- 2 -
Fig. 1.1 - Schema dei punti di più frequente fessurazione nelle navi classe Liberty. Su alcune
migliaia di navi costruite, ben 722 sono state danneggiate da cricche sullo scafo, di cui 190 in
modo grave. In 23 casi si è avuta la frattura completa in due tronconi netti, soprattutto nella
sezione “5”. Il miglioramento dei procedimenti di saldatura e la riprogettazione per ridurre le
rigidezze locali hanno successivamente ridotto la percentuale di incidenti dal 19,45 % al 3.62 %
Talvolta però si ebbero ancora dei cedimenti in strutture che dai calcoli statici e dinamici risultavano
correttamente dimensionate. La figura 1.1 riporta un esempio tipico: le navi di trasporto di classe Liberty
costruite dagli americani negli anni ’30 e durante la seconda guerra mondiale [1]. La caratteristica
comune di questi cedimenti era la rottura senza preavviso, normalmente con fratture di tipo netto, come
se l’acciaio fosse diventato fragile come il vetro. Parte della colpa era dovuta all’insufficienza
dell’avanzamento della metallurgia rispetto alle richieste della tecnologia, ma era evidente che ci fossero
anche altre cause. Si sviluppò quindi un nuovo settore di ricerca, la Meccanica della Frattura, a cui
venne dato grande impulso dal settore aerospaziale, che aveva forti problemi con lo sviluppo degli
aviogetti e dei vettori spaziali. La Meccanica della Frattura studia sia la stabilità sotto carico statico che
l’avanzamento sotto carico ciclico o random (ossia il comportamento a fatica) delle cricche nel
materiale, definite come intagli con raccordo di raggio tendente a zero (paragrafo 1.3).
Attualmente la Meccanica della Frattura rappresenta il settore più avanzato del calcolo e del
dimensionamento degli organi meccanici e delle strutture in generale. E’ un settore in cui la ricerca ferve,
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dove la progettazione è affiancata dalla sperimentazione, sia a causa delle forti incertezze sul reale
comportamento dei materiali, che per la grande difficoltà che si pone nel reperire dalla letteratura
scientifica i coefficienti da inserire nei modelli di calcolo.
1.1.2 Descrizione del problema esaminato
Fortunatamente nella pratica i problemi citati di cedimento per frattura istantanea sorgono raramente
nel caso di dimensionamento a fatica illimitata. In questo caso infatti la sollecitazione ciclica agente è
limitata in modo talmente restrittivo da non poter normalmente causare la trasformazione di difetti del
materiale in cricche e l’avanzamento delle stesse. I difetti possono essere generati da svariate cause,
come trattamenti termici scorretti o saldature eseguite male.
Il discorso è completamente diverso quando viene eseguito il dimensionamento di fatica a termine,
ossia predefinendo la durata dell’elemento meccanico ad un certo numero di cicli. In questo caso è
ammesso che nelle zone più sollecitate si raggiunga lo snervamento e che perciò si abbiano deformazioni
plastiche cicliche: conseguentemente in tali zone è possibile che nucleino delle cricche di fatica,
normalmente in presenza di stato di sforzo composto e di un elevato gradiente della deformazione.
Il problema è che alcune delle regole che effettuano la previsione della durata dell’elemento, come la
legge di Coffin-Manson per il calcolo della nucleazione partendo dalla deformazione presente, sono
ricavate da provini non intagliati, con prove assiali cicliche in controllo di deformazione (e quindi con
gradiente di deformazione nullo e stato di sforzo monodimensionale). E’ stato dimostrato che il
comportamento dei provini non intagliati è abbastanza diverso rispetto a quello dei componenti reali, per
cui è necessario effettuare delle analisi su provini più vicini alle caratteristiche morfologiche degli organi
meccanici.
A tal fine questa ricerca studia l’avanzamento delle cricche nei provini “keyhole”, che permettono di
studiare l’effetto di un intaglio semicircolare. In particolare l’interesse è rivolto al caso di sollecitazioni
sufficientemente elevate da ricadere nella fatica oligociclica, ossia nei casi in cui la durata del pezzo è
inferiore a 105 cicli: è infatti dimostrato che in questo campo i metodi tradizionali, quale l’utilizzo della
sollecitazione limite di fatica per n cicli, lasciano grosse incertezze (e non sempre in favore di sicurezza)
sulla reale durata dell’elemento sollecitato. Avere una previsione di durata affidabile permette anche di
definire gli intervalli di sostituzione programmata o di ispezione, minimizzando sia il rischio di cedimenti
che i costi di controllo e manutenzione.
