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CAPITOLO I - LA CHIESA DI SANTA MARIA
ANNUNCIATA A BIENNO
Molto spesso lo studio della cultura artistica diffusa nelle valli prealpine tra il XV e il XVI
secolo richiede una particolare declinazione dei concetti di Umanesimo e Rinascimento in
quanto le connotazioni estetiche solitamente evidenziate riguardo a tali periodi appaiono
subordinate ad altre esigenze espressive, come la fedeltà alla tradizione, accenti fortemente
devozionali, esigenze d'immediata comunicazione, immagini di facile lettura accanto a
complesse soluzioni figurative. Queste ultime sono determinate dalla circolazione di artisti e
modelli non solo italiani, ma anche nordici. L'analisi storico-artistica risulta di conseguenza
più difficile, la contestualizzazione delle opere in rapporto ai centri importanti molto
problematica, la comprensione attuale delle iconografie e dello stile non sempre immediata.
Risale al 1949, e ad opera di Edoardo Arslan, l'affermazione che “la pittura lombarda del '400
dovette essere un fenomeno assai più complesso di quanto si creda”1 per una sconcertante e
intricatissima trama di componenti.
La chiesa di Santa Maria Annunciata a Bienno s'inserisce certamente in questo ambito, ma
con alcune peculiarità che la rendono un punto di riferimento importante per la
caratterizzazione dell'Umanesimo lombardo.
Recenti scavi archeologici hanno messo in luce che l'attuale complesso architettonico venne
costruito negli anni Ottanta del Quattrocento sui resti di una casa-torre, comprendente un
luogo di culto ("quoddam oratorium seu domum profanam ubi aliquando missa celebratur",
come attesta alcuni decenni dopo la bolla papale di Paolo III2); e l'attuale struttura è ancora in
parte inglobata in abitazioni, in modo da creare una significativa articolazione urbanistica nel
centro storico (TAV. I). Pare proprio che la chiesa sia nata dalla storia del popolo, dai suoi
bisogni e dai suoi desideri, in una sorta di processo che non ha mai dimenticato il profondo
nesso esistente tra la vita del singolo e la sua fede, espressa anche nelle confraternite, tra la
comunità civile e quella ecclesiale, tra la cultura locale e l'esigenza perenne dei valori più alti
e più belli. Un linguaggio, un'arte dunque fatta di uomini e di cose, di realtà materiale e di
urgenza spirituale, che trova espressione sui muri della chiesa sorti da quelli delle case, in
una relazione continua che affonda le sue radici nella terra, nell'humus del popolo, come
intuiscono - su piani diversi - Giovan Pietro da Cemmo e Romanino3.
Quello che ci importa sottolineare, riguardo alla chiesa di Santa Maria di Bienno come
oggetto della nostra attenzione, è il rapporto profondo e particolare tra la vita e l‟arte ivi
espressa, tra la moda del tempo e la sua rappresentazione pittorica.
Pur lasciandoci subito coinvolgere dagli affreschi, occorre comunque un supplemento di
riflessione sulle origini e i motivi della costruzione della chiesa. Bienno possedeva già da
tempo una parrocchiale dedicata ai Santi Faustino e Giovita, molto probabilmente romanica,
gravitante nell'orbita dell'eponimo monastero benedettino di Brescia. Pare proprio che la
costruzione della nuova chiesa di Santa Maria sia stata voluta dalla comunità locale quale
"espressione più compiuta della propria identità e indipendenza, di contro a un più difficile e
1
E.Arslan, Commento ad un affresco pavese, in La critica d’arte, XXX, pag. 276
2
Paolo III, Regimini militantis ecclesiae, 1539
3
La descrizione della chiesa, l‟analisi architettonica e i dati storici sulla Valle sono stati in gran parte tratti dal
libro di Paola Castellini e Mario Rossi La Chiesa di Santa Maria Annunciata a Bienno, ed. Lasertype, Bienno,
2000
6
controverso rapporto con un centro estraneo, che poteva nascondere o rivendicare rapporti
ancora di tipo feudale. Non va inoltre dimenticato quanto la stessa situazione religiosa in
Valcamonica fosse nella seconda metà del Quattrocento estremamente complessa e in un
certo senso conflittuale, per cui l'operazione dovette essere favorita dai Francescani - come
attesta la loro presenza in molte decorazioni della chiesa - che, soprattutto con il beato
Amedeo Menez de Sylva4, puntavano ad una grande diffusione in valle, al punto che il
veneziano Consiglio dei Dieci aveva intravisto nell'insediamento degli amadeiti nel convento
degli Osservanti di Borno (1467) una manovra politica del "fedelissimo servo del Duca di
Milano"5, intesa al recupero sforzesco di territori passati sotto la Serenissima. L'intreccio
storico e religioso risulta dunque molto complesso e non sono stati ancora trovati tutti gli
elementi che possano spiegare la situazione.
