2
Si terrà in particolare considerazione il momento storico in cui l’opera è nata,
ovvero il secondo dopoguerra, momento in cui il dramma dell’esule, del senza patria è
estremamente attuale: il ricordo dei campi di concentramento è ancora vivo, la xenofobia
e la persecuzione razziale sono fenomeni che ancora scuotono le coscienze.
Nel primo capitolo saranno inoltre analizzati gli aspetti scenici e testuali
dell’opera e approfonditi i temi e i personaggi che la caratterizzano.
Altro motivo di interesse è l’analisi dei temi comuni a Lunga notte di Medea e le
altre opere scritte da Alvaro. Questa tragedia, considerata la prova più riuscita ed
equilibrata dell’attività drammaturgica di Alvaro, occupa un posto di rilievo nel contesto
della produzione letteraria dello scrittore, la quale spazia dalla poesia al giornalismo, dal
romanzo al saggio, dal racconto all’opera teatrale. Il proposito è quello di individuare
temi e personaggi comuni, evidenziando che i motivi presenti nelle opere precedenti al
dramma su Medea non sono altro che anticipazioni di un unico universo.
Particolare spazio è stato riservato alla trattazione della prima rappresentazione
del dramma. Attraverso le cronache e le recensioni dell’epoca è stato possibile
ricostruire le prime impressioni del pubblico e della critica, soprattutto in riferimento
all’autore e alla Pavlova.
Si è ritenuto inoltre opportuno inserire un capitolo su Maurizio Scaparro e la sua
Lunga notte di Medea, rappresentata nel 1966 e nel 1976. Con queste nuove messinscene
il regista ha voluto rendere omaggio ad Alvaro in occasione rispettivamente del decimo e
ventesimo anniversario della morte.
A questa ricerca è stato aggiunto un capitolo sul rapporto di Alvaro con il teatro. Il
materiale, così vasto, sparso ed eterogeneo, è stato organizzato in base ad argomenti
chiave, ovvero la società, il regista, gli attori, i personaggi, il pubblico e il rapporto con il
cinema. Le citazioni da svariate opere dell’autore appesantiscono a volte la trattazione,
ma sono necessarie in quanto parte essenziale del discorso.
3
Il risultato ottenuto è comunque intenzionale, in quanto lo scopo è dare la parola
allo stesso Alvaro, collegando in un articolato mosaico riflessioni che provengono da
testi eterogenei.
4
Capitolo 1
Il mito di Medea da Euripide ad Alvaro
1.1 Origine e sviluppo del mito
Molti autori si sono accostati al mito di Medea ed al suo universo cupo e
controverso; ognuno di loro, rivisitando la storia dell’eroina della Colchide, ne ha dato la
propria versione, differente in rapporto ai diversi luoghi ed alle diverse epoche. Del resto
ogni mito si presta a varie interpretazioni e può essere rielaborato in molteplici forme.
Esso è “un ‘linguaggio’ complesso e articolato, costituito da ‘mitemi’ che, come tessere
di un mosaico, nate in tempi e luoghi diversi, vengono a collocarsi in una griglia sempre
aperta: nessun mito ha una struttura definitiva, ma esso, in quanto ‘linguaggio’ storico e
nello stesso tempo astorico, è possesso di tutti i popoli e di tutti i tempi.”
1
.
La saga di Medea, legata al mito degli Argonauti e alla conquista del Vello d’oro,
è costituita da un antefatto e da una serie di sequenze, che si svolgono in luoghi
geografici differenti, da Iolco alla Colchide. La sequenza più famosa di questa saga
riguarda i fatti accaduti a Corinto, dove trovano la morte i figli di Medea, anche se non si
conoscono con certezza le circostanze.
