4
Ciò che si è verificato dunque, con l’ingresso in politica di Silvio Berlusconi nel
1993, è stata la nascita di un binomio – Berlusconi politico, Berlusconi imprenditore –
che ancora oggi non è stato completamente risolto
2
. Così anche nel nostro Paese
l’attenzione dei media, fin dall’inizio è stata rivolta proprio nei confronti di questo
aspetto, tanto da creare – a livello di opinione pubblica – l’idea che il conflitto di
interessi in Italia fosse temibile quasi unicamente da un punto di vista patrimoniale;
circostanza tuttavia non trascurabile.
Questo lavoro non ha però l’obbiettivo di analizzare le condizioni generali del
problema. In Italia infatti il conflitto di interessi è aggravato proprio dalla natura dei
possedimenti del Presidente del Consiglio. Egli possiede le tre principali reti televisive
private nazionali, e in quanto Capo del Governo detiene indirettamente anche il
controllo delle tre reti televisive pubbliche; questo perché in Italia la regolamentazione
del sistema radiotelevisivo prevede che i cinque membri del Consiglio di
Amministrazione RAI vengano nominati dai Presidenti di Camera e Senato, e quindi
dalla maggioranza parlamentare.
In questo senso l’Italia presenta una forte anomalia rispetto ad altri Paesi; il
rischio rappresentato dal conflitto di interessi non investe solo un discorso economico
ma si estende ad altri settori, in particolare a quello dell’informazione televisiva. E
questo è forse ancora più grave; un’avvantaggiamento economico si ripercuote
principalmente sul sistema dell’economia; un’alterazione del sistema dell’informazione
invece ha effetti più generalizzati e può comportare nel lungo periodo anche una
distorsione artificiosa del circuito democratico. Ed è proprio su questo aspetto del
conflitto di interessi che si concentrerà la nostra attenzione.
La tesi che vogliamo portare avanti tuttavia non assume una visione
deterministica dei massmedia; ciò che ci interessa è principalmente capire il peso che
hanno assunto i mezzi di comunicazioni di massa nella nostra società, nella
comunicazione politica e in parte nella formazione del consenso. Sarebbe infatti errato
affermare che i massmedia sono gli unici mezzi a disposizione nella società moderna
per influenzare le scelte di voto; il meccanismo decisionale è sicuramente complesso e
per essere studiato necessita quantomeno di una contestualizzazione rispetto alle
2
Anche se la cosiddetta legge sul conflitto di interessi è stata dopo
5
contingenze storico-politiche e rispetto alle diverse tipologie di elettore [Mancini,
2001a]. A noi tuttavia non interessa indagare quali siano tutte le variabili che
intervengono all’interno di questo processo. Ciò che invece vogliamo dire è che i
massmedia hanno progressivamente assunto un ruolo centrale nella vita contemporanea,
in tutte le sue dimensioni, e anche in buona parte nella comunicazione politica; per
questo la funzione che essi svolgono all’interno del processo democratico è comunque
di grande rilevanza.
Alla base del principio democratico troviamo infatti il concetto di sovranità
popolare che, nelle democrazie moderne, consiste non tanto nella pratica del potere
quanto nella scelta dei propri rappresentanti. Se le decisioni vengono dunque affidate
dal popolo ad una maggioranza parlamentare la formazione del consenso politico, che
indirizza tale scelta, assume indubbiamente un ruolo centrale. Di conseguenza essa deve
essere il più possibile svincolata da condizionamenti esterni.
Partendo da questo assunto, vorremmo sviluppare l’idea che un controllo
disequilibrato dei mezzi di comunicazione di massa da parte di una forza politica,
potrebbe alterare col tempo il congegno della libera concorrenza tra partiti e portare
conseguentemente alla falsificazione del fatto elettorale. La nostra attenzione sul
complesso problema del conflitto di interessi in Italia si concentrerà quindi sull’aspetto
dell’informazione [cfr. Passigli 2001]; e più in generale sul ruolo che hanno
progressivamente assunto i massmedia all’interno del processo di formazione del
consenso politico e di conseguenza la necessità della loro regolamentazione, con
particolare riferimento al caso italiano.
