6
fund raising. I criteri di economicità, efficienza ed efficacia applicati alla
gestione, organizzativa e finanziaria, delle quattordici realtà liriche
italiane rappresentano la loro forte complessità, che deriva proprio dalla
convivenza, al loro interno, di due “anime” differenti: l’anima artistica e
l’anima manageriale. Ed è solo adottando appropriate strategie
economico – aziendali che l’intima “essenza artistica” delle Fondazioni
Lirico – Sinfoniche riesce ad essere esteriorizzata e valorizzata,
consentendo ad esse di cercare e raggiungere l’equilibrio di cui hanno
bisogno per poter sopravvivere. Più che di equilibrio, nel caso dei teatri
lirici è preferibile parlare di equilibri, …innanzitutto l’equilibrio tra
linguaggio artistico e linguaggio economico, poi equilibrio tra contributi
pubblici e privati, ancora equilibrio tra tradizione e innovazione.
L’attività di fund raising, attraverso il suo ciclico processo di analisi –
pianificazione – attuazione – verifica, sembra essere uno strategico
spiraglio d’apertura verso il raggiungimento dell’equilibrio economico
delle Fondazioni Liriche, volto a rivelare ed affermare la capacità di
queste realtà artistiche di stare sul mercato e di configurarsi come realtà
economiche a tutti gli effetti. Ma, vista la crescente e pesante crisi che da
anni affligge il settore lirico, causata da molteplici fattori tra loro
interconnessi, questo traguardo sembra ancora lontano dall’essere
tagliato, soprattutto a fronte del non ancora risolto problema delle risorse
e quello conseguente della disorganicità delle norme che ne disciplinano
l’erogazione e la defiscalizzazione.
E’ questa la problematica situazione che fa da sfondo al presente lavoro,
che si propone innanzitutto di analizzare il contesto legislativo ed
economico in cui le quattordici Fondazioni Lirico – Sinfoniche
s’inseriscono e, su questa base, di cercare di individuare le condizioni e
le potenzialità insite nell’attività di fund raising da esse praticata al fine
di raggiungere l’equilibrio cercato.
7
Il lungo e complicato excursus legislativo e normativo che, con il suo
lento processo di tappa in tappa, ha portato alla nascita degli Enti Lirici e
successivamente alla loro obbligatoria trasformazione in Fondazioni di
diritto privato, fa da sfondo alla particolare e problematica situazione in
cui le quattordici Fondazioni Lirico – Sinfoniche italiane versano, tema
che viene affrontato nel primo capitolo. In esso, si va alla ricerca ed alla
conseguente argomentazione delle cause principali che ne hanno
scatenato la crisi odierna, nonché della tipologia di finanziamenti,
pubblici e privati, in grado di risollevare questa pesante e quasi
“degenerativa malattia” che ha colpito l’ambiente lirico. Particolare e
maggiore attenzione viene conferita ai finanziamenti derivanti
dall’intervento del settore privato nel citato ambito, distinti
rispettivamente in interventi di tipo mecenatistico ed interventi di
sponsorizzazione.
Partendo da questa situazione estremamente statica della lirica italiana, si
passa successivamente alla definizione ed analisi dell’attività che
apparirà poi come la più indicata e funzionale alla “rinascita” economico
– finanziaria delle Fondazioni Liriche: l’attività di FUND RAISING. Ed
il secondo capitolo si concentra esclusivamente sull’intero processo di
“raccolta fondi” intrapreso (o da intraprendere) dalle realtà culturali
presenti, analizzandone le varie fasi che lo compongono e descrivendone
i singoli aspetti che lo caratterizzano. Da generale, il discorso
sull’attività di fund raising si sposta più specificamente sull’ambito lirico
attraverso l’individuazione, la classificazione e la spiegazione dei diversi
mercati cui è possibile rivolgersi al fine di assicurarsi una certa copertura
finanziaria e dei diversi strumenti utilizzabili.
