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Figura 1: Una pubblicità apparsa sul “The Literary Digest” del sapone Ivory di Procter & Gamble, risalente al
1920
Da queste realtà, e da tante altre, notiamo che oggigiorno la marca ha assunto un profilo
centrale nella nostra vita, che trova ragione nel desiderio di tutti di soddisfare i bisogni
più alti e personali (penso, ad esempio, ai bisogni d’auto‐realizzazione della scala di
Maslow, o al bisogno, un po’ meno nobile, d’apparire in luogo dell’essere), e in
un’evoluzione degli obiettivi della società. Siamo nell’era dell’intangibile. Il Consumismo si
sta spingendo al suo limite massimo ed è affiancato dal bisogno di sensazioni ed
emozioni; tutto si sta traducendo in un’assuefazione alle caratteristiche base del
prodotto (che ormai si danno per scontate, e di conseguenza non si considerano come
discriminante per la scelta di un prodotto rispetto ad un altro) che porta alla ricerca di
qualcosa di più nell’acquisto.
Si ricercano, appunto, sensazioni, emozioni, esperienze, appartenenza, relazioni...in una
sola parola: un brand!
Per questi ed altri motivi la gestione del Marketing aziendale, di cui il Brand Management
è parte integrante ed inscindibile, sta diventando sempre più difficoltosa e complicata, in
ragione anche della moltiplicazione delle attività che sono svolte in azienda per cercare di
4
far fronte alla sempre maggiore turbolenza dei mercati, sulla quale non mi dilungo,
poiché mi pare superfluo in questa sede.
Product development, product design, advertising, market research, marketing analysis,
consumer research, sales promotion, public relation; queste sono solo alcune delle attività
che il marketing deve programmare, attuare, gestire e controllare.
A mio modesto parere, il brand è importante tanto all’interno quanto all’esterno
dell’impresa, poiché può fungere da focus per tutte le attività elencate poc’anzi.
Il cosiddetto branding può essere visto come un collante per tutte queste diverse azioni
di marketing, ed il brand come un “semplificatore”, ovvero un driver che incanala e
direziona gli sforzi aziendali verso un obiettivo unitario e condiviso, cioè la costruzione di
un’immagine aziendale e di prodotto solida, evocativa e coinvolgente.
Con ciò intendo dire è che se l’impresa riesce a costruire un brand rinomato e di valore,
attorno a questo potrà costruire un marketing solido ed efficace; in caso contrario, sarà
più difficile raggiungere gli obiettivi, e ci sarà sempre l’incombenza sulle politiche
aziendali dei marchi più conosciuti.
Il branding (che possiamo brevemente definire come il processo che ha come fine la
differenziazione del brand sul mercato) è sempre più importante anche perché si è
capovolto il processo d’acquisto in favore del cliente, il che si sta imponendo a discapito
delle vendite, sia come processo, sia come attività aziendale. Molti prodotti, se non quasi
tutti, non sono più “venduti”, ma “acquistati”. Il cliente / acquirente ha un sempre
maggior potere, che gli deriva dai cambiamenti delle dinamiche base del mercato.
Il soggetto che vuole acquistare qualcosa, oggi come oggi, trova tutte le informazioni
che gli servono su Google, piuttosto che su MisterPrice, e la stessa cosa vale per le
aziende. Molte aziende riescono ad offrire prodotti sostanzialmente simili, o
apparentemente tali. Quindi trasparenza, appiattimento, equilibrio, informazioni
aggiornate e sempre disponibili ad un costo irrisorio da fonti diffuse (internet su tutte).
In più, saturazione dei mercati e concorrenza sempre più agguerrita nell’accaparrarsi i
clienti (anche se sarebbe meno difficile e meno costoso cercare di mantenere la base
clienti esistente) danno il loro contributo a questo processo di “potenziamento” del
ruolo del cliente nel processo d’acquisto.
