5
progettazione eseguito dal Gasse fu rivolto essenzialmente alla
trasformazione delle fabbriche già presenti sul luogo, e all’ideazione di
un disegno della facciata che avesse il compito di uniformare l’intero
complesso, donandogli quell’unità che non si coglie nell’impianto
planimetrico.
Ciò si desume in particolare laddove si ricorda come, durante il corso
dei lavori, i proprietari e gli affittuari delle botteghe al pianterreno
continuarono ad esercitare i loro commerci, intralciando non poco i
lavori e creando anche pericoli alla circolazione, in quanto il cantiere
non poteva per questo motivo essere cinto da uno steccato. Dai libri
delle Misure poi, e in particolare dal primo volume, si evince come i
lavori di demolizione siano stati relativamente scarsi rispetto alla
consistenza dell’opera. Numerosi sono invece i magisteri di scucitura e
cucitura delle strutture murarie esistenti, e le opere di rinforzo, nonchè i
vani antichi sfruttati per alloggiarvi nuove scale.
La tesi si articola in una prima parte che analizza la letteratura critica
che ha avuto per oggetto il Palazzo S. Giacomo sin dai tempi della sua
costruzione. La seconda parte è finalizzata ad evidenziare in che modo
il sito in cui l’edificio è collocato si è modificato nel corso della storia,
connotandosi sempre di più quale centro politico-direzionale della città,
e ad analizzare quali fossero le fabbriche che insistevano sull’insula al
momento della costruzione. Lo studio si è rivolto poi, più
dettagliatamente, all’analisi architettonica, attraverso l’esame dell’iter
progettuale e delle singole parti che compongono l’edificio. Nel
capitolo successivo si è entrato più specificamente nel merito del
6
contenuto del documento, sottolineando la scoperta della presenza di
personaggi, di cui fino ad ora non si aveva notizia relativamente ad un
loro ruolo nella storia dell’opera, quali Domenico Barbaja e Francesco
Maresca. Infine, nell’Appendice, sono stati riportati i passi salienti del
documento stesso.
7
LA FORTUNA CRITICA
Il Palazzo S. Giacomo è oggi la sede del Municipio di Napoli. La sua
costruzione fu iniziata all’epoca della Restaurazione borbonica, quando
Ferdinando I aveva da poco riacquisito il trono, dopo il decennio
francese.
La costruzione rientra quindi nell’ambito di una vasta serie di lavori che
interessarono la città e in particolare questa zona, e che miravano tra
l’altro a riaffermare il prestigio della casata borbonica, continuando
l’opera intrapresa da Carlo di Borbone. Non è un caso, quindi, che il
Palazzo venga celebrato in tutte le numerose “guide” e “storie dei
monumenti” della città, che vengono date alle stampe durante il secolo
scorso1. Questi testi indicano l’anno 1819 come data di costruzione
dell’edificio. Infatti in quell’anno il sovrano manifestò il proposito di
riunire in un unico edificio tutti i Ministeri del Regno, che fino ad allora
erano distribuiti in varie sedi sparse per la città, creando non poche
difficoltà ai cittadini. Incaricò, quindi, il primo ministro Luigi de Medici
di occuparsi della questione, e questi ne affidò il progetto a Stefano
Gasse. Eppure, nonostante le lodi profuse all’indirizzo del Sovrano2, la
critica ottocentesca non manca di sottolineare come l’intento
1Cfr. Giuseppe Maria GALANTI, Napoli e contorni. Nuova edizione intieramente riformata
dall’editore Luigi Galanti, Napoli, 1829; Vincenzo CORSI, Storia dei monumenti del reame delle
due Sicilie, Napoli, 1845-1850; Raffaele D’AMBRA-Achille DE LAUZIERES,Un mese a Napoli:
descrizione della città di Napoli e delle sue vicinanze divisa in XXX giornate, Napoli, 1855-1857;
Camillo Napoleone SASSO, Storia dei monumenti di Napoli e degli architetti che li edificavano,
Napoli, 1856; Giovambattista CHIARINI in Carlo CELANO, Notizie del bello, del curioso e dell’
antico della città di Napoli, Napoli, 1856-60; Lorenzo POLIZZI, Guida della città di Napoli e suoi
dintorni, Napoli, 1875.