Il terzo capitolo si propone, invece, di analizzare, in breve, la pratica del
fund raising nel contesto lirico internazionale, in particolare negli Stati
Uniti d’America e nella Gran Bretagna. La differente mentalità politica e
sociale che questi Paesi presentano tra loro e nel confronto con l’Italia si
riflette anche nell’organizzazione artistica e culturale che offrono e,
soprattutto, nella concezione dell’investimento nella cultura. L’elemento
8
discriminante risiede, in particolare, nel valore che ciascuno dei citati tre
Paesi dà alla “donazione” in ambito culturale. Dal confronto emerge,
dunque, una netta opposizione tra di essi circa il modo che gli italiani
hanno di intendere la Cultura, estremamente diverso da quello degli
americani e degli inglesi, e circa il valore dato ad essa e al “donare in
favore della Cultura”. Probabilmente già questa sfumatura può essere
considerata uno degli elementi che, se esasperati, conducono
direttamente alla difficile situazione attraversata dagli Enti che si
occupano di cultura in Italia, tra i quali spiccano maggiormente gli Enti
Lirici.
Con il quarto capitolo, che chiude l’intero lavoro, si procede all’analisi
ed alla sintesi dei dati derivanti da una ricerca empirica da me condotta
circa il rapporto che si viene a creare tra Fondazioni Liriche e la pratica
dell’attività di fund raising. Attraverso l’ideazione e la successiva
somministrazione di un questionario a ciascuna delle quattordici realtà
lirico – sinfoniche italiane, si è cercato di indagare diversi aspetti che le
contraddistinguono l’una dall’altra così da far emergere un quadro
completo dell’offerta culturale proposta e del modo in cui ciascuna di
esse organizza il proprio profilo economico – finanziario, rivolgendosi in
modo attivo ai potenziali finanziatori mediante lo strumento della
“raccolta fondi”.
Il presente lavoro, concentrandosi su di un tema davvero molto attuale
vista la quasi insormontabile crisi odierna che affligge il panorama lirico
– sinfonico italiano, vuole essere un tentativo di analisi e “disciplina” del
settore in questione, ma si propone, allo stesso tempo, come un forte e
oggi alquanto necessario stimolo di “risistemazione” e rinnovamento di
un sistema complesso e, contemporaneamente, confuso come appunto
quello della lirica, che ormai da anni non fa altro che inviare precisi e
determinati segni di quasi fallimento al fine di risvegliare l’animo e la
volontà di chi ha tutti gli strumenti necessari e adatti per intervenire in
9
modo attivo non solo allontanando i diversi problemi che oggi il settore
registra, ma debellandoli del tutto. Solo con un pronto ed efficace
intervento, di stampo politico ed economico, le Fondazioni Lirico –
Sinfoniche potranno tornare a godere del prestigio, dell’importanza e
della “potenza economica” che sempre le hanno caratterizzate e distinte
nell’ambito culturale.
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- CAPITOLO 1 -
GLI ENTI LIRICI E LA LORO SITUAZIONE
PROBLEMATICA
1.1 NASCITA E SVILUPPO DEL TEATRO LIRICO
E’ già a partire dal XVI secolo che in Italia, culla della cultura
professionale e artistica dei Comici dell’Arte, l’arte teatrale inizia ad
“essere venduta”. Dapprima, vengono messe in scena commedie e
tragedie, unite ad altri generi dell’epoca, col fine di intrattenere la corte
dietro ricompensa di ricchi doni; successivamente, nascono veri e propri
luoghi creati appositamente per ospitare rappresentazioni teatrali: sono
“stanze” pubbliche, in cui veniva data l’opportunità di assistere alle
rappresentazioni dei Comici a spettatori comuni, dietro il pagamento di
un diritto di entrata. Promotori di questi spettacoli erano cardinali e
famiglie nobiliari, tra cui i Gonzaga di Mantova i più attivi. E, a partire
dal 1600, si susseguono numerose inaugurazioni di “stanze” nelle
maggiori città italiane, fino a giungere a Venezia, uno dei fulcri dell’Arte
dei Comici.