5
Le imprese che vogliono costruirsi una reputazione basata sul valore del brand, devono
offrire quello che il cliente cerca, quando lo cerca, tutte le volte che lo cerca.
Chi ci riesce meglio, vende di più e ad un prezzo maggiore. E’ semplice, almeno a dirsi.
Ma se ci pensiamo bene, alla fin fine il brand in sé non è altro che un simbolo piuttosto
che un disegno, o una scritta.
Ciò che conta davvero non è il simbolo in sé, ma quello che evoca nella nostra mente
quando lo vediamo in TV, o su uno scaffale, o tra le mani di un nostro amico. Ciò che
conta è quello che sta dietro al brand: cosa vuol dire per noi possedere quel determinato
prodotto (anche se non ci serve); cosa vogliamo comunicare agli altri attraverso l’uso di
quel determinato prodotto; quali soddisfazioni, o emozioni, o sensazioni ci sa dare.
L’essenziale è invisibile agli occhi
1
.
Tutti i brand hanno almeno due cose in comune:
1. Attengono alla sfera emozionale del cliente / acquirente;
2. Dietro di essi c’è comunque un prodotto valido, che riesce meglio di altri a
soddisfare ciò che il cliente / acquirente cerca in quella tipologia di prodotto.
Se dietro allo stemma che ritrae un cavallino rampante su sfondo giallo non ci fosse
quello che c’è (in pratica un mito, l’automobile supersportiva per eccellenza) possedere
una Ferrari non significherebbe assolutamente nulla nella mente degli uomini di tutto il
mondo.
Se dietro allo stemma che ritrae un cavallo che traina una carrozza domato dal suo
fantino non ci fosse quello che c’è (cioè oggetti di pelletteria e gioielleria di altissima
fattura, ormai di culto) sfoggiare una borsa o un gioiello di Hermès non significherebbe
assolutamente nulla nella mente delle donne di tutto il mondo.
1 =da: Antoine de Saint Exupery – Il Piccolo Principe – Edizione originale 1943
6
E la lista di loghi, scritte e disegni capaci di evocare emozioni e sensazioni uniche nella
mente degli acquirenti, o dei semplici appassionati / sognatori, potrebbe continuare
all’infinito.
Il mio intento, per mezzo di quest’elaborato scritto, è spiegare cos’è il brand in
letteratura e cosa intendiamo per brand.
In seguito cercherò di illustrare i concetti di brand equity e brand positioning, come si
arriva a quantificarli, e a cosa attengono.
L’obiettivo che mi sono posto nel corso dell’elaborazione di questa tesi sul brand è
quello di darle organicità, seguendo un filo logico nell’affrontarne i vari argomenti.
Questa mia ricerca di coerenza e sistematicità è stata aiutata dall’enorme bibliografia a
mia disposizione.
Dopo una prima parte, un po’ più nozionistica, mi soffermerò sulle implicazioni
emozionali del brand, su cosa evoca e su cosa significa. Qui mi soffermerò molto su
esempi che vengono dal settore automotive, che è il mercato di riferimento dell’azienda
da me considerata come case study (Alfa Romeo Automobiles).
Infine illustrerò il mio studio del brand Alfa Romeo, basato sull’elaborazione di dati
ottenuti attraverso la somministrazione di due questionari.
Quando mi si è presentato il momento di dover scegliere l’argomento della tesi non ho
avuto dubbi sin dall’inizio.
Il mio corso di studi triennale mi ha fatto “innamorare” (professionalmente) del brand e
della sua gestione e valorizzazione. Fin da quando ho mosso i miei “primi passi”
universitari nel marketing, l’effetto del brand nella mente dei clienti mi ha sempre
affascinato, e da lì mi sono interessato anche personalmente in letture riguardanti il
marketing in generale, ed il brand in particolare. Vedevo e vedo il Brand come il
“braccio” del marketing all’esterno dell’azienda. Se il marketing è fatto bene, il braccio
sarà forte; altrimenti sarà di scarso impatto.
