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utilizzata diffusamente?
Le principali fonti bibliografiche che ho utilizzato sono state da una
parte le ricerche di Daniel Goleman e altri studiosi e psicoterapeuti
che hanno coltivato contemporaneamente l'interesse per lo studio della
mente umana nella visione occidentale e dell'introspezione meditativa;
dall'altra parte gli scritti di Jon Kabat-Zinn, inventore dell'approccio
Mindfulness, e altri protocolli terapeutici derivati da questo approccio.
Procedere attraverso tali fronti principali, mi ha portato a circoscrivere
l'argomento della meditazione nelle due pratiche vipassanā buddhista
e zen per alcune ragioni. In primo luogo la meditazione è un metodo
di tradizione millenaria, usata da popoli e culture diverse in ognuna
delle quali prevalgono assunti di base diversi e tecniche varie, quindi
un campo di conoscenza molto vasto che richiederebbe un lavoro a sé.
In secondo luogo, pratiche vipassanā e zen sono le più conosciute per
il fatto che il Buddha Gautama Siddharta, ha saputo sintetizzare e
rendere univoche numerosi tipi di meditazioni induiste, le quali
vantavano una storia secolare; egli stesso infatti era induista. Infine,
secondo la visione occidentale, in base agli studi di Goleman e alla
prospettiva di Kabat-Zinn, la meditazione vipassanā e zen sembrano le
più complete sia dal punto di vista teorico, sia dal punto di vista della
pratica stessa e per il fine a cui mirano. È certamente questo il motivo
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per cui vengono sempre più considerate dalle scuole psicologiche,
questi due tipi di meditazione sembrano spogliarsi dai dogmi e riti
religiosi di cui fanno parte.
Il primo capitolo descrive i fondamenti della meditazione vipassanā e
zen, con a seguire, una comparazione tra le teorie psicologiche
moderne e terapeutiche, fino a giungere agli studi scientifici compiuti
sulla meditazione.
Il secondo e terzo capitolo sono dedicati esclusivamente alla
Mindfulness, ai suoi fondamenti teorici, alle diverse modalità di
meditazione, al percorso che l'ha condotta a divenire una possibile
base terapeutica per curare il disagio e la sofferenza mentale dell'uomo
moderno in particolare a specifiche psicopatologie.
L'obiettivo è quello di delineare le caratteristiche della meditazione, su
come possa influire sulla mente di chi la pratica e sui suoi vissuti
personali e investigare su una sua possibile integrazione con le attuali
psicoterapie.
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CAPITOLO PRIMO
LA MEDITAZIONE IN UNA VISIONE OCCIDENTALE
L'oriente da millenni attraverso varie religioni e credi, ha fornito una
grande arma, la meditazione, che oggi si sta diffondendo in tutto il
mondo. Al di là dei precetti religiosi e dogmatici, senza l'esperienza
vitale che fornisce la meditazione sostiene Goleman (1997), i
fondamenti delle religioni diventano senza scopo e si rilevano vuote.
La meditazione fornisce un terreno per liberare l'uomo dai suoi
condizionamenti attraverso l'estinzione del continuo flusso di
pensiero. Attualmente, secondo Lamparelli (2008), solo la cultura
della meditazione appare in grado di pacificare il mondo dall'interno
dell'individuo e promuove valori che sono indispensabili a far
diminuire la “febbre violenta che arroventa il pianeta”, quali la calma,
la distinzione, il distacco, il silenzio, l'armonia con la natura, la non-
aggressività, la non-competizione, l'osservazione di sé e del mondo.
Goleman (1997), grazie alle conversazioni e incontri con molti maestri
orientali, compiute durante un viaggio in India, compie una
classificazione delle tecniche di ogni sistema di meditazione. Il più
forte accordo tra le scuole di meditazione, è individuato
sull'importanza di mantenere l'attenzione. Tutti i sistemi vengono
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classificati sulla base delle strategie per mantenere l'attenzione, quali
la concentrazione, o la consapevolezza, oppure entrambe tramite una
combinazione integrata. Secondo l'analisi, si comprende che la
meditazione vipassanā e Zen, sono le uniche che integrano capacità
quali la concentrazione e la consapevolezza (Goleman, 1997).