Nel V secolo a.C. Euripide
2
(circa 480 a.C.- 406 a.C.) rielabora il mito di Medea e
lo fissa in una forma che diverrà termine di paragone per ogni successiva riscrittura di
1
cfr. C. Lèvi-Strauss, Antropologia strutturale, Milano, Il saggiatore
2
Per le citazioni del testo di Euripide si fa riferimento a: Euripide, Medea, a cura di M. G. Ciani, Marsilio,
Venezia, 1997. Della sterminata bibliografia sulla Medea di Euripide si segnalano solo alcune tra le
principali e le più recenti edizioni: Euripides, Medea, introduzione e commento di D. L. Page, Oxford
5
questa tragedia. L'episodio centrale di questa versione è l’uccisione dei figli; l’intero
dramma è costruito nell’attesa di questo evento, che pare sia un'innovazione del
tragediografo ateniese rispetto alla tradizione precedente
3
. “Si tratti comunque di
innovazione o di scelta nell’ambito del materiale offerto dalla tradizione, l’infanticidio
portato sulla scena rimane determinante nella storia del personaggio: l’uccisione dei figli
costituisce infatti un punto di non-ritorno, Medea non potrà più essere raccontata al di
fuori di questo gesto. Il mito si infrange e la storia si cristallizza su Medea madre
assassina.”
4
.
Il personaggio di Medea non è un’invenzione di Euripide: “nel momento in cui il
poeta tragico le conferisce i lineamenti inconfondibili della furia passionale, ella ha alle
spalle una storia che risale all’epica più remota.”
5
. Il dramma del tragediografo ateniese
affonda infatti le proprie radici in una leggenda ricca, ma purtroppo lacunosa, che risale
all’VIII secolo a.C.. Utilizzando i frammenti rimasti, si possono ipotizzare gli elementi
di cui Euripide si avvalse per costruire il suo personaggio.
La versione più antica del mito di Medea è quella che risale a Eumelo, poeta epico
di Corinto vissuto nell’VIII secolo a.C.. Egli scrisse la Storia di Corinto, narrazione delle
origini mitiche della città, della quale si conservano oggi pochi frammenti. Eumelo
racconta che la maga della Colchide venne chiamata dai cittadini di Corinto a regnare in
quanto figlia di Eeta, un tempo titolare del trono, e Giasone regnò con lei. Un residuo di
Clarendon Press, 1990 (1938); Euripide, Medea, a cura di V. Di Benedetto e E. Cerbo, Milano, Rizzoli,
1997; Euripides, Medea, a cura di D. J. Mastronarde, Cambridge University Press, 2002.
3
Sulle versioni preeuripidee si segnala in particolare il saggio di P. Giannini, Medea nell’epica e nella
poesia lirica arcaica e tardo-antica, pagg. 20-22 in Medea nella letteratura e nell’arte, a cura di B. Gentili e
F. Perusino, Marsilio, Venezia, 2000. Nello stesso volume cfr. il saggio di B. Gentili, La ‘Medea’ di
Euripide, pagg. 30-31 e di A. Beltrametti, Eros e maternità. Quel che resta del conflitto tragico di Medea,
pagg. 43-44. Si segnalano inoltre i saggi di P. Fornaro, Medea di Euripide ed archetipo letterario, pagg. 169-
172 e di G. Bona, Alla ricerca di Medea, pagg. 210-212, entrambi in Atti delle giornate di studio su Medea.
Torino 23-24 ottobre 1995, a cura di R. Uglione, Torino, 1997. Cfr. anche A. Rodighiero, Ricerche
euripidee, a cura di O. Vox, Lecce, 2003, pagg. 146-150; D. J. Mastronarde, General introduction, in
Euripides, cit., pagg. 50-57; D. Susanettti, Nota al testo, in Euripide, a cura di M. G. Ciani, cit., pagg. 51-53.
4
M. G. Ciani, Introduzione, in Euripide,Grillparzer, Alvaro, Medea – Variazioni sul mito, a cura di M. G.
Ciani, Venezia, Marsilio, 1999, pag. 11
5
P. Giannini, Medea nell’epica e nella poesia lirica arcaica e tardo-antica, cit., pag. 13
6
questa benevolenza è presente anche nel dramma di Euripide, nel cui prologo la nutrice
sostiene che un tempo Medea era gradita ai cittadini di Corinto
6
. Per quanto riguarda il
problema dell’infanticidio, nella versione di Eumelo Medea uccide involontariamente i
propri figli, nel tentativo di renderli immortali.
