2
mutuo soccorso
3
, anche se inizialmente si favorì la mutualità volontaria pur non
avendo le finalità di un interesse pubblico.
L’atteggiamento dello Stato iniziò a modificarsi quando l’attenzione dell’opinione
pubblica fu richiamata dal grave problema degli infortuni sul lavoro e venne così
istituita la Cassa nazionale di previdenza per la vecchiaia e l’invalidità degli
operai
4
.
Nel primo ventennio del XX secolo si verificò il passaggio definitivo dal
mutualismo volontario all’assicurazione obbligatoria attraverso una serie di norme
e provvedimenti di natura previdenziale che delinearono il carattere sempre più
pubblicistico della tutela previdenziale
5
, la quale viene, man mano, affidata
esclusivamente ad enti pubblici appositamente istituiti. Lo Stato si limita a dar
vita a nuovi istituti, a dettare con la legge la disciplina dei nuovi rapporti ma
raramente interviene finanziariamente.
Durante il periodo corporativo il sistema delle assicurazioni sociali non solo
venne completato con la previsione della tutela di nuovi rischi ma venne
affiancato da una concezione più ampia, quella della solidarietà corporativa tra
datori e prestatori di lavoro interessati alla realizzazione dell’interesse pubblico
dell’economia nel quale si pretendeva di risolvere autoritativamente il conflitto
sociale
6
.
Se si prescinde dall’obbligatorietà per legge che, è l’unico elemento che segnala la
più intensa destinazione alla soddisfazione, di un interesse pubblico, l’assetto di
interessi che si realizza nella previdenza pubblica è quasi identico a quello che si
realizza nella “previdenza sindacale
7
”.
Il sistema di previdenza pubblico era ispirato al modello assicurativo e dominato
da una rigida corrispettività tra contributi e prestazioni, che tollerava di essere
frazionato, sia pure con il consenso sindacale, in una pluralità di regimi, ciascuno
dei quali, però, realizzava, a ben guardare, lo stesso assetto di interessi.
3 M. Persiani, Diritto della previdenza sociale, Padova, 2007.
4 M. Persiani, La previdenza complementare,padova 2008
5 M. PERSIANI, Diritto della Previdenza Sociale, cit., pagg. 9-10.
6 M.CINELLI, Diritto della Previdenza Sociale, Torino, 2007, pag. 32. L’autore sostiene che:
“L’ordinamento corporativo fascista mantenne e sviluppò – sia pure imprimendo, in alcuni casi
una sua propria fisionomia – quanto ereditato dall’ordinamento liberale. Accanto alla originaria
concezione del rischio professionale (…) venne teorizzata la concezione della solidarietà
corporativa tra appartenenti al medesimo gruppo o categoria e tra datore di lavoro e prestatore di
lavoro”.
7 Art. 1886 cod. civ. (Assicurazioni sociali)
3
Con la caduta dell’ordinamento corporativo si modifica lo scenario nel quale si
situano le vicende fin qui riferite, soprattutto in virtù dei principi accolti dalla
Costituzione repubblicana, secondo i quali, il titolo per avere diritto alle
prestazioni previdenziali risiede soltanto nell’essere cittadini
8
, dato che la
previdenza complementare era considerata espressione di solidarietà estesa a tutti
i cittadini. Ciò comporta il superamento della concezione corporativa della
previdenza sociale. Questa, infatti, è destinata alla soddisfazione immediata e
diretta dell’interesse pubblico affinchè, mediante il ricorso alla solidarietà
generale (art. 2 Cost.) siano assicurate a tutti i cittadini le condizioni economiche
e sociali indispensabili per garantire l’effettivo godimento dei diritti civili e
politici (art. 3 secondo comma Cost.). L’idea della sicurezza sociale è stata
prevista anche dal nostro ordinamento per effetto dell’accoglimento, nella nostra
Costituzione, del principio secondo il quale “è compito dello Stato rimuovere gli
ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e
l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e
l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica,
economica e sociale del Paese” (art. 3 secondo comma Cost.). Tale principio trova
numerose altre espressioni nella Carta Costituzionale (artt. 4, 24, 31, 32 Cost.) e
particolarmente nell’art. 38 che non rivela solo il diverso atteggiamento assunto
dallo Stato nei confronti della Previdenza sociale ma indica la prospettiva secondo
la quale sarebbe dovuta avvenire l’ulteriore evoluzione del sistema.
