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INTRODUZIONE
Con il titolo di questa prova finale vorrei esser riuscito a delimitare in modo
sufficientemente chiaro l’argomento del lavoro: una delimitazione quanto mai necessaria, vista
l’ampiezza delle questioni che si potrebbero indagare nell’interessante intreccio tra il diritto
penale e il mondo della religione.
Resteranno quindi esclusi da questa breve trattazione molti aspetti di studio quali le
origini storiche dei precetti penali e le tracce di radici culturali e religiose rinvenibili in molti di
questi, la distinzione tra precetti penali e morali e così tra reato e peccato oppure la tematica
attualissima della tutela penale dalla religione, legata fortemente al problema di come, ed entro
quali limiti, il diritto costituzionale di libertà religiosa tutelato dall’art. 19 possa trovare ingresso
ex art. 51 c.p. come causa di giustificazione dal rimprovero penale.
Ho cercato invece di analizzare il diritto penale come strumento di tutela della religione e
la conciliabilità di tale tutela con il principio di laicità caratterizzante il nostro ordinamento.
Entrando nell’argomento, non si può fare a meno di notare i forti mutamenti di prospettiva che
una specifica lettura del principio di laicità ha imposto in materia, così da rendere oggi più
corretto parlare di “tutela del sentimento religioso quale corollario della libertà religiosa”
piuttosto che di “tutela della religione”. In più, il concetto di confessione religiosa non può che
essere, nel rispetto del principio di uguaglianza, declinato al plurale.
Dopo un breve capitolo introduttivo sul principio di laicità, principio supremo dello Stato
come proclamato dalla Corte costituzionale, e sul concetto di confessione religiosa, analizzerò la
disciplina del capo I del titolo IV del codice, nel suo impianto originario e alla luce delle
modifiche apportate prima dal giudice delle leggi e, nel 2006, dal legislatore, il quale non ha
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fatto altro che dare compimento al processo rinnovatore iniziato dalla Corte stessa. Non sarà poi
dimenticato l’art. 724, dedicato alla bestemmia, e le sue vicende.
Vorrei infine brevemente dare conto delle ragioni della scelta di questo argomento. È ben
vero che la tematica affrontata è probabilmente, fra le tante della normativa penale, una di quelle
che più raramente trova applicazione nelle aule dei nostri tribunali e la tendenza sembra sempre
più confermarsi in diminuzione, ma non si può fare a meno di riconoscere che la tutela penale
del sentimento religioso è materia così delicata da rappresentare un’importante spia di coerenza
costituzionale di un ordinamento che voglia, nel suo essere autenticamente laico, difendere il
proprio carattere democratico e pluralistico.
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IL PRINCIPIO DI LAICITÀ
NELL’ORDINAMENTO ITALIANO.
SOMMARIO: 1.1. Il principio di laicità nell’ordinamento italiano. Premessa. - 1.2. Il
principio di laicità affermato dalla Corte costituzionale. - 1.3. La laicità come
pluralismo e non indifferenza dinanzi alle religioni. - 1.4. La laicità come neutralità,
uguaglianza e tutela delle minoranze. - 1.5. Un accenno al dibattito in corso sulla laicità.
- 1.6. Una laicità penale? - 1.7. Il fenomeno religioso e le confessioni religiose. Un
problema di definizione.
1.1. Il principio di laicità nell’ordinamento italiano. Premessa.
È sotto gli occhi di tutti quanto il tema della laicità sia ormai al centro dell’attenzione nel
dibattito culturale e politico, non di rado aspro terreno di scontro fra i diversi punti di vista. A
tale discussione non poteva ovviamente restare estraneo il diritto, così nel confronto dottrinale
come nelle sue risposte istituzionali. Quella della laicità è infatti una questione che da sempre, e
non solo da oggi, chiede risposte all’ordinamento, sebbene solo negli ultimi tempi ci si è trovati
di fronte a problematiche assolutamente nuove e di fronte alle quali le soluzioni sono tuttora
aperte.
Il tema, vastissimo, potrà qui essere solo accennato. Al fine di questo lavoro, e non a caso
è il primo aspetto che si affronta, è preliminarmente necessario accertare come il “principio di
laicità (…) caratterizza la forma del nostro Stato” 1, così da poter avere il quadro di riferimento
all’interno del quale il problema delle religioni e della loro tutela penale si inserisce.
1
Corte cost., 13 novembre 2000, n. 508, in www.cortecostituzionale.it.
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Con questo approccio, che vuole essere di carattere introduttivo, non possiamo che partire
da come il principio di laicità vive nel nostro ordinamento per opera anzitutto delle pronunce
della Corte costituzionale e successivamente nel dibattito dottrinale, cercando infine di delinearlo
in riferimento al più ristretto ambito del diritto penale.
1.2. Il principio di laicità affermato dalla Corte costituzionale.
Il principio di laicità non trova in Italia, a differenza di altri paesi 2, una esplicita consacrazione
in Costituzione. Il suo riconoscimento nel nostro ordinamento lo si deve alla Corte
costituzionale, che lo proclamò per la prima volta nella sentenza n. 203 dell’11 aprile 1989,
facendolo derivare non da una singola norma costituzionale ma da una serie di articoli (nello
specifico gli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 Cost.), i quali “concorrono a strutturare il principio supremo
della laicità dello Stato, che è uno dei profili della forma dello Stato delineata nella Carta
costituzionale della Repubblica”. Nella stessa sentenza si affermava che “il principio di laicità
(…) implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la
salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale”. In altra
successiva pronuncia troviamo poi l’affermazione per cui “il supremo principio di laicità
caratterizza (…) in senso pluralistico la forma del nostro Stato entro il quale hanno da convivere,
in eguaglianza di libertà, fedi, culture e tradizioni diverse”.3
Già da queste poche citazioni è possibile ricavare una connotazione del principio di
laicità che è alla base di tutti gli interventi del giudice delle leggi in materia di tutela penale della
religione. Sono da sottolineare: il forte vincolo tra la laicità e il carattere pluralista della nostra
democrazia, il rifiuto di una laicità che si tramuti in indifferenza verso il fenomeno religioso e
infine il chiaro richiamo ad una esigenza di uguaglianza e quindi, in ultima analisi, di neutralità.