Vanno evidenziati due fatti rilevanti, che sono gli stretti rapporti di queste zone con la
dominazione veneta, avvertita come prepotente ed invasiva, ma artisticamente di grande
ricchezza, e il continuo contatto con l‟Alto Adige e con i Fiamminghi, che il passo del Tonale
rendeva più facili rispetto ai rapporti con la stessa città di Brescia.
I a) Cenni storici: tra Quattrocento e Cinquecento
Dopo cinquant‟anni di contese, intorno al confine naturale del fiume Mincio, tra due potentati
animati da sete di espansione (i Visconti di Milano da una parte e la Repubblica lagunare
dall'altra), la Valcamonica, con la pace di Lodi, era entrata a far parte solida ed integrante
della Terraferma veneta nel 1454,, data dalla quale prese avvio un periodo di sostanziale
stabilizzazione sociale, di pacificazione tra le insanguinate fazioni, di rigoglio culturale e
artistico. Questa stagione però termina convenzionalmente nel 1562, quando, con il capillare
sopralluogo di monsignor Giacomo Pandolfi, delegato del vescovo Domenico Bollani (1514 -
1579), compiuto due anni prima della conclusione dell'assemblea tridentina, non solo si
dispiegò organicamente lo strumento della visita pastorale, ma si avviò un radicale processo
di nuova evangelizzazione.
Il momento di relativa prosperità traeva le premesse dalla solenne Ducale concessa nel 1428
dal doge Francesco Foscari mediante la quale la Valle, sotto il profilo giurisdizionale, aveva
ottenuto lo status di corpo separato da Brescia con il diritto a godere di un proprio reggimento
preposto agli affari civili ed alle questioni di giustizia, tenuto a prestare giuramento di fedeltà
nelle mani del sindaco generale camuno, la facoltà di far riferimento a statuti specifici e la
conferma di rilevanti esenzioni commerciali e daziarie. In virtù di questo fondamentale
privilegio, nel secolo XVI la Valle consolidò il ruolo di area strategica dal punto di vista
minerario-siderurgico, mentre i vicari inviati dai magistrati, chiamati per ordinamento
centrale a gestire il comparto, si accontentavano di effettuare riscossioni di decima blande ed
occasionali.
Bienno si mostrava agli occhi dei visitatori, tra cui il governatore di Brescia Onorio Scotto
che qui venne in compagnia del capitano Gabriele Cornare nella seconda metà del
Cinquecento, come "terra delle più populate della Valle, posta in un belissimo sito
abbondante d'ogni cosa dove si fanno i petti a botta d'archibugio, e in essa si veggono molte
4
Beato Amedeo Menez de Sylva, portoghese, fu il fondatore dell‟ordine degli Amadeiti, in stretto rapporto con
i duchi di Milano - Francesco Sforza e Ludovico - con Luigi XI e con Papa Sisto IV, di cui fu confessore e
confidente.
5
Gabriella Ferri Piccaluga, Il confine del nord: microstoria in Vallecamonica per una storia d’Europa, Boario
Terme, 1989
7
fucine e costumano in quella terra di dar un tanto per huomo a chi con arme va ad incontrare
il Rettore quando va in visita e per questo vi va una grandissima quantità di gente"6.
Era pur sempre importante e vivace borgata di quella Valcamonica che "per modo di dire è
una provincietta le cui terre aradore sono poche rispetto alla larghezza d'essa Valle e il
rimanente sono boschi, parte da castagne et la maggior parte per far legne et carboni per uso
delle fucine et forni et parte ancora sono boschi d'abeti bellissimi che si chiamano paghere et
queste vagliono un thesoro"7.
Da un estimo risalente al 1476 esce la radiografia di un luogo dinamico: 78 fabbricati, 200
capifamiglia, circa un migliaio di abitanti, 435 piò di coltivo, alcune malghe capaci di
ospitare 600 paghe, 30 fucine, 1 segheria, diversi mulini, un buon numero di animali,
consistenti redditi derivanti da castagneti, macchie di ceduo e d'alto fusto. Nell'indagine del
1492 Bienno vantava un valore complessivamente assegnato a taverne, mercanzie, arredi e
boschi secondo solo alla "metropoli" di Breno; inoltre la valutazione attribuita ai campi era
tra le più elevate della Valle, inferiore solo al livello di Cividate, anche se di superfìcie assai
ridotta, pari a circa il 5% dell'intera estensione territoriale.
Tra Quattro e Cinquecento si verificò un profondo ricambio nel complesso delle famiglie
residenti in Bienno; vennero meno alcune vecchie consorterie8 di ascendenza feudale, che nel
coacervo delle investiture vescovili avevano poggiato il proprio vigore, soppiantate da ceti
più dinamici, volti alle arti ed alla mercatura, tesi ad ampliare l'incisività delle aziende
artigianali, appoggiati dal comune che nel 1494 acquistava un fondaco affacciato sul grande
mercato di Pisogne onde fornire base logistica allo smercio del ferro biennese.