8
ambizioso di realizzare un edificio dal notevole valore rappresentativo,
non fosse riuscito del tutto, a causa della necessità di conservare le
antiche fabbriche che sorgevano nel sito prescelto. “E’ questo il
monumento che sorger dovrebbe sovra ogni altro in Napoli per maestà,
arte, e grandezza, atteso il nobile scopo a cui è destinato!”, scriveva il
Sasso3, che dal 1821 lavorò presso lo studio dei Gasse4, ma
aggiungeva che “il Medici timoroso, forse della riescita, non volle, o
non potè sacrificare tutto il brutto antico al nuovo monumento,
cosicché non fu dato al Gasse l’opportunità di concepire un vasto
piano e mandarlo ad esecuzione, e molto dovette risparmiar del
vecchio contro il voler suo raffazzonandolo”.
Del resto già il Galanti5 aveva osservato come “la felice idea di riunire in
un luogo non eccentrico della città tutti i ministeri, e le principali
amministrazioni non ha forse potuto avere una esecuzione del pari
felice”. Anche Gabriele Quattromani nel necrologio dell’architetto,
sottolinea le difficoltà che il genio dell’artista aveva dovuto incontrare,
perchè costretto non a concepire il progetto ex novo di un edificio
così complesso, ma a limitarsi ad un adattamento delle strutture
esistenti: “Un uomo doveva essere scelto che quella congerie sapesse
accomodare, e darle belle forme, solidità, utilità, e che riunisse alla
continua vigilanza su gli artefici arte e probità sperimentata.
2All’indomani dell’ultimazione dell’edificio vennero pubblicati diversi scritti celebrativi, sia in versi
che in prosa, quali: Giuseppe PERTICARI, Il genio partenopeo: odi sul nuovo edificio reale di S.
Giacomo , Napoli 1828; Cenno storico del nuovo edificio di S. Giacomo, Napoli, 1828.
3Cfr. C. N. SASSO, op. cit., pag.114, vol. II.
4Cfr. Roberto DI STEFANO, Storia, architettura e urbanistica, in: Storia di Napoli, Cava dei
Tirreni, 1972, pag. 669.
5Cfr. G. M. GALANTI, op. cit., pag. 174.
9
Quest’uomo fu Stefano Gasse”6. Inoltre difende l’architetto dalle
accuse che già in vita dovettero piovergli addosso, per un’opera che
non era riuscita così come prometteva: “Le quali cose io qui racconto
acciocché, invece di vituperar in alcuna parte dell’edificio l’architetto,
tolgano dalle torture in cui fu messo argomento del valor suo, chè
agevolmente avria ben fatto laddove un’area sola avesse avuto”7.
Interessanti sono le pagine dedicate dal Ceva Grimaldi8 al Palazzo, in
quanto pur compiendo l’autore un’analisi piuttosto concisa, essa risulta
estremamente esauriente. Infatti in poche righe egli traccia l’intera
vicenda storica attraversata dal sito, dalle trasformazioni realizzate in
epoca vicereale, fino alla costruzione del Palazzo dei Ministeri, dando
una chiara idea delle preesistenze sulle quali l’edificio andava ad
innestarsi.
Tuttavia bisogna ricordare che il progetto originario dell’edificio risale
al 1816, anche se non aveva ancora le proporzioni che poi avrebbe
assunto: l’idea originaria era infatti quella di collocare il solo Ministero
delle Finanze, con le sue dipendenze, nell’abolito ospedale di S.
Giacomo, dove erano già stati posti alcuni uffici finanziari,
provvedendo alla trasformazione di questa antica fabbrica.
E’ del 1895 la prima citazione di quell’anno come data d’inizio dei
lavori, ed appare precisamente in un articolo di Antonio Colombo
pubblicato in “Napoli nobilissima”, in cui l’autore descrive, tra l’altro,
le modifiche avvenute in epoca ferdinandea nella Strada di Toledo, e in
6Cfr. Gabriele QUATTROMANI, Necrologia di Stefano Gasse, Napoli, 1840, pag. 15.
7
Ibidem.
8Cfr. Francesco CEVA GRIMALDI, Memorie storiche della città di Napoli, Napoli, 1857, pagg. 326-
329.
10
particolare nell’area che intanto era divenuta Piazza Municipio.