Zen e vipassanā prevedono entrambe un inizio con esercizi di
concentrazione per arrivare ad un certo grado di quiete e calma
mentale detto samadhi (Goleman, 1997). Questo è un passo necessario
ma non sufficiente allo sviluppo della consapevolezza, anzi addirittura
può rilevarsi un rifugio della mente con un concomitante
rafforzamento dell'ego dell'individuo, va quindi superato con
l'estenzione della consapevolezza alla totalità dell'esperienza
(Lamparelli 2008). Ne deriva che le immersioni profonde nel samadhi
sono passi necessari, ma non sufficienti, verso l'illuminazione. La
saggezza della penetrazione viene dopo e sorge dal samadhi
(Goleman, 2003). Quindi il samadhi è uno stato propedeutico in cui si
rafforza la capacità di essere concentrati, per poi sviluppare la
consapevolezza. La concentrazione e la calma mentale, sono solo dei
mezzi per rendere più proficua la consapevolezza, infatti come
asserisce Kabat-Zinn (1999) “in assenza di calma lo specchio della
consapevolezza presenterà una superficie agitata e turbolenta, che non
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riflette le cose con accuratezza”, ma allo stesso tempo ritiene la pratica
di concentrazione incompleta se non integrata e approfondita da
consapevolezza. La capacità d'infondere calma e stabilità mentali
devono essere messe al servizio di una profonda ricerca interiore e
della comprensione delle interazioni di un ampio arco di esperienze di
vita (Kabat-Zinn, 1999).
Tali meditazione inoltre prevedono il superamento e il distacco della
tradizione stessa da cui sono nate, e la liberazione di qualsiasi
dipendenza o dogma. Lo zen a tal proposito ha enunciato il famoso
principio che recita: “se incontri il Buddha, uccidilo!”.
Inoltre meditazione vipassanā e zen si adattano perfettamente alla
società contemporanea che enfatizza l'attività e il movimento.
L'opinione comune sulla meditazione è lo stare seduti nella classica
posizione a gambe incrociate a “non fare niente”. Contrariamente le
meditazioni qui riportate postulano lo sviluppo della consapevolezza
nella vita di tutti i giorni, mentre si compie qualsiasi attività.
1.1 Meditazione vipassanā
Vipassanā è un termine pali che può essere tradotto con “visione
profonda” o “visione intuitiva”.
Questa meditazione nasce dalla vasta tradizione buddhista,
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precisamente dalla scuola theravāda, meglio conosciuta con il nome di
hinayāna, quella del Piccolo Veicolo, la quale si differenzia dalla
mahāyāna del Grande Veicolo. Hinayāna e mahāyāna si differenziano
nel modo di concepire la funzione dell'illuminato di comunicare,
trasmettere e insegnare il messaggio su come arrivare
all'illuminazione, la cui dimensione profonda sfugge a ogni possibile
definizione verbale. Anche il Buddha si era accorto che non è
sufficiente conoscere mentalmente una dottrina o dei principi per
ottenere l'illuminazione (Lamparelli 2008).
Il problema della trasmissione è strettamente connesso a quello dei
metodi di meditazione e quindi della via da seguire per arrivare
all'illuminazione. Il Grande Veicolo accentua la devozione, l'etica, la
compassione, la riflessione e la quiete mentale, mentre il Piccolo
Veicolo e in particolare la scuola theravāda dà maggior importanza
alla tecnica della presenza mentale, della consapevolezza e della
penetrazione intuitiva. Entrambe le fazioni comunque consigliano che
le tecniche di meditazione devono essere precedute da comportamenti,
atteggiamenti, conoscenze e operazioni di purificazione, sintetizzati
dallo stesso Buddha nella formula dell'ottuplice via (Lampareli, 2008)
e oltre ciò, la conoscenza della quattro nobili verità.
Le quattro nobili verità furono il primo insegnamento che il principe
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Siddharta Gautama compì circa sette settimane dopo l'illuminazione.
In questo discorso spiegò che la vita è sofferenza, ma che questa
sofferenza dipende da delle cause e quindi può essere estinta (Lama
Thubten Zopa Rinpoche, 1979)
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.