La spregiudicata politica veneziana alimentò i commerci e incentivò la ricerca di sbocchi
mercantili diversificati. Attirati dalle possibilità d'impiego offerte dal paese, si installarono in
loco uomini nuovi che si innestarono positivamente sul tessuto produttivo: provenivano da
località valligiane come Astrio, Berzo, Borno, Cemmo, Corteno, Ossimo, ma anche da realtà
esterne quali le sponde del lago d'Iseo, le Valli di Bondione e di Scalve. Questo intenso
movimento in parte avvicendò e in parte conferì miglior linfa alle vecchie casate terriere,
anch'esse ormai sempre più orientale alle professioni, alle attività artigianali, manifatturiere e
commerciali.
Nel Quattrocento prese corpo in maniera definitiva il collaudato istituto della Vicinia, nel
quale si sostanziò anche il rapporto con il Romanino che in essa, entità ben organizzata, trovò
il committente ideale, come del resto accadde nelle altre due esperienze camune, a Breno e a
Pisogne. Attorno alla realtà municipale si svilupparono poteri, famiglie, professioni; i diritti
derivanti dagli usi civici e gli organismi in cui si strutturava l'ente perfezionarono in questi
secoli le basi giuridiche e le linee operative. La Vicinia si occupava di un ampio spettro di
questioni: dall'aggiornamento degli statuti al rinnovo degli incarichi; dall'adozione degli atti
di maggiore entità al potere decisionale su aspetti di minor caratura concernenti gli incanti e
l'utilizzo dei beni collettivi, la tenuta della rete stradale, la revisione dei confini, la redazione
dei libri d'estimo, la regolamentazione delle acque, il calendario di alcune operazioni agresti,
la monticazione9 e il taglio nelle aree di Valdaione, Arcina, Campolungo, Corna, Dosso di
Mezzarro, Travagnolo, Faisecco, nelle quali ad inizio Cinquecento sono presenti carbonai
brembani. L'accesso alla Vicinia era consentito solo agli antichi originari, una limitazione
riconducibile alla circostanza che nei primi tempi della sua esistenza la medesima aveva
6
Viaggio fatto per l’illustrissimo signor conte Honorio Scotto governatore di bressa in compagnia
dell’illustrissimo signor Gabriel Cornaro dignissimo capitano di essa città nella visita del Territtorio e delle
Valli del bresciano, 1586 (Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, ms.IT. VII. 1155-7453, f. 10r).
7
Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, ms.IT. VII. 1155-7453, f. 116r/v.
8
consorteria: Associazione medievale di carattere privato, ma con capacità di intervento politico e militare,
raggruppante, spesso con riferimento a proprietà in comune, rami diversi di una medesima famiglia per lo più
nobile. Vi si aggregarono talora, specie grazie a matrimoni, altre famiglie. Per estensione così si dissero i
raggruppamenti costituiti per il perseguimento di particolari obiettivi politici.
9
monticazione: trasferimento delle greggi o dele mandrie nei pascoli di alta montagna durante i mesi estivi
8
esplicato funzioni unicamente patrimoniali, gestendo le proprietà indivise appartenenti a
gruppi familiari e non a singole persone.
Il Consiglio generale si avvaleva di una serie di collaboratori che consentivano all'ente di
tradurre in pratica i doveri d'istituto.
Ai consoli, eletti in numero di due, erano attribuite competenze di amministrazione spicciola:
davano esecuzione alle decisioni, sorvegliavano l'andamento delle imposizioni,
sovrintendevano al patrimonio. Alla commissione dei ragionati era affidato il controllo della
contabilità, mentre il massaro delle taglie esercitava mansioni di esattore-tesoriere. Accanto a
lui c‟erano campari impiegati nella vigilanza delle colture ed in compiti di polizia urbana,
soprastanti alle strade e agli acquedotti, estimatori chiamati a determinare il valore di beni e
legnami.
Il decoro dei luoghi di culto rientrava tra le attribuzioni della Vicinia; toccò, ad esempio, ai
consoli stendere nel 1459 l'inventario immobiliare di San Faustino nel quale si evidenzia una
discreta dotazione di caseggiati, fucine, orti, broli, pergolati, campi, prati con alberi da frutto
(noci, meli, fichi, gelsi, castagni), pascoli, boscaglie e selve di larice. E furono sempre i
consoli ad assegnare nel 1536 l'incombenza di costruire il campanile della parrocchiale al
capomastro Cristino di Val Brembana: per inciso si ricorda che, vent'anni prima, nel 1516 un
altro muratore bergamasco, Giovannino del fu Pellegrino, aveva assunto il contratto per
l'erezione della torre campanaria della chiesa del convento di San Pietro (nel Sei e Settecento
saranno di casa invece muratori intelvesi).