Quell’anno Ferdinando I di Borbone con un decreto, “approvando il
progetto all’uopo eseguito dagli architetti D. Antonio de Simone,
Stefano Gasse e Vincenzo Buonocore, ne fissava la spesa in duc.
38,000”9. Questo decreto fu pubblicato per la prima volta in un libro
da Monsignor Borrelli10 che, attraverso studi relativi alla chiesa di S.
Giacomo e alle sue dipendenze fornisce molte indicazioni utili per
ripercorrere le vicende legate all’edificazione del Palazzo e allo stato
precedente dei luoghi. L’autore riporta integralmente anche l’altro
decreto, quello del 181911, con il quale il Re decise di annettere alla
parte di edificio già costruita il Monastero della Concezione e quello
della Confraternita dei Nobili Spagnoli, la Locanda e le botteghe al
Largo del Castello, così da renderlo un’isola.
“Tutto questo complesso di locali che sarebbero stati trasformati e
riedificati, avrebbero costituito, con la parte già in precedenza
considerata, un unico isolato di fabbrica, cioè l’«Isola di S. Giacomo»
un quadrilatero, più o meno regolare, confinante a monte con la Via
Toledo, a valle con il largo del Castello, e negli altri due lati con le vie
parallele della Concezione a Toledo e di S. Giacomo”, ricorda
Riccardo Raimondi12, la cui opera può essere considerata la naturale
continuazione di quella del Borrelli. Egli sostiene anche che riguardo
all’opuscolo di ventinove pagine pubblicato anonimo nel 1828 dalla
9Cfr. Antonio COLOMBO, La strada di Toledo, in “Napoli nobilissima”, 4, 1895, pag.127.
10Cfr. Raffaele BORRELLI, Memorie storiche della chiesa di S. Giacomo dei nobili spagnoli e sue
dipendenze, Napoli, 1903, pag. 168.
11
Ibidem, pag. 102.
12Cfr. Riccardo RAIMONDI, Arciconfraternita e Monte del S.S. Sacramento dei Nobili Spagnoli,
Napoli, 1975, pag.176.
11
Stamperia Reale, dal titolo Del Real Edificio di S. Giacomo, “dai
termini tecnici adoperati se ne può facilmente attribuire la redazione allo
stesso collegio degli ingegneri erariali che concorsero alla costruzione,
e probabilmente al più rinomato fra essi l’architetto Stefano Gasse che
ne fu il progettista”13.
Un ampio studio sulla storia del Palazzo è quello compiuto negli anni
Quaranta del nostro secolo, quelli quindi immediatamente successivi
alla trasformazione subita dall’edificio per la costruzione del Banco di
Napoli, da Fortunata Starita14. La studiosa manifesta un notevole
interesse per questo tema, tanto da riproporre il suo lavoro dopo ben
cinquantuno anni, rivisitandolo nel 199315 in un saggio su Stefano
Gasse. L’autrice, compiendo il suo ponderato esame a distanza di
mezzo secolo, è in grado di osservare come “allora già poco restava
dell’opera perchè sulla via Toledo si affacciava ormai la massa
marmorea del Banco di Napoli, che aveva portato via la metà del
grande edificio”16, e come col passar degli anni, e in confronto a tante
importanti opere d’arte, l’edificio viva quasi tra l’indifferenza “dei
critici d’arte che, nel caso migliore lo ignorano”17. In realtà i critici non
sono mai stati indifferenti, quanto piuttosto non sempre hanno
espresso un giudizio troppo lusinghiero nei confronti dell’opera. Basti
pensare a quello che scriveva il Cione nel 1942: “L’edificio non può
certo considerarsi un capolavoro: è vero che i due Gasse avrebbero
13
Ibidem., pag.180.
14Cfr. Fortunata STARITA, Palazzo S. Giacomo (Notizie storiche), Napoli, 1942.
15Cfr. Fortunata STARITA COLAVERO, Arte e potere: Stefano Gasse, un architetto al servizio di
un regno, Napoli, 1993.
16
Ibidem, pag. 48.
17
Ibidem, pag. 47.
12
potuto addurre a loro discarico la pratica necessità di utilizzare,
incorporandole nella nuova, alcune costruzioni già esistenti, ma ciò non
toglie nulla o assai poco alla gravità della critica che l’edificio merita”18,
mentre il Doria qualificava l’edificio come “un casermone tetro e
uniforme”19.