Il perduto poema di Eumelo è ripreso da Pausania, erudito di età romana; egli
riferisce che la madre, “ogni volta che partoriva, nascondeva sotto terra il neonato nel
santuario di Era e lo faceva perché riteneva che così i figli sarebbero stati immortali; ma
alla fine comprese che le sue speranze erano vane e, anche perché era stata scoperta da
Giasone (che non la volle perdonare, nonostante le sue preghiere, e prese il mare per
tornare a Iolco), se ne andò anche lei”
7
. Pausania narra inoltre che i Corinzi lapidarono i
figli di Medea per vendicarsi della morte della principessa, gettatasi in una fontana per
purificarsi dei veleni mortali portati in dono dai ragazzi. Egli, descrivendo Corinto,
riferisce della “fonte detta di Glauce; in questa appunto Glauce si gettò, come
raccontano, credendo che l’acqua potesse essere un rimedio contro i veleni di Medea. Al
di là di questa fonte hanno costruito il cosiddetto odeon, e nei suoi pressi c’è il
monumento sepolcrale ai figli di Medea, i cui nomi erano Mermero e Ferete: si racconta
che furono lapidati dai Corinzi a causa dei doni che, secondo la tradizione, portarono a
Glauce. Poiché la loro morte era stata violenta e ingiusta, essi facevano strage dei
bambini piccoli di Corinto, fino a quando, su consiglio dell'oracolo divino, furono
istituiti in loro onore sacrifici annuali e fu eretta una statua del Terrore. Questa resta
ancora ai nostri giorni, ed è un'immagine di donna fatta in modo da suscitare spavento;
ma, distrutta Corinto dai Romani e sterminati gli antichi Corinzi, i nuovi coloni non
celebrano più in loro onore quei sacrifici, né i ragazzi si radono per loro i capelli né
portano una veste nera.”
8
.
6
Cfr. Euripide, Medea, a cura di M. G. Ciani, cit., v. 12
7
Paus. II 3, 11, cfr. Pausania, Guida della Grecia, libro II: La Corinzia e l’Argolide, a cura di D. Musti e M.
Torelli, Milano, 1986
8
Paus. II 3, 6-7, cfr. Pausania, Guida della Grecia, libro II: La Corinzia e l’Argolide, cit.
7
Secondo la versione di Creofilo (presumibilmente l’antico poeta epico di Samo
vissuto nell’VIII secolo a.C., piuttosto che lo storico di Efeso del IV-III secolo a.C.),
Medea uccise il re Creonte con dei filtri e, temendo una rappresaglia da parte dei
familiari del re, fuggì ad Atene. La madre lasciò i ragazzi sull’altare di Era Acraia,
credendo che Giasone li avrebbe salvati, ma i familiari del re (o, secondo un’altra
versione, i cittadini di Corinto) li uccisero ed incolparono calunniosamente Medea
dell’orrendo crimine.
Il poeta Pindaro (518 a.C.-438 a.C.) esclude la responsabilità di Medea nella
morte dei figli. Nella sua versione, nella quale la maga venne chiamata a Corinto per
liberare la città da una carestia, egli sostiene che Era promise a Medea di rendere
immortali i suoi figli per ricompensarla del rifiuto al rapporto amoroso con Zeus. I figli
divennero poi oggetto di culto da parte dei Corinzi, i quali li chiamarono ‘mezzi greci e
mezzi barbari’
9
.
Lo pseudo Apollodoro, mitografo della tarda antichità, riprende spesso nella sua
opera varianti arcaiche del mito. Egli, accusando i Corinzi di infanticidio, narra che
Medea “fuggì abbandonando i figli ancora piccoli, dopo averli fatti sedere come supplici
sull'altare di Era Acraia; ma gli abitanti di Corinto li portarono via di lì e li percossero a
sangue.”
10
.
Il grammatico alessandrino Parmenisco, vissuto tra il II e il I secolo a.C. riferisce
che i figli di Medea, dopo essersi rifugiati nel tempio di Era, vennero uccisi dai Corinzi.
