presentazione del progetto del festival nel Giugno 2007. L’intervento
del direttore artistico Enzo Restagno in quella occasione diventa a
questo proposito significativo:
«Vorrei semplicemente rispondere a tutti coloro che, in nome di
un'affettuosa apprensione, hanno espresso timori e perplessità sul
futuro della nostra rassegna musicale portata su un territorio più
vasto. A dirla in tutta franchezza, questa apprensione nasce dal
timore che il nostro Festival, condiviso dapprima, finisca poi con
l'essere fagocitato dalla metropoli lombarda e, a sostegno di
questo timore, si citano i non radi trasferimenti di iniziative nate
nella nostra città e fiorite poi nella capitale lombarda»
1
.
Sappiamo che la città di Torino presentava già, ai tempi della
prima edizione di MITO Settembre Musica del 2007, una rilevante
tradizione di festival musicale cittadino: Settembre Musica nasce
infatti a Torino nel 1978 dietro l’idea della storica personalità di
Giorgio Balmas, e si avvale di una tradizione trentennale, che è
1
Cfr. Restagno E., Da Settembre Musica a MITO, Sistema Musica, Giugno-Luglio 2007.
8
diventata con gli anni espressione stessa dell’identità musicale e
culturale della città. Il timore espresso da una fetta di pubblico, ma
anche da esponenti istituzionali e operatori, alla presentazione della
nuova formula Milano-Torino per il festival è stato quello che
Settembre Musica andasse perdendo la propria identità.
D’altra parte tale preoccupazione è stata confermata nell’ambito di
una ricerca sul campo svolta in occasione del festival 2007, ricerca
che ha rilevato che:
«Per una parte tutt’altro che marginale, MITO è stato vissuto
come una sorta di “scippo” che nel medio termine potrebbe
portare a un depauperamento dell’identità del festival»
2
.
Medesime manifestazioni di disappunto sono state espresse, come
anticipato, anche nel corso della seconda edizione da poco terminata.
Alla luce di tale dato ci si chiede allora quale scenario si va
configurando per il festival nella percezione del pubblico e dei suoi
interlocutori principali (operatori, artisti, istituzioni…). Appare
opportuno chiedersi se tale percezione negativa possa andare a
ripercuotersi a lungo andare sul successo stesso del festival, che di
fatto, come qualsiasi forma di spettacolo, trova la sua giustificazione
nell’incontro col pubblico. Ci si interrogherà nel corso del presente
lavoro quali possano essere gli strumenti utili a riposizionare
l’immagine negativa percepita, e far acquisire al brand MITO
Settembre Musica un’identità positiva per tutti i suoi interlocutori, e in
particolare per il suo pubblico più vasto, tanto torinese, quanto
milanese, quanto, infine, internazionale.
Il presente studio si articola in quattro capitoli. Dopo un breve
capitolo volto ad illustrare il festival, la sua origine, gli assetti
istituzionali e quelli organizzativi, il secondo capitolo del presente
lavoro parte da un’indagine del concetto di marketing della brand
identity, analizzandolo e scomponendolo nelle sue parti essenziali.
Individuate le componenti della brand identity quali quelle indicate
nel campo della letteratura e della pratica del marketing della cultura,
si proporrà un’analisi dello specifico brand MITO Settembre Musica,
2
Cfr. MITO Settembre Musica: indagine sul pubblico di MITO, Fondazione Fitzcarraldo, 2007, p. 7.
9
attraverso un’analisi comparata delle singole componenti in
riferimento a Milano e a Torino. Tale analisi ha l’obiettivo di
comprendere quali possano essere i punti di forza e i punti di
debolezza del marchio quali percepiti dal pubblico. Un puntuale
monitoraggio di tale percezioni si ritiene infatti fondamentale,
partendo dal presupposto che una debole brand identity comporta una
scarsa riconoscibilità da parte del pubblico, primo e principale
interlocutore di un festival, ma anche da parte di istituzioni pubbliche,
di possibili sponsor, degli artisti. Le conseguenze negative possono
ripercuotersi sull’organizzazione fino e precludere il successo del
festival. Il monitoraggio diventa funzione tanto più essenziale nel caso
di un brand che, per origine e per caratteristiche, presenta delle
specificità, soprattutto per il fatto di inglobare due città, due tradizioni
culturali, due territori, due pubblici per certi tratti piuttosto differenti.
Il rischio è quello di far risultare la comunicazione di un’unica identità
un esercizio di forzatura, una mera operazione di marketing, ma
scarsamente condivisa tanto all’interno quanto all’esterno
dell’organizzazione.