Talvolta i rapporti con gli ecclesiastici erano animati da contenuti di conflittualità, intrisi di
tensioni e incomprensioni. Ne è chiara indicazione, in merito "beneficiandi et possidenti" la
chiesa popolare di Santa Maria, un atto di transazione stipulato il 31 agosto 1490 allorché don
Girolamo Bernabuzzi, abate del monastero benedettino dei Santi Faustino e Giovita di
Brescia, venne in paese per comporre l'aspra controversia scoppiata tra "li homini sive
Commune de la terra di Buenno e pre Zuan Trombini beneficiado di San Faustino et Jovita".
Ascoltate le parti, con l'assistenza dell'arciprete di Cividate don Giacomo Fostinoni (+ 1527)
in qualità di rappresentante dell'autorità diocesana, il monaco dettò un pugno di capitoli circa
la disciplina degli uffici religiosi e la gestione delle elemosine e della suppellettile sacra. In
pratica diede alla Vicinia "piena licentia di far celebrar una, doi et più messe et offici divini
da cadaun catolico sacerdote secular et regular in Santa Maria ogni zorno festivo et festado",
eccetto alcune solennità di particolare rilevanza come "nel dì de la Natività del nostro
Signore et la octava de la Natività et de la Piffania, ne la festa di San Faustino et Jovita, ne la
Dominica de l'oliva, in Coena Domini, lo Veneri santo, il Sabbado santo, el dì di la
Resurrettion, ne la Ascension, ne la Pentecoste, nel Corpo di Christo et ne la festa di San
Zohan Battista".
Riconoscendo al Comune la pertinenza ad amministrare "oblazioni, legati, voti, cera grossa et
minuta, tovalie" ed altre offerte "pro reparatione et augmento della giesia", concesse al
parroco la facoltà di accedere alla chiesa ed alla sagrestia; di quest'ultima solo "li prefati
homeni" potevano "tener le chiavi et in quella gubernar et conservar li paramenti, calici,
cruce". Inoltre permise ai vicini "che possine far predicar per homeni sufficienti et approbati
et che habbiano buona licentia da suoi superiori", dietro formale consenso da ottenere presso
il parroco, al quale doveva in ogni caso essere garantito il "loco superiore" anche in Santa
Maria10.
E così fu osservato almeno fino agli inizi del Seicento, quando al rettore fu materialmente
impedito persino di avvicinarsi al portone della chiesa.
10
Per tutte queste citazioni: Breno, Raccolta Putelli, Bienno
9
I b) Analisi architettonica
L'analisi architettonica della chiesa di Santa Maria Annunciata di Bienno rimanda
inevitabilmente a studi specifici sulla tipologia degli edifici religiosi della seconda metà del
XV secolo.
Fortunato Canevali nel 1912 così la descrive: "...la Chiesa e il relativo campanile che la
fiancheggia (...) offrono un bell'esempio d'architettura di transizione che segna il passaggio
dallo stile gotico a quello del rinascimento molto in uso nel periodo tra il XIV e il XV
secolo."11
Lo studioso individua dunque la presenza di un linguaggio architettonico ancora legato agli
stilemi trecenteschi (ma formale. Si veda a questo proposito quanto affermato dal Peroni nel
1963, nella trattazione delle chiese quattrocentesche del territorio bresciano, dove la
"nostalgia romanica" abbraccia la tradizione gotica sviluppando nuove soluzioni linguistiche.
Si sviluppa allora un "tipo" di costruzione ad aula unica, essenzialmente strutturato in una
serie di archi trasversi, montati su sostegni assai semplici, che reggono un tetto a vista.12
All'esterno la facciata (TAV.II) segue il profilo a capanna del tetto,con semplicissime
aperture, tra le quali generalmente un oculo tondo. I fianchi sono scanditi da contrafforti, in
corrispondenza degli archi trasversi, tra di essi si aprono finestre allungate, concluse in alto
da archi inflessi o scemi. Le variazioni più rilevanti si riscontrano nel vano presbiteriale, che
nella maggior parte dei casi è pervenuto 'rimodernato' nel tardo Cinquecento o nel Seicento,
anche in conseguenza delle Visite Pastorali frequenti in quel periodo, come quella di Bollani
del 1567, di Filati del 1573, di Coleri 1578 di san Carlo Borromeo del 1580.
La chiesa biennese risponde perfettamente a questa tipologia. Il Peroni la descrive come
divisa in campate quadrate di ampio respiro, coperta da volte e non a travature lignee a vista,
caratteristica peculiare e in stretta relazione con le disponibilità economiche (non a caso
Bienno è la patria camuna della lavorazione del ferro)13. Si ravvisa infatti nella struttura una
notevole maestria esecutiva, propria di un edificio 'cittadino', a partire dalla sequenza delle
quattro volte a crociera che caratterizzano lo spazio, impostate su arcate a sesto acuto. Il
loggiato, soprastante l'ingresso principale, è invece sorretto da tre volte a semi crociera
(scelta costruttiva dovuta probabilmente alla dimensione dell'aggetto);la struttura si colloca
grazie a questi elementi nel sentire umanistico, con una ripresa della tradizione classica che la
proietta inevitabilmente nel Rinascimento ormai già in atto.
