E’ importante, poi, che siffatta analisi non esca dal sentiero tracciato dallo
scopo del commercio di unità d’emissione: l’abbattimento dei costi per i
soggetti inquinanti, ed in particolare per le imprese, nel ridurre la presenza di
gas ad effetto serra nell’atmosfera. Allo stesso modo dovranno essere adottati
come parametro di verifica sulla coerenza del sistema i principi di diritto
ambientale sia di carattere internazionale, che comunitario.
II. Un’ulteriore e doverosa precisazione prima di passare all’oggetto del lavoro
concerne il metodo d’analisi che verrà utilizzato. Si cercherà di prescindere da
qualsiasi ideologia di fondo e, in particolare, da quella che sembra al momento
pervadere i tentativi di costruzione di un coerente sistema globale, la quale,
come si vedrà, consiste nel far prevalere la ratio economica alla “ragion di
Stato”. Con la consapevolezza, quindi, che ogni tentativo di fornire una
prospettiva che voglia riassumere una tendenza del diritto debba essere
supportato da solide basi oggettive, la prima parte di questo lavoro sarà
incentrata nell’evidenziare quegli elementi, presenti in modo implicito od
esplicito dal dato normativo, che più possono contribuire a rappresentare un
quadro coerente e innovativo.
III. L’emissions trading si pone in questo senso come nuovo strumento a
carattere amministrativo per due motivi. Da una parte viene abbandonata la
6
tradizionale logica di gestione, denominata dalla dottrina statunitense
command-and-control, perché affida il raggiungimento di uno scopo
amministrativo al mercato e, quindi, indirettamente ai privati. Dall’altra,
trovandosi a gestire una problematica a carattere mondiale, la disciplina
dell’emissions trading fonda una struttura di gestione caratterizzata da
un’interazione diretta fra amministrazioni poste su diversi livelli
ordinamentali. Tale fatto, comparato con esperienze simili, può portare allo
scardinamento dei tradizionali canoni del diritto amministrativo (tra i quali
statualità, legalità e specialità), o almeno ad un doveroso ripensamento.
Se quest’ultima costatazione sarà verificata in seguito, per ora è già possibile
inserirsi in quella scia di pensiero che vede il diritto dell’ambiente, e
specialmente i suoi sviluppi in campo amministrativo, come “diritto
d’avanguardia”, cioè capace di introdurre nella logica giuridica soluzioni
innovative suscettibili di essere riprese da altre branche del diritto. La ragione
è rinvenibile proprio nella relativa novità delle esigenze di tutela ambientale,
specialmente quelle a carattere globale come il cambiamento climatico.
Esigenze che, ad esempio, non furono espressamente avvertite al momento
della redazione della nostra Costituzione, ma che ora invece rivestono un ruolo
fondamentale nel trattato comunitario vigente e, in misura maggiore, nel
Trattato di Lisbona al momento in via di ratificazione.
7
Compito di chi porta avanti un’analisi giuridica in tale ambito, quindi, deve
consistere nel sapere adattare i tradizionali strumenti ermeneutici alle nuove
realtà che questo strumento a carattere globale pone, sapendo conciliare le
istanze di una tutela ambientale efficace con le diverse, e a volte contrastanti,
richieste di efficienza economica.
8
CAPITOLO I
IL QUADRO NORMATIVO GENERALE SULL’EMISSIONS
TRADING
SOMMARIO: 1. Principles e commitments nell’UNFCCC – 2. Le basi giuridiche del
Protocollo di Kyoto – 3. La ratio dei meccanismi flessibili – 3.1 Il Clean
Development Mechanism nel Protocollo di Kyoto e le discipline di
implementazione – 3.2 Il meccanismo della Joint Implementation: differenze
rispetto al CDM – 4 Le norme sul conteggio delle Kyoto units e la verifica della
compliance – 4.1Le RMUs e le discipline dei “pozzi”: incertezze scientifiche e
giuridiche - 5. L’International emissions trading – 5.1 Le basi teoriche per i
tradable pollution rights – 5.2 Esperienze precedenti e “prototipi” di emissions
trading – 5.3 Le norme internazionali sull’emissions trading – 6 L’Emissions
Trading Scheme nell’Unione Europea – 6.1 La direttiva sullo scambio di quote
d’emissione nella Comunità – 6.2 L’autorizzazione ad emettere gas ad effetto serra
– 6.3 I National Allocation Plans, l’assegnazione e il rilascio delle quote
d’emissione – 6.4 Il trasferimento delle quote ed il collegamento con gli altri
sistemi – 6.5 Il sistema dei registri e le sanzioni – 6.6 La “linking directive” e la
decisione sul “double counting” – 6.7 L’ETS nell’ottica dei principi ambientali
comunitari e la nuova climate action europea – 7 Il recepimento della direttiva
ETS in Italia.
