L’argomento tv a colori è stato finora poco sviluppato anche nell’ambito degli studi sulla
storia della televisione, probabilmente oscurato dai due grandi temi ad esso contemporanei:
la riforma della Rai (14 aprile 1975) e la liberalizzazione dell’emittenza privata via etere (28
luglio 1976). Raramente la questione dell’introduzione della tricromia viene affrontata nella
sua interezza. Aldo Grasso ne parla nell’Enciclopedia della televisione
4
facendo un suggestivo
riferimento ai cambiamenti che i tv color introdussero negli effetti di luce del paesaggio
urbano notturno. Grasso opera inoltre un breve cenno al ritardo italiano, motivandolo con
la battaglia contro i consumi intrapresa da Ugo La Malfa e ricordando le difficoltà incontra-
te dalle industrie elettroniche, per poi soffermarsi sui vantaggi offerti dalla nuova tecnologia
nelle riprese sportive. Nel volume viene infine ricordata la coincidenza dell’introduzione del
colore con la fine di Carosello e la diffusione del telecomando. La prospettiva adottata da
Franco Monteleone è invece prettamente storica. Nella sua Storia della radio e della televisione è
presente una cronaca dei principali eventi italiani riguardanti la tecnologia del colore televi-
sivo, con riferimenti alle implicazioni economiche della vicenda e al ruolo rivestito dall’<<
altra emittenza >> a colori negli anni in cui la Rai trasmetteva in bianco e nero. Il racconto,
però, oltre a mancare di ogni riferimento agli importanti fatti dell’estate 1972, si ferma alle
sperimentazioni del 1975
5
. Franco Chiarenza, nella sua storia della Rai, espone i due temi
politici coinvolti nella discussione sulla tv a colori: la preoccupazione per << una nuova
spinta consumistica >> e il dilemma sulla scelta del sistema di trasmissione
6
. Anche riguar-
do a questi aspetti, però, si segnalano diverse mancanze: non viene sottolineato, ad esem-
pio, che il dibattito durò diversi anni, così come non sono spiegati i motivi che spinsero al
superamento della pregiudiziale politica sulla questione. Un’attenta analisi delle implicazioni
politico-ideologiche della tv a colori (con particolare attenzione alla posizione del PCI) si
trova nel volume di Giandomenico Crapis Il frigorifero del cervello
7
. Michele Sorice, invece, va
alla ricerca dei motivi dello scarso successo iniziale della tecnologia, riscontrati nell’alto
costo dei televisori, nella scarsità della programmazione a colori e nell’incertezza politica in
merito alla sua introduzione
8
.
4
Cfr. A. Grasso, Enciclopedia della televisione, Garzanti, Milano, 2003.
5
Cfr. F. Monteleone, Storia della radio e della televisione in Italia. Un secolo di costume, società e poli-
tica, Marsilio, Venezia, 2003.
6
Cfr. F. Chiarenza, Il cavallo morente: storia della Rai, Franco Angeli, Milano, 2002.
7
Cfr. G. Crapis, Il frigorifero del cervello. Il PCI e la televisione da <<Lascia o raddoppia?>> alla
battaglia conto gli spot, Editori Riuniti, Roma, 2002.
8
Cfr. M. Sorice, Lo specchio magico. Linguaggi, formati, generi, pubblici della televisione italiana,
Editori Riuniti, Roma, 2002.
8
Mamma Rai di Ferretti, Broccoli e Scaramucci è il testo che meglio ricostruisce la vicenda
della tv a colori dal punto di vista storico. L’introduzione del colore sui canali Rai viene
fatta coincidere con la fine di Carosello, la diffusione del telecomando, la nascita delle tv
private e l’esordio di Portobello. Nel volume, inoltre, si dà conto del travagliato approdo delle
immagini in tricromia sulla tv di Stato, ricordando il dibattito politico inerente a questa
innovazione. Viene ricordato, infine, l’alto costo dei tv color nel 1977, il clima di generale
freddezza in cui esordirono le trasmissioni regolari e soprattutto il fatto che il passaggio al
colore della tv di Stato fu un processo estremamente graduale, che << si snod[ò] nel corso
di diversi mesi >>
9
. Scaramucci e Ferretti ritornano sul tema della tv a colori in RicordeRai,
individuando nel momento dell’introduzione del colore la demarcazione fra passato e pre-
sente della televisione
10
. Su una linea di pensiero simile si colloca Abruzzese ne Il corpo elet-
tronico, dove però l’avvento del colore è collocato nel più ampio contesto delle trasforma-
zioni mediatiche, politiche e sociali degli anni Settanta
11
.