Questa condizione di transizione si ravvisa soprattutto in alcuni particolari, che la connotano
rispetto agli edifici religiosi realizzati nello stesso periodo e nella stessa area geografica per
una maggiore eleganza
E' infatti prettamente quattrocentesca la conformazione planimetrica a sviluppo longitudinale,
con navata divisa in tre campate e presbiterio poligonale rialzato di un gradino rispetto alla
navata, con campanile inserito nell'angolo a sinistra dell'area presbiteriale e ad essa collegata
solo nella parte inferiore, mentre alla cella campanaria si accede dall'esterno. Da non
dimenticare un altro elemento tipico quale il loggiato, situato nella prima campata e sostenuto
da due grosse colonne martellate, al quale originariamente si accedeva solo dall'esterno
mediante una lunga scala che si appoggiava sul lato meridionale dell'edificio. Tra le chiese
del territorio contiguo, appartenenti alla stessa tipologia, troviamo una scala esterna per
l'accesso al loggiato nella chiesa di Santa Maria Assunta a Lava di Malonno, con
collegamento sul lato sinistro del prospetto principale, e in San Lorenzo a Berzo Inferiore,
dove la lunga scala è inserita sul fianco meridionale dell'edificio. Una loggia simile a quella
11
F Canevali, Elenco degli Edifici Monumentali Opere d’Arte e Ricordi Storici esistenti nella Valle Camonica,
Milano, 1912, pag. 52.
12
A. Peroni, Le chiese ad aula unica nel secolo XV. Tradizione gotica e prime manifestazioni rinascimentali, in
Storia di Brescia, II, Brescia, 1963, pag. 646-650
13
A. Peroni, pag. 643-644
10
della chiesa di Santa Maria era presente anche nella chiesa di Sant'Antonio a Breno, alla
quale si accedeva dal campanile. Tale accesso esterno al loggiato ci riporta anche a edifici di
impianto romanico, come nel caso della chiesa della Trinità di Esine, al cui loggiato in
muratura si accede solo dall'esterno.
Per quanto riguarda la costruzione di Santa Maria a Bienno, è probabile che la cappella di
San Rocco, inserita nel lato destro della navata, sia di poco successiva, benché ancora in
armonia con il disegno planimetrico quattrocentesco. Alla sagrestia si accede dal lato destro
del presbiterio e dall'esterno mediante una scala, che consente l'adito anche ad alcuni locali
sottostanti. Sotto la sagrestia c'è un locale a volto, mentre sotto il locale caldaia e la cappella
di San Rocco troviamo l'ex oratorio dei Disciplini o di San Girolamo. A tale oratorio era
possibile entrare dalla chiesa, come confermerebbe anche la porta murata nella parete destra
della terza campata, ancora oggi visibile. La presenza di questo locale sotterraneo caratterizza
la chiesa biennese per la sua unicità nel territorio camuno, anche se esso non può essere
considerato una cripta, in quanto non direttamente sottostante il presbiterio. L'accesso diretto
che la navata aveva a questa cappella, più volte menzionata con una precisa funzione
religiosa anche nei documenti storici - in quanto utilizzata dalla confraternita dei Disciplini -
la caratterizza nella sua tipicità.
All'interno la chiesa è per buona parte affrescata: troviamo infatti affreschi che coprono quasi
interamente le pareti della navata e del presbiterio, anche la volta absidale e quella della terza
campata sono interamente dipinte. Di notevole importanza è l'apparato lapideo, con quindici
peducci finemente scolpiti, dei quali due antropomorfi negli angoli di aggancio alla parete di
fondo del presbiterio, mentre gli altri tredici hanno cornici stondate, tortiglioni e motivi
geometrici. Questi ultimi sono inseriti nella parte finale dell'imposta delle volte della navata
alla base delle nervature, mentre all'incrocio della crociera della volta del presbiterio e della
terza campata sono inseriti due tondi con la raffigurazione dell'Agnello Pasquale e del
monogramma di Cristo. I pilastri sono tutti dotati di capitelli in pietra con decorazioni tortili a
dentello e a motivi floreali, mentre i capitelli a tutto tondo delle due colonne che reggono il
loggiato sono decorati da foglie grasse con terminazione a voluta, le basi decorate da motivi
vegetali disposti sui quattro angoli.
Dall'osservazione dei materiali si rileva che tali colonne, con relativi capitelli e basi, sono
state realizzate in granito, mentre tutti gli altri elementi lapidei sono in pietra simona. Fa
eccezione la cornice di una nicchia sul lato sinistro del presbiterio, che è in marmo bianco di
Vezza con motivo a tortiglione tipicamente gotico, sui lati e nella parte superiore, mentre la
base è decorata da volute contrapposte con motivi vegetali, la cui lavorazione porta a
suggerire una sua appartenenza all'età romana. Anche per questi elementi possiamo
osservare, rispetto alle altre chiese simili nell'impianto e nella cronologia, una maggiore
ricchezza nella quantità e nelle qualità dei manufatti, finemente scolpiti con un'attenzione
estrema ai minimi particolari. Siamo lontani, per fare un solo esempio, dalla qualità rozza che
presentano i mascheroni in granito, appena sbozzati, della chiesa di Sant'Antonio a Breno,
ancora legati ad una tradizione arcaica, che tuttavia saranno ancora a lungo presenti in area
camuna, anche nelle chiese dei secoli successivi.