1.1 Principles and commitments nell’UNFCCC
La progressiva evoluzione di una concezione dell’ambiente da
antropocentrica a geocentrica nell’ambito della politica e del diritto è una
diretta conseguenza delle nuove problematiche che sono sorte a livello
ambientale negli ultimi decenni. Ci si è resi conto della importanza della
protezione dell’ecosistema come necessità ulteriore e concomitante a quella
della tutela dell’ambiente in ragione della salute umana.
9
Non è, certo, questa la sede per approfondire una tematica del genere, ma
ricordarla è indispensabile al fine di comprendere i principi e le tecniche
giuridiche adottate a livello internazionale per affrontare la questione del
cambiamento climatico mondiale.
Quest’ultimo è stato definito una “defining issue”
1
per il XXI secolo: se
da una parte ci si scontra con una soglia di incertezza scientifica sul reale
impatto delle attività umane nel cambiamento climatico
2
, dall’altra, invece, si
è consapevoli del fatto che un’azione concreta richieda un notevole costo sulle
economie dei paesi sviluppati così dipendenti dal consumo di combustibile
fossile.
Per decenni la comunità scientifica ha studiato i processi chimici con i
quali le emissioni di biossido di carbonio (CO2) e di altri gas contribuiscono a
surriscaldare il pianeta tramite il c.d. “effetto serra”, ma solo negli ultimi venti
anni
3
la Comunità internazionale, sotto spinta delle Nazioni Unite, ha
ufficialmente riconosciuto il problema e ha preso misure concrete per
contrastare detto fenomeno.
1
D.Huner, J. Salzman e D. Zaelke, International Environmental Law and Policy, New York, 2002,
p.589.
2
Al riguardo, nel quarto rapporto dell’ Intergovernmental Panel for Climate Change (IPCC) è
affrontato specificamente il problema del trattamento delle incertezze scientifiche, tanto che sono state
predisposte delle linee guida che i membri del panel sono tenuti a rispettare
<http://www.ipcc.ch/meetings/ar4-workshops-express-meetings/uncertainty-guidance-note.pdf>.
3
Nel 1985 la United Nation Environment Programme (UNEP) e la World Meteorogical Organization
(WMO) organizzarono una conferenza a Villach. Nel 1988 si tenne a Toronto una conferenza sui
cambiamenti atmosferici e nello stesso anno UNEP e WMO crearono l’Intergovernmental Panel on
Climate Change (IPCC) in funzione di corpo scientifico ufficiale presso le Nazioni Unite. Sempre nel
1988 l’Assembea Generale delle Nazioni Unite approvò la Risoluzione 43/53 sulla Protezione del
clima globale per le generazioni presenti e future. Nel 1990 un’altra risoluzione istituì un Comitato di
negoziazione intergovernativa per sviluppare strumenti legali nel combattere i cambiamenti climatici.
10
Il primo passo è certamente stato l’adozione della Convenzione Quadro
sui Cambiamenti Climatici delle Nazione Unite (da ora UNFCCC), avvenuta il
9 maggio del 1992 a New York ed aperta alle firme presso la Conferenza di
Rio de Janeiro sull’Ambiente e lo Sviluppo (UNCED). Come dice lo stesso
nome, si tratta di una normativa generale a livello internazionale che non pone
stretti vincoli di politica ambientale nei confronti degli Stati membri, ma,
piuttosto, sembra essere il risultato di un compromesso tra interessi
contrastanti
4
.
Per quanto interessa in questa fase descrittiva, il cuore della Convenzione
consiste in una serie di principles e di commitments, mentre il suo scopo è
individuato nella “stabilization of greenhouse gas concentrations in the
atmosphere at a level that would prevent dangerous anthropogenic
interference with the climate system”(art.2).
Tra i principi, elencati nell’art.3, riveste particolare importanza il quello
di responsabilità comune ma differenziata (par.1), il quale impone un diverso
regime di obblighi a seconda del ruolo che gli Stati rivestono nei confronti
delle emissioni di gas serra e del livello di sviluppo economico. In altre parole,
non è considerato giusto che un paese economicamente arretrato risponda allo
stesso modo in un altro paese ad economia avanzata e produttore di un
maggiore quantitativo di gas serra. Del resto un simile approccio può essere
interpretato come il “mascheramento” di un altro principio che da sempre ha
4
M.Bothe e E.Rehbinder, Climate change as a problem of Law and Policy, p.3, in Climate change
policy, a cura degli stessi autori, Utrecht, 2005.
