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la tutela dei diritti dell'uomo, della democrazia parlamentare e garanzia del primato
del diritto
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Questo impegno è sfociato nella nascita della Convenzione europea dei Diritti
dell’uomo firmata a Roma il 4 novembre 1950 ed entrata in vigore il 3 settembre
1953. Ad essa aderiscono tutti i 47 Stati membri del Consiglio d’Europa.
Le norme contenute nella Convenzione, sono state elaborate sul modello della
Dichiarazione Universale del 1948 ed adattate ad un progetto d’iniziativa regionale.
Questo non ha implicato una frammentazione dei diritti, ma semplicemente
una ripresa dei concetti e delle interpretazioni della Dichiarazione delle Nazioni
Unite in riferimento a un ambito geo-politico definito.
Infatti la Convenzione, come esplicitato nel suo preambolo, si fonda sul
«riconoscimento di un patrimonio comune di tradizioni e ideali politici […] per
assicurare la garanzia collettiva di alcuni dei diritti enunciati nella Dichiarazione
Universale».
Si è creato così uno spazio giuridico comune europeo, in cui i diritti
dell'uomo e le libertà fondamentali garantite dalla Cedu occupano il primo posto e
dove gli Stati valgono come soggetti garantiti e responsabili di fronte alla comunità
internazionale.
Diritti fondamentali intesi non solo come difese individuali contro il potere
pubblico, ma valori di una cittadinanza collettiva sovranazionale che diviene il
collante dell'intero sistema.
L’adozione della Convenzione ha fatto si che si prestasse una maggiore
attenzione ai rapporti tra giurisdizioni internazionali e giurisdizioni presenti negli
Stati firmatari; questo perché la Convenzione non solo elenca una serie di diritti di
cui i soggetti degli ordinamenti statali sono titolari, ma ha altresì previsto al suo
interno un complesso meccanismo di tutela giurisdizionale garante dell’effettività di
tali diritti.
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I paesi che diedero vita inizialmente al Consiglio d'Europa sono 10 (Belgio, Danimarca,
Francia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Regno Unito,Svezia), mentre altri 37
stati hanno aderito successivamente. I soli stati europei non membri sono il Vaticano (che rimane
volontariamente al di fuori delle organizzazioni internazionali) e la Bielorussia (a cui è stata negato
l'ingresso per mancanza di democrazia).
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Il riconoscimento di un sistema di controllo propriamente giurisdizionale ha
rappresentato una novità fondamentale nella tutela di diritti dell’uomo. Basti pensare
alla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo che, pur essendo dotata di
un’altissima autorità morale, all’affermazione dei diritti umani affianca procedimenti
di naturale meramente diplomatica o politica non in grado di superare efficacemente
le barriere della sovranità statale
Con l’adozione del Protocollo XI alla Convenzione europea dei diritti
dell’uomo entrato in vigore il 1 novembre 1998, l’istituzione della Corte europea dei
diritti dell’uomo, quale organo primo nell’interpretazione e applicazione della
Convenzione, ha necessariamente aperto la strada a valutazioni dottrinali circa le
relazioni – e i conflitti – che possono sorgere tra il livello internazionale e il livello
statale. È infatti, innanzitutto il giudice nazionale che deve garantire il rispetto dei
diritti previsti dalla Convenzione, prevedendosi solo in un momento successivo
l’intervento della Corte.
Evidente è il carattere di sussidiarietà che impronta questo duplice grado di
tutela misto introdotto dal sistema convenzionale, in cui lo Stato si assume la
responsabilità di attrezzarsi per sanzionare efficacemente le violazioni in cui può
essere incorso (art. 13 Cedu), mentre la Corte vigila che ciò avvenga per «assicurare
il rispetto degli impegni risultanti dalla presente Convenzione» (art. 19 Cedu) e,
quindi, di intervenire in supplenza solo se questi siano stati disattesi
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Sennonché oggi la funzione giurisdizionale, che interessa la tutela dei diritti,
non si svolge soltanto nell’ambito statale, ma viene anche esercitata da un organismo
internazionale, in vista dell’integrazione di quella tutela e nella prospettiva di
assicurare, dov’essa non sia prevista, o di migliorare, dove sia insufficiente, la
garanzie dei diritti fondamentali.
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Il tipo e il livello di tutela che la Convenzione offre agli individui è, a differenze del sistema
comunitario, necessariamente superstatuale. Essa è, infatti, volta a sanzionarne le violazioni della
Convenzione da parte degli Stati ai danni degli individui, onde non a caso il relativo ricorso è
attivabile, una volta esauriti i rimedi interni.