A Venezia è il ceto patrizio di antica, solida tradizione mercantile a
concepire l’opportunità di incrementare i propri redditi in terraferma
vendendo a un pubblico più vasto i propri privati collaudatissimi
divertimenti. Alcune famiglie affittano ampi locali di loro proprietà
ricavando l’utile dai biglietti d’ingresso, dal costo delle sedie,
dall’affitto dei palchi, dalla vendita di commestibili, dai giochi
d’azzardo. […] Nascono così la Stanza dei Michiel, i teatri dei Tron,
dei Giustinian e dei Vendramin.
1
E fu proprio a Venezia che, in occasione del Carnevale del 1637, una
compagnia di musicisti e cantanti, romani e veneziani, decise di prendere
in affitto il teatro S. Cassian e di mettervi in scena un dramma musicale.
Era l’”Andromeda”, libretto di Benedetto Ferrari e musica di Francesco
Monelli. Nasce così il primo teatro pubblico a pagamento, …il vero e
proprio moderno teatro d’opera!
1
CARANDINI S., Teatro e spettacolo nel Seicento, pp. 127-128
11
Il funzionamento di quest’opera impresariale obbedisce a regole
totalmente diverse da quelle dell’opera di corte: nasce infatti
dall’iniziativa di un imprenditore che investe dei capitali nella
costruzione o nell’allestimento di un teatro, che commissiona un’opera
al poeta e al musicista, riunisce una compagnia di tecnici e di interpreti
e spera di rientrare nelle spese, o meglio di guadagnare, grazie alla
pubblicità di cui si preoccupa di circondare l’evento e alla vendita dei
posti di platea e dei palchi.
2
Si passò, in questo modo, ad uno spettacolo operistico organizzato
secondo una logica economica, commerciale e gestionale, la cui figura
primaria divenne quella dell’impresario. L’impresario era colui che si
assumeva l’onere dell’esazione degli introiti, del controllo, della
direzione tecnica ed artistica, …era colui che si occupava della vera e
propria gestione dell’organizzazione dello spettacolo d’opera,
assumendosi qualsiasi responsabilità ne fosse conseguita e addossandosi
gli eventuali rischi che l’impresa teatrale avesse causato. Ed era, ancora,
l’impresario che investiva il proprio denaro in spese quali l’affitto del
teatro, l’allestimento delle scene, i compensi per i cantanti. A queste
ingenti spese corrispondevano gli utili derivanti dall’affitto annuale dei
palchi e dai singoli spettacoli messi in scena, quali ricavi.
A questo punto ci si potrebbe chiedere: cos’è che spingeva l’impresario
ad investire ingenti somme di denaro in qualcosa come lo spettacolo
operistico, che non dava alcuna garanzia di riuscita e di ricavo?
Sicuramente, unica “garanzia” (se tale può essere definita) era il forte
radicamento che l’opera aveva nella vita cittadina, tanto che il teatro
venne in seguito considerato e definito vero e proprio “bene sociale”,
vera e propria istituzione. Il teatro d’opera divenne, dunque, punto di
incontro e di riferimento per l’intera società, e questo importante valore
sociale fu confermato dai primi interventi finanziari e legislativi dei
governi nella gestione del teatro che si svilupparono nel corso del
Settecento.
Un ulteriore passo venne fatto a cavallo tra fine Settecento e inizi
Ottocento, quando si cominciò a considerare l’opera come “industria”, in
2
DE VAN G., L’opera italiana, p. 17
12
quanto essa stimolava il commercio, il turismo e la circolazione di
capitale, procurava lavoro non solo alla gente di spettacolo ma anche ai
dipendenti di industrie e botteghe legate al teatro. A questa
industrializzazione dell’opera corrispose anche la gerarchizzazione
all’interno del teatro stesso, in cui l’ordine dei palchi rifletteva la
distinzione tra ceto benestante e ceto meno abbiente presente nella
società ottocentesca. E una distinzione venne effettuata anche tra i due
generi teatrali principali: l’opera seria, il cui allestimento era più costoso
e richiedeva un biglietto d’ingresso più elevato, e l’opera buffa, meno
costosa e più accessibile ai ceti meno abbienti.