Il sistema della previdenza sociale supera oramai l’ambito del lavoro subordinato
per estendersi a tutte le categorie di lavoratori. L’articolo 38 Cost. afferma
all’ultimo comma, il principio della libertà della previdenza privata, come
manifestazione di quella specifica solidarietà che si esprime anche nelle
formazioni sociali (art. 2 Cost.). Previdenza privata che, come tale, non può essere
che libera in quanto volontaria e, soprattutto, destinata esclusivamente alla
soddisfazione di interessi privati. La previdenza non solo è libera ma deve anche
essere “incoraggiata e tutelata” costituendo una forma di risparmio (art. 47 Cost.).
Ne deriva che nel disegno costituzionale, il sistema destinato a realizzare la
liberazione dal bisogno si articola in due sottosistemi da ritenere, non senza
contrasti, diversi quanto a funzioni e a regime: il sistema integrato di interventi e
servizi sociali e il sistema della previdenza pubblica e privata, integrativa o
8 M. PERSIANI,Diritto della Previdenza Sociale, cit., pagg. 3-4.
4
complementare. Possiamo evidenziare come la previdenza pubblica mira a
soddisfare principalmente un interesse generale, infatti nel panorama della
legislazione, che ha fatto seguito alla Costituzione, troviamo l’istituzione del
Fondo sociale, con la legge n. 903 del 1965
9
, della pensione sociale così come
previsto dall’art. 26, legge n. 153 del 1969, della disciplina di tutela degli invalidi
civili (legge n. 118 del 1971) e la riforma sanitaria, con l’istituzione del Servizio
sanitario nazionale, la legge n. 833 del 1978. Ma, a ben guardare, il problema del
rapporto tra previdenza pubblica e previdenza privata si pone, in termini più ampi,
per il venir meno della sostanziale omogeneità che aveva caratterizzato le
rispettive funzioni vigente l’ordinamento corporativo. Si è visto, infatti, come la
tutela previdenziale, proprio perché ispirata alla logica del rapporto di lavoro e
quindi giustificata con il principio del rischio professionale e, comunque,
realizzata in termini di rigorosa corrispettività tra contributi e prestazioni, ben
potesse essere scomposta in una pluralità di segmenti ciascuno dei quali era
destinato a realizzare un’unica funzione.
Nella nuova concezione della previdenza sociale, accolta dal legislatore
costituente, questa sostanziale omogeneità viene meno. La solidarietà generale
che si realizza con la previdenza pubblica non si rispecchia e perde ogni punto di
contatto con la solidarietà particolare realizzata dalla previdenza privata.
E ciò avviene anche quando quest’ultima è destinata a realizzare non già interessi
individuali, ma collettivi, a ragione del carattere necessariamente privatistico
dell’organizzazione e dell’azione sindacale. Ed è questo il senso nel quale il
legislatore costituente ha voluto garantire la libertà dell’assistenza privata, o dei
privati (quinto comma dell’art. 38 Cost.)
10
.
La solidarietà generale affidata alla previdenza pubblica è necessaria in quanto,
con essa, trova soddisfazione un interesse pubblico generale. La previdenza
privata è libera proprio perché, essendo funzionalizzata alla realizzazione di
interessi privati, è volontaria e, quindi, eventuale. È noto come i principi
costituzionali non vennero immediatamente attuati dal legislatore ordinario e che,
in mancanza di un organico programma di riforma, l’evoluzione della disciplina
del nostro sistema previdenziale è mutato negli anni
11
. L’evoluzione della
legislazione non si è realizzata in modo uniforme e costante, sia perché è mancato
9 R. Cesari, Tfr e fondi pensione,cit, pag.22
10 M. PersiaNI, diritto della previdenza sociale, cit., pag.14
11 R. Pessi, Lezioni di diritto della previdenza sociale, cit., pag. 82.
5
un disegno completo e razionale, sia in seguito a condizionamenti economici e
politici determinati dalle strutture della nostra società.
Tuttavia, il mosaico legislativo che regola il sistema previdenziale può essere
unitariamente considerato. Nonostante ciò, si deve constatare che la legislazione
ordinaria non tarda ad assegnare alla previdenza pubblica una funzione diversa da
quella che le era stata attribuita dall’ordinamento corporativo: la sempre più
intensa realizzazione del principio di solidarietà generale determina il costante
allargamento dell’ambito soggettivo della previdenza pubblica anche oltre i
tradizionali confini del lavoro subordinato, andando ad estendere la tutela contro
l’invalidità, la vecchiaia e superstiti ai lavoratori parasubordinati e ai lavoratori a
progetto, nonché alle persone lavoranti in ambito domestico
12
.