Il primo capitolo vuole illustrare quanto sia importante per una democrazia il
momento della formazione del consenso politico e attraverso quali mezzi, nelle
democrazie moderne, le forze politiche perseguano tale scopo. Abbiamo detto che una
democrazia fonda la propria legittimità nella scelta da parte del popolo dei propri
rappresentanti. Il canale che mette in relazione politica e sfera pubblica, al fine di creare
consenso, è la comunicazione politica.
Vedremo le fasi che hanno caratterizzato la storia della comunicazione politica.
Politica e comunicazione politica sono due concetti distinti che non devono essere
6
confusi che però presentano una forte interdipendenza. Fin dalle origini la politica per
sopravvivere si è appoggiata ad una dimensione comunicativa. Grazie alla
comunicazione e all’agire comunicativo la politica si è potuta esprimere pubblicamente,
e ha permesso ad avversari politici di dibattere e confrontarsi; era attraverso la
comunicazione che sia la politica che gli attori che ne facevano parte potevano
perseguire la formazione del consenso.
Oggi, con l’avvento delle comunicazioni di massa, questa interdipendenza è
cresciuta in modo esponenziale tanto da essere considerata indispensabile. I massmedia
entrano quindi a far parte del processo democratico. Il loro utilizzo nella propaganda
politica e nella competizione tra partiti diventa sempre più massiccio. Questo fenomeno
detto di mediatizzazione della politica non può che comportare grandi cambiamenti
all’interno della comunicazione politica stessa. Nasce un nuovo luogo nel quale si
compie la competizione politica: l’arena mediale. In questo spazio la comunicazione
politica, così come la conosciamo noi, è caratterizzata dalla personalizzazione nella
figura dei leader, è semplificata e soprattutto non più riservata ad un élite ma accessibile
a tutti. La televisione diviene quindi il luogo privilegiato della propaganda e della
competizione politica, facilitando appunto il processo della personalizzazione. Vedremo
quindi gli attori che fanno parte della comunicazione politica le loro relazioni.
Il primo e il secondo capitolo affrontano in termini generali il ruolo dei
massmedia nel processo di formazione del consenso politico. Nel primo capitolo questo
problema è affrontato dal punto di vista della comunicazione politica. Nel secondo
capitolo invece l’attenzione si sposta sulla sfera pubblica, ambito verso il quale la
comunicazione politica si dirige. È all’interno della sfera pubblica che si compie la
formazione del consenso elettorale, che si traduce poi concretamente nel momento
elettorale. Come nella comunicazione politica, anche nella sfera pubblica i massmedia
vanno ad assumere un ruolo cruciale. Soprattutto all’interno di quella che è definita la
società globalizzata. Nascono così nuove forme di interazione e cambiano le modalità
di accesso alle informazioni.
I mezzi di comunicazione di massa annullano le barriere spazio temporali e
diventano progressivamente il principale canale dell’informazione. L’accesso alla realtà
7
passa attraverso i massmedia, il controllo empirico degli eventi è sempre più difficile e
per conoscere le cose ci si affida ai mezzi di comunicazione. Questo avviene anche nel
caso della politica. La scena politica si sovrappone alla scena mediale, i cittadini elettori
strutturano le scelte di voto aiutati anche da ciò che viene filtrato da questa nuova
politica mediatizzata. Quando parliamo di effetti sociali dei media non ci riferiamo a un
qualcosa di diretto e di immediatamente efficace. La scelta elettorale è un momento
complesso dal quale dipendono tanti fattori e il nostro scopo è quello di capire,
attraverso l’analisi degli effetti dei media, il ruolo assunto anche e soprattutto dai mezzi
di comunicazione in questo processo.
La propaganda politica fa leva sui massmedia per indirizzare le scelte di voto
ma gli effetti della campagna mediale non agiscono uniformemente sulla sfera pubblica
ma al contrario possono variare a seconda delle tipologie di elettore [Mancini, 2001b].