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Trattare la fatica oligociclica implica considerare elementi sollecitati al di sopra del limite di
snervamento, ossia con il materiale giunto alla plasticizzazione in alcune loro parti, tipicamente gli intagli.
La ripetizione dei cicli di carico causa un danneggiamento cumulativo che evolve in una cricca (fase di
nucleazione). La cricca quindi avanza progressivamente ad ogni ciclo di carico (fase di propagazione)
sinché raggiunge una lunghezza tale da non poter avanzare in modo stabile, ed avviene il cedimento per
frattura istantanea.
La ricerca si è svolta secondo i seguenti punti:
• Recupero e riclassificazione dei dati relativi alle prove di nucleazione su provini keyhole eseguite
presso il Dipartimento di Meccanica.
• Sviluppo di un modello ad elementi finiti tridimensionale parametrico che permettesse l’analisi sia del
provino senza cricca che del provino criccato ed esecuzione delle relative analisi numeriche. Il codice
di calcolo utilizzato è ABAQUS.
• Utilizzo di modelli analitici per il calcolo della previsione sia della vita a fatica, analizzando tutte le fasi
che la compongono. Viene anche definito un criterio per il calcolo dell’intervallo di ispezione tramite
controlli non distruttivi.
• Prove sperimentali per la verifica dei risultati analitici e numerici e la determinazione della variazione
del profilo della cricca durante l’avanzamento.
A ciascuno dei punti citati è dedicato un capitolo specifico. Nei prossimi paragrafi di questo capitolo
vengono trattati gli aspetti teorici sia della nucleazione che della propagazione.
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1.2 Cenni sullo studio della fase di nucleazione
L’analisi della nucleazione delle cricche non è l’oggetto di questa ricerca, ma è opportuno richiamarne
i punti principali dato che nel capitolo 4 si effettuano delle analisi anche su questa fase. Per una
descrizione più completa si rimanda a [2] [3] [4].
E’ noto che il comportamento del materiale è differente a seconda che si consideri il primo ciclo di
carico od i successivi. Nel primo ciclo si ha la “legge sforzo-deformazione monotona”, detta anche
curva monotona, mentre successivamente il comportamento evolve verso la curva ciclica, che
descrive la relazione tra sforzi e deformazioni durante una sollecitazione di tipo ciclico. Nei paragrafi
1.2.1 e 1.2.2 esse verranno analizzate separatamente, mentre nel paragrafo 1.2.3 saranno presentati i
principali modelli analitici per il calcolo della nucleazione.
Si suppone per semplicità che sia l’ampiezza che il valor medio del carico ciclico rimangano costanti
durante tutta la fase di nucleazione.
1.2.1 Curva monotona
Rappresenta il comportamento del materiale sottoposto a carico crescente monotonamente, come
avviene per esempio nelle prove di caratterizzazione statica. La curva principale è quella ottenuta con la
prova di trazione, dato che lo sforzo normale monoassiale è il parametro di confronto dei criteri di
resistenza sotto sollecitazione pluriassiale. Potrebbe sembrare illogico descrivere - seppur brevemente -
la curva monotona in un lavoro di ricerca correlato alla fatica oligociclica: in realtà essa detiene un
grande interesse, in quanto i componenti calcolati per durate inferiori a 105 cicli spesso sono sottoposti
a variazioni lente del carico, e quindi nel primo ciclo hanno la possibilità di evolvere in condizioni quasi-
statiche secondo la curva monotona.
Nella figura 1.2 viene riportato il grafico qualitativo sforzi-deformazioni che si ottiene eseguendo la
prova di trazione su un provino liscio standard di acciaio duttile. Si possono riconoscere nell’ordine il
comportamento elastico lineare (1), lo scostamento dalla proporzionalità (2), lo snervamento (3), il
rinforzamento (4) e la fase di rottura (5).
Se il pezzo non viene portato a rottura e viene tolto il carico, si ha lo scarico che è elastico con lo
stesso modulo di Young che si ha durante la fase (1). Se la deformazione da recuperare durante lo
scarico è elevata, si giunge allo snervamento in compressione, perdendo la linearità.
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La fase elastica è completamente reversibile, ed il materiale quando scaricato ritorna alle condizioni
iniziali di sforzo e deformazione nulla. Se invece si raggiunge lo snervamento, il materiale presenta un
danneggiamento strutturale irreversibile, detto plasticizzazione, costituito essenzialmente da scorrimenti
dei piani cristallini e spostamenti dei difetti microstrutturali (dislocazioni, vacanze). Conseguentemente
anche dopo lo scarico rimangono delle deformazioni residue, e generalmente anche degli sforzi residui,
detti autotensioni, globalmente equilibrati.