E per questo devo ringraziare i miei professori di Marketing del corso di laurea triennale:
Giancarlo Ferrero, professore ordinario di Marketing e Preside della Facoltà d’Economia
dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”, e Marco Cioppi, professore di Internet
Marketing nella medesima Università.
7
Neanche la scelta dell’azienda da esaminare e prendere come caso di studio mi ha dato
grosse difficoltà. Anzi, a dire il vero non me ne ha data nessuna.
Ho scelto l’Alfa Romeo perché sono, in primis, un possessore, nonché un appassionato.
Anzi, malato, come amiamo definirci. Perché l’Alfa Romeo è un virus, una malattia dalla
quale non vogliamo essere curati. Non chiamatela semplicemente passione. La passione
col tempo svanisce. Una malattia, invece, te la porti dietro per tutta la vita.
Grazie per l’attenzione. Vi auguro buona lettura, con la speranza di non annoiarvi troppo.
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2. Il Brand
Il brand è uno degli asset di maggior valore per un’impresa, anche se molto spesso non è
trattato come tale dai marketing manager.
Troppo spesso, in particolar modo nelle piccole e medie aziende, si tende a vedere il
brand come un semplice strumento tattico finalizzato, se possibile, a vendere di più,
dimenticando che è un vero e proprio strumento strategico di business, che nutre e si
nutre delle politiche aziendali, che si rafforza e si indebolisce in base a come l’azienda lo
usa / sfrutta sul mercato.
Un brand forte, affermato, noto e di valore è una via privilegiata di comunicazione con gli
stakeholders, è un elemento (forse quello di maggior impatto al giorno d’oggi) di
differenziazione sul mercato, consente all’impresa di fissare prezzi di vendita più alti
rispetto a quelli della concorrenza (e gli esempi di certo non mancano), dona all’impresa
maggiori margini di tempo per agire, contribuisce a creare valori e cultura unitari
all’interno dell’impresa, e l’elenco dei “pro” potrebbe continuare.
A riprova di ciò, è interessante notare come tra le BrandFinance 500
2
, oltre il 60% del
valore a bilancio delle compagnie sia costituito da “intangible assets”. Cosa c’è di più
intangibile in una società, se non il Brand?
2 = BrandFinance è la più nota società di consulenza e valutazione del Brand al mondo. Annualmente
pubblica il Brand Studies Research Report, contratto in BrandFinance500, che consiste in uno studio sui 500
Brand col valore più elevato. Questo studio si basa su cinque variabili: brand valuation, brand rating, brand
equity, brand reputation e innovation.
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2.1 Cos’è il “brand”
Il termine brand proviene dall’inglese, e tradotto letteralmente significa marca, marchio.
Il brand è stato definito in diversi modi da altrettanti autori nel corso della storia e della
letteratura.
L’onnipresente guru del marketing Philip Kotler, professore emerito di Marketing
Internazionale presso la Kellogg School of Management (Evanston, Illinois, USA), nel
lontano 1967 ha definito il brand come:
Un nome, un termine, un simbolo, un segno, un disegno
o una combinazione di essi, con cui si identificano
prodotti o servizi di un venditore al fine di
differenziarli da altri offerti dalla concorrenza
Kevin Lane Keller, uno dei più accreditati esperti di Strategic Brand Management,
professore di Marketing e Direttore della Facoltà d’Economia della Tuck School of
Business (Hanover, New Hampshire, USA) riprende fedelmente la definizione di Kotler.
Sostanzialmente, la definizione di brand data da Kotler è, ancora oggi, valida e
largamente ripresa in tutti gli studi di marketing del mondo. Non a caso, il suo libro
Marketing Management, ha fatto la fortuna della Prentice Hall, casa editrice che lo
distribuisce, in quanto è il libro più studiato in tutte le facoltà d’economia e le School of
business del Mondo, con una percentuale d’adozione che supera il 60%
3
. Un motivo ci
sarà.