Va precisato come la materia della previdenza sociale e le stesse fonti che si
caratterizzano per una essenziale ambiguità ha conseguenze pratiche notevoli
sulla configurazione teorica del nostro sistema previdenziale. Le ragioni di tale
ambiguità possono essere agevolmente individuate tenendo conto delle forme di
tutela previdenziale istituite subito e prima dell’ordinamento corporativo perché
esse costituivano espressioni di una solidarietà limitata ai datori di lavoro e ai
lavoratori. Ciò imponeva che la tutela previdenziale fosse limitata ai lavoratori
privati e venisse realizzata attraverso un complesso di rapporti formalmente e
sostanzialmente analoghi a quelli propri delle assicurazioni private.
Tra contributi e prestazioni previdenziali intercorreva una relazione di
corrispettività e l’ammontare delle prestazioni era rigorosamente proporzionato ai
contributi versati. Il mancato versamento escludeva questi ultimi dal diritto alla
prestazione. L’ambiguità di cui si è detto deriva dunque dal contrasto tra le
concezioni che durante l’ordinamento corporativo presiedettero alla istituzione del
nostro sistema previdenziale e quelle che per essere state accolte dalla
Costituzione si deve ritenere attualmente lo ispirino.
Le principali forme di tutela previdenziale erano ancora regolate dalla legislazione
emanata durante il regime corporativo. L’ambiguità derivava anche da ciò che,
dopo l’entrata in vigore della Costituzione è mancato un disegno per una riforma
organica, sia pure da attuare gradualmente, mentre la più recente legislazione
risultava sempre più intensamente ispirata ai principi costituzionali.
12 Art.2, comma 26, legge n. 335/1995.
6
Il fenomeno della previdenza privata, o più precisamente della previdenza
sindacale, si sviluppò negli anni sessanta in assenza di una disciplina legislativa
13
Vuoto legislativo che, in astratto, poteva apparire congruo con la libertà della
previdenza privata, costituzionalmente garantita, ma che, nei fatti, consentì
venisse prevista la soddisfazione dell’interesse dei lavoratori alla conservazione
del tenore di vita raggiunto durante l’attività lavorativa senza, però,
l’apprestamento di idonee garanzie di un’effettiva realizzazione.
Ciò perché, da un lato, per ottenere immediatamente una tutela così intensa i
regimi previdenziali aziendali vennero organizzati sulla base del sistema detto
della ripartizione, o a prestazioni definite, e, d’altro lato, si cedette alla illusione di
poter fare affidamento soltanto sulla solidità del datore di lavoro che, spesso,
gestiva direttamente il regime previdenziale aziendale.
Accade però, che a partire dalla fine degli anni ’60, il legislatore assegnò al
sistema previdenziale pubblico funzioni ulteriori rispetto a quelle risultanti dai
principi costituzionali, tra cui: l’abolizione del tetto massimo di pensione,
l’introduzione di un sistema di calcolo delle pensioni che ha riguardo all’ultima
retribuzione. Queste funzioni difficilmente possono essere messe in relazione al
perseguimento dell’interesse pubblico e al tempo stesso, costituiscono un fattore,
anche se forse non il solo, determinate della crisi finanziaria del nostro sistema
pensionistico. Né derivò, che da un alto la previdenza privata per i lavoratori con
bassi livelli di reddito divenne inutile,dall’altro le nuove e più estese funzioni del
sistema previdenziale determinarono l’inestinguibile esigenza di reperire nuovi
finanziamenti per sostenere l’incremento della spesa pensionistica.
Quindi possiamo osservare come la nascita della previdenza complementare nel
nostro paese, trae le sue origini dalle difficoltà che il sistema previdenziale di base
ha incontrato quando non è più stato in grado di soddisfare i bisogni socialmente
rilevanti dei cittadini a causa di alcune dinamiche di squilibrio che hanno influito
nel tempo
14
.
La crisi del mercato del lavoro, come conseguenza dello shock petrolifero, dà il
via all’inizio degli anni ’80 alla crisi del Sistema pensionistico.