Per affrontare il discorso sulle influenze delle comunicazioni di massa nel
momento della scelta di voto, ci siamo aiutati con una classificazione creata da Mancini
sulle tipologie di elettore; per ciascun ideal-tipo viene indicato anche l’uso che
l’elettore può trarre dai massmedia e quale tipo di influenza questi possono esercitare su
di lui.
Passeremo poi in rassegna alcune delle principali teorie su gli effetti delle
comunicazioni di massa, assumendo gli effetti come conseguenze, più o meno
intenzionali, prodotte dall’attività dei mezzi di comunicazione.
Il sistema dei media è costituito da un insieme di imprese che fanno circolare
contenuti simbolici all’interno di uno spazio che chiameremo mercato delle opinioni. I
contenuti che circolano all’interno di questo mercato influiscono in maniera
determinante sulle dinamiche dell’opinione pubblica, sulla competizione politica e
quindi sulla formazione del consenso. Vedremo come ciò abbia resa necessaria una
regolamentazione di questo mercato e con quali interventi.
Il secondo capitolo introduce quindi, a livello teorico, l’esigenza di una
regolamentazione del sistema dei media. La loro responsabilità nella formazione del
consenso fa sì che vengano creati interventi legislativi mirati, capaci di tutelare sia il
diritto dell’informazione che le regole stesse della diffusione. Con il terzo capitolo
8
andremo ad analizzare in concreto la vicenda normativa italiana sulla regolamentazione
del sistema radiotelevisivo.
L’aspetto del conflitto di interessi che noi stiamo considerando affonda le
proprie radici proprio nella disciplina di questo sistema. L’anomalia riguarda infatti la
proprietà da parte del presidente del Consiglio delle tre principali reti private nazionali.
Attraverso l’analisi delle diverse fasi della regolamentazione andremo a vedere cosa ha
reso possibile il passaggio da una situazione di monopolio pubblico ad una di
sostanziale duopolio. Ed è proprio all’interno di questo passaggio che si inserisce ciò
che diventerà poi il nodo cruciale del problema italiano.
Vedremo in particolare la legge Mammì del 1990 e il disegno di legge Gasparri
attualmente in sede di discussione. Alla prima si deve il merito di aver introdotto il
sistema misto pubblico e privato anche in abito nazionale. Questa legge è riconosciuta
come una delle più importanti del nostro sistema radiotelevisivo, ma allo stesso tempo
anche come quella che, legittimando la situazione di duopolio che si era creata in via di
fatto, ha creato le basi per l’origine del conflitto di interessi dal punto di vista
dell’informazione. Il disegno di legge Gasparri invece fa parte degli interventi legislativi
successivi alla Mammì, attraverso cui si vorrebbe, da un lato aggiornare alle nuove
tecnologie il sistema radiotelevisivo italiano, dall’altro invece degli aggiustamenti alla
situazione di disequilibrio in materia di concessioni.
Abbiamo visto che una forte responsabilità è da attribuire alla legislazione del
sistema radiotelevisivo, la quale non è stata in grado nella disposizione delle
concessioni di assicurare le basi per una libera concorrenza delle imprese sul mercato
dei media. Questo ha portato l’Italia ad una situazione di grave anomalia che minaccia il
pluralismo informativo e che potrebbe comportare nel lungo periodo un’alterazione del
circuito democratico. Tuttavia il conflitto di interessi in Italia si è potuto verificare
anche a seguito di una carenza normativa nella disciplina stessa del problema. Nel
quarto capitolo si esaminano in concreto le vie seguite per la sua risoluzione ponendo
una particolare attenzione nei confronti dell’ultimo disegno di legge.
Nella prima parte faremo una comparazione con alcuni Paesi liberal democratici
per vedere come questo problema sia stato risolto negli altri Stati e attraverso quali
9
interventi normativi. L’Italia è l’unico Paese a non presentare ancora una disciplina del
problema. Attualmente è in fase di approvazione un progetto di legge che dovrebbe a
breve diventare ufficiale. Analizzeremo quindi i punti su cui verte tale normativa e le
posizioni sostenute in Senato attraverso la ricostruzione del dibattito parlamentare.