Rimanendo nel più stretto ambito televisivo, il colore si diffuse negli anni del passaggio
dalla paleotelevisione alla neotelevisione, come notato ad esempio da Favari
12
, Colombo
13
e Orto-
leva
14
. Quest’ultimo è l’unico autore ad essersi occupato in maniera sistematica del tema
dell’introduzione della tv a colori, che ha affrontato a più riprese, inserendolo nel contesto
storico degli anni Settanta in un’ottica politica, sociale e televisiva. Gli scontri in tema di tv
a colori, secondo Ortoleva, sono la testimonianza di un momento di crisi vissuto dalla poli-
tica, segnali di un cambiamento in atto anche dal punto di vista sociale. Il dibattito sul colo-
re mise in campo il conflitto tra austerità e consumismo. La popolazione mal digeriva il
clima di restrizioni di quegli anni e trovò parziale riscatto nell’avvento del colore e
dell’emittenza privata, in un decennio che vide l’esplosione del cromatismo anche nella
carta stampata, nella moda e nel design. Dal punto di vista televisivo, inoltre, il colore ebbe
un ruolo da protagonista nella rottura del monopolio (che si accompagnò a nuove abitudini
di fruizione date dall’aumento delle ore di trasmissione giornaliera, dal moltiplicarsi dei
9
Cfr. C. Ferretti, U. Broccoli, B. Scaramucci, Mamma Rai. Storia e storie del servizio pubblico radiotele-
visivo, Le Monnier, Firenze, 1997.
10
Cfr. B. Scaramucci, C. Ferretti, RicordeRai, Rai Eri, Roma, 2004.
11
Cfr. A. Abruzzese, Il corpo elettronico. Dinamiche delle comunicazioni di massa in Italia, La Nuova
Italia, Firenze, 1988.
12
Cfr. P. Favari, Televisione, Quaderni di arte e comunicazione, Zanichelli, Milano, 2004.
13
Cfr. F. Colombo, Le quattro vite della televisione italiana, in P. Aroldi, F. Colombo (a cura di), Le età
della tv: indagine su quattro generazioni di spettatori italiani, Vita e Pensiero, Milano, 2004.
14
Cfr. P. Ortoleva, Un ventennio a colori: televisione privata e società in Italia (1975-1995), Giunti,
Firenze, 1995.
9
canali e dal telecomando) e nel rinnovamento del linguaggio televisivo, che si sviluppò e-
stremizzando la ricerca dell’effetto di realtà o, al contrario, dell’assoluta meraviglia
15
.
La questione della tv a colori, però, merita di essere analizzata in maniera più approfondita
rispetto a quanto è stato fatto finora. Si avverte la mancanza di una completa ricostruzione
dei fatti che portarono all’introduzione del colore sui canali Rai, attraverso la descrizione di
un dibattito politico durato cinque anni ed esploso dopo aver covato sotto la cenere per un
periodo di tempo altrettanto lungo; un racconto che deve tenere conto anche dei commenti
dell’epoca, dato che la questione ebbe una grande eco sulla stampa. Manca, inoltre, la co-
gnizione di come gli spettatori vissero il periodo dell’introduzione del colore e delle conse-
guenze che questo evento ebbe nella percezione del mezzo televisivo. Quanta importanza
venne attribuita all’innovazione? Come, quando e perché il tv color entrò nelle case? Esso
modificò abitudini, atteggiamenti e sensazioni collegate alla fruizione televisiva? Il fenome-
no dell’introduzione della tv a colori risentì del dibattito politico ad esso relativo? Il colore è
percepito come uno dei simboli dei cambiamenti che coinvolsero il medium a cavallo degli
anni Settanta e Ottanta? L’obiettivo del presente lavoro è di tentare di dare una risposta a
queste domande.
L’introduzione della tv a colori verrà analizzata in una prospettiva di social shaping of techno-
logy
16
. Il metodo utilizzato per l’indagine è quello etnografico, nella forma della storia di vita.