Si ritiene opportuno allora volgere lo sguardo verso esperienze
a questa assimilabili, perlomeno in termini di creazione di un marchio
che riunisca al suo interno differenti realtà, e sappia da esso trarre
benefici e comunicare un’identità forte e omogenea. Risulta utile
quindi guardare allo scenario culturale internazionale svolgendo
un’analisi di benchmark volta ad estrapolare alcune linee-guida valide
per l’applicazione al nostro caso specifico. A questo proposito il
secondo capitolo presenta il caso della Royal Shakespeare Company
quale caso adeguato, caratterizzandosi per un percorso di nascita e
crescita piuttosto lungo e travagliato, contrassegnato dalla
stabilizzazione di un gemellaggio fra due città, Stratford e Londra, per
un tipo di organizzazione a rete che riunisce sotto di sé differenti
esperienze, città, teatri, per una fama ormai di livello internazionale,
per un’identità che ha fatto della sua capacità di creare collaborazioni
stabili con soggetti esterni il suo punto di forza. Dopo un’osservazione
di questa interessante realtà artistica, si passerà alla trattazione del
10
tema a livello teorico e generale, al fine di poter de-contestualizzare
l’esperienza della Royal Shakespeare Company e tracciare delle best
practices trasferibili e applicabili a differenti modelli. Si propone
dunque una trattazione del tema del network, delle sue caratteristiche
e peculiarità, e della network identity, servendoci nello specifico delle
osservazioni e delle teorie elaborate dal Network Approach.
Il terzo capitolo è volto a dimostrare l’applicabilità di tali
osservazioni teoriche che partono dal mercato delle imprese di
produzione anche in ambito culturale. Le singole leve di marketing
della cultura, come dimostreremo, traggono rilevanti benefici da un
approccio di network, e le organizzazioni culturali organizzate in rete
possono acquisire un potenziale di crescita e sviluppo non realizzabile
operando singolarmente. Tuttavia emerge ancora il problema,
soprattutto in Italia, di conferire credito e validità economica a tali
modelli: l’organizzazione in rete, il network deve ancora acquisire una
propria legittimazione sul mercato, deve imparare ad affermarsi fra gli
stakeholders prima di tutto costruendo e comunicando una propria
identità forte, una network identity.
Si osserva come tutto sommato questo tipo di organizzazione e il suo
successo ed affermazione anche a livello internazionale non sia tanto
sconosciuta al nostro paese. Lo stesso concetto di network identity
prende forma a partire dalle esperienze di distrettualizzazione che
hanno interessato buona parte delle aziende di produzione del
territorio italiano nel loro sviluppo degli ultimi 40 anni. Nei distretti
industriali una serie eterogenea di imprese, ciascuna con una propria
tradizione, una propria storia, una propria localizzazione specifica, ha
saputo organizzarsi in rete andando a costituire un sistema omogeneo
di produzione che, pur comprendendo talvolta un territorio vasto e
costituito da diversi comuni, proprio per la sua eterogeneità e capacità
di integrazione è andata costituendo un’identità produttiva ben
riconoscibile, caratterizzata da un marchio forte e di successo anche
all’estero, come ci racconta la storia del marchio “Made in Italy”.
Ritenendo utile osservare da vicino questi sistemi, se ne
identificheranno le caratteristiche principali, soprattutto nelle loro
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evoluzioni più recenti, all’insegna dei profondi cambiamenti che
hanno interessato i mercati quali globalizzazione, postfordismo,
economia della conoscenza.
Tornando all’obiettivo principale del presente lavoro, si cercherà
infine di esporre quelle che possono essere le strategie da mettere in
atto, mettendo insieme l’esperienza tutta italiana dei distretti
industriali e delle loro evoluzioni quali osservate dal Network
Approach, con l’esperienza della Royal Shakespeare Company
precedentemente illustrata. Tali strategie costituiranno delle linee
d’azione utili al caso MITO Settembre Musica nella sua definizione di
un’identità positiva e omogenea, di una network identity che
conferisca all’organizzazione credito e rilevanza sia a livello locale
che a livello internazionale.
Nel susseguirsi dei tre capitoli illustrati, la metodologia di
studio e analisi utilizzata si può ricondurre ai seguenti strumenti di
indagine:
- Analisi comparata di dati: si è svolta un’analisi dei dati
disponibili per l’edizione 2007 del festival, confrontando i risultati
ottenuti per Torino con quelli ottenuti per Milano, al fine di
individuare punti di forza e punti di debolezza circa l’identità del
marchio;
- Studio della letteratura di riferimento in ambito di marketing
della cultura: sono state esposte le teorie di marketing della
cultura attinenti nello specifico il concetto di brand identity e le
sue caratteristiche, e le leve di marketing mix per le organizzazioni
culturali;
- Analisi di benchmark: si è proposta nello specifico l’analisi del
caso della Royal Shakespeare Company quale esempio di
costruzione di una network identity di particolare successo;
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- Trattazione delle teorie del Network Approach: si sono esposte
le principali teorie in tema di network, di organizzazione in rete e
di network identity;
- Studio della letteratura di riferimento in ambito di distretti
industriali: sono state illustrate le caratteristiche principali dei
distretti industriali quali esempi di networks dotati di una propria
identità e di affermazione internazionale.
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