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in cui la realtà è raccontata in maniera oggettiva, e quindi impersonale, ma passando attraverso filtri
soggettivi che ne falsano la percezione.
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Mariani parla, a proposito di Processi verbali, di studi di passioni; e tuttavia ammette esistere
un certo superamento di questo, che era l’orizzonte della Sorte. Ciò che De Roberto sentiva carente
nel metodo psicologico, vale a dire un’invadenza inevitabile da parte dell’autore, che può soltanto
immaginare cosa lui farebbe nella situazione dei suoi personaggi dal momento che la mente umana
è insondabile, è nel Rosario risolto felicemente; questa novella rappresenta infatti la sintesi di
psicologismo e naturalismo in cui De Roberto per primo non credeva, stando a quanto dichiarava
nell’introduzione all’Albero della Scienza. Secondo Mariani ciò che lo porta ai risultati artistici più
alti, non sempre eguagliati nella sua intera produzione, è proprio il superamento delle sue posizioni
teoriche:
…questa assidua introspezione dell’anima umana, questo minuto, tenace studio psicologico dà i suoi frutti
proprio al di fuori di ogni problematica, di ogni teoria e Il rosario, che avrebbe dovuto essere uno dei racconti
tracciati secondo il metodo naturalistico (e nella prefazione di Processi Verbali l’autore aveva affermato la sua
volontà di eliminare ogni “narrazione psicologica”) è il più grande studio dell’anima del primo De Roberto
anche se effettivamente non esiste “un solo tratto di narrazione psicologica”. […] Lo studio psicologico che in
sede teorica De Roberto aveva rifiutato e che aveva intrapreso per puro animus polemico si realizza
poeticamente proprio in quei Processi Verbali che, nella mente dell’autore, avrebbero dovuto essere la negazione
della narrativa psicologica, la dimostrazione più lampante dell’inconsistenza di ogni racconto psicologico.
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La vicenda in sé è povera di intreccio.
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Silvia Dai Prà spiega con un’efficace paragone lo stesso procedimento a proposito dell’Illusione: «Come nell’arte
cinematografica, dietro l’imparzialità della macchina da presa si nasconde una mente che seleziona, monta, riordina:
fino a creare una “rappresentazione soggettiva dell’oggettività come oggettività”» (SILVIA DAI PRÀ, Federico De
Roberto tra naturalismo ed espressionismo. Lo stile della provocazione, Istituto siciliano di studi politici ed economici,
Palermo 2003).
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GAETANO MARIANI, Federico De Roberto narratore, in Ottocento romantico e verista, Giannini, Roma, 1950. Di
opinione affatto diversa è lo Spinazzola quando parla proprio di Processi Verbali: «Il canone dell’impersonalità, la
rigorosa applicazione del metodo oggettivista costituiscono dunque la vera forza di questi racconti; tanto difettosa è
l’affermazione che il problema fondamentale di De Roberto fosse quello di dare libero respiro alla sua arte mettendo da
un canto le varie preoccupazioni d’ordine teorico, quando invece proprio per queste preoccupazioni la sua arte è viva e
valida, pur nelle sue stesse manchevolezze.» (VITTORIO SPINAZZOLA, Federico De Roberto e il verismo, Feltrinelli,
Milano 1961).
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Rosalia, che nel racconto non compare ma è solo menzionata, è stata ripudiata dalla madre per
avere scelto un marito che lei non approvava; ora questo marito è in fin di vita, e a Rosalia serve
l’aiuto delle sorelle, le quali tuttavia sono costrette a una vita di isolamento dalla possessività della
madre. L’intero racconto verte su questa tensione creata dai poli opposti della madre e di Rosalia
nell’anima delle tre sorelle. Incapaci di prendere una decisione rimanderanno tutto al confronto
diretto con la madre, vero cuore del racconto.
La novella è costruita unicamente con il dialogo se si escludono poche ma importantissime
allacciature diegetiche funzionali ad una corretta collocazione della vicenda.