11
pervaso il diritto dell’ambiente, vale a dire il polluter pays principle, che in
questo caso muta nome perché viene applicato a degli Stati piuttosto che a
privati
5
.
Altro principio espresso e di basilare importanza è quello di precauzione, il
quale è volto ad eliminare ostacoli all’intervento degli Stati derivanti da
un’insufficiente conoscenza scientifica dei fenomeni pericolosi per
l’ambiente
6
. Non a caso nel preambolo della Convenzione noi leggiamo:
“There are many uncertainties in predictions of climate change, particularly
with regard to the timing, magnitude and regional patterns thereof”. Tuttavia,
queste incertezze non devono portare a ritenere inutile un intervento di politica
ambientale.
All’art.3 par.4 troviamo menzione dello sviluppo sostenibile
interpretabile come un vincolo per gli Stati di scegliere quelle politiche
ambientali che meno gravino sullo sviluppo economico e che, anzi, lo
garantiscano.
L’ultimo paragrafo dell’art.3 recita: “Measures taken to combat climate
change, including unilateral ones, should not constitute a means of arbitrary
or unjustifiable discrimination or a disguised restriction on international
trade”. Ciò sembra collegare qualsiasi azione intrapresa sotto la Convenzione
5
L’art.3 par.2 della Convenzione specifica questo principio, mettendo in risalto la tutela di quei paesi
in via di sviluppo che sono particolarmente sottoposti al rischio di effetti avversi del cambiamento
climatico e di paesi, sempre ad economia arretrata, che sopporterebbero un peso sproporzionato sotto
la Convenzione.
6
Art.3 par.3
12
alla disciplina internazionale del commercio dell’OMC, argomento di cui si
tratterà in seguito.
Il quadro degli obblighi imposti dall’UNFCCC agli Stati è suddiviso in
due categorie generali. La prima corrisponde a dei general commitments nei
confronti di tutte le Parti, mentre la seconda elenca una serie di doveri più
stringenti proprio verso quegli Stati, elencati nell’Annesso I alla Convenzione,
che sono caratterizzati da un’economia sviluppata e, quindi, secondo il
principio di responsabilità differenziata, devono sostenere maggiormente i
costi per la riduzione dei gas ad effetto serra.
Passando a questo primo ordine di obblighi, oltre all’adozione di un
registro nazionale delle emissioni di gas serra, alla formulazione di programmi
nazionali, allo sviluppo e alla trasmissione di conoscenze tecniche e
tecnologiche, alla diffusione di una coscienza pubblica del problema
7
, per
quello che qui interessa emerge in particolare la lettera (f) dell’art.4 par.1:
“Take climate change considerations into account, to the extent feasible, in
their relevant social, economic and environmental policies and actions, and
employ appropriate methods, for example impact assessments, formulated and
determined nationally, with a view to minimizing adverse effects on the
economy, on public health and on the quality of the environment, of projects
or measures undertaken by them to mitigate or adapt to climate change”. In
questa norma è possibile scorgere le fondamenta che hanno concretizzato la
costruzione di un sistema d’emissions trading internazionale, laddove si
7
Rispettivamente art.4 par.1 lett.(a), (b), (c), (h), (i).
13
prevede l’adozione di metodi che minimizzino l’impatto economico nelle
politiche di contrasto all’effetto serra. Si noti pure che questa provision altro
non è che l’esplicazione del principio di sviluppo sostenibile previsto dall’art.3
par.4.
Gli obblighi della seconda categoria si presentano più stringenti perché
diretti alle Parti ad economia avanzata. Già alla lettera (a) dell’art.4 par.2 è
previsto che “each of these Parties shall adopt national policies and take
corresponding measures on the mitigation of climate change, by limiting its
anthropogenic emissions of greenhouse gases and protecting and enhancing
its greenhouse gas sinks and reservoirs”
8
. Il paragrafo 3 dello stesso articolo
prevede un sistema di finanziamento nei confronti dei paesi in via di sviluppo
che devono sopportare i costi di implementazione della Convenzione. Il
paragrafo seguente prevede un obbligo di assistenza nei confronti di quei
developing country Parties che sono particolarmente minacciati dai
cambiamenti climatici
9
. Infine, una differenziazione di trattamento è posta dal
8
La disposizione poi continua in modo sostanzialente riassuntivo dei princìpi della convenzione:
“these policies and measures will demonstrate that developed countries are taking the lead in
modifying longer-term trends in anthropogenic emissions consistent with the objective of the
Convention, recognizing that the return by the end of the present decade to earlier levels of
anthropogenic emissions of carbon dioxide and other greenhouse gases not controlled by the
Montreal Protocol would contribute to such modification, and taking into account the differences in
these Parties’ starting points and approaches, economic structures and resource bases, the need to
maintain strong and sustainable economic growth, available technologies and other individual
circumstances, as well as the need for equitable and appropriate contributions by each of these
Parties to the global effort regarding that objective. These Parties may implement such policies and
measures jointly with other Parties and may assist other Parties in contributing to the achievement of
the objective of the Convention and, in particular, that of this subparagraph”;
9
Questa tipologia di paesi è elencata nell’art.4 par.8:
(a) Small island countries;
(b) Countries with low-lying coastal areas;
(c) Countries with arid and semi-arid areas, forested areas and areas liable to forest
decay;
(d) Countries with areas prone to natural disasters;
14
paragrafo 8 verso quei paesi in via di sviluppo che maggiormente
soffrirebbero i costi di implementazione, essendo la loro economia
strettamente dipendente dalla produzione, esportazione e utilizzo di carburanti
fossili.