2
Il riferimento è, per esempio, alla Costituzione della Repubblica Francese, che nel suo primo articolo sancisce: “La Francia è
una Repubblica indivisibile, laica, democratica e sociale”.
3
Corte cost., 13 novembre 2000, n. 508, cit.
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Si vedrà adesso brevemente il principio sotto questa sfaccettatura di significati, sottolineandone
le convergenze.
1.3. La laicità come pluralismo e non indifferenza dinanzi alle religioni.
La configurazione data dalla Corte costituzionale al principio di laicità fa propendere
immediatamente verso quella che parte della dottrina ha definito “laicità positiva” 4, laddove con
questo aggettivo si vuole sottolineare che lo Stato si pone dinanzi al fenomeno religioso senza
rifiutarne la rilevanza pubblica e senza nemmeno porsi di fronte a questo con indifferenza. Anzi,
lo Stato si fa promotore di uno spazio pubblico laico (nel senso positivo di “spazio pluralista”)
nel quale le varie identità religiose e culturali non sono chiamate ad annullarsi ma piuttosto ad
esprimersi nelle loro specificità, in un contesto di reciproco rispetto e tolleranza. Occorre qui
sottolineare come solo un tale approccio può dare piena vita ai principi costituzionali di libertà di
religione e di pensiero (artt. 19 e 21 Cost.) e che questa accezione della laicità si contrappone ad
una concezione di Stato “laicista” (per dirla con un termine molto in uso nel recente dibattito,
talvolta abusato) che volesse rifiutare aprioristicamente ogni forma di espressione pubblica del
sentimento religioso. Verso una tale prospettiva appare evolversi, ad esempio, l’ordinamento
francese, il quale tende ad “imporre, ad una popolazione di recente installazione sul territorio, i
valori ritenuti comuni a tutti” 5, quasi che per tutelare la laicità fosse richiesto di imporre una
sorta di “religione civile” nel cui nome si limita la libertà religiosa stessa. Secondo la Corte
costituzionale italiana, non c’è invece alcuna dicotomia tra la libertà religiosa e il principio di
laicità, ma semmai quest’ultimo si pone in rapporto di promozione della prima.
È chiaro che una tale configurazione del principio appare la più compatibile con il
permanere di una tutela penale in questo campo, tanto che la stessa Corte segnala come il
4
Per tutti, C. VISCONTI, La tutela penale della religione nell’età post secolare e il ruolo della Corte costituzionale, in Religione
e religioni: prospettive di tutela, tutela della libertà, a cura di G. de Francesco – C. Piemontese – E. Venafro, Torino, 2007,
p.282.
5
I. MANSUY, Laicitè versus laicisme: l’esperienza francese, in Religione e religioni, cit., p. 307.
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“principio di laicità (…) legittimi interventi legislativi a protezione della libertà di religione” 6. Il
tema dell’opportunità di una tutela penale della religione non si esaurisce però in questi termini.
1.4. La laicità come neutralità, uguaglianza e tutela delle minoranze.
Un secondo profilo della laicità affermata in Italia a seguito delle pronunce della Corte
costituzionale è quello della neutralità, che, a differenza dell’aspetto appena visto, ha un
contenuto di carattere negativo, esprimendosi nella necessità che lo Stato si astenga dal
privilegiare una particolare espressione della libertà religiosa. Questo contenuto negativo si pone
non in contraddizione con quanto appena affermato in tema di laicità “positiva”, ma bensì in un
rapporto di equilibrio. La Corte costituzionale più volte è tornata a ribadire questo aspetto
laddove, nel parlare di “eguaglianza di libertà, fedi, culture e tradizioni diverse” 7, ha espresso la
necessità che lo Stato mantenga una propria equidistanza (visto l’approccio “italiano” alla libertà
religiosa, potremmo parlare efficacemente di “equivicinanza”) nei confronti delle varie religioni.
Una prima conseguenza ricavabile da questo enunciato è l’impossibilità dell’affermarsi
(o, meglio, del riaffermarsi) di una religione di Stato 8. Un tale rifiuto non può limitarsi ad un
piano meramente formale, ma deve invece spingersi fino ad eliminare dall’ordinamento qualsiasi
persistenza, velata o meno, di una religione di Stato anche sul piano sostanziale. La Corte
costituzionale ha così respinto (non senza travolgere propri precedenti orientamenti) ogni
motivazione che potesse giustificare il trattamento differenziato di una confessione religiosa (e
quindi, di riflesso, una tra le tante espressioni di libertà religiosa) a danno delle altre. Tale
6
Corte cost., 13 novembre 2000, n. 508, cit.
7
Corte cost., 13 novembre 2000, n. 508, cit.
8
Già lo Statuto Albertino, nel suo primo articolo, parlava della “religione Cattolica, Apostolica e Romana” come della “sola
religione dello Stato”. Sarà poi il Concordato del 1929 a riaffermare e dare vita piena a questo principio, il quale verrà
formalmente meno nel 1984 con l’accordo di revisione. Non manca chi tuttora sostiene il superamento di questo principio già con
l’entrata in vigore della Costituzione (e non in conseguenza del nuovo Concordato), posta l’incompatibilità del permanere di una
religione di Stato con i nuovi principi di libertà religiosa e di uguaglianza delle confessioni.