Il ridimensionamento organizzativo e occupazionale delle imprese produce,
infatti, una crescente disoccupazione con la conseguente contrazione dei flussi
contributivi. Nel contempo iniziano a maturare i requisiti per il pensionamento
13 M. Persiani, La previdenza complementare, cit., pag. 6.
14 M. Persiani, La previdenza complementare, cit., pag. 11.
7
generazioni consistenti di lavoratori che, avendo versato molti anni di contributi,
hanno diritto a prestazioni considerevoli.
Le imprese inoltre incentivano la scelta della pensione di anzianità e i
prepensionamenti per sostituire lavoratori anziani con forze lavoro giovani a più
basso costo.
In una situazione di questo tipo, il sistema a ripartizione, strettamente dipendente
dal livello di occupazione e dal rapporto tra attivi e quiescenti, sarebbe andato
verso un inevitabile collasso. Tutto ciò ha indotto il legislatore a valutare un
passaggio graduale dal suddetto sistema a quello “a capitalizzazione individuale”;
un sistema che, garantendo ai lavoratori un livello di soddisfacimento dei loro
bisogni inferiore rispetto al passato, ha comportato la necessità di sviluppare
forme di previdenza di tipo complementare.
Ed infatti, le due stagioni riformistiche del 1992 (governo Amato) e del 1995
(governo Dini), comporteranno infatti, una drastica riduzione delle prestazioni
pensionistiche.
Il metodo di calcolo contributivo
15
, introdotto nel 1995, darà luogo, a regime, a
livelli di copertura previdenziale nell’ordine del 50/55% dell’ultima retribuzione,
contro il 70/80% che era possibile raggiungere con il metodo retributivo
16
. In
questo modo però viene meno il soddisfacimento del bisogno, costituzionalmente
riconosciuto (art. 38 Cost.), del mantenimento del tenore di vita acquisito durante
il periodo lavorativo. Lo Stato si trova così a dover escogitare un sistema che
permetta ai lavoratori di recuperare quanto perduto a causa dell’arretramento della
copertura previdenziale obbligatoria ed è proprio in questo contesto che trova la
sua origine nel nostro sistema pensionistico il fenomeno della previdenza
complementare.
15 Il sistema contributivo prevede il calcolo della pensione effettuato sull'insieme dei contributi
versati durante l'intera vita assicurativa. Al termine della vita lavorativa, i contributi versati
vengono sommati per dare luogo alla base contributiva complessiva - il montante individuale -
sulla quale si calcola la pensione. I contributi vengono rivalutati ogni anno in base al prodotto
interno lordo (PIL) per consentire al lavoratore di recuperare in parte la diminuzione del potere di
acquisto della moneta. Il montante viene moltiplicato per il coefficiente di trasformazione stabilito
dalla legge in base all'età del lavoratore, ottenendo così la misura della pensione lorda annua.
16 Fino al 31 dicembre 1992, per i lavoratori dipendenti, la pensione era calcolata sulla base della
media delle retribuzioni lorde, rivalutate, degli ultimi 5 anni. Dal 1° gennaio 1993 il decreto
legislativo 503/1992 ha introdotto il calcolo della pensione in due quote; una quota relativa alle
anzianità maturate fino al 31 dicembre 1992 e una quota calcolata con le anzianità maturate dal 1°
gennaio 1993 in poi.
8
Il decreto legislativo n. 124/1993
17
(poi modificato dalla legge n. 335/1995)
definisce, ma soprattutto fornisce un quadro normativo di riferimento alla
previdenza complementare, la quale in realtà era già presente nel nostro sistema
pensionistico, sotto forma di “previdenza integrativa”, ma tale concetto era
caratterizzato da un’anomalia normativa che non ne permetteva la precisa
definizione ed un chiaro inquadramento.
L’odierno panorama risulta estremamente modificato rispetto a quello che si
presentava all’entrata in vigore del D.Lgs n. 124 del 1993, sia in ragione delle
criticità finanziarie sia grazie agli innumerevoli interventi legislativi che si sono
succeduti negli anni subito successivi e fino ad oggi.
Con l’emanazione del D.Lgs. n. 124/93 si definisce positivamente il concetto di
previdenza complementare intendendo con tale denominazione un sistema
normativo finalizzato a regolamentare la raccolta, e la gestione, di somme di
denaro prelevate dal reddito dei lavoratori, sia dipendenti, sia autonomi, con
l'obiettivo di costituire una seconda pensione, che faccia, per così dire, "da
complemento" alla pensione "di base", erogata dai regimi pensionistici
obbligatori
18
.