Come molte delle novelle di De Roberto anche Il rosario rimane sostanzialmente indipendente
rispetto al contesto storico, politico o sociale della storia. Sappiamo per esempio che la famiglia
delle sorelle ha numerose rendite, ma questo acquista valore in relazione alla povertà della figlia più
che al sistema sociale, interno o esterno alla vicenda. Il timore che le figlie nutrono per la madre e le
conseguenti relazioni problematiche, più che dipendere dal potere economico che donn’Antonia
pure detiene saldamente, hanno piuttosto la funzione di illuminare ulteriormente i connotati dei
rapporti madre/figlie, come vedremo.
2. Lo scenario introduttivo: lo spazio esterno e lo spazio interno
Le prime righe del racconto immettono il lettore in una zona di confine: le sorelle Sommatino si
trovano infatti “all’uscio del giardino”.
La prima indicazione spaziale segnala così una posizione intermedia, alle soglie di un mondo al
quale però alle sorelle non è permesso accedere, vale a dire il mondo reale, esterno.
Una prima osservazione di questo genere permette di notare come De Roberto con pochissime
note ambientali ci dia numerose informazioni per comprendere il genere di personaggio di cui poi
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andrà a parlare: è un procedimento utilizzato anche ne La disdetta, dove il mondo fisico rispecchia
il mondo interiore al quale fa riferimento. In questo caso il punto di riferimento è situato
nell’interiorità delle sorelle. Come anche la loro disposizione spaziale dunque suggerisce, esse
vivono ai margini della vita vera, in una specie di campana di vetro dalla quale un divieto (per il
momento oscuro) vieta di uscire. Importante è anche il fatto che si tratti del giardino dell’abitazione,
che aggiunge un’altra preziosa indicazione sul mondo dei personaggi.
Non si ha qui lo studio di una passione che trascina il personaggio inesorabilmente con sé,
come poteva essere il vizio del gioco ne La disdetta o un’infatuazione cieca e irresponsabile in Il
matrimonio di Figaro, racconti in cui pure il dissolvimento della persona è rispecchiato
nell’ambiente. Quello che De Roberto mette sulla pagina nel caso del Rosario è infatti una
condizione esistenziale, palesata dallo stesso atteggiamento fisico delle donne: esse sono in una
posizione d’attesa, aspettando qualcuno che rechi loro notizie dal mondo esterno, reale. Anche
fisicamente, i loro gesti richiamano una situazione di incoscienza, di mancanza di indipendenza e,
in sostanza, una situazione mentale in cui i protagonisti (che come vedremo in seguito in questo
momento possono essere considerati collettivamente) non si sono ancora staccati dall’io infantile: la
casa rappresenta infatti il luogo familiare, una sorta di utero materno al sicuro da tutti gli stimoli
esterni, reali ma potenzialmente dannosi. Quello delle tre sorelle Sommatino è, all’inizio del
racconto, un mondo fittizio dal quale per il momento non sono ancora in grado di uscire, malgrado
profondamente desiderino farlo.
Non è fuori luogo una considerazione sul pessimismo derobertiano: per quanto il mondo delle
sorelle rappresenti davvero un mondo in cui le regole del mondo reale, e quindi adulto, siano
assenti, il parallelo con quest’ultimo non rappresenta un polo di integrità e soddisfazione: esso è
piuttosto un confronto implicito tra due diverse condizioni di infelicità: la sorella che ha avuto il
coraggio di emanciparsi dalla costrizione materna ne ha avuto in cambio dolore e sofferenza. Tale
lettura di questa sezione del racconto trova d’altra parte significativi punti di contatto con la
biografia dell’autore, anch’egli incapace per tutto il corso della sua vita di recidere il legame con la
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madre; condizionato invece da esso per tutta la vita in maniera addirittura soffocante, fu costretto
diverse volte a interrompere i suoi soggiorni fuori da Catania per starle vicino. In ogni caso, il
racconto autorizza una chiave di lettura biografica se questa consuona con elementi già presenti nel
testo.
De Roberto ci informa dunque di un mondo attraversato dalla grande opposizione esterno –
interno; essa si può leggere sia sul piano fisico, sia sul piano psicologico.