Abbiamo scelto, data l’estrema complessità e vastità dell’intero dibattito, di presentare i
punti di vista dei principali interlocutori, e quindi dell’allora ministro delle poste e
telecomunicazioni Frattini, ora attuale ministro degli Esteri, e dei Senatori Passigli e
Manzella entrambi dell’opposizione. La ricostruzione del dibattito sulla legge permette
di avere una panoramica “dall’interno” di come questo problema e tutte le relative
questioni siano state affrontate, offrendo tre diverse alternative di risoluzione.
L’ultima parte si concluderà con l’intervista ad alcuni giornalisti sulle
impressioni generali verso questo problema. Abbiamo somministrato un breve
questionario a dieci giornalisti, cinque di quotidiani locali e cinque di quotidiani
nazionali. Lo scopo non è di dare una rappresentazione generale di ciò che percepisce
l’opinione pubblica e di come essa si pone nei confronti di questa questione; ciò che
abbiamo voluto è stato invece di offrire attraverso le opinioni di dieci testimoni
privilegiati anche un punto di vista “dall’esterno” sulla percezione del conflitto di
interessi in Italia.
Desidero ringraziare i senatori Passigli e Manzella per la disponibilità nel rilasciare
l’intervista. Federico Pommier (segretario di Passigli) per il supporto nella raccolta del
materiale, (documenti, leggi e dibattito parlamentare).
Infine tutti i giornalisti che hanno collaborato alla nostra ricerca, Pierangelo Giovanetti
de L’Adige, Davide Cagnola de Il Cittadino, Renato Farina di Libero, Gianluigi Nuzzi
de Il Giornale, Lorenzo Bianchi de Il Resto del Carlino, Federica Scaggio de L’Arena,
Giorgia Guarienti de Il Corriere Veneto, Lorenzo Fuccaro de Il Corriere della Sera e
Sposito Livio de Il Sole 24 ore.
10
Capitolo 1.
MASSMEDIA E COMUNICAZIONE POLITICA
1.1 Introduzione
Il concetto di democrazia, così come lo intendiamo nel senso più ampio del
termine, implica una certa correlazione tra potere politico e volontà pubblica. Il
principio di organizzazione, in base al quale le decisioni devono necessariamente essere
ricondotte a scelte popolari (direttamente o indirettamente), e il principio maggioritario,
secondo cui l’imputazione delle decisioni allo Stato è la convergenza del consenso della
maggioranza, comportano un forte coinvolgimento della popolazione [cfr. D’Atena,
2000]. Presupposti questi su cui si fonda il principio democratico.
Tali regole si fondano a loro volta sul comune valore dell’eguaglianza dei
cittadini, cioè che la capacità di adottare decisioni politiche sia patrimonio di tutti i
membri della comunità statale, da cui ne deriva l’universalità del suffragio e il principio
dell’uguaglianza del voto. Per semplificare ci limiteremo a dire che la democrazia è una
particolare forma di Governo che trova la sua piena legittimazione dal popolo e che si
poggia sul consenso.
Democrazia significa «Governo del popolo». In realtà nelle moderne democrazie
il concetto di sovranità popolare consiste non tanto nella pratica del potere, quanto nel
momento (fondamentale e imprescindibile) della scelta dei propri rappresentanti. Il
principio della rappresentanza si traduce di fatto nella delega del potere ad una cerchia
di soggetti, che andranno a costituire l’Organo Istituzionale più importante: il
Parlamento.
11
L’accezione moderna di democrazia implica dunque che l’esercizio del potere non
avvenga sulla base della partecipazione popolare, ma sulla base della rappresentanza,
ossia della delega dello stesso [Sartori 1990, 41]. Tale delega avviene sulla base del
consenso che i rappresentati concedono al rappresentante. Da questi due elementi
costitutivi, legittimazione popolare da un lato, e rappresentanza dall’altro, è naturale
domandarsi quali siano i criteri in grado di garantire questo equilibrio, e in base a quali
principi si vada a formare il consenso.