Infatti le donne di Corinto, avverse al governo di Medea, tramarono contro di lei e
decisero di ucciderne i figli, che si erano rifugiati presso il santuario di Era Acraia. I
Corinzi li massacrarono presso l'altare, senza rispettare la sacralità del luogo e la loro
posizione di supplici
11
.
9
Pindaro, Olimpica XIII, 74g
10
Pseudo Apollodoro, Biblioteca I 9, 28, trad. di M.G. Ciani
11
Cfr. Parmenisco, Scoli alla Medea, v. 264
8
Secondo Eliano, sofista originario di Preneste (Palestrina) vissuto tra il 170 ed il
235 d. C., “esiste una tradizione secondo cui la fama negativa riguardante Medea è
infondata: non sarebbe stata lei, infatti, a uccidere i figli, bensì i Corinzi. Si racconta
appunto che Euripide abbia inventato questa leggenda sulla donna della Colchide e
composto la sua tragedia dietro richiesta dei Corinzi e che la menzogna abbia finito per
prevalere sulla verità grazie alla bravura del poeta.”
12
. Inoltre Parmenisco parla di un
compenso di cinque talenti percepito da Euripide per quest'operazione
13
.
Mentre la maggior parte delle versioni del mito attesta l’ostilità dei cittadini di
Corinto per gli innocenti figli di Medea, Euripide attribuisce alla protagonista la colpa di
aver compiuto, ed anche premeditato, l’infanticidio. Non è comunque possibile asserire
che si tratti di un’invenzione del tragediografo ateniese, in quanto una cospicua parte
della produzione letteraria antica è andata perduta.
1.1.1 Medea di Euripide
La tragedia Medea, rappresentata da Euripide nel 431 a.C., è interamente
ambientata nella greca Corinto, dove Giasone e Medea hanno trovato asilo presso il re
Creonte. Quando il dramma ha inizio, ciò che dà origine alla vicenda è già successo:
Giasone ha abbandonato Medea, rompendo il sacro giuramento fatto dinanzi agli dei, per
sposare la figlia di Creonte. Il re, temendo Medea e le sue magie, le impone l’esilio
insieme ai figli. L’eroina finge rassegnazione, accetta la condanna, ma supplica il re ed
ottiene il permesso di rimanere ancora un giorno prima di lasciare per sempre la terra
corinzia. Medea si vendica ricorrendo alle sue arti magiche: tramite i figli invia alla
nuova sposa di Giasone doni di nozze avvelenati, che uccideranno la figlia e il padre
12
Eliano, Storie varie 5, 21, trad. di C. Bevegni, Milano, Adelphi, 1996
13
Cfr. Parmenisco, Scoli alla Medea, v. 9
9
intervenuto per soccorrerla. Per completare la sua vendetta contro il marito fedifrago, la
maga uccide i figli e fugge sul carro del Sole alla volta di Atene, dove Egeo le ha
promesso asilo. “Di fronte a Giasone che la maledice, non rivendica soltanto i suoi diritti
di donna oltraggiata, di moglie offesa, ma anche l’appartenenza a una stirpe superiore,
divina, che le consente di prendere le distanza dal suo stesso delitto istituendo, a Corinto,
il culto dei figli morti.”
14
.
La vendetta di Medea avviene in due momenti. Inizialmente la maga decide di
uccidere i suoi nemici, ovvero il re Creonte con la figlia, e Giasone. Ma mentre per i
primi due personaggi la vendetta della maga si compie in questi termini, a Giasone spetta
una sorte diversa: Medea lo lascerà sopravvivere al suo dolore, il dolore di vedersi
privato di tutto ciò che gli era è caro, ovvero i figli, la nuova sposa e con lei il regno e la
discendenza. Denys L. Page ritiene la vendetta di Medea sproporzionata rispetto
all’offesa subìta: “We may disapprove Jason’s behaviour; but obviously his punishment
is out of all proportion to his offence. At the end of the play we feel much sympathy for
Jason, almost as for an innocent man overcome by dreadful calamity. Medea’s
vengeance is so much more criminal than the crime which it was visiting.”
15
.