Ai lati dell'ingresso principale e dell'ingresso secondario troviamo quattro acquasantiere a
muro, le prime in pietra simona a forma di valva di conchiglia con bordo sfondato e croce sul
fondo della vasca, contemporanee alla realizzazione della chiesa, mentre le altre due, di
periodo successivo, sono in marmo nero con vasche bombate dal bordo sfondato; una quinta
acquasantiera è murata nel corridoio della sagrestia, anch'essa di forma bombata, ma in
marmo bianco. Anche in questo caso, come per le altre chiese, gli elementi contemporanei
all'edifìcio si distinguono proprio per la diversa qualità esecutiva dei manufatti.
Sono in particolare gli elementi lapidei a colpire l'attenzione di Peroni, soprattutto con
riguardo alla facciata principale. Infatti lo studioso parla della raffinata esecuzione
dell'esterno munito di notevoli modanature scolpite in pietra: "così sul fianco settentrionale si
11
aprono finestre ad arco inflesso, bordate di cornici con caratteristica cordonatura gotica.
Egualmente incorniciato il rosone della facciata, che reca una transenna marmorea a disegno
geometrico, sotto il quale si apre un ingresso con lunetta archiacuta, pure bordato a cordone e
a dentello. Qui però sotto il modulo gotico, affiora quello classicheggiante: i pilastri sono
anche scanalati e redentati e poggiano su basi riccamente modanate. Ad essi si collega una
cornice in pietra che segna tutta la zoccolatura della facciata"14.
E' infatti la facciata principale a caratterizzare maggiormente la chiesa nella sua identità
architettonica, con l'affaccio sull'omonima piazza dove essa risalta per la sua essenzialità:
definita ai lati dai conci granitici ben squadrati, presenta una zoccolatura che era in origine
intonacata, come tutta la facciata, ma che è stata lasciata malauguratamente in pietra a vista
dopo i restauri del 1947, creando una stonatura nel rigore della composizione architettonica.
La zoccolatura, aggettante rispetto al resto della facciata, è segnata da una cornice formata da
quattro elementi su ogni lato, in pietra simona finemente modanata con motivo incavato
nell'aggancio alla parete, sfondata nella parte centrale e nel raccordo con lo zoccolo a
conclusione lineare, in quanto poi proseguiva l'intonaco. Con la stessa pietra è stata scolpita
la cornice aggettata del portale, che si diparte da due eleganti peducci per svilupparsi poi con
andamento lineare alle estremità e con curvatura centrale. L'accostamento della pietra simona
rossastra e del marmo bianco conferiscono straordinaria ricchezza al portale, dove proprio il
richiamo alla classicità, racchiuso nella cordonatura e nella dentellatura gotica, ne fa una
testimonianza unica nell'intera area camuna e bresciana.
Generalmente nei portali di chiese simili troviamo la tipica conformazione architravata a
gruccia con massicci conci martellati e delineati alle estremità - come in San Lorenzo a Berzo
Inferiore, in Sant'Andrea ad Artogne, in Santa Maria della Rotonda a Pian Camuno, nella
chiesa dei Santi Nazaro e Celso ad Andrista e dell'Annunciata a Pian Borno - o a semplice
struttura architravata, come è ben esemplificato nella severità del portale di Sant'Andrea a
Malegno. All'opposto troviamo la ricchezza profondamente umanistica delle candelabro che
decorano il maestoso portale della chiesa di Sant'Antonio a Breno, della pieve di Santa Maria
in Silvis e di Santa Maria della Neve a Pisogne.
Va inoltre rilevato come nella maggior parte di queste chiese sia presente una lunetta
archiacuta o con arco a tutto sesto, o ancora, nei casi più semplici, con un riquadro
contenente un affresco votivo, tendenzialmente legato alla vita del santo a cui l'edificio è
dedicato, mentre solo nella chiesa di Bienno troviamo scolpita un'antica preghiera mariana.
La lunetta, mantenendo il modulo gotico nella cordonatura interna e nella dentellatura
esterna, racchiude sette conci di pietra che compongono l'arco acuto sui quali è scolpita
un'iscrizione dedicata alla Madonna di particolare interesse filologico, con una preziosa
ricercatezza di armonia numerica, così composta: "SUB TUUM / PRESIDIUM /
CUMFUGIMUS / MARIA / SALUBRIS / PECCATIUM / ADVOCATA"15.