15
Cfr. P. Ortoleva, La televisione fra due crisi. 1974-1993, in V. Castronovo, N. Tranfaglia, La stampa
italiana nell’età della tv. 1975-1994, Laterza, Bari, 1994; Mediastoria, Net, Milano, 2002; Un ventennio
a colori…, op. cit.; Il teatro dei colori. I cambiamenti nell’universo cromatico, installazione esposta a
Milano in occasione della mostra Anni Settanta: il decennio lungo del secolo breve, catalogo di riferimen-
to omonimo edito da Skirà, 2007.
16
Il social shaping of technology è un movimento nato in seguito alla crisi che afflisse il determinismo
tecnologico tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta. L’idea che la tecnologia seguisse una
propria evoluzione, indipendente da ciò che la circonda, e, in virtù di questo fatto, potesse governare il
cambiamento sociale, faticava ormai a spiegare le direzioni prese dall’innovazione. Era necessario un
ribaltamento della visione, che si formalizzò negli anni Ottanta inizialmente con la teoria costruttivista,
secondo la quale era invece la società a formare lo sviluppo tecnologico (il saggio manifesto del costrutti-
vismo è T. J. Pinch, W. E. Bijker, The social construction of facts and artefacts: or how the sociology of
science and the sociology of technology might benefit each other, in <<Social Studies of Science>>,
Agosto 1984. Studi costruttivisti sono raccolti in W. E. Bijker, T. P. Hughes, T. J. Pinch (a cura di), The
Social Construction of Technological Systems. New Directions in Sociology and History of Technology,
MIT Press, Cambridge, 1987). Pur presentando diversi punti critici relativi alla spiegazione delle modalità
con cui avvenisse questo fenomeno (per una rilettura critica del costruttivismo si veda H. K. Klein, D. L.
Kleinmann, The social construction of technology: structural considerations, in <<Science, Technology
& Human Values>>, Vol. 27, N. 1, Winter 2002), il costruttivismo aprì una nuova strada nella considera-
zione del rapporto fra tecnologia e società, originando un produttivo dibattito che portò alla nascita, qual-
che anno dopo, del social shaping of technology. Questo movimento risolse i principali problemi del
costruttivismo, riuscendo a delineare come la società influenzi lo sviluppo tecnologico. Politica ed eco-
nomia, in questa visione, sono i fattori che principalmente governano il cambiamento. Ogni tecnologia
genera conflitti e resistenze, messi in atto da soggetti interessati a creare o mantenere determinati scenari
10
Esso si rivela l’unico adatto a rispondere alle esigenze di questo lavoro, dal momento che
non si può fare affidamento su studi sincronici sul pubblico relativi all’introduzione della tv
a colori.
La ricerca si basa su un campione di 35 individui, divisi per gender, fasce di età e abitudini
di lettura di quotidiani e riviste di attualità, tutti residenti in Lomellina al momento
dell’acquisto del primo televisore a colori
17
. Ognuno ha compilato un questionario ed è
stato sottoposto a un’intervista
18
. Alle informazioni e testimonianze dei soggetti si è ritenu-
to opportuno affiancare una ricerca storica sui paratesti
19
per meglio comprendere le vicen-
de e il clima di quegli anni, nonché per avere una minima visione << nazionale >> del
fenomeno.
Il primo capitolo si propone di fornire un’esaustiva ricostruzione della lunga serie di eventi
che portò all’inizio del servizio regolare di programmazione a colori della Rai. L’obiettivo è
di dare conto di tutti gli aspetti di una vicenda che presentò molteplici sfaccettature e di cui
finora non era disponibile una cronaca completa.