Euripide costruisce l’epilogo della vicenda sulla base dei dialoghi e dei monologhi
di Medea; in questo modo l’infanticidio diviene un gesto premeditato, “una lucida,
sebbene autodistruttiva, scelta di un soggetto cosciente e responsabile”
16
. La sciagura
che si abbatterà sui figli di Giasone e Medea viene preannunciata in maniera velata
anche dalla nutrice nel prologo. Proprio i timori della nutrice dovrebbero far insospettire
il pubblico: [Medea] “odia anche i figli, non prova gioia a vederli. Ho paura che mediti
14
M.G. Ciani, Introduzione, in Euripide, Grillparzer, Alvaro, Medea - Variazioni sul mito, Venezia, Marsilio,
1999, pag. 12
15
D. L. Page, Euripides, Medea, cit., pag. XVII (“Potremmo disapprovare il comportamento di Giasone;
ma ovviamente la sua punizione è sproporzionata rispetto alla sua offesa. Alla fine dell’opera
proviamo molta simpatia per Giasone, quasi fosse un uomo innocente sopraffatto da terribile
calamità. La vendetta di Medea è molto più criminale del crimine per il quale la vendetta stessa era
inflitta.”)
16
A. Beltrametti, Eros e maternità. Quel che resta del conflitto tragico di Medea, cit., pag. 47
10
qualcosa di tremendo. Il suo cuore è violento, non sopporterà di essere offesa.”
17
. Poco
più avanti, in un dialogo col pedagogo, la nutrice gli chiede di tenere i figli il più lontano
possibile dalla madre esasperata, la quale ha già posato su di loro uno sguardo torvo
18
.
Poi, rivolgendosi ai figli, la donna li ammonisce: “state lontano dai suoi occhi, non vi
avvicinate a lei”.
19
.
Medea rappresenta il conflitto fra passione (thymos) e ragione (bouleumata). In
uno dei suoi intensi monologhi afferma: “la passione dell’animo è più forte in me della
ragione.”
20
. Ciò sta a significare che nel suo animo esiste una forza passionale che
domina tutto, anche il progetto di uccidere i figli.
Euripide cerca di cogliere anche l’aspetto umano di Medea. Al centro della
tragedia sta la realtà psicologica della protagonista, i suoi dissidi interiori, il contrasto tra
la ragione e la follia della passione. “Euripide mette in scena una maternità allentata,
quasi sospesa, e che per pochi istanti vuole e deve essere completamente dimentica di
qualsiasi forma di affettività (e a questa sospensione corrisponde anche la mancanza di
un nome per i figli, come per la nuova promessa sposa di Giasone, vittime innocenti),
una sorta di apnea dei sentimenti alla quale l’eroina costringe se stessa per poi poter
tornare a piangere i cadaveri ‘da madre’”
21
. Medea è un personaggio contemporaneo, è
una donna tra le donne corinzie, una moglie disperata in quanto abbandonata dal marito
e costretta a vivere lontana dalla sua patria. Si afferma un altro elemento fondamentale,
spesso ripreso nelle rielaborazioni moderne del mito, ossia la condizione di straniera di
Medea. Ella appartiene ad un mondo diverso, al quale non può far ritorno, poiché ha
tradito la patria ed ucciso la propria famiglia. Medea è inoltre una barbara, madre di figli
‘mezzi greci e mezzi barbari’, non riconosciuti dalle leggi ateniesi del tempo.
17
Euripide, Medea, a cura di M. G. Ciani, cit., vv. 34-37
18
Ivi, vv. 89-92
19
Ivi, vv. 98-99
20
Ivi, vv. 1076-77
21
A. Rodighiero, Ricerche euripidee, cit., pag. 119
11
Nella tragedia di Euripide ha forte rilevanza anche il tema della fecondità.
L’autore affronta il problema in maniera diretta nella scena di Egeo, che chiede l’aiuto di
Medea per sapere da lei come poter avere dei figli. La questione della fecondità di Egeo
ha la funzione di sottolineare l’importanza della discendenza per l’uomo greco. In
Grecia, infatti, un uomo poteva considerarsi felice se era riuscito a sopravvivere tanto a
lungo da poter vedere i suoi nipoti. Quest’importanza è confermata dal fatto che la
Medea di Euripide, per vendicarsi dell’affronto subìto, non uccide il marito, ma le
creature avute da lui. La protagonista compie un gesto che per lei equivale “a rinnegarsi
come madre greca di figli che appartengono simbolicamente solo al padre”
22
, un gesto il
cui scopo è colpire Giasone al cuore.