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Il discorso sulla tutela multilivello dei diritti evoca dunque l’idea che, a fronte
delle stesse situazioni giuridiche soggettive, esistano nei diversi ordinamenti che le
contemplano diverse forme di tutela, collocate su differenti livelli.
E poiché questi diritti sono, in via di principio, riconosciuti ai medesimi
soggetti che operano nei diversi ordinamenti, si pone il problema – la cui risoluzione
non sempre è affidata a specifiche norme – del coordinamento delle tutele offerte in
ciascuno di essi
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Scopo della presente trattazione sarà quindi l’approfondimento e lo
sviluppo delle relazioni tra il sistema Cedu e gli ordinamenti giuridici nazionali,
volgendo uno sguardo più attento ai rapporti tra i due livelli di tutela e soprattutto
alle difficoltà incontrate dai giudici nazionali a dar seguito ed effettività al principio
di sussidiarietà nella tutela dei diritti umani.
Va precisato che lo studio non interesserà principalmente ed esclusivamente
l’atteggiamento del giudice italiano, ma proprio per dare una impronta più
comparatistica, e al tempo stesso più completa e interessante, si studieranno anche i
sistemi giurisdizionali degli altri Stati aderenti alla Cedu – principalmente Francia,
Germania ed Inghilterra - e come tali ordinamenti siano entranti in contatto con il
sistema Convenzionale dei diritti dell’uomo. Ma ciò tuttavia, non escluderà un esame
più approfondito e attento sui rapporti tra il nostro giudice nazionale e il sistema
Cedu.
Punto di partenza necessario del mio studio sarà dunque, dopo una breve
sintesi storica sulla Cedu, un’analisi delle funzioni che la Convenzione attribuisce
alla Corte europea dei diritti dell’uomo, con la consapevolezza che una trattazione
molto più analitica dovrà essere riservata allo studio del modus operandi della Corte
nel suo ruolo fondamentale di interprete della Convenzione.
Compito primario della Corte è infatti l’elaborazione di uno jus comune che
non può e non deve in alcun modo dipendere dalle singole qualificazioni giuridiche
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Dal punto di vista teorico-generale, dalla pluralità degli ordinamenti giuridici, si ricava il
corollario della relatività dei valori giuridici, sia nel senso ampio e generico che i medesimi fatti sono
suscettibili di ricevere diversa e antitetica qualificazione, sia in quello più specifico che gli stessi
valori sono assunti e interpretati in modo necessariamente diverso in ciascun ordinamento.
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date alle norme della Convenzione nei diversi sistemi giuridici degli Stati contraenti,
contribuendo cosi all’effettività creazione di un diritto europeo dell’uomo.
Consequenziale allo studio del ruolo e delle funzioni della Corte di
Strasburgo sarà l’analisi degli obblighi che incombono allo Stato di fronte alle sue
decisioni.
Si noterà come, seppur le sentenze della Corte europea sono dotate di
un’efficacia solamente dichiarativa, lasciando cosi libero lo Stato di decidere in che
modo e con quali mezzi possa metter fine ad una violazione della Convenzione, negli
ultimi anni, soprattutto di fronte al problema delle violazioni strutturali, le sentenze
della Corte abbiano assunto una connotazione sempre più dettagliata, fino a
“consigliare” allo Stato condannato le misure necessarie a evitare continue e future
violazioni.
Poste queste premesse, si tratterà poi di considerare nelle linee generali i
diversi sistemi di tutela e le loro reciproche interferenze.
Viene per primo, direi naturalmente, in rilievo il sistema statale dei diritti
fondato sulla Costituzione. Le Costituzioni nazionali in genere, ed in particolare la
nostra, prevedono un complesso e articolato sistema di diritti unito alle garanzie per
renderli effettivi.
Cosicché si passerà all’esame della giurisprudenza delle Corti costituzionali
per coglierne gli indirizzi e gli atteggiamenti di fronte ad un testo – quello europeo –
che presenta ambiti materiali sovrapponibili – la tutela dei diritti fondamentali –
rispetto alle rispettive Carte costituzionali.
Negli ultimi anni la dottrina costituzionalistica ha dedicato uno spazio di
riflessione sempre maggiore alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali e l’attività giurisdizionale della Corte di
Strasburgo.