L'ottuplice via fa riferimento a degli atteggiamenti e comportamenti
che l'uomo deve seguire per arrivare all'illuminazione che sono: la
retta opinione, la retta intensione, la retta parola, la retta azione, il
retto modo di vivere, il retto sforzo, la retta presenza mentale e la retta
meditazione. Di particolare importanza è quest'ultima che senza di
essa il buddhismo non si sarebbe distinto da altre religioni con
precetti, comandamenti e regole da seguire, insegnamenti di buone
intenzioni, tuttavia incapaci di trasformare la personalità
dell'individuo. Senza le tecniche meditative, gli altri sette punti
sarebbero inefficaci, regole da seguire allo scopo di fare buone azioni
ed evitare le cattive, ma che con l'aggiunta della meditazione, queste
volizioni morali danno capacità di penetrare nel profondo dell'essere e
di permettere all'individuo un cambiamento sostanziale. D'altra parte il
buddhismo, fornisce alla meditazione un contesto ideologico che
prima non aveva o che aveva in modo non consapevole. Il Buddha
1 Dalai Lama, Trasformare la mente, riflessioni su vita, amore e felicità, Mondadori
Editore, Milano, 2005.
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conferisce al dhyāna, termine che indica uno stato di contemplazione
o sospensione delle modificazioni mentali, un significato e una
portata universale, in quanto molti metodi esistevano già prima, ma lui
riesce a dargli unità e coerenza e inserirli in una dottrina di più ampio
respiro (Lamparelli, 2008). La meditazione permette di passare
dall'enunciazione di semplici principi alla conoscenza della verità, da
una comprensione intellettuale di buoni propositi alla realizzazione
concreta, un metodo con cui si riesce a sospendere i condizionamenti e
il determinismo che agisce sull'individuo (Lamparelli, 2008).
In altre parole, lo sforzo del Buddha consiste nel fornire la giusta
motivazione al meditante, aggiungendo conoscenze della psiche
umana, in modo da facilitargli la liberazione. Quindi i precetti e
conoscenze psichiche dapprima hanno lo scopo di indirizzare
l'individuo sulla giusta via e fargli raggiungere uno stadio preliminare
dove, pur avendo intuito la verità o compresa intellettualmente, non
l'ha ancora realizzata concretamente, e dunque, necessita di farsi
guidare da regole esterne. Solo in seguito svilupperà quella sapienza o
presenza mentale, che lo guideranno per la giusta via al di fuori dei
condizionamenti della mente. Regole stabili non possono condurre
l'individuo all'illuminazione, in quanto la realtà è perennemente
mutevole e dinamica, solo la consapevolezza risulta capace di
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adattarsi alle diverse circostanze di vita (Lamparelli, 2008).
Secondo la visione buddhista la mente è il mezzo attraverso cui si
attua la sofferenza e la tensione esistenziale, è fondamentale perciò
agire su di essa, sulle sue funzioni e strutture per non soffrire più. La
causa della sofferenza è l'ignoranza di come la mente condiziona e
rende schiavo l'individuo. Grazie all'assorbimento meditativo è
possibile penetrare nella realtà della mente e conoscere ciò che
influenza stati d'animo e comportamento (Lamparelli, 2008).
Il metodo di fondo consiste nel vedere come tutte le cose si originano,
divengano e scompaiono, capire come tutto è impermanente. La
comprensione dell'impermanenza è molto importante per capire che
tutto, dentro e fuori la mente, accade semplicemente per le sue cause. I
fenomeni sono soggetti alla disgregazione e al cambiamento a causa
della loro natura che è prodotta da cause e condizioni (Dalai Lama,
2005). L'individuo si attacca alle cose materiali e agli stati interni,
quali sentimenti e pensieri, perché non comprende la loro vacuità, non
vede che tutto nasce, cambia e muore in quanto dipende da altre
condizioni. Quindi tutto è vacuo e interdipendente, cioè privo di
esistenza intrinseca e tutto è destinato a finire. L'uomo vive, secondo il
buddhismo, in uno stato di illusione perché crede che ogni fenomeno
abbia una propria vita e sia indipendente da altre condizioni e