Uno tra gli autori che esce dal coro è David A. Aaker, emerito professore di Marketing
all’Università della California “Berkeley” e Vice Presidente della società americana di
consulenza “Prophet”, che cambia prospettiva, e definisce il brand come valore, e cioè:
Un set di attività (o passività) legate ad un segno distintivo
(marchio, nome, logo) che si aggiungono (o si sottraggono)
al valore generato da un prodotto o servizio
3 = fonte: www.ilSole24Ore.com, sezione “Shopping24”
10
Aaker lega il brand al differenziale che l’impresa può permettersi di praticare sul prezzo
finale del bene / servizio contraddistinto dal brand stesso.
Anche Leslie de Chernatony, professore di Brand Marketing e Direttore del Centro di
Ricerca sul Brand Marketing della Business School dell’Università di Birmingham
(Edgbaston, Birmingham, UK) da una sua definizione di brand, più ricca delle precedenti:
Un prodotto, un servizio, una persona o un luogo,
valorizzato in misura tale che l’acquirente o l’utilizzatore
percepisca elementi unici e rilevanti di valore aggiunto
che incontrino i suoi bisogni, e che tale valore
sia sostenibile nei confronti della concorrenza
4
Ma non c’è solo la letteratura. Anche diversi esperti della materia hanno dato il loro
contributo al già ricco panorama fin qui riportato.
Jean‐Noël Kapferer, considerato il più importante esperto europeo in fatto di Brand
Management, ha dato la sua nozione di brand svincolandola dal prodotto / servizio, e
definendolo come:
L’essenza del prodotto, il suo significato e la sua direzione,
l’identità del prodotto nel tempo e nello spazio
Ma la definizione di brand che più mi ha entusiasmato è quella data dal compianto Walter
Landor (1913 ‐ 1995), geniale pubblicitario, pioniere nel campo del branding e del
consumer research, “the man who helped invent brand” come amano definirlo alla
Landor & Associati, società di consulenza da lui fondata.
Walter Landor definì il brand come:
Una promessa: il brand, nell’identificare e autenticare un prodotto o un servizio,
annuncia un impegno di soddisfazione e qualità
4 = Tratto da L. De Cheratony, M. McDonalds – Creating powerful brands in consumer, service and
industrial markets – Butterworth Heinemann – 1998.
11
Questa definizione, oltre a trasudare passione per il proprio lavoro, rafforza la visione del
brand come elemento intangibile, portatore appunto di una promessa. Da qui si capisce
che è fondamentale per l’impresa che dietro al brand ci sia un prodotto valido, che riesca
a soddisfare al meglio i bisogni che i clienti ricercano con l’acquisto, e che sia di qualità.
Infine vorrei citare Colin Bates, noto consulente americano in fatto di branding, che da
una definizione di brand curiosa, ma che coglie nel segno:
Il brand è un insieme di percezioni nella mente del consumatore
5
A mio personale avviso, quest’ultima definizione è illuminante nonché complementare
alle altre, in quanto considera il brand dal “lato del consumatore”.
Oltre alle varie definizioni di brand, trovo utile porre in rassegna quelli che Keller ha
definito i luoghi del brand
6
, cioè gli ambiti in cui il brand è nato, o si è sviluppato, o
comunque si è affermato nel corso degli anni:
1. Prodotti di consumo: l’ambito principale del brand, sia per storia che per
diffusione. Si pensi sia ai prodotti durevoli (automobili, elettronica di consumo,
ecc.) che ai prodotti di consumo in senso stretto (bevande, cibi, ecc.);
2. Prodotti B2B: anche nell’ambito dei beni industriali, ed in generale dei beni
scambiati tra aziende, il brand sta acquisendo sempre maggiore importanza,
come naturale conseguenza dell’alto coinvolgimento nell’acquisto di questa
tipologia di prodotto, dovuta alla criticità dell’assistenza, della qualità e
soprattutto del rapporto azienda – fornitore.