Le autotensioni si instaurano solo se il gradiente di deformazione nella sezione plasticizzata è diverso
da zero [5]. Un esempio del meccanismo di nascita delle tensioni residue è illustrato nella figura 1.3. In
pratica quindi si hanno sempre tensioni residue dopo lo scarico di un pezzo plasticizzato, salvo il caso di
azione assiale pura.
Fig. 1.2 - Curva monotona di un acciaio duttile sottoposto a trazione
- 7 -
Fig. 1.3 - Insorgenza delle autotensioni in una asta soggetta a flessione oltre lo snervamento
Le autotensioni sono estremamente importanti, in quanto si sommano algebricamente alle sollecitazioni
di tipo elastico che vengano successivamente applicate. Risulta quindi possibile ridurre i picchi di sforzo
di trazione instaurando un campo di tensioni residue di compressione tramite opportuni trattamenti
meccanici (rullatura, pallinatura), fisici (plasticizzazione idrostatica), termochimici (cementazione e
tempra). Un particolare effetto utile delle tensioni residue di compressione è l’ostacolo all’apertura delle
cricche secondo il modo I, con la conseguenza di rallentare la propagazione (paragrafo 1.3.3.2).
Il calcolo delle deformazioni che si hanno durante il primo ciclo di carico viene effettuato tramite
metodi analitici (quale la regola di Neuber, illustrata in un paragrafo successivo) o calcoli ad elementi
finiti. E’ comunque opportuno effettuare la verifica sperimentale dei risultati numerici.
- 8 -
1.2.2 Curva ciclica - Ciclo di isteresi
Terminato il primo ciclo di carico, se si prosegue a sollecitare il provino ciclicamente con una prova in
controllo di deformazione ad ampiezza costante il comportamento del materiale cambia drasticamente.
Essendo già esaurita dal primo ciclo la fase di snervamento, non si ha più il piattello nel diagramma
sforzi-deformazioni, bensì una curva continua che assomiglia ad una esponenziale con esponente
positivo minore di 1. Lo scarico non è più elastico, ma ripete la curva secondo una simmetria centrale
definendo un ciclo chiuso (figura 1.4). L’area del ciclo è il lavoro elementare degli sforzi, e rappresenta
l’energia dissipata in un ciclo di carico: per questo motivo il ciclo è detto “di isteresi”.
Fig.1.4 - Ciclo di isteresi
Parte del lavoro rappresentato dall’area del ciclo di isteresi serve per effettuare la plasticizzazione del
materiale, mentre l’energia restante viene dissipata sotto forma di calore.
Il ciclo di isteresi inizialmente non è stabile: ad ogni ciclo si verificano nuovi assestamenti plastici che
variano la relazione sforzi-deformazioni, causando lo spostamento della rappresentazione del ciclo sul
piano σ−ε. A seconda del materiale, lo spostamento può avvenire sia nel senso di un incremento che di
un decremento della sollecitazione a pari deformazione (figura 1.5). Nel primo caso si parla di
incrudimento o di comportamento hardening, mentre nel secondo si ha l’addolcimento o
comportamento softening.
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Fig. 1.5 - Primi cicli di carico: spostamento del ciclo di isteresi
Dopo un certo numero di cicli, generalmente inferiore alla metà della durata della nucleazione, la
plasticizzazione completa gli assestamenti ed il ciclo non si sposta più sul grafico. Si denomina questo
stato come ciclo d’isteresi stabilizzato, e rappresenta la condizione di evoluzione stabile della
nucleazione della cricca.
La nucleazione si considera terminata quando viene raggiunto il valore di un prefissato parametro
convenzionale (per esempio una riduzione del 10 % nel carico massimo applicato durante una prova
ciclica in controllo di deformazione) oppure la cricca viene rilevata mediante controlli non distruttivi
(liquidi penetranti, ultrasuoni, radioscopia).
Eseguendo l’inviluppo dei vertici dei cicli di isteresi stabilizzati a vari livelli di deformazione si ottiene
una linea, detta curva ciclica od anche legge di incrudimento ciclico (figura 1.6). Esistono vari
modelli analitici che descrivono la curva ciclica: uno dei più utilizzati lega la sollecitazione alla
deformazione plastica mediante l’espressione s e= ⋅F pn , che ha il pregio di essere molto semplice pur
modellando bene il comportamento ciclico. Esplicitando l’espressione della deformazione totale si
ottiene
e e e
s s
= + = +
el pl
n
E F
1
- 10 -
dove E è il modulo di Young.