La Convenzione disciplina poi aspetti istituzionali e amministrativi che
verranno analizzati più in dettaglio nel capitolo successivo.
Volendo qui fornire un primo commento sulla struttura e sui contenuti
della Convenzione è da considerare significativa la dichiarazione di chiusura
della Conferenza di Rio resa dal Segretario Generale delle Nazioni Unite,
Boutros-Ghali, secondo il quale è stata adottata una soluzione mediana, che
antepone la “massimizzazione delle partecipazioni” alla “massificazione dei
contenuti”
10
. Gli obblighi verso le Parti sono, così, stati ridotti al minimo pur
di permettere la ratifica degli Stati Uniti. Le disposizioni, poi, non hanno un
contenuto definito in quanto non sono previste scadenze entro cui dovrebbero
essere attuati gli obiettivi generali. Tuttavia, se tutto ciò è vero, è altrettanto
pacifico che la Convenzione costituisce una solida base normativa per la
positivizzazione di alcuni principi basilari nel disciplinare una problematica
ambientale di carattere globale, quale è il cambiamento climatico del pianeta.
(e) Countries with areas liable to drought and desertification;
(f) Countries with areas of high urban atmospheric pollution;
(g) Countries with areas with fragile ecosystems, including mountainous ecosystems;
(h) Countries whose economies are highly dependent on income generated from the
production, processing and export, and/or on consumption of fossil fuels and associated
energy-intensive products; and
(i) Landlocked and transit countries.
10
S. Maranella, Il principio di prevenzione nel diritto internazionale dell’ambiente, Perugia, 1997,
pag. 83.
15
Ai fini della ricerca sarà utile in seguito verificare quanto detti principi
siano stati applicati nel prevedere un sistema di scambio di “emissioni ad
effetto serra” a livello internazionale e nazionale.
1.2 Le basi giuridiche del Protocollo di Kyoto
Poste le basi di diritto internazionale per “stabilizzare le concentrazioni
di gas serra nell’atmosfera”, a seguito dell’adozione dell’UNFCCC, le Parti
della Convenzione, riunitesi per la prima volta a Berlino nel 1995, istituirono
un Ad-Hoc Group on the Berlin Mandate allo scopo di dare vita ad un
protocollo che fissasse obblighi precisi sulle emissioni.
I lavori e le negoziazioni durarono due anni
11
e nell’undici dicembre
1997 fu adottato il Protocollo di Kyoto alla Convenzione Quadro sui
Cambiamenti Climatici. Questo accordo stabilisce per la prima volta nella
storia dei target di riduzione di gas serra specifici per il mondo
industrializzato. Le Parti a cui sono posti tali vincoli sono elencate
11
E’ interessante notare, al fine di meglio comprendere le scelte giuridiche prese, come nelle
negoziazioni sul protocollo si possano individuare quattro diversi gruppi di Stati: l’Unione Europea; il
così detto Umbrella group (USA, Giappone, Australia, Nuova Zelanda, Islanda, Russia e Ucraina); il
G-77 /China group; l’Alliance of Small Island States, un gruppo di quarantadue Stati che più
sopportano il rischio di un innalzamento del livello del mare dovuto al riscaldamento globale. Per
quanto concerne le negoziazioni sull’emissions trading, è interessante osservare come il maggiore
apporto di carattere tecnico-amministrativo sia stato degli Stati Uniti, proprio la Parte che, a sorpresa,
si ritirò dal Protocollo nel 2001. Mentre la Parte più avversa all’adozione di questo strumento
flessibile sia stata l’Unione Europea. Per un approfondimento sui processi di negoziazione nel
Protocollo di Kyoto: B. Buchner, The dynamics of the climate negotiations, in Climate change policy,
cit., pp.24 e sgg.
16