1.1.2 Medea dopo Euripide
Il dramma di Euripide è il principale punto di riferimento per i diversi autori che
hanno deciso di misurarsi con il mito di Medea; le rielaborazioni successive seguono
infatti la traccia del modello euripideo. “Nella memoria collettiva si è imposto il
personaggio euripideo, una Medea ripudiata e bandita, assalita da memorie dolorose, nel
suo ultimo giorno a Corinto, in quel giorno strappato a Creonte e trascorso in preda
all’ossessione di colpire Giasone con la più feroce delle vendette, con un dolore
assoluto.”
23
. Pierpaolo Fornaro si chiede: “Senza Euripide Medea sarebbe mai divenuta
per noi mito? Euripide fornisce l’archetipo letterario, e, con ciò stesso, l’autorizzazione
ad interpretarlo ancora.”
24
.
22
A. Beltrametti, Eros e maternità. Quel che resta del conflitto tragico di Medea, cit., pag. 59
23
Ivi, pag. 43
24
P. Fornaro, Medea di Euripide ed archetipo letterario, cit., pag. 171
12
L’aspetto umano della protagonista è del tutto assente nella tragedia di Seneca (4
a.C.- 65 d.C.), il maggior tragediografo latino. L’autore rispetta la versione fissata da
Euripide, ma associa Medea ad una creatura infernale e sanguinaria, espressione di
passioni violente e morbose, le cui azioni sono dettate dalla malvagità. Questa figura
diviene l’incarnazione di forze malefiche, oscure ed incontrollabili. Fin dalle prime
battute del dramma si avverte un’atmosfera demoniaca e ciò è sottolineato da una
preghiera della maga della Colchide alle divinità infere. Medea, comparata anche ai
mostri marini, è legata all’occultismo e alle pratiche di magia nera; ad esempio compie
magici incantesimi per avvelenare la tunica offerta alla sua rivale. Ella, inoltre, è presa
dall’ebbrezza nel rievocare i crimini commessi in passato. Giasone è invece un eroe
buono e giusto, colpevole però dell’empia impresa degli Argonauti. Per il peccato
commesso sarà punito attraverso la morte dei propri figli, avvenuta per mano di Medea,
la quale compie l’infanticidio sotto gli occhi del padre e getta i corpi morti ai piedi di lui.
La Medea di Seneca si differenzia dal modello di Euripide proprio per la modalità
con cui si rappresenta l’infanticidio, che invece di essere narrato da un messaggero,
avviene in scena. Ciò, oltre a creare seri problemi nella rappresentazione, contrasta con
le regole della tragedia greca, le quali non permettono di compiere un omicidio sul
palcoscenico. Medea attua la sua vendetta disobbedendo a queste regole: “niente è
mediato attraverso il racconto, e la descrizione verrà sostituita in pieno dalla visione.”
25
.
Questo discorso ha ovviamente valore solo se si presuppone che si tratti di una tragedia
destinata alla rappresentazione. La maggior parte degli studiosi ritiene che i drammi di
Seneca siano stati destinati soprattutto alla recitatio, ovvero alla lettura privata o fatta ad
alta voce dinanzi a una ristretta cerchia di amici. “Questa opinione è tuttora, a ragione,
prevalente, anche se non tutti gli argomenti a sostegno di questa tesi sono ugualmente
probanti: ad esempio la macchinosità, o la truce spettacolarità, di alcune scene, che certo
25
A. Rodighiero, Ricerche euripidee, cit., pag. 123
13
erano incompatibili coi canoni di rappresentazione del teatro greco classico,
sembrerebbero presupporre, piuttosto che smentire, una rappresentazione scenica,
laddove una semplice lettura avrebbe limitato, se non annullato, gli effetti ricercati dal
testo drammatico.”
26
.