5 = Dal blog della neonata agenzia italiana di brand consulting Queimada.
6 = K.L. Keller – Strategic Brand Management. Building, Measuring, and Managing Brand Equity – Prentice
Hall, 2003
12
3. Servizi: l’ambito in cui si è assistito allo sviluppo maggiore della marca negli ultimi
anni. Data l’intangibilità e l’immaterialità del servizio, il brand aiuta a comunicare
al cliente una parte del contenuto del servizio, nonché la qualità del servizio
stesso. Il brand serve anche ad infondere tranquillità all’utente, in quanto funge
da garanzia.
4. Dettaglianti e distributori: il maggiore esempio è la GDO (Grande Distribuzione
Organizzata), che ha iniziato ad offrire prodotti e servizi paralleli a quelli di marca,
apponendo il proprio marchio commerciale.
5. Prodotti e servizi on‐line: Internet è stato il panorama che ha visto i maggiori
successi (e fallimenti) economici negli ultimi 10 anni, ed ha contribuito a creare i
maggiori fenomeni di brand (molto spesso dal nulla) che si sono imposti quasi da
subito on‐line come monopolisti nei loro settori.
6. Individui e organizzazioni: Anche le persone possono essere dei brand, in quanto
icone nelle loro specialità o in attività in cui sono impegnate. Penso ai personaggi
dello spettacolo, ai registi, agli sportivi, o semplicemente alle persone che da
sempre si sono impegnate in un certo campo: Queste persone “si brandizzano”,
creando attorno al proprio nome un’aura di credibilità pari, appunto, a quella di
un brand di valore.
Penso, ad esempio, alla linea d’abbigliamento di Jennifer Lopez, piuttosto che al
nuovo cellulare “marchiato” Obama, prodotto e commercializzato in Kenya dalla
MyPhone.
13
7. Sport ed Entertainment: Ormai sono considerabili brand anche le associazioni
sportive (pensiamo al merchandising delle squadre di calcio, o di basket), gli sport
e gli sportivi in generale (penso al wrestling), oppure ai film / telefilm / trilogie /
sequel che offrono il loro successo al botteghino come brand, anche qui
sostanzialmente per il merchandising (penso Star Wars, al Signore degli Anelli, ai
Simpson e a tutti i film d’animazione per bambini piuttosto che ai Cartoon).
8. Idee e cause: Concetto di brand affermatosi di recente, fa leva sull’umanità e
sull’indole delle persone, più che sui desideri e sui bisogni. Questo concetto si è
sviluppato per lo più in ambito no‐profit. Ricordo su tutte Emergency e Unicef.
9. Luoghi geografici: Nell’immaginario collettivo alcuni luoghi sono simbolo e
garanzia di alcune qualità, legate più alla storia e a peculiarità del luogo che ad
evidenze qualitative vere e proprie. Penso al Made in Italy come sinonimo di stile
o al Made in Germany come sinonimo d’eccellenza ingegneristica; penso alla
Francia come sinonimo di romanticismo, o al Texas (USA) individuato
nell’immaginario comune come la “porta dell’inferno”.
Penso, ad esempio, a come il marchio automobilistico Audi abbia fatto della
tecnologia tedesca il suo slogan per diversi anni (“Audi. Supremazia tecnologica
tedesca”).
Tornando specificamente a parlare di brand, possiamo attribuire a Jacques Seguela
7
il
merito di aver “spettacolarizzato” il brand, di averlo reso protagonista sul palcoscenico
del mercato già nei lontani anni sessanta e settanta. In questi anni, infatti, inizia a
decadere l’ormai mitico Carosello, “prodotto” tutto italiano che “ingabbia” la pubblicità
in un consueto e definito spazio televisivo; nascono le prime televisioni private che (per
7 = Estroso pubblicitario contemporaneo, nato nel 1934 e fondatore dell’agenzia pubblicitaria Euro RSCG.