I capitoli seguenti sono dedicati alla presentazione dei risultati dell’indagine etnografica. Il
capitolo 2 descrive le emozioni relative al primo impatto con la nuova tecnologia, che gene-
rò un senso di meraviglia accompagnato però da timori e incertezze. Nel capitolo 3 vengo-
no analizzati i principali passi del processo di addomesticamento del tv color: le fasi prepa-
ratorie all’acquisizione (immaginazione e motivazione dell’acquisto), il momento
dell’adozione, la collocazione del nuovo apparecchio negli spazi e nei tempi domestici. Il
capitolo 4 si occupa della percezione dell’immagine televisiva nel passaggio dal bianco e
nero al colore, analizzando vantaggi e svantaggi dell’innovazione, anche in una prospettiva
generazionale. Il capitolo 6 è dedicato all’influenza della presenza del colore nella percezio-
ne dei contenuti dei programmi e alla relazione fra introduzione della tricromia e cambia-
menti nel linguaggio televisivo. Nel capitolo 7 vengono discusse le questioni inerenti al
scientifici, sociali o economici. Le strategie adottate da questi gruppi di potere e le loro conseguenze
costituiscono un unico fenomeno, che trova il suo corrispondente nella tecnologia che si arriva a produrre
(cfr. D. MacKenzie, J. Wajcman (a cura di), The Social shaping of technology. How the refrigerator got
its hum, Open University Press, Milton Keynes, Philadelphia, 1988 e W. E. Bijker, J. Law (a cura di),
Shaping technology/Building society. Studies in sociotechnical change, The MIT Press, Cambridge, Lon-
don, 2000).
17
Ad esclusione di un’intervistata che risiedeva in quegli anni a Pavia. La Lomellina coincide con la zona
Nord-Ovest della provincia di Pavia.
18
Per maggiori informazioni vedi appendice Strumenti dell’indagine.
19
La ricerca ha riguardato articoli di giornali e riviste e pubblicità di apparecchi televisivi. Una selezione
dei documenti più significativi è riportata in appendice. Una raccolta più esaustiva è inserita nel cd-rom
allegato.
11
passaggio al colore che non riguardano (o riguardano solo in parte) l’acquisto di un tv color
o la fruizione di immagini in tricromia, e che sono perciò state raggruppate sotto la dicitura
<< indotto >>: si tratterà quindi del legame fra colore e altra emittenza e soprattutto delle
questioni politiche sollevate da questa tecnologia, come il dibattito sulla scelta del sistema di
trasmissione e il commento sul ritardo italiano, un aspetto quest’ultimo che chiama in causa
anche il sentimento di orgoglio nazionale.
In conclusione, oltre a cercare di fornire un’interpretazione del fenomeno dell’introduzione
del colore nella tv italiana sulle basi di quanto emerso, si tenterà di applicare i risultati della
ricerca a una questione di pressante attualità come la diffusione della tv digitale terrestre.
12
CAPITOLO 1
STORIA DELL’INTRODUZIONE DEL COLORE NELLA
TELEVISIONE ITALIANA
1. La preistoria
La trasmissione del segnale a colori
La televisione nacque in bianco e nero. Il sistema per riprodurre a distanza immagini in
movimento si basa sulla scansione della scena ripresa, che viene divisa in tanti piccoli ele-
menti (pixel). L’operazione viene effettuata dalla telecamera. Essa contiene al suo interno un
trasduttore dotato di una miriade di celle, ognuna delle quali si occupa di tramutare in im-
pulsi elettrici la quantità di luce che caratterizza ogni singolo pixel dell’immagine da trasmet-
tere. Il segnale viene poi trasmesso via cavo o via etere e ricevuto dal televisore, dove il
cinescopio (o tubo catodico) si occupa di ricostruire l’immagine attivando una serie di fo-
sfori presenti sullo schermo, che si illuminano in base agli impulsi forniti da un cannone
elettronico
1
. In sostanza ciò che viene trasmesso è solo l’informazione relativa ad una va-
riazione di luce, mentre il colore semplicemente non viene considerato.
Per rendere il colore degli oggetti ripresi occorre trasmettere ulteriori informazioni. Dalla
miscela di rosso, verde e blu (detti colori primari additivi) si possono ricostruire quasi tutti i
colori visibili dall’occhio umano. Il colore di ogni punto di immagine, quindi, << può esse-
re descritto utilizzando solo i valori della sua luminosità nel rosso, nel verde e nel blu >>
2
.
Ne consegue che la scansione dell’immagine deve essere triplicata e svolta contemporane-
amente con i filtri dei tre colori primari (RGB – red, green, blue). Da qui il termine tricro-
1
Oggi la stessa funzione è svolta anche da dispositivi al plasma o a cristalli liquidi.
2
G. Caprettini, S. Zenatti, Fare televisione. Tecnologie, produzione, scenari, Carocci, Roma, 2005, p. 34.
14
mia. Le telecamere a colori hanno perciò tre trasduttori
3
. La ricostruzione dell’immagine in
ricezione avviene utilizzando fosfori triadici, formati cioè da tre elementi, ognuno dei quali
emette luce di uno tre colori primari additivi. Il cinescopio dei tv color è dotato di tre can-
noni elettronici, uno per ogni elemento del fosforo.