L’organizzazione del consenso nella moderna “società di massa” o società
dell’informazione, non rappresenta certo un tema nuovo sul quale discorrere, già dalla
metà del diciannovesimo secolo infatti, rappresentava un interessante e complesso
elemento di studio:
Nessuno negherà credo che la formazione del consenso è suscettibile di grandi raffinatezze
[…]. È un’arte vecchissima che era stata data per morta quando apparve la democrazia. Ma
non è morta. In realtà ne è stata migliorata enormemente la tecnica, perché ora si fonda
sull’analisi piuttosto che sulla pratica. E così per effetto della ricerca psicologica abbinata ai
moderni mezzi di comunicazione, la prassi democratica ha subito una svolta. Sta avvenendo
una rivoluzione, infinitamente più significativa di qualsiasi spostamento di potere
economico. [Lippmann 1922, 255].
Possiamo convenire con Lippmann che, all’interno del processo di formazione
della volontà pubblica – e se vogliamo della cultura politica – la persuasione è divenuta
con il tempo sempre di più un’arte deliberata e un organo “regolare” delle democrazie.
Questa evidenza ci allontana da quello che Lippmann ritiene il dogma originario della
democrazia, cioè la convinzione che le conoscenze necessarie alla condotta degli affari
umani sorgano spontaneamente dal cuore umano e dal libero arbitrio [Lippmann 1922].
Si può tuttavia contestare che queste affermazioni, risalenti all’inizio del secolo
scorso, possano apparire ancorate ad un’ideologia non molto attuale; ciò nonostante
dobbiamo riconoscere che l’analisi di Lippmann, per quanto sviluppata agli albori dello
sviluppo massmediale, si prefigura come una sorta di intuizione circa un cambiamento
che di fatto iniziava a manifestarsi sia all’interno della sfera pubblica sia in quello della
12
sfera politica, un cambiamento innescato dallo sviluppo e dalla diffusione dei mezzi di
comunicazione di massa.
È un’idea assai comune e diffusa ritenere che il rapido sviluppo delle
comunicazioni di massa abbia notevolmente contribuito a modificare, e in certi casi
anche a sconvolgere, l’originario assetto della sfera pubblica. Essa, inizialmente intesa
come depositaria di una verità che ha luogo nell’interazione sociale, è mutata
progressivamente fino ad arrivare, per usare le parole di Habermas, alla perdita della
sua primaria funzione e conseguentemente al suo tramonto [Habermas 1962].
L’assunto da cui parte Lippmann è quello di capire quali siano i meccanismi alla
base del processo attraverso cui le nostre idee vadano a diventare e ad argomentare
l’opinione pubblica, e a partire da questo assunto cercheremo di capire se e in che modo
i moderni mezzi di comunicazione abbiano davvero un peso all’interno di questo
processo. La formazione del consenso, ovvero il processo che consente ad un insieme
di idee e opinioni di trasformarsi in un’azione legittimante, è frutto di quello che può
essere definito un agire comunicativo. Mai come nel campo della propaganda politica il
legame che unisce azione e comunicazione è così evidente. Per quanto riguarda la
scelta del voto è lecito parlare di un agire razionale piuttosto che emozionale, dal
momento che in una democrazia i meccanismi che portano alla convergenza delle
opinioni verso una posizione (oppure verso una persona) sono sempre frutto di un agire
comunicativo.
Avendo definito la formazione del consenso come il risultato di un agire
comunicativo, bisogna specificare quali attori prendano parte a questo processo.