Sul piano artistico è necessario sottolineare, però, l’importanza che
l’opera lirica conquistò «con la sua struttura composita, con la sua
alternanza di scene forti e di passaggio, con l’evidenza delle sue climax e
con la sua disponibilità a un’attenzione non uniforme da parte del
pubblico»
3
.
A fronte di questa situazione, in cui la rilevanza artistica e sociale
dell’opera lirica conviveva con lo sviluppo commerciale ed industriale
del teatro operistico ottocentesco, si rese necessario l’intervento statale,
al fine di regolamentare e sovvenzionare il teatro lirico.
3
MELDOLESI C., TAVIANI F., Teatro e spettacolo nel primo Ottocento, p. 125
13
1.2 EXCURSUS NORMATIVO
1.2.1 Primi interventi dello Stato nella regolamentazione
del settore musicale
La prima delle numerose tappe fondamentali che caratterizzano il lungo
e difficile percorso normativo del settore musicale risiede nel passaggio
dal modello privato al modello pubblico di gestione. In un primo
momento, allo scopo di ovviare alla difficile situazione economica dei
principali teatri lirici italiani, impresari, palchettisti e amministrazioni
comunali si riuniscono in una “Società anonima senza fini di lucro”,
volta a dare una certa sicurezza finanziaria: è questo ciò che avviene a
Milano, sede del maggior teatro lirico italiano, il Teatro alla Scala, e a
Torino, sede del Teatro Regio. Non si parla ancora di intervento dello
Stato, o meglio il ruolo che esso svolge in riferimento ai teatri lirici si
limita a funzioni quali il prelievo fiscale, il controllo dell’ordine
pubblico, della sicurezza e della morale. E il coinvolgimento statale resta
tale ed invariato anche nel momento in cui l’Ente lirico nazionale per
eccellenza, la Scala, si costituisce secondo il modello dell’Ente
Autonomo: con esso, il Comune rinuncia a favore dell’Ente alla sua
parte di proprietà, acquista i palchi di proprietà privata e corrisponde
all’Ente un canone annuo.
Il primo provvedimento dello Stato in materia di sostegno finanziario al
settore lirico è rappresentato dal R. D. L. del 4 maggio 1920, n. 567, che
all’art. 18 disciplinava le condizioni che i teatri lirici dovevano
possedere per poter accedere ai finanziamenti.
Si trattava dell’addizionale del 2% sul diritto erariale dei biglietti da
applicare ai teatri di quelle «province il cui capoluogo abbia una
popolazione di oltre 300.000 abitanti ove esista un teatro lirico di
importanza nazionale gestito senza fini di lucro da un ente autonomo o
da una associazione di cittadini»
4
.
4
BRIGLIA B., Il fund raising e le fondazioni lirico-sinfoniche: una nuova forma di sostegno alla
cultura, p. 26
14
Ma è con l’avvento del periodo fascista che lo Stato adotta dei reali
provvedimenti per regolamentare il settore dello spettacolo in generale,
con particolare attenzione al settore musicale.
Nel 1919 viene istituito il Sottosegretariato alle Antichità e Belle Arti.
«Esso nasce per gestire il ritorno al Demanio dello stato di una parte dei
beni artistici in godimento della Corona […]»
5
, ma «si pone invece come
un autentico "laboratorio" di elaborazione di una strategia di sostegno,
moderna e liberale insieme, della cultura e dello spettacolo da parte dello
Stato».