Essa tende quindi a realizzare il diritto, costituzionalmente garantito, a “più
elevati livelli di copertura previdenziale” (art. 1 D. lgs 124/1993), onde il suo
stesso presupposto è costituito dall’esistenza di una tutela previdenziale di base
che già garantisca il livello minimo di copertura.
Passando in rassegna i principali provvedimenti in materia previdenziale, si deve
necessariamente prendere le mosse dalla Riforma Amato del 1992
19
.
Con la legge delega 421 del 1992 si dà il via alla riforma del sistema pensionistico
attraverso interventi volti a correggere il trend della spesa pensionistica.
Si procede, quindi, ad una revisione dei requisiti di accesso e dei criteri di calcolo
e di indicizzazione.
Tra le principali innovazioni introdotte, infatti, occorre menzionare il graduale
innalzamento dell’età pensionabile, da 55 a 60 anni per le donne e da 60 a 65 anni
per gli uomini (a regime dal 1° gennaio 2000). Tale provvedimento ha voluto dare
una svolta a quel processo di uniformazione delle discipline che fino ad allora
17 R. Pessi, “La previdenza complementare ante D.Lgs. n. 124/93”, in Lezioni di diritto della
previdenza sociale, Parte Speciale, Cedam, 2004, pag. 190.
18 Come per esempio l’Inps o l’Inpdap.
19 R. Cesari, tfr e fondi pensione, cit., pag.25.
9
erano diversificate per regimi (pubblico e privato), per categorie di tutela (lavoro
autonomo o subordinato) o per sesso ed inoltre si è in questo modo tentato di
fronteggiare lo squilibrio esistente in relazione al basso limite di età pensionabile
che si trovava oramai in controtendenza con l’andamento demografico del paese,
caratterizzato da un allungamento della vita media e da un consistente decremento
della natalità. Tutto questo rendeva sempre più critico l’equilibrio finanziario del
sistema per il ridursi del rapporto tra attivi e pensionati che si stava
tendenzialmente orientando verso la parità
20
.
In relazione quanto appena descritto, la cosiddetta “Riforma Amato” ha previsto
anche il graduale innalzamento, da 15 a 20 anni, dell’anzianità contributiva
minima necessaria per il diritto alla pensione di vecchiaia (a regime nel 2001) e la
modifica del periodo di riferimento per il calcolo della retribuzione pensionabile
(base di calcolo), posta pari alla media delle retribuzioni degli ultimi 10 anni
(prima 5 anni) e dell’intera vita lavorativa per i neo-assunti dal 1993.
Inoltre con l’indicizzazione delle pensioni al solo andamento dei prezzi
(inflazione) ed eliminando quindi qualsiasi aggancio alla dinamica salariale, si è
notevolmente ridotto l’ammontare delle rendite pensionistiche. La riforma Amato
contiene poi la delega in attuazione della quale viene emanato il D. Lgs. 124/93,
prima norma organica e specifica in tema di previdenza complementare che fissa
le regole per la costituzione dei fondi pensione chiusi ed aperti(analizzati meglio
nel III capitolo), incentiva l’uso del Tfr a fini previdenziali ed istituisce l’organo
di vigilanza di settore (Covip
21
).
Nel 1995, il perdurante squilibrio finanziario del sistema, l’evoluzione
demografica e la sostanziale disparità di trattamento tra generazioni, spingono il
governo ad affrontare una nuova riforma strutturale con l’obiettivo di ridefinire
totalmente la struttura complessiva del sistema pensionistico pubblico: l’8 agosto
1995 il Parlamento approva la Legge 335/95 presentata dal governo Dini.
La riforma Dini produce i suoi effetti dal 1° gennaio dell’anno successivo e, come
principale innovazione rispetto al precedente regime, introduce un nuovo metodo
contributivo per il calcolo delle pensioni
22
.
20 R. Pessi, “L’età pensionabile”, in Lezioni di diritto della previdenza sociale, Parte speciale,
Cedam, 2004, pag.127.
21 Commissione di vigilanza sui fondi pensione – artt. 16 e 17 del D. lgs 124/1993.
22 R. Cesari, Tfr e fondi pensione, cit., pag. 26.