Diversamente da Euripide che ne fa un elemento centrale del proprio dramma,
l’autore latino non si preoccupa dell’approfondimento psicologico del personaggio. Egli
non affronta neppure il tema del disagio sociale della straniera Medea, nodo centrale di
molte rielaborazioni successive. Pierpaolo Fornaro osserva che, mentre nel dramma
euripideo il bisogno di Medea di uccidere i figli per ferire Giasone “si mostra tardi come
secondo momento della vendetta che poi (questo non va dimenticato) è anche
restaurazione della dignità eroica che alla protagonista compete, in Seneca tale necessità
è da subito, appena vien percepita, correlata alla vendetta e non mai alla restaurazione
d’una dignità offesa.”
27
. Come sottolinea opportunamente Giancarlo Mazzoli, “è Medea
in persona che, fin dal prologo, elabora mentalmente la sua tremenda ‘opera d’arte’. […]
Fin dal primo momento Medea mette in opera questa sua specialissima logica, sovvertita
e al tempo stesso sovvertitrice di valori. Il suo prologo […] è cletico: invocazione a
divinità sotto la cui protezione mettersi.”
28
. Inoltre, come rileva Biondi, la Medea di
Euripide è un “personaggio aperto, dinamico […] ‘spesso’, non solo perché
psicologicamente contraddittorio, come testimonia il suo pianto sui figli che tanto
sorprese gli antichi […], ma soprattutto perché intorno a Medea, inizialmente vittima,
[…] e poi colpevole, Euripide fa ruotare il giudizio degli spettatori sul personaggio
stesso. […] Niente di tutto questo nella Medea di Seneca, la quale appare fin da principio
26
G. B. Conte, Letteratura latina, Firenze, Le Monnier, 1992, p. 352
27
P. Fornaro, Medea di Euripide ed archetipo letterario, cit., pag. 175
28
G. Mazzoli, Medea in Seneca: il logos del furor, in Atti delle giornate di studio su Medea. Torino 23-24
ottobre 1995, cit., pagg. 98-100
14
completamente in preda all’ira e alla sete di vendetta, non più in grado di cambiare rotta,
[…] sicché essa si delinea come personaggio ‘piatto’.”
29
La protagonista di Lunga notte di Medea è profondamente lontana dalla malvagia
creautura elaborata da Seneca. Innanzitutto la Medea di Alvaro è un personaggio
positivo, una madre preoccupata della sorte dei propri figli, caratteristiche che la
pongono agli antipodi rispetto alla figura della maga sanguinaria elaborata in età latina.
In particolare, come osserva Andrea Rodighiero, lo scrittore calabrese “sembra
rovesciare su un punto il modello senecano. Nell’autore latino la donna era infatti pronta
a guardarsi fin dentro le viscere, casomai fosse rimasta una traccia di maternità, per
annientarla a colpi di spada [...], e nel testo di Alvaro sarà proprio il grembo a
rappresentare l’unico, ultimo e impossibile luogo di salvazione, agli occhi di questa
umanizzata Medea, per i piccoli assediati dalla folla inferocita”
30
. Sempre Andrea
Rodighiero osserva che in Lunga notte di Medea “la donna lancia oltre sé non i cadaveri
dei figli, come in Seneca, ma il coltello, contro la folla e contro Giasone sopraggiunto,
come per rigettare una colpa che non è una colpa”
31
.
Nel Medioevo, con il declino della cultura classica e la conseguente mancanza di
interesse per il monto antico greco e romano, si interrompono quasi interamente le
rielaborazioni del mito di Medea, che saranno riprese nel periodo dell’Umanesimo.
Fanno eccezione l’apparizione di Medea nella letteratura medievale quale personaggio
episodico dei Romans de Troie e la presenza della maga nell’Inferno di Dante.
Da segnalare nel 1557 la Medea di Ludovico Dolce, tragedia in cinque atti, che
pur apportando alcune varianti, resta sostanzialmente fedele al testo euripideo.
29
G. G. Biondi, Il nefas argonautico. Mythos e logos nella Medea di Seneca, Bologna, 1984, pagg. 18-19
30
A. Rodighiero, Ricerche euripidee, cit., pag. 128
31
Ivi., pag. 130