Il Venditti, nella sua dettagliata indagine storica relativa all’architettura
neoclassica napoletana non poteva trascurare questa esemplare
realizzazione del Gasse. Egli ne definisce la facciata “uniforme e
monotona nella ripetizione di tre piani di balconcini con timpani verso
la piazza”20, ma riconosce che “più che per l’articolazione esterna,
ripetuta su Toledo, con le varianti di un piano in meno, per il dislivello
tra le due strade parallele, e di due soli portali, palazzo S. Giacomo
offriva interesse nel fluire dello spazio dall’atrio a volta, sulla piazza,
fino a Toledo, mediante il passaggio coperto (...) che consentiva di
attraversare tutta la fabbrica”21.
Riguardo al ruolo che Stefano Gasse22 ebbe quale progettista
dell’edificio, c’è da osservare come gli sia stato spesso affiancato il
18Cfr. Edmondo CIONE, Napoli romantica (1830-1848), Milano, 1942, pag.164.
19Cfr. Gino DORIA, Via Toledo, Cava dei Tirreni, 1967, pag. 74.
20Cfr. Arnaldo VENDITTI, Architettura neoclassica a Napoli, Napoli, 1960, pag.154.
21
Ibidem, pag. 154 e 156.
22La carriera di Stefano Gasse (1778-1840), procedette parallelamente a quella del fratello gemello
Luigi, anche se poi finì con l’assumere un maggiore spessore artistico. Entrambi furono allievi dello
Chalgrin, presso il quale studiarono a Parigi, dove vissero fino al 1802. Frequentando l’Accademia
della capitale francese, i due fratelli ebbero modo di cimentarsi nei vari concorsi che venivano
organizzati. Luigi, vincendo il prestigioso Grand Prix de Rome nel 1799, potè usufruire di un
periodo di pensionato a Roma, seguito come collaboratore dal fratello, che si era aggiudicato
numerosi premi minori. Nel 1806 a Stefano venne attribuita una cattedra all’Accademia di Belle Arti
di Napoli, riformata da Giuseppe Bonaparte secondo il modello parigino, ma egli la rifiutò, non
sentendosi ancora maturo, per poi accettarla solo nel 1822.
Stefano Gasse fu il principale protagonista di tutte le più importanti opere pubbliche che si
realizzarono a Napoli tra il 1806 e il 1840, tracciandone la storia a partire dall’epoca murattiana,
passando attraverso la Restaurazione, fino alla realizzazione del programma urbanistico di
13
nome del fratello Luigi anche per quest’opera. Ad esempio lo stesso
Venditti sottolinea come, pur essendo stato affidato l’incarico ai tre
architetti Gasse, Buonocore e de Simone, “è ai Gasse, e in particolare
a Stefano, che si deve il disegno dell’opera”23, mentre il Buccaro
ricorda che “sebbene nelle fonti biografiche si parli di costante
collaborazione tra i fratelli Gasse, a Napoli fu sempre Stefano ad
occupare cariche pubbliche, ad avere incarichi ufficiali e a firmare gli
elaborati di progetto, mentre l’apporto di Luigi si limitò essenzialmente
(e per un breve periodo) alla parte grafica”24.
Altrove ricorda come il Gasse faccia parte di quella schiera di architetti
“che per la loro stessa estrazione culturale, furono più artisti che
tecnici, e, in quanto tali, non definibili «scienziati artisti»”, ma “d’altra
parte, furono proprio questi «puri architetti», insieme con gli altri che ne
raccolsero poi gli insegnamenti, (...), a portare innanzi il discorso
neoclassico nell’ambiente napoletano, raggiungendo non di rado alti
livelli compositivi, specie nella sperimentazione di nuove tipologie
Ferdinando II. Nel decennio francese portò a compimento l’allineamento di via Foria, i mercati di
commestibili, il prolungamento della Villa Reale e l’Osservatorio Astronomico. Con l’avvenuta
Restaurazione si rese artefice della realizzazione, oltre che del Palazzo dei Ministeri di Stato, del
muro finanziere, della Nuova Dogana, della sistemazione delle vie del Piliero, di S. Lucia e di
Mergellina, e del disegno del pronao di ingresso al Camposanto Nuovo.