Procedendo per livelli di astrazione, ad un primo livello la formazione del consenso può
essere vista come l’effetto della comunicazione politica sulla sfera pubblica. Ad un
secondo livello diventa il risultato della propaganda degli attori politici, attraverso i
mezzi di comunicazione, verso l’insieme dei cittadini elettori. Ad entrambi i livelli
appare chiaro che la formazione del consenso avviene nell’arena pubblica, la quale è
sempre più costituita dai massmedia. Questo processo che si potrebbe definire
“secolarizzazione dei sistemi politici” [Mancini, 2001] vede un progressivo
sganciamento delle decisioni di voto dalle tradizionali appartenenze politico-
ideologiche, e dai quei circuiti come ad esempio la famiglia, le reti di rapporti personali
13
o di gruppo che fino a qualche decennio fa assumevano in questo senso un ruolo
determinante.
L’importanza dei mezzi di comunicazione di massa è duplice, da un lato infatti
rendono possibile la formazione del consenso fornendo l’ambiente in cui prodursi,
dall’altro la loro evoluzione trasforma e ridefinisce sia la comunicazione politica che la
sfera pubblica. Questo secondo aspetto risiede nella loro natura di vettori di una forma
di potere.
I mezzi di comunicazione sono strumenti attraverso cui si manifesta il potere
simbolico, che consiste nel produrre, trasmettere e ricevere forme simboliche dotate di
significato [Thompson 1995]. Il potere simbolico, data la sua natura di potere, ha la
capacità di intervenire sul corso degli eventi, di influenzare le azioni degli altri e di
creare avvenimenti producendo e trasmettendo proprio forme simboliche.
Grazie alla caratteristica dei mezzi di comunicazione che ne permettono la
riproducibilità, queste forme simboliche possono essere mercificate e, fattore ancora
più importante, consentono la distanziazione spazio-temporale, ovvero la separazione
tra produzione e ricezione di queste forme, che diventerà uno dei requisiti cruciali per la
sopravvivenza delle nuove democrazie di massa. Infatti la separazione strutturale tra
produzione e ricezione, non può che modificare le condizioni spazio temporali della
comunicazione tradizionale. Attraverso l’uso di questi mezzi è possibile dunque
assicurare agli individui nuovi modi per organizzare e controllare il corso degli eventi,
per esempio grazie alla possibilità di intervenire ed influenzare luoghi e spazi lontani.
Se da un lato però questo nuovo modo di intervenire nella realtà sociale allarga il
campo d’azione di coloro che trasmettono, dall’altro, proprio in riferimento al carattere
unilaterale della comunicazione, si rende progressivamente ristretto e limitato il campo
di intervento nel processo produttivo di coloro che ricevono. Si arriva a creare quindi
una posizione asimmetrica e squilibrata, come vi è ad esempio tra gli attori della
comunicazione politica e quelli della sfera pubblica.
Questo fatto rappresenta uno degli elementi più caratterizzanti e critici delle
novità introdotte dai mezzi di comunicazione. Prima dello sviluppo dell’industria dei
media il senso del passato e della distanza avveniva attraverso interazioni faccia a
faccia, la sfera pubblica coincideva con la comunità locale. L’avvento delle
14
comunicazioni di massa determina una despazializzazione, che rende necessaria una
reinvenzione della sfera pubblica, per la quale non ha più senso mantenere l’originaria
accezione [cfr. Thompson 1995]. Modificando infatti la nostra percezione del tempo e
dello spazio, e mutando inevitabilmente anche il nostro senso di appartenenza ad una
comunità di riferimento, si annulla progressivamente il presupposto che ne sta alla base,
ossia la convinzione di condividere una storia, un luogo, una traiettoria comune.
Se ripercorriamo la storia degli ultimi due secoli noteremo come il decorso del
sistema mediatico sin dalla nascita e per il tempo che ne concerne lo sviluppo, non si
presenti né come un fenomeno lineare, né come un qualcosa di autonomo ed
indipendente; al contrario potremo notare come si presenti strettamente connesso a
quella che può essere definita la storia, l’evoluzione e la morte della “sfera pubblica”.