Fig. 1.6 - Tracciamento della curva ciclica per inviluppo dei vertici dei cicli di ìsteresi a
differente ampiezza di variazione della deformazione totale
La curva ciclica assume per la sollecitazione sotto carico ciclico la stessa importanza della curva
monotona per il caso statico in quanto permette di determinare gli sforzi e le deformazioni reali massimi
che si hanno durante la sollecitazione ciclica.
- 11 -
1.2.3 Principali modelli di calcolo della nucleazione
La curva ciclica ed il ciclo di isteresi stabilizzato vengono utilizzati per effettuare le previsioni della
durata dell’elemento sottoposto a carico ciclico. L’argomento è in costante sviluppo, ed una trattazione
completa esula dallo scopo di questi richiami teorici: si riporteranno quindi solo le descrizioni dei metodi
che saranno utilizzati nel capitolo 4.
Gli approcci più comuni sono riconducibili a due categorie: calcolo basato sulle deformazioni e calcolo
fondato sull’energia di deformazione.
1.2.3.1 Metodi basati sulla deformazione
E’ facilmente intuibile come ci debbano essere delle correlazioni tra l’ampiezza della variazione della
deformazione in un ciclo ed il danneggiamento progressivo del materiale che evolve in una cricca di
fatica. Coffin e Manson [6][7] dimostrarono per primi la correttezza di questa supposizione eseguendo
prove di azione assiale alternata in controllo di deformazione su provini lisci e tracciando
conseguentemente delle curve che legano l'ampiezza di deformazione totale ed il numero di cicli a rottura
o di nucleazione. L’espressione della legge è
∆ ∆ ∆e e e
t p e
b dA N C
E
N= + = ⋅ + ⋅− −
con E modulo di elasticità longitudinale.
Coffin e Manson quindi separano le leggi di correlazione tra i numeri di cicli e le deformazioni elastiche
e plastiche. Nel diagramma ad assi logaritmici di figura 1.7 sono illustrate la componente elastica ∆εe, la
componente plastica ∆εp, la variazione totale di deformazione ∆ε t e la forma del ciclo di isteresi al
variare della deformazione imposta. Sono anche indicati i coefficienti A, b, C, d.
L’effetto di intaglio - ossia del gradiente di deformazione - o di sollecitazioni diverse dalla azione
assiale alternata a deformazione imposta non è considerato. La legge di Coffin-Manson nella pratica è
utilizzabile solo per una prima valutazione, spesso molto approssimata, della durata della nucleazione in
elementi meccanici. Peraltro è di uso estremamente semplice, in quanto è sufficiente conoscere la
deformazione totale (per via sperimentale, numerica, analitica) e si ricava immediatamente la previsione
della durata della nucleazione o della vita a rottura, in base ai coefficienti a disposizione.
Il calcolo della deformazione locale viene effettuato nel paragrafo 1.2.3.3.
- 12 -
Fig. 1.7 - Curva di Coffin-Manson
1.2.3.2 Metodi basati sull’energia di deformazione
L’alternativa all’approccio basato sulla deformazione consiste nell’utilizzo del lavoro di deformazione
locale (densità di energia di deformazione), che tra l’altro include gli effetti del gradiente di deformazione
(paragrafo 1.2.3.3).
L’ipotesi di base è che la densità di energia di deformazione plastica, rappresentata dall’area del ciclo
di isteresi stabilizzato, sia proporzionale al danneggiamento ciclico per fatica. Questa affermazione,
abbastanza intuitiva, trova supporto nel meccanismo fisico della plasticizzazione, che è costituita da
scorrimenti dei piani cristallografici e spostamenti delle dislocazioni.
E’ stato dimostrato che una relazione esponenziale del tipo ∆W K Np f= ⋅* a presenta buona
concordanza con i dati sperimentali [8], in particolare quando la durata è bassa - ossia il lavoro plastico
è elevato. Quando però la plasticizzazione è limitata ad aree piccole, l’energia di deformazione plastica
tende a zero, ed il comportamento macroscopico del materiale è di tipo elastico. Per ovviare a questa
ed altre approssimazioni, come parametro del danneggiamento a fatica viene preferita l’energia di
deformazione totale ∆ ∆ ∆W W W
t p e= + .