Nella produzione gassiana è possibile distinguere, secondo il Buccaro, una “matrice tipologica”.
“Nei mercati di commestibili egli introdusse per la prima volta lo schema articolato intorno ad una
grande corte centrale, che avrebbe avuto ampia diffusione a Napoli fino al volgere del secolo”. Per
l’Osservatorio sulla collina di Miradois, ad esempio “propose una struttura dotata di una gran sala
a pianta circolare -coperta in ferro e vetro e cinta all’interno da un colonnato- e di due ali laterali
simmetriche: sebbene in corso d’opera l’invaso centrale venisse sostituito da un atrio rettangolare”.
Tutte queste opere si andavano ad inscrivere all’interno del progetto del muro finanziere che non
costituiva una semplice cinta daziaria, ma andava a definire il perimetro dell’area di intervento di
Ferdinando II. Cfr. Alfredo BUCCARO, Opere pubbliche e tipologie urbane nel Mezzogiorno
preunitario, Napoli, 1992, pagg. 20-24.
23Cfr. A. VENDITTI, op. cit., pag.154.
24Cfr. Alfredo BUCCARO, Opere pubbliche e tipologie urbane nel Mezzogiorno preunitario,
Napoli, 1992, pag.22.
14
architettoniche”25, di cui troviamo esempio anche in Palazzo S.
Giacomo.
25Cfr. Alfredo BUCCARO, Istituzioni e trasformazioni urbane nella Napoli dell’Ottocento, Napoli,
1985, pag.25.
15
IL SITO
Le trasformazioni urbanistiche
L’area su cui fu costruito il Palazzo dei Ministeri di Stato era
denominata, ai tempi di Don Pedro de Toledo, Genova piccola, (o
Genova nuova per usare le parole del Ceva Grimaldi26) in quanto vi
risiedeva una nutrita colonia di mercanti genovesi, che aveva nella zona
anche una propria chiesa (S. Giorgio dei Genovesi27), ma che andava
comunque distinta dal rione che questi avevano formato sin dal
periodo angioino nella zona del Mercato, e che veniva chiamato
Loggia di Genova.
Bisogna sottolineare che fin quando gli aragonesi non attuarono un
parziale ampliamento della murazione, l’area cadeva al di fuori della
cinta del perimetro urbano, ma nonostante questo l’insediamento nella
zona era già sviluppato sin dall’epoca angioina. Infatti, la costruzione di
Castel Nuovo28, iniziata nel 1279 e terminata nel 1282, ebbe il merito di
connotare tutta la zona circostante in maniera del tutto particolare. Gli
angioini spostarono la propria residenza da Castel Capuano alla reggia
angioina, “si ebbe, per conseguenza, che tutta l’area intorno a Castel
26Cfr. F. CEVA GRIMALDI, op. cit., pag. 326.
27Cfr.Cesare D’ENGENIO CARACCIOLO, Napoli sacra, oltre le vere origini, e fundationi di tutte
le Chiese, Monasteri, spedali, e altri luoghi sacri della città di Napoli, e suoi Borghi, Napoli,
1623; Carlo DE LELLIS, Parte seconda, O’vero supplemento a Napoli Sacra di D. Cesare
D’Engenio Caracciolo del signor Carlo De Lellis, Napoli, 1654; Luigi CATALA NI, Le Chiese di
Napoli. Descrizione storica ed artistica, Napoli, 1845; Gennaro Aspreno GALANTE, Guida sacra
della città di Napoli, Napoli, 1872, edizione consultata a cura di Nicola SPINOSA, Napoli, 1985;
Alfonso FRANCIOSI, Le Chiese di Napoli. Itinerario sacro della città, Napoli, 1936.
28Su Castelnuovo cfr. Pierluigi CROCE DE CASTRIS (a cura di ), Castel Nuovo. Il Museo Civico,
Napoli, 1990, con estesa bibliografia a cura di Ornella AGRILLO ed Ermanno BELLUCCI.
16
Nuovo, dalle mura fino alla spiaggia di Chiaia, andò arricchendosi di
palazzi signorili, dimore patrizie, chiese illustri. Si ha, pertanto, un
chiaro spostamento del centro della vita amministrativa e politica di
Napoli, dal suo nucleo antico a questo nuovo quartiere”29. Nasce
quindi proprio allora il ruolo di centro politico-direzionale, che
caratterizzerà il sito per tutta la sua storia, e che perdura fino ai nostri
giorni.