6
Breve fu la sua vita, infatti dopo appena 4 anni, nel 1923 il
Governo Mussolini decide di sopprimerlo. Ma bisogna riconoscere
l’importante, se non decisivo ruolo che l’avvento dello Stato Fascista
ebbe nel processo di regolamentazione del settore lirico. Mussolini,
infatti, fu il primo a disciplinare l’attività dei teatri lirici, attraverso la
promulgazione di due leggi: il R. D. L. 3 febbraio 1936, n. 438, ed il R.
D. L. 3 febbraio 1936, n. 720.
Il R. D. L. n. 438 regolava la vita degli Enti Autonomi. Tutti i Comuni
e gli Enti Autonomi che si occupavano della conduzione diretta delle
stagioni teatrali per almeno un mese dovevano dar vita a un nuovo
organismo dotato di personalità giuridica propria e di gestione
autonoma. Il governo voleva uniformare la gestione delle istituzioni
maggiori con lo scopo di effettuare un più intenso controllo politico e
raggiungere una qualità artistica migliore, eliminando l’impresariato e
promuovendo l’educazione musicale e teatrale del popolo.
7
Si voleva ridurre ad uniformità gestionale l’attività dei grandi teatri lirici,
attraverso l’eliminazione dell’impresariato e l’istituzione di forme di
controllo da parte dell’amministrazione centrale. Si cercava, insomma, di
razionalizzare il lavoro teatrale.
I primi teatri lirici a divenire Enti Autonomi furono la Scala di Milano, il
Reale di Roma ed il Comunale di Firenze, cui poco dopo si aggiunsero
quelli di Torino, Venezia, Genova, Bologna, Trieste, Napoli, Palermo e
Verona.
5
RUGGIERI M., L’intervento pubblico nello spettacolo: vent’anni e oltre, pp. 555-556
6
RUGGIERI M., Il teatro lirico tra pubblico e privato (1898-2001), ne Il costo del melodramma, p.
61
7
BRIGLIA B., Il fund raising e …, "cit.", p. 27
15
Il R. D. L. n. 720 si riferiva, invece, alla lirica “minore” e aveva come
scopo lo sviluppo della formazione di artisti e la diffusione della nuova
produzione.
Risulta, dunque, evidente come l’obiettivo principale della politica
fascista in materia musicale fosse quello di condurre i grandi teatri lirici
nazionali ad una gestione autonoma pubblica e di eliminare la proprietà
privata nei teatri. E questo particolare interessamento da parte della
politica allo spettacolo portò alla nascita di un’amministrazione statale
apposita per gli affari dello Spettacolo. Probabilmente, l’attenzione di
Mussolini nel riformare e regolamentare un settore fino ad allora poco
preso in considerazione dal livello nazionale centrale risiedeva nelle
ragioni educative e di propaganda proprie di qualunque manifestazione e
genere appartenente allo Spettacolo. Ed è per questa ragione che
Mussolini stesso si preoccupò, nel 1935, di istituire un “Ispettorato del
teatro”, così da garantire un maggiore controllo dello Spettacolo da parte
statale, in modo da ricondurlo sotto il diretto potere governativo.
La vera riforma dell’Ente Lirico avvenne con la promulgazione della
Legge 4 giugno 1936, n. 1570, che disciplinava in maniera organica ed
unitaria tutti gli Enti Lirici attraverso la disposizione di una nomina
governativa sia per la figura del sovrintendente del teatro lirico, sia per i
membri del comitato di direzione. Essa pretendeva, inoltre,
l’approvazione ministeriale per ogni atto che avesse una certa
importanza e per la programmazione delle stagioni.
Nel 1946 fu approvato il R. D. L. 30 maggio 1946, n. 538 (detto Legge
Scoccimarro, dal nome del ministro delle finanze), con il quale lo Stato
veniva decretato come diretto finanziatore della lirica. In questo modo,
lo Stato era tenuto a devolvere la quota del 12% dei diritti erariali
introitati dagli spettacoli agli Enti Autonomi, all’Accademia di Santa
Cecilia e agli altri enti ed istituzioni teatrali non aventi scopo di lucro. I
contributi erano elargiti sulla base delle analisi dei bilanci, dei
programmi artistici e dell’attività svolta.