In effetti, la situazione intermedia in cui vediamo fisicamente coinvolte le sorelle Sommatino fa
riferimento ad una situazione intermedia spirituale: le donne mutilate nella loro partecipazione alla
vita vera e adulta, la vita delle scelte autonome e, ci ricorda De Roberto, di sofferenza, sono
costrette a vivere una vita senza rischi emotivi. Anestetizzate in questo lato della personalità, si
trovano ad un bivio cruciale ma non sanno scegliere. Spazialmente presso il cancello, sono incapaci
di varcarlo per recare soccorso alla sorella, e tuttavia contemporaneamente sono troppo coinvolte e
toccate nel profondo per ignorare l’ambiguità della situazione in cui versano, per non percepirne le
spinte contrastanti, e infatti la loro risposta non è un netto rifiuto. La scelta tra lo spazio della casa e
lo spazio del paese è anche la scelta interiore tra vita esterna, libera anche se dolorosa, e vita interna
o meglio isolata, arroccata in un mondo senza responsabilità. Le “didascalie” che inserisce De
Roberto sono precise:
Restavano un poco in silenzio, le une in giardino, l’altra nella via; l’uscio era aperto a metà e Caterina, la
maggiore delle vecchie zitelle, ci teneva sopra una mano, per poterlo subito richiudere, come in tempo di peste.
Ciò che c’è fuori è percepito pericoloso come una pestilenza, e le sorelle, così vicine al cancello
e così vicine alla sorella, sanno bene di essere esposte al rischio del contagio. E tuttavia continuano
a difendersene, continuano a parlare con la voce anestetizzata di chi non può decidere da sé.
Nel testo fino a questo punto è tuttavia presente anche un’altra opposizione, cioè quella tra
l’ostacolo come è percepito dalle sorelle e come è percepito da tutti gli altri. Si tratta di due
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percezioni diverse e inconciliabili tra loro, in cui è l’interiorità psicologica di ciascuno a dettare le
regole: per quanto la madre sia una presenza fisica e non solo un’entità oscura e maligna, essa
riveste il ruolo di personalità forte e dispotica solo per le sorelle, e non soltanto in virtù del loro
legame di sangue con essa, ma proprio a causa dell’impasse psicologica in cui si trovano: incapaci
di agire e quindi incapaci di staccarsi dalla casa, incapacità non condivisa dall’altra sorella, che
rimarrà pertanto assente per tutto il racconto, solo evocata.
Non succede così al resto dei personaggi, i quali non condividono la medesima psicologia.
Coloro che portano le notizie alle sorelle sono incapaci di parlare in maniera comprensibile alle
zitellone, dal momento che non sono sul medesimo piano di realtà:
«…Vostra madre, almeno, è una pazza che la conoscono tutti,…»
“Tutti”, ovviamente, meno le sorelle, per le quali la madre non è certo una pazza ma
rappresenta la loro volontà e la loro maturità mutilate.
In questo momento le sorelle non riescono a reagire né tantomeno a capire gli stimoli che
vengono loro offerti perché non hanno ancora iniziato ad operare alcun cambiamento: nella fase
iniziale devono ancora prendere consapevolezza dell’impossibilità di rimandare il conflitto, con la
madre e quindi con le proprie paure, e continuano insistentemente a negarlo. Tutto dentro di loro è
immobile, e il lettore si trova davanti alla diretta conseguenza cui questa immobilità ha portato: De
Roberto ci mostra il punto critico, il punto di non ritorno raggiunto dalle tre donne che in vita loro
non hanno mai deciso ma sono state sempre soggiogate da una volontà più forte. L’abilità dello
scrittore sta nel cogliere esattamente questo punto di scarto: ora una decisione s’impone perché le
donne sono prese tra i due fuochi: da una parte l’autorità familiare, dall’altra la legge della
convivenza civile. Sono a metà, e forse a questo si riferiva Brancati quando nella sua tesi di laurea
parlò dei racconti di Processi verbali come “drammi eschilei”. Mentre la comare Angela e le