Nella parte superiore del prospetto, prima della conclusione a due spioventi con falde
sporgenti, esattamente in asse troviamo il rosone, che si sviluppa da un tondo con croce e
mediante sei raggi forma un motivo esagonale racchiuso da cornice circolare modanata, con
cordonatura distinta in quattro parti, raccordate mediante anelli con merlature e delimitata da
cornice esterna lineare. Anche quella del rosone è l'unica decorazione lapidea di una certa
complessità fra tutte quelle analizzate nel territorio camuno, dove il cosiddetto oculum è per
lo più una semplice apertura circolare con profonda strombatura, ancora legato a tipologie
romaniche e gotiche.
Parimenti la facciata sud-est, che si affaccia su una piazzetta lunga e stretta creando una
percezione scorciata del prospetto, presenta una monumentalità diversa rispetto alle altre
chiese analizzate. Nel complesso, la mancanza degli archetti pensili le conferisce minore
14
A. Peroni, pag. 656
15
SOTTO LA TUA DIFESA CI RIFUGIAMO, O MARIA PROTETTRICE, CHE CI PRESERVI DAI
PECCATI
12
legame con il passato. Nelle chiese camune, a seconda della tipologia a pieno centro o
trilobata, troviamo forti legami con la tradizione romanica o gotica, come per le chiese già
menzionate (Sant'Antonio a Breno, l'Annunciata di Pian Borno, Santa Maria Elisabetta ad
Artogne, la pieve di Santa Maria in Silvis e la chiesa di Santa Maria della Neve a Pisogne).
Santa Maria Annunciata di Bienno presenta viceversa spunti innovativi per il suo rigore
compositivo: l'intera facciata sud-est è infatti divisa in tre scomparti da quattro paraste in
conci di pietra alla base, affrescate per i restanti due terzi, sviluppandosi da un basamento
aggettato con cornice sfondata in granito che si innesta sulla parete verticale. Anche questo
zoccolo era in origine intonacato, come quello della facciata principale, al quale si uniforma;
nel primo scomparto troviamo l'aggancio con la facciata principale, evidenziato dalla cerniera
di conci d'angolo a vista, mentre nella parte alta è visibile una piccola finestra con inferriata,
sovrastante i piedritti e l'architrave della porta di accesso al loggiato, porta che venne murata
negli anni Venti del Novecento dopo l'eliminazione della scala di collegamento con la strada,
per permettere il passaggio dei carri. Tale ricchezza nel complesso decorativo invita a
riflettere sull'animazione del prospetto, analogamente a quanto ancora si vede nella chiesa di
San Lorenzo a Berzo Inferiore.
Degne di rilievo sono le tre finestre con arcata trilobata, che si aprono in ogni scomparto
della parete sud-est, caratterizzate dalla decorazione a tortiglione finemente eseguita, che
depongono a favore della cronologia storica dell'edificio in età gotica.
Sotto la finestra centrale troviamo un portale architravato retto da piedritti e traverso a doppia
gradinatura, con soprastante cornice modanata e aggettante, elemento questo che appartiene
già ad un intervento di poco successivo alla realizzazione dell'edificio, mentre è ancora
presente il portale originario murato. Di esso si è perduto solo il piedritto destro, ma rimane
ancora ben visibile quello sinistro in conci di pietra martellata, che nella parte superiore
conserva il peduccio angolare, con cornice tortile di raffinata fattura alla quale si sovrappone
un motivo a punte di diamante. L'architrave martellata con bordature lineari presenta
inferiormente una cornice tortile, con un elemento centrale di forma circolare caratterizzato
da cornice interna a tortiglione, contenente il monogramma di san Bernardino entro
raggiatura. Dall'architrave si sviluppa una lunetta trilobata costituita da due pietre, lavorate
anch'esse a martellatura, con bordi lineari e una cornice interna a tortiglione racchiudente un
pregiato affresco, ancora ben leggibile.
Infine nella parete absidale, ovvero quella collocata tra l'ultima parasta e il campanile, si apre
una finestra trilobata di fattura diversa rispetto alle precedenti, presentando una semplice
cornice appena sbozzata. Qui trova posto anche la scala che consente l'accesso al campanile,
costituita da gradini in pietra naturale, ricollocati durante gli ultimi lavori di intervento
sull'edificio.
Sull'architrave della porta di accesso al campanile vi è una semplice croce scolpita e inscritta
in un tondo.
In questo prospetto il campanile si mostra interamente con conci di pietra ben squadrati negli
angoli e pietra a vista nel resto del fusto, ove trova posto, sul lato corrispondente alla facciata
principale, un orologio di recente fattura. Una cornice aggetta ai piedi della cella campanaria,
definita da quattro bifore è coperta da un ripido tetto coperto in rame, ricostruito nella metà
del diciannovesimo secolo, sulla cui cuspide svetta una croce in ferro battuto di raffinata
forgiatura. Tale tetto ottocentesco, ormai storicizzato anche per la sua pregnante
identificazione all'interno del tessuto urbano biennese, snatura il disegno originario
dell'edificio, in quanto, proprio dal confronto con i campanili delle chiese contemporanee a
Santa Maria di Bienno, si evince che per tutte il fusto era in pietra e la cella campanaria
aperta su ogni lato, con una monofora generalmente a tutto sesto.