Da queste breve nota tecnica si comprende come l’introduzione del colore nelle trasmissio-
ni televisive sia un’operazione tecnologicamente molto elaborata: si tratta di inviare un se-
gnale che contiene il triplo delle informazioni rispetto al bianco e nero. Vengono così a
originarsi parecchi inconvenienti tecnici, alcuni dei quali vengono risolti scomponendo il
segnale video in luminanza (componente che contiene le informazioni necessarie alla sem-
plice trasmissione in bianco e nero) e crominanza. La complessità delle trasmissioni a colori
richiede la regolazione di molti più parametri rispetto a quella in bianco e nero, tanto che si
è costretti a regolamentarli tramite degli standard internazionali.
Nascita degli standard e << guerra del colore >>
I primi esperimenti di televisione a colori vennero effettuati negli Stati Uniti nel 1940 ad
opera della rete televisiva CBS. La stessa società cominciò il primo servizio di trasmissioni
regolari a colori il 25 giugno del 1951 nella zona di New York, salvo poi vedersi costretta a
sospenderlo nell’autunno dello stesso anno. Le industrie infatti non riuscivano a produrre
un numero significativo di televisori a colori, in quanto in quel momento le risorse produt-
tive erano rivolte maggiormente al comparto bellico, a causa della guerra di Corea
4
.
D’altronde il sistema sequenziale messo a punto dalla CBS non avrebbe avuto futuro
5
, in
quanto si basava su segnali non ricevibili dai televisori in bianco e nero. Il National Televi-
sion System Committee (NTSC) si produsse allora nel tentativo di ovviare a questo pro-
blema, mediante l’introduzione del segnale video a componenti. Nel 1953 nacque quindi il
primo standard ufficiale per la trasmissione del colore, il NTSC
6
. Questo sistema era però
3
In realtà le telecamere amatoriali odierne sono dotate di un particolare dispositivo che permette di acqui-
sire le informazioni relative al colore con un solo trasduttore.
4
Cfr. H. Newcomb (a cura di), Encyclopedia of television, Museum of Broadcast Communications, Chi-
cago, 1997.
5
Il superamento del sistema sequenziale avvenne con l’invenzione del tubo a maschera colore della RCA,
che prevedeva la presenza dei tre cannoni elettronici RGB.
6
Esisteva già uno standard NTSC per il bianco e nero, introdotto nel 1941.
15
parecchio instabile, tanto da venire soprannominato << Never The Same Color >>
7
(o <<
Never Twice the Same Color >>
8
). Incominciò di conseguenza una corsa al miglioramento
di questo standard che vide impegnati americani, tedeschi e francesi
9
. Si arrivò quindi nei
primi anni Sessanta alla definizione dei tre standard con cui ancora oggi avviene la trasmis-
sione del segnale a colori: al NTSC si aggiunsero il francese SECAM (Séquéntiel Couleur
Avec Memoire, 1959) e il tedesco PAL (Phase Alternating Line, 1963). I sistemi furono
protagonisti negli anni Sessanta e Settanta di quella che fu chiamata << la guerra del colore
>>
10
. Erano in gioco enormi interessi economici derivanti dalla vendita delle licenze per
costruire televisori utilizzando lo standard di cui si era proprietari. La durezza del confron-
to, oltre che dal caso italiano che si esaminerà fra poco, è testimoniata dai soprannomi che i
francesi coniarono per i due sistemi europei: il SECAM era il << Supreme Effort Contre
l’Amerique >>, mentre il PAL era la << Provocation Allemande >>
11
.
Si fece anche il tentativo di scegliere uno standard che diventasse comune a tutto il mondo,
attraverso due conferenze internazionali tenutesi a Vienna nel 1965 e a Oslo nel 1966, che
non riuscirono tuttavia nell’intento. Si proseguì quindi con il metodo in uso fino a quel
momento: ogni nazione avrebbe scelto autonomamente quale standard adottare, con il
risultato che i tre Stati da cui provenivano i sistemi attivarono una serie di relazioni diplo-
matiche per poter vendere il proprio prodotto. Ne scaturì una dura battaglia politico-
economica.