Guardare il fenomeno Cedu prima con gli occhi della Corte costituzionale e
poi con gli occhi del giudice ordinario, ci consentirà di cogliere con maggior
precisione le linee guida di ciascun indirizzo giurisprudenziale, evitando di
sovrapporre ambiti funzionali differenti.
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A ciò va aggiunto che una panoramica offerta dal giudice costituzionale
consentirà di dare al lavoro una maggiore scorrevolezza e comprensione, se
consideriamo come l’atteggiamento del giudice comune venga costantemente
influenzato dalle pronunce del giudice costituzionale.
Proprio la difficoltà da parte della Corte costituzionale italiana di dare un
esatta qualificazione giuridica alle Cedu e la mancanza di una risposta chiara di
fronte a problemi di applicazione in ipotesi di conflitto tra i due sistemi giuridici, ha
avuto come logica conseguenza una eterogeneità di posizioni del giudice comune, a
tutto svantaggio di quelle esigenze di certezza ed effettività del diritto.
Come si vedrà, con ciò non si vuole dire che il percorso seguito dalle altre
Corti costituzionali sia stato fin dalla ratifica del testo convenzionale sempre lineare
nei suoi confini.
La difficoltà di trovare un giusto equilibrio istituzionale – soprattutto a
livello giurisdizionale - tra l’ordinamento giuridico e il sistema di Strasburgo ha
investito, seppur con sfumature diverse, tutti i paesi firmatari.
E le difficoltà maggiori sono venute in essere proprio nel momento
applicativo dei diritti riconosciuti della Convenzione– quindi da un testo esterno
all’ordinamento - in controversie aventi un carattere puramente interno.
Per adesso basti pensare all’esempio dell’Inghilterra che proprio perché
basata su un sistema giuridico di common law fondato su leggi non scritte e
sviluppatosi attraverso i precedenti delle decisioni giurisprudenziali, ha avuto delle
difficoltà enormi nel riconoscere effettività alla Cedu, rilevandosi, nei primi due
decenni successivi alla ratifica, una totale assenza nei case law di rifermenti
all’autorità, o anche solo all’esistenza, della Cedu.
Seppur l’Inghilterra fu il primo Stato a ratificare la Convenzione nel 1951,
solo con lo Human Rights Act del 2004 si è raggiunto il risultato di rafforzare la
posizione della giurisprudenza inglese, donandole un ruolo di protagonista, anche se
non proprio assoluto, nella vicenda del recepimento inglese dei Convention rights.
Tuttavia solo la Corte costituzionale italiana pur essendosi pronunciata più di
una volta sul problema dell’adattamento della Convenzione nel nostro ordinamento –
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pensiamo solo al Conseil constitutionel francese che con la sola sentenza IVG
(Interruption volontaire de la grossesse) del 1954 ha riconosciuto una volta e per
tutte al giudice ordinario il potere di disapplicare la normativa interna in contrasto
con i diritti riconosciuti dalla Cedu – ha adottato il più delle volte motivazioni
confuse ed incomplete, ottenendo come unico risultato una dubbia collocazione della
Convenzione, senza dare cosi una risposta soddisfacente ai dubbi che si venivano
delineando nella giurisprudenza di merito e legittimità.
Si è cercato di porre fine a questa latente incertezza con le recenti sentenze
348 e 349 del 10 ottobre 2007.
Con queste due sentenze finalmente la Corte costituzionale italiana si è
autorevolmente pronunciata sui rapporti tra Convenzione europea dei diritti umani e
ordinamento italiano.
Si tratta di decisioni particolarmente importanti. Per la prima volta infatti la
Corte è stata chiamata a valutare tali rapporti alla luce dell'art. 117, Cost., primo
comma, come novellato con 1. cost. del 2001, e cioè alla luce del principio secondo il
quale «lo Stato e le Regioni devono esercitare la loro potestà legislativa nel rispetto
della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli
obblighi internazionali».
In secondo luogo, l'evoluzione del sistema della Cedu in seguito alle
modifiche al sistema di controllo intervenute con i Protocolli 11 e 14 e soprattutto
attraverso la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, aveva da tempo riproposto con
urgenza nel nostro ordinamento il tema della sistemazione definitiva del rapporto tra
norme interne e norme della Cedu e del valore delle sentenze della Corte di
Strasburgo
Di modo che concluderò la mia indagine studiando le novità apportare da
questa nuova giurisprudenza costituzionale, mettendone in luce non solo gli aspetti
positivi, ma anche i dubbi e gli interrogativi sorti in dottrina, consapevole
dell’importanza dialettica nella stesura di un lavoro critico e completo.