Sono questi i casi delle chiese dei Santi Nazaro e Celso ad Andrista, di Santa Maria Assunta a
Lava di Malonno, dell'Annunciata di Pian Borno, di Sant'Andrea ad Artogne, della pieve di
Santa Maria in Silvis e della chiesa di Santa Maria della Neve a Pisogne, di San Lorenzo a
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Berzo Inferiore (dove con buona probabilità le merlature negli angoli sono aggiunte
successive) e infine di Sant'Antonio a Breno, dove solo nel Settecento verrà inserita la cupola
bombata. Casi specifici presentano le chiese di Santa Maria Elisabetta di Artogne e di
Sant'Andrea a Malegno dove si registra la presenza di una bifora sostenuta da colonnette
all'interno della monofora e un piccolo oculo in asse alla medesima, forse retaggio della
tradizione trecentesca, come dimostrerebbe anche il fornice a sesto acuto, con merlature sui
quattro angoli, peraltro successive.
Nei campanili menzionati la copertura è a quattro falde con pendenza minima. Una copertura
a cuspide in pietra presenta invece il campanile della chiesa di San Martino ad Erbanno, di
schietta tradizione romanico-gotica, come ben evidenziato anche da Gaetano Panazza, che è
infatti del tutto simile a quello di Santa Maria al Ponte di Malegno. In analogia con la chiesa
biennese, entrambi i campanili presentano quattro bifore nella cella campanaria sorrette da
colonnetta centrale, di gusto romanico questi e innegabilmente quattrocentesche quelle della
chiesa di Santa Maria. Per questo è verosimile pensare che in origine anche il campanile della
chiesa di Bienno avesse una copertura assai simile ai campanili dello stesso periodo, in cui
viene data maggiore importanza alla struttura verticale, favorita da una terminazione della
cella campanaria con tetto appena percepibile.
Al campanile della chiesa di Santa Maria si appoggia una costruzione sorretta da un'arcata,
che cela in parte la vista del lato sud-ovest dove si apre il finestrone dell'abside, oltre a tre
finestre in asse tra loro, che danno luce alla sagrestia e ai due locali sopra e sotto di essa.
Proprio la vicinanza degli edifici civili attorno alla chiesa, che sul lato settentrionale la
nascondono completamente come ad inglobarla al di là della sua mole, fanno sì che
l'addossamento delle diverse costruzioni faccia di questa parte della costruzione un tutt'uno
con esse, permettendo in tal modo di leggere il ruolo vitale che tale edificio ebbe all'interno
del borgo, come quello di una chiesa più vicina alla vita di ogni giorno.
I c) Le opere di Romanino
Quando, all'inizio degli anni Quaranta, Gerolamo Romanino iniziò la decorazione delle tre
pareti absidali, preesisteva un ciclo eseguito da Giovan Pietro Da Cemmo alla fine degli anni
Ottanta del Quattrocento, nella demolizione del quale tuttavia il Romanino risparmia gli
arconi a sesto acuto, per riutilizzarli come cornici delle proprie storie mariane. Sulla base di
tali considerazioni è lecito pensare che, già prima dell'arrivo del Romanino, l'invaso absidale
fosse completamente affrescato dal Da Cemmo e che di seguito si dovette quindi provvedere
alla dipintura dell'arco santo, fase che tradizionalmente completa la decorazione dell'area
presbiteriale.
Figlio di Luchino, di una famiglia da un secolo insediata a Brescia, ma originaria di Romano
di Lombardia, la sua formazione avvenne tra Brescia e Venezia, sul Giorgione e sulle
incisioni del Dürer, come dimostra la Madonna col Bambino, conservata al Louvre ed
eseguita verso la metà del primo decennio. Negli anni successivi, l'artista si indirizzò verso i
modi illusionistico prospettici milanesi di Bramantino e Bernardino Zenale, databili al1509:
sono gli affreschi con Episodi della vita di Nicolò Orsini, ora conservati a Budapest; dello
stesso periodo è anche la Paletta di san Rocco nella chiesa di San Giovanni Evangelista a
Brescia.
Datato al 1510 è il Compianto sul Cristo morto, già in San Lorenzo a Brescia e ora nelle
Gallerie dell‟Accademia di Venezia, dove ai modi della tradizione del «realismo» lombardo
si innestano riferimenti cremonesi e ferraresi.
Di questo periodo, dove la prospettiva illusionistica di ascendenza milanese ha la
preponderanza, sono: l‟affresco con la Madonna, santi e committenti per la chiesa di San
Pietro a Tavernarola Bergamasca, la Pietà in San Francesco a Brescia, e due coppie di santi,