In Francia l’ORTF e le maggiori industrie elettroniche erano originariamente contrarie al
SECAM, che fu però imposto dal governo gollista. Nella decisione pesava probabilmente la
volontà di vendicare uno sgarbo subito dagli americani, che impedirono la vendita di un
importante computer ai francesi. Dopo il fallimento delle conferenze internazionali per la
scelta di uno standard comune, in Francia venne istituita un’associazione allo scopo di co-
ordinare la produzione di televisori e di promuovere il sistema francese nel mondo.
L’organizzazione si chiamava Intersecam e comprendeva produttori di apparecchi televisi-
7
Cfr. P. Fridenson, Selling the innovation: French and German color tv devices in the 1960s, in <<Busi-
ness and economic history>>, seconda serie, vol. 20, Business History Conference, 1991. L’articolo è
disponibile on line all’indirizzo http://www.h-
net.org/~business/bhcweb/publications/BEHprint/v020/p0062-p0068.pdf
8
Cfr. G. Caprettini, S. Zenatti, Fare televisione…, op. cit.
9
In realtà altre nazioni si cimentarono nell’impresa. Il Messico, ad esempio, sviluppò una propria variante
con la quale effettuò nel 1962 le prime trasmissioni sperimentali (cfr. A. Gutierrez, La televisiòn mexica-
na, in Apuntes para una historia de la televisiòn mexicana, Espacio, 1998).
10
R. J. Crane, The politics of international standards: France and the color TV war, Norwood, NJ, 1979.
11
Tratti da P. Fridenson, Selling the innovation…, op. cit., p. 63.
16
vi, la tv di Stato francese e le aziende sviluppatrici dello standard. Dall’altra parte
dell’Atlantico anche gli Stati Uniti erano fortemente determinati nella volontà di prevalere
sui concorrenti, tanto da tentare di vendere il NTSC nientemeno che all’Unione Sovietica,
mentre si era in piena guerra fredda. La Germania poteva invece contare su quello che ve-
niva giudicato lo standard qualitativamente migliore: il vincitore della guerra del colore fu
infatti il PAL, scelto da molti Paesi nel mondo (in particolare in Europa). Le industrie tede-
sche, però, non seppero approfittare di questo vantaggio, e vennero battute nel lungo pe-
riodo dalle migliori scelte strategiche delle aziende francesi e soprattutto giapponesi
12
.
L’Italia
Nel 1962 dal trasmettitore di Monte Mario a Roma vennero effettuate le prime sperimenta-
zioni con il sistema NTSC. Quattro anni dopo l’UER (Unione Europea Radiodiffusioni)
assegnò all’Italia il compito di testare i tre standard (PAL, SECAM e NTSC) per verificare
quale fosse il migliore. Nella sede Rai di via Asiago, a Roma, si allestirono tre diversi studi
televisivi per effettuare le sperimentazioni, con la collaborazione di importanti aziende del
settore dell’elettronica. Le verifiche dimostrarono la superiorità del PAL, sistema a favore
del quale l’Italia si espresse durante le conferenze internazionali di Vienna e Oslo. Fu in
quelle occasioni che si delinearono gli schieramenti in merito all’adozione degli standard: il
NTSC non avrebbe avuto penetrazione in Europa (fu scelto da Usa, Giappone e vari Stati
delle Americhe), il SECAM incontrava i favori, oltre che della Francia, del blocco sovietico
e di molti Paesi del Mediterraneo (Tunisia, Marocco, Libano), mentre il PAL era avviato a
servire la maggior parte delle Nazioni del vecchio continente. La Francia, dopo aver portato
dalla sua parte l’URSS, decise una manovra aggressiva per accrescere la presenza del SE-
CAM in Europa, puntando decisamente sull’Italia con la speranza che questa avrebbe poi
trascinato altre Nazioni. Si pensava che la decisione del Belpaese avrebbe potuto influenza-
re in particolare l’America Latina. Cominciarono così delle pressioni del governo francese
su quello italiano. Il primo risultato fu una serie di nuove sperimentazioni effettuate nel
1967, da cui però emerse ancora la superiorità del PAL. Il 1967 fu l’anno del colore per
l’Europa: iniziarono le trasmissioni regolari ARD (Germania, PAL), ORTF (Francia, SE-
12
Su questo tema si veda P. Fridenson, Selling the innovation…, op. cit.
17