Allo stesso modo l’evoluzione del sistema mediale ha segnato anche la trasformazione
della comunicazione politica, caratterizzandola a tal punto che ai giorni nostri si può
ragionevolmente affermare che essa non si appoggia più alle comunicazioni di massa,
ma che ne è divenuta talmente dipendente, da necessitare della loro presenza per
sopravvivere.
Dal momento che la legittimazione del potere politico viene sempre più dalla
gestione del potere simbolico, il quale a sua volta determina e definisce le possibilità di
retroazione dei destinatari, si rende necessaria un’analisi dei complessi rapporti tra
potere politico e sistema dei media. Tali rapporti vanno sia nella direzione dell’uso e
del controllo politico dei mezzi di comunicazione di massa, sia dell’influenza di questi
nel definire il campo nel quale avvengono le interazioni che danno forma al potere
politico. Se consideriamo che l’individuo agisce sulla base di immagini della realtà che
gli vengono fornite principalmente dai media [Lippmann 1922, 52], non possiamo
esimerci dall’analisi degli elementi di congiunzione tra sfera politica e sfera dei media
che sono da un lato la comunicazione politica e dall’altro la regolamentazione del
sistema mediale.
Analizzeremo prima la comunicazione politica, la sua evoluzione che è avvenuta
di pari passo sia con l’evoluzione della società – la quale ha comportato l’evoluzione
del sistema partitico – sia con l’evoluzione del sistema mediale. L’analisi della
comunicazione politica ci consente di cogliere in quale modo i mezzi di comunicazione
15
di massa siano entrati nel processo democratico della formazione del consenso. La
comunicazione politica è l’area che riguarda i rapporti tra il sistema dei media e il
sistema politico, e tra gli obiettivi ha quello di comprendere come i mass media
costruiscano la politica [cfr. Johnston 1990]. A sua volta questa particolare area ha dato
vita a filoni di ricerca articolati sui rapporti tra istituzioni pubbliche e politiche e mass
media, sulla satira politica, sui sondaggi d’opinione e sulla pubblicità elettorale.
Sebbene la comunicazione politica, nel suo significato testuale, possa essere fatta
risalire ai tempi dell’antica Grecia, in realtà è stata riconosciuta come ambito di ricerca
e disciplina solamente verso la metà degli anni Cinquanta. La scienza politica riconosce
infatti di aver trascurato nelle proprie categorie interpretative l’aspetto della
comunicazione, che oggi al contrario ha assunto una particolare rilevanza.
Per comprendere l’importanza della portata della comunicazione politica
dobbiamo inserirla nel suo quadro storico, ovvero nella sua evoluzione avvenuta in
concomitanza con l’evoluzione politica, sociale e mediale delle moderne società. È
necessario poi scomporla nelle sue molteplici forme che dipendono dalle varie forme di
interazione che si creano tra gli attori coinvolti, in quanto la comunicazione politica è
un sistema integrato di azioni comunicative. Da queste relazioni emergono chiaramente
i rapporti di potere che hanno sempre più richiesto forme di regolamentazione. In
particolare è necessario analizzare le modalità di costruzione della notizia, quale forma
più potente di definizione della realtà politica e più difficilmente regolabile attraverso
interventi normativi. Campo questo che presenta particolare interesse per la realtà
italiana, in quanto uno degli aspetti del conflitto di interessi riguarda proprio il controllo
da parte del Presidente del Consiglio di diverse emittenti di informazione.
Infine l’attenzione deve concentrasi sull’evoluzione dell’industria mediale nel
mercato delle opinioni, fase finale che si accompagna alla trasformazione della politica
dal suo essere incentrata sui partiti al suo essere incentrata sulla figura del leader come
effetto della personalizzazione della politica.
16
1.2 La comunicazione politica
Ad un primo livello di astrazione abbiamo fatto dipendere la formazione del
consenso dall’effetto dell’agire comunicativo della comunicazione politica sulla sfera
pubblica. Tuttavia concepire la comunicazione politica come un attore è accettabile
solo se ci si muove su un piano concettualmente astratto. La comunicazione politica
contemporanea è un sistema integrato di azioni ed attori: presuppone la trasmissione di
contenuti simbolici da una categoria di attori – i membri del sistema politico –
attraverso i mezzi e le regole del sistema mediale per arrivare ad un terzo attore
rappresentato dall’insieme dei cittadini (che costituiscono la sfera pubblica).