16
Ma, già due anni dopo, la palese inadeguatezza degli stanziamenti
obbliga ad un nuovo provvedimento: il D. L. 20 febbraio 1948, n. 62,
con il quale un’ulteriore quota del 6% dei diritti erariali sugli spettacoli
veniva destinata alla sovvenzione di “manifestazioni teatrali italiane di
particolare importanza artistica e sociale”.
I successivi anni '50 furono soltanto un continuo susseguirsi di
provvedimenti vari circa le sovvenzioni e i diritti erariali da concedere
agli Enti Lirici. Il 1959 fu l’anno dell’istituzione del Ministero del
Turismo e dello Spettacolo, che si limitò a “ritoccare” le sovvenzioni ed
i precedenti interventi legislativi, senza apportare alcuna modifica.
Si prepara, così, il terreno all’avvento della Legge Corona, promulgata
nel 1967.
1.2.2 Legge Corona: nascita degli Enti Lirici
E’ nel 1967, precisamente il 14 agosto, che il Ministro Achille Corona
decide di promulgare il primo vero provvedimento legislativo organico
sulla musica: la cosiddetta Legge Corona (Legge 14 agosto 1967, n.
800). Con essa s’intende convincere il Governo che è necessario porre
fine alla forma avventurosa di gestione.
L’attività lirica e concertistica degli affari della musica veniva, così,
riconosciuta « di rilevante interesse generale, in quanto intesa a favorire
la formazione musicale, culturale e sociale della collettività nazionale »
8
.
La Legge Corona distingueva, inoltre, gli Enti Autonomi Lirici dalle
Istituzioni Concertistiche Assimilate (quali l’Accademia Nazionale di
Santa Cecilia e l’Istituzione dei concerti del Conservatorio Musicale di
Stato G. Pierluigi da Palestrina di Cagliari), perpetuando una concezione
8
Dall’art. 1 della Legge 800/1967
17
del mondo della musica di stampo ottocentesco, nel privilegio della lirica
e nella minore considerazione di ciò che era altro dalla lirica. Si precisa,
inoltre, che sia gli Enti Autonomi Lirici, sia le Istituzioni Concertistiche
Assimilate hanno personalità giuridica di diritto pubblico e sono
sottoposti alla vigilanza del Ministero del Turismo e dello Spettacolo,
evidenziando così un certo “predominio statale” sulla loro “relativa
autonomia” circa le particolari disposizioni dedicate all’esercizio
finanziario, all’approvazione dei bilanci dell’attività annuale e dei
bilanci di previsione e consuntivi sui precisi termini entro i quali essi
devono essere trasmessi per poter essere approvati dal Ministero. La
Legge stessa afferma il “potere di vigilanza dell’Amministrazione
statale”, cui appartiene il potere di controllo sulla stretta osservanza delle
prescrizioni fissate dalla Legge circa gli impegni di spesa, i programmi
di attività, il repertorio, l’impiego di personale artistico e il numero degli
spettacoli rappresentati.
Dal punto di vista strutturale, la Legge Corona si compone di 54 articoli,
organizzati in quattro Titoli.
Il Titolo I della Legge comprende le “Disposizioni generali” e definisce i
presupposti e le finalità, i fondi e gli organi centrali di programmazione
ed intervento. In particolare, l’art. 2 recita così:
Per il raggiungimento dei fini di cui al precedente articolo, sono
stanziati annualmente in appositi capitoli dello stato di previsione della
spesa del Ministero del Turismo e dello Spettacolo, a partire
dall’esercizio finanziario del 1967: a) un fondo di lire 12 miliardi da
erogare in contributi agli enti ed istituzioni di cui al successivo articolo
6; b) un fondo da erogare in sovvenzioni a favore di manifestazioni
liriche, concertistiche, corali e di balletto da svolgere in Italia ed
all’estero e di altre iniziative intese all’incremento ed alla diffusione
delle attività musicali. […].