- 13 -
Fig. 1.8 - Definizione delle densità di energia di deformazione elastica, plastica e totale nel caso
di sollecitazione monoassiale
Nel caso monoassiale le energie di deformazione sono definite come illustrato nella figura 1.8, e la
densità di energia di deformazione elastica ha valore ∆ ∆W
Ee med
=
⋅
⋅ +
1
2 2
2s
s , dove σmed è la
sollecitazione media del ciclo. Ricordando l’espressione del lavoro plastico espresso secondo Morrow
nel caso monoassiale (paragrafo 1.2.2), l’energia totale assume l’espressione
∆
∆W n
n Et a a p med
= ⋅ ⋅ ⋅
−
+
+
⋅
⋅ +
4
1
1
1
2 2
2
s e
s
s
,
'
'
La sperimentazione ha dimostrato che una formula esponenziale pura non è adatta a correlare ∆Wt
con la durata, ma che si deve aggiungere un termine costante [9], rappresentante l’energia elastica
corrispondente al limite di fatica a durata illimitata. L’espressione completa è quindi
∆W K N C
t f
= ⋅ +* a
I coefficienti K*, C e l’esponente α vengono ricavati sperimentalmente. Se il limite di fatica è ottenibile
dalla letteratura scientifica, è possibile calcolare la costante C a parte, e ricavare sperimentalmente solo
gli altri due coefficienti. Infatti l’esponente α ha sempre valore negativo, e per durata illimitata
- 14 -
( N
f
→ ∞ ) il termine variabile dell’espressione tende a zero, ossia l’energia totale coincide con l’energia
elastica calcolata con il limite di fatica.
1.2.3.3 Valutazione della deformazione locale e della densità di energia di deformazione
Entrambi gli approcci esaminati per il calcolo della nucleazione si riconducono alla valutazione di
parametri locali da introdurre nelle leggi di nucleazione.
Per quanto riguarda Coffin-Manson, sono state sviluppate varie teorie per calcolare la deformazione
locale, come quelle dovute ad Ellyin e Valaire [11]ed a Glinka [12].
Un metodo molto semplice è la regola di Neuber [13], espressa dalla formula
K K K
t
2 = ⋅
e s
dove Kt è il fattore d’intaglio elastico mentre Kε e Kσ sono rispettivamente i fattori di concentrazione
delle deformazioni e degli sforzi, definiti come rapporto tra il valore reale ed il valore nominale. In
condizioni elastiche lineari si ha K K K
t
= =
e s , e la formula suddetta si trasforma in una identità.
Neuber afferma che la variazione dei coefficienti Kε e Kσ quando si giunge alla plasticizzazione non è
libera bensì vincolata a mantenere l'identità.
E’ necessario esplicitare l’espressione di Neuber per utilizzarla analiticamente. Sostituendo i termini al
secondo membro con i rapporti che esprimono, e spostando i termini nominali al primo membro si
ottiene la relazione K
t n n
2
⋅ ⋅ = ⋅s e s eom om . Quando siano stati fissati i carichi e la geometria, il termine
a primo membro assume valore costante: si ha quindi l’iperbole equilatera s e⋅ = cos t . La soluzione
del sistema non-lineare tra l’equazione dell’iperbole e l’espressione della curva ciclica fornisce i valori di
sforzo e deformazione. Dal punto di vista grafico si traccia l'iperbole sul piano sforzi-deformazioni e la si
interseca con la curva ciclica: il punto d’incrocio corrisponde alle condizioni reali (figura 1.9).
Nel caso particolare, ma molto frequente, di sollecitazioni nominali elastiche, la costante assume il
valore K Et
el2
2
⋅
s
, dove E è il modulo di Young.
- 15 -
Fig. 1.9 - Applicazione grafica della regola di Neuber
La regola di Neuber ha il pregio di una estrema semplicità, ma non dipende dai gradienti di
deformazione presenti. In effetti fornisce risultati vicini a quanto si ottiene sperimentalmente solo quando
il gradiente è basso o nullo, altrimenti la deformazione viene ampiamente sopravvalutata.
Il gradiente delle deformazioni ha un notevole effetto sul ciclo di isteresi. In figura 1.10 sono riportati i
cicli di isteresi sperimentali ottenuti in prove a deformazione imposta con provini lisci (SMOOTH) ed
intagliati di tipo keyhole con raggi di raccordo pari a 12 e 2 mm (12R e 2R). I fattori d’intaglio Kt
valgono rispettivamente 1, 1.48 e 2.86. Si può notare che all’aumentare del fattore d’intaglio (e
conseguentemente del gradiente di deformazione Χε) sia l’area del ciclo di isteresi che l’ampiezza della
variazione di deformazione plastica si riducono sensibilmente.
Fig. 1.10 - Cicli di isteresi stabilizzati per provini con intaglio differente (prova a deformazione
imposta e = ±025%. )