L’espressione comunicazione politica dunque stabilisce un nesso di reciprocità tra
due mondi distinti, da un lato il mondo della comunicazione di cui fanno parte la
stampa, la televisione, l’informazione; dall’altro il mondo della politica a cui
partecipano partiti , leader, candidati. Il suo scopo ed il suo effetto sono di intervenire
sull’insieme delle idee e delle opinioni che coesistono nella sfera pubblica per farle
convergere su una posizione: in altri termini la comunicazione politica si propone di
creare consenso.
La storia della comunicazione politica ha un carattere complesso e origini antiche.
Passa dalla retorica della filosofia greca, già riconosciuta come arte di persuasione, al
mondo romano. Questo ci da modo di capire che è errato pensare alla manipolazione
politica come fenomeno nuovo, al contrario l’arte della persuasione, della seduzione
oratoria, della manipolazione dell’elettorato trovano radici ben più remote [Chesnais
1995].
Ed è proprio dall’antica Roma che si sono ereditati sia alcuni termini ancora oggi
in uso, come candidato (pretendente alle cariche pubbliche) e comizio (riunione del
popolo attorno ad un oratore), sia alcune tecniche a favore della propaganda. Il Piccolo
manuale della campagna elettorale, scritto in forma di lettera a Cicerone dal fratello,
rappresentava infatti una raccolta di consigli e tecniche per vincere le elezioni [cfr.
Mazzoleni 1998]. Possiamo dunque intuire che simili tecniche di propaganda utilizzate
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dai moderni candidati non siano altro che una “riattualizzazione” di metodologie già
collaudate in passato.
Benché sia possibile collocare le origini della comunicazione politica in epoche
non propriamente recenti, è da riconoscere che tale pratica non possa vantare un
percorso lineare. Al contrario essa trova la sua piena espressione solamente in quei
periodi storici nei quali vigevano regimi non repressivi. In particolare, la sua natura di
agire comunicativo la pone in ragion d’essere in presenza di quegli ordinamenti che
basano la loro legittimità sull’adesione per motivi razionali (sia rispetto allo scopo che
al valore) o quanto meno affettivi [cfr. Weber 1922]. Infatti in presenza di ordinamenti
tradizionali la formazione del consenso è risolta dalla tradizione stessa. Per questo
motivo, a partire dalla fine della Repubblica Romana fino alle Rivoluzioni Americana e
Francese, è possibile constatare che la comunicazione pubblica ha attraversato un lungo
periodo di silenzio portato dalle repressioni assolutistiche (salvo sporadiche eccezioni
rappresentate dalle città libere del Nord Europa e dei comuni in Italia). È dunque
possibile ricominciare a parlare di comunicazione politica solo con la fine del XVIII
secolo e gli inizi del XIX, accanto a quei fenomeni che potremmo chiamare di stampo
libertario, come ad esempio il giornalismo libero. È dunque possibile affermare con
Mazzoleni che la comunicazione politica è il prodotto del processo di
democratizzazione e di comunicazione [ Mazzoleni 1998] che ha:
[…] trascritto l’ideale politico democratico del XVIII secolo nello spazio pubblico
allargato, dove le differenti componenti hanno uno statuto legittimo. Il grande problema da
quel momento in poi è stato non solamente di imporre il modello democratico, ma anche di
adattarlo ad una società radicalmente diversa da quella nella quale era stato pensato. Quel
modello, benché legato al voto e al diritto di manifestare, era stato concepito nel contesto di
una società illiberale e poco numerosa, molto differente dalla società di massa che prenderà
forma nel XX secolo, dominata dal peso dei grandi numeri, dai media e progressivamente
dall’opinione pubblica divenuta forza autonoma [Wolton 1989, 27].