Autore di diversi libri in materia pubblicitaria, è conosciuto per aver condotto la campagna politica di
Francois Mitterand, nel 1981, con lo slogan “La forza tranquilla”.
14
fortuna) hanno tutt’altro modo di comunicare il brand, e di conseguenza di fare
pubblicità. Ma questa è ormai storia.
Tornando a noi, Seguela sostiene che il brand è costituito di tre componenti e tre
qualità
8
:
1. Il fisico: la parte concreta del Brand, cioè il prodotto che rappresenta, nonché il
modo in cui lo rappresenta. Innanzitutto, non è detto che il prodotto debba
essere di qualità, l’importante è che il prodotto soddisfi ciò che i clienti
richiedono.
Credete che un Rolex sia più preciso di uno Swatch? Oppure che una Maserati
necessiti di minor manutenzione rispetto ad una Nissan?.
Poi, il Brand deve “sapersi presentare”; quindi le modalità scelte dall’impresa per
rappresentarlo e portarlo sul mercato: immagini, loghi, packaging, slogan, jingle,
scritte, claim, ecc.
Cos’è “per sempre”? Quale brand offre le sue patatine in un tubo di cartone?
Tutto ciò è fisico perché si vede, si ascolta, si legge, si guarda, si tocca.
2. Il carattere: come noi esseri umani ci distinguiamo per il nostro carattere, anche le
marche devono averne uno. Il brand deve avere una forte e spiccata personalità
che gli permetta di distinguersi dagli altri, e che permetta al cliente di identificarlo
tra mille. Anche qui, non è detto che il carattere debba essere positivo (es.: BMW,
the ultimate driving machine) o negativo (es.: Pampero, il rhum più bevuto nei
peggiori bar di Caracas), l’importante è che rispecchi il brand, l’impresa, e, ancora
una volta, ciò che il cliente vuole.
Quale aggettivo per una Mercedes, se non prestigiosa? Cosa associare a FedEx, se
non overnight?
8 = tratto da: Jacques Seguela ‐ Hollywood lava più bianco. Il manifesto della pubblicità spettacolo –
Lupetti Editore, 1985
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3. Lo stile: l’insieme delle modalità attraverso cui il Brand mostra all’esterno il suo
carattere. Lo stile è l’espressione del carattere, quindi è il modo in cui il brand si
differenzia dagli altri.
Lo stile deve rappresentare i valori intrinseci del brand nonché la cultura
aziendale, cosicché li possa comunicare inequivocabilmente al di fuori. Sta qui il
segreto della differenziazione.
Riuscite ad immaginare la Marlboro senza il suo cowboy? Oppure riuscite ad
immaginare uno store di Bulgari senza riflettori ovunque e senza commessi vestiti
di tutto punto, rigorosamente in nero?
In questo modo, ed in mille altri, il brand comunica con noi senza “costringerci” a
leggere od ascoltare nulla. Questo è stile.
Oltre a queste tre caratteristiche, sempre secondo Seguela, il brand deve possedere
anche tre qualità:
1. Il brand convince. E ciò deve accadere senza spiegazioni o spinte o aiuti di sorta. Il
brand deve trascinare al primo sguardo, solo per il fatto di essere lì. Non ci
devono essere esitazioni: se sul prodotto “X” c’è quel brand, allora il prodotto
“X” fa per me, più del prodotto “Y”. Il prodotto convince in quanto
contrassegnato dal brand, che è un sogno, un desiderio.
2. Il brand resiste al tempo. Il brand non deve annoiare, deve sapersi reinventare
tenendosi al passo coi tempi, senza mai perdere il contatto con la propria identità,
il proprio carattere ed il proprio stile. Il brand cattura l’interesse del pubblico a
prescindere da tutto. E’ anacronistico. E’ immortale.