Il lungo periodo caratterizzato dalle lotte per la successione fece sì che
la città attraversasse una notevole fase di decadenza, le cui
ripercussioni incisero anche materialmente su di essa. Infatti, gli
scontri, che avvenivano nelle strade, provocarono la distruzione di
ampi tratti urbani, e l’area intorno Castel Nuovo fu naturalmente tra le
più colpite.
L’ingresso trionfale di Alfonso I d’Aragona segnò, quindi, un rifiorire
della città attraverso le ristrutturazioni urbanistiche che egli promosse, e
grazie all’importante impulso che diede alle arti. Tra l’altro egli fu
artefice della ricostruzione di Castel Nuovo, dove fissò la propria
dimora.
Ma l’intervento di gran lunga più significativo si attuò con la
realizzazione del piano di Pedro de Toledo30. Come è noto il vicerè
concepì un ampliamento della città che aveva la sua “spina dorsale”
nella strada che da lui poi prese il nome e su cui, qualche secolo più
29Cfr. Roberto DI STEFANO, Sviluppo storico della città di Napoli, in: “Restauro” nn. 98-99-100,
1988, pag. 197.
30Sull’argomento cfr. Roberto PANE, Architettura e urbanistica del Rinascimento, in: Storia di
Napoli, Napoli, 1974 vol. IV, pp. 317-446; Franco STRAZZULLO, Edilizia e urbanistica a Napoli
dal ‘500 al ‘700, Napoli, 1968; Giulio PANE, Pietro di Toledo vicerè urbanista, in: “Napoli
17
tardi sarebbe sorto l’Edificio delle Reali Finanze. Questa strada seguiva
il tracciato delle antiche mura aragonesi e, secondo la concezione del
suo ideatore, si configurava come una sorta di cerniera tra la vecchia
città e il nuovo insediamento residenziale per le truppe spagnole. Ma
essa costituiva soprattutto “il collegamento tra le zone più settentrionali
della città ed il centro rappresentativo e direzionale, ubicato intorno a
Castel Nuovo ed il porto”31. “Don Pedro fece anche costruire edifici
assistenziali e di pubblico servizio (come l’ospedale e la chiesa per i
militari) sull’area dell’antico quartiere dei genovesi, detto S. Giacomo
degli Spagnoli”32; della Chiesa, in particolare si occupò Ferdinando
Manlio 33.
Negli ultimi decenni del XVI secolo la città continua il suo processo di
strutturazione urbanistica, che per quanto riguarda l’area in esame si
configura attraverso la realizzazione di un altro importante asse di
collegamento: la strada del Castello, attuale via Medina. In questi stessi
anni gli unici interventi di trasformazione urbana che toccano un po’
più da vicino l’area in esame, riguardano la costruzione del nuovo34
Palazzo Reale35, con la successiva sistemazione del Largo antistante.
nobilissima”, 14, 1975; Leonardo DI MAURO, La ‘gran mutatione’ di Napoli. Trasformazioni
urbane e committenza pubblica 1465-1840, in All’Ombra del Vesuvio, Napoli 1990.’
31Cfr. Cesare DE SETA, Napoli, Bari, 1981, pag. 118.
32
Ibidem.
33
Il Manlio fu l’autore delle più importanti opere architettoniche promosse da Pedro de Toledo: si
occupò, tra l’altro, di alcuni restauri in Castel Nuovo e, insieme con Giovanni Benincasa, realizzò il
progetto del palazzo vicereale, primo nucleo del futuro Palazzo Reale.
34Fu così detto per distinguerlo da quello progettato dal Manlio.
35Su Palazzo Reale cfr: Alfonso MIOLA, La facciata della Reggia di Napoli, in: “Napoli
nobilissima”, 1, 1892; pagg. 14-18; Felice DE FILIPPIS, Guida al palazzo reale di Napoli, Napoli,
1953; IDEM; Il Palazzo Reale di Napoli, Napoli, 1960; Mario DE CUNZO (a cura di), Il palazzo
reale di Napoli, Napoli, 1994.