9
Dunque, al contributo statale, fissato in 12 miliardi di lire, dovrebbe
essere aggiunto un apporto complessivo locale pari almeno al 20%
dell’intervento statale. Ma, come in seguito si vedrà, questa somma di
9
Dall’art. 2 della Legge 800/1967
18
denaro sarà insufficiente e sarà capace di coprire soltanto il costo delle
masse.
Altro articolo – cardine del Titolo I è quello che elenca e definisce gli
organi centrali di amministrazione dell’Ente (art. 3).
Il Titolo II della Legge Corona è invece dedicato interamente agli Enti
Autonomi Lirici ed alle Istituzioni Concertistiche Assimilate. Esso
include, innanzitutto, l’elenco dei tredici Enti Autonomi Lirici, nonché
l’indicazione della loro natura giuridica e delle loro finalità. Prosegue,
poi, con l’elenco e la descrizione dei quattro organi principali di cui
ciascun Ente Lirico è costituito (Presidente, Sovrintendente, Consiglio di
Amministrazione, Collegio dei Revisori).
Il successivo Titolo III è volto a disciplinare le altre attività musicali che
si svolgono in Italia e all’Estero, le quali possono essere sovvenzionate
dallo Stato in base all’importanza della località nella quale esse si
svolgono, degli interessi turistici, degli indici d’affluenza del pubblico e
delle esigenze delle zone depresse.
L’ultimo Titolo della Legge Corona riguarda la questione del
“collocamento del personale artistico”.
Pur avendo la Legge Corona come merito l’aver affermato, per la prima
volta, la rilevanza nazionale dell’attività lirica e concertistica, e l’aver
sottolineato l’impegno da parte dello Stato ad intervenire con idonee
provvidenze, essa non conteneva ancora alcuna riforma organica per le
Istituzioni disciplinate. Ciò che mancava era un modello per assicurare
nel tempo la disponibilità delle risorse finanziarie necessarie per il
funzionamento e la sopravvivenza degli Enti e delle Istituzioni.
La Legge Corona aveva sì garantito un finanziamento certo agli Enti
Lirici, ma non si era posto il problema del loro risanamento finanziario,
tanto che il disavanzo aumentò anno dopo anno, proclamando
l’insufficienza del sussidio statale e la necessità di un contributo più
massiccio da parte dell’Amministrazione centrale. E nel giugno 1969,
proprio a causa di ciò, il Governo si vide costretto a riconoscere che i
19
problemi degli Enti non erano stati affatto risolti né per quanto atteneva
la loro struttura organizzativa, né per la situazione finanziaria,
introducendo così un “doppio canale di finanziamento”: il primo
destinato a finanziare l’attività produttiva; il secondo, invece, il
risanamento dei disavanzi di gestione.
Ma la tanto attesa “legge – quadro” non arrivò, anzi si avviò un periodo
caratterizzato dall’emanazione di semplici “leggi – tampone”, di
circolari con efficacia annuale che operavano di fatto come leggi.
Fu solo nel 1979 che cominciò ad intravedersi un segnale di
cambiamento. Il sovrintendente della Scala dichiarò di voler aprire le
porte alla sponsorizzazione, nonostante le critiche ricevute, …critiche
che riguardavano il carattere commerciale che le era proprio e che
avrebbe condizionato, a lungo andare, le scelte della programmazione
artistica degli Enti Lirici. Ma la proposta di sponsorizzazione rimase
soltanto un’utopia: il mondo culturale italiano non era ancora pronto per
l’ingresso dei privati!
Bisognerà attendere la metà degli anni Ottanta, e precisamente l’anno
1985, perché si possa finalmente giungere all’emanazione di una vera e
propria “legge – quadro” per il settore dello spettacolo. Così, il “rito
assurdo” degli interventi legislativi dettati dall’emergenza sembrerà
concluso, anche se, come si vedrà in seguito, l’emergenza muterà solo
forma.