5
forma diario, una scrittura tipicamente femminile: scrivere sul diario a volte
è una necessità, si raccontano le cose più dolorose è il luogo in cui si
raccolgono i pensieri e le più intime riflessioni e per questo diventa un
luogo necessaripo per ritrovarsi. Marazzi stessa utilizza il mezzo
cinematografico come strumento per entrare in contatto con le proprie
considerazioni, il suo diario personale appunto. La necessità di trattare certi
argomenti, alcuni dei quali veri e propri tabù, si percepisce in ogni
fotogramma, cercato e trovato tra mille fotogrammi, cogliendo l’essenziale,
arrivando al punto. La visione dei film-documentario di Alina Marazzi è un
modo per guardarsi in faccia e riconoscersi attraverso la storia di tutte le
donne.
La protagonista di Un’ora sola ti vorrei è la madre della regista e la sua
storia viene ripercorsa attraverso stralci dei diari e filmati di famiglia; Per
sempre costituisce una riflessione sulla scelta di vita che porta alla clausura
nei monasteri, un film di passaggio tra il “personale” della prima opera e
quello “collettivo” della terza; in Vogliamo anche le rose lo sguardo si
volge al clima di profondo rinnovamento dell’Italia degli anni sessanta e
settanta, ma rimane sguardo personale, letteralmente sguardo di tre donne
custodito e a noi consegnato dai loro diari. Uno sguardo personale,
insomma, che sa quanto mai trasmetterci l’universalità del femminile.
L’ultimo capitolo affronta le opere da un punto di vista formale: un
linguaggio audiovisuale nuovo che utilizza la tecnica del collage e la
contaminazione tra diverse forme espressive. Estetica in stile film di
famiglia ed elaborazione creativa del materiale di repertorio, sono tra le
caratteristiche dell’“idea documentaria” di Alina Marazzi. L’utilizzo della
voce fuori campo, il potere della parola-testo di evocare, raccontare o
sovrastare le immagini, di far vedere le cose, oppure di renderle
enigmatiche. La forma “diario” ricorre nei documentari della Marazzi come
forma espressiva e intima, come luogo in cui si depositano idee e
riflessioni: parlare di sé a partire da sé. Nelle sue opere, la regista è riuscita
a trasformare ciò che c’è di più personale nel massimo dell’universale in cui
ciascuno può identificarsi.
6
Un’ora sola ti vorrei offre un elemento di grande interesse per la
riflessione sul cinema amatoriale (Home Movies) e sulla sua qualità
documentaria: filmati di famiglia dichiaratamente non-professionali,
sgranati, segnati dal tempo. Mentre Vogliamo anche le rose è un film di
montaggio a base d’archivio (Found Footage), che utilizza materiali
audiovisivi esistenti, privati e pubblici, utilizzati nell’ottica di una riscrittura
cinematografica. Il cinema si propone come archivio della memoria,
deposito di saperi e di simboli che si rendono disponibili a essere
attualizzati e riproposti: riflettere sul tema del recupero per riflettere
sull’identità individuale e collettiva.
All’oggettività del documentario subentra, nelle opere della Marazzi, la
soggettività, il “punto di vista” personale: l’urgenza del ricordo, di una
storia passata che l’autrice non ha vissuto perché troppo giovane, ma di cui
ha bisogno per meglio capire il presente e le necessità dell’oggi. Far sapere
ad altri che ciò che ti tocca in prima persona può essere condiviso e che il
personale può così trasformarsi in pubblico. Un cinema appassionato al di
là delle logiche di mercato che nasce, come dice la stessa regista, da un
“sentimento di necessità”.
7
1. Il documentario in Italia del terzo millennio
1.1 La «meglio gioventù»: cinema di opere uniche
Il cinema italiano si apre al nuovo millennio con un particolare
fenomeno: quello delle opere prime di una generazione chiamata da Vito
Zagarrio la «meglio gioventù», “che proviene da un panorama desertificato,
che è cresciuta nell’era della fine delle ideologie, che non ha complessi di
colpa rispetto ai disastri delle generazioni precedenti, e che quindi si può
candidare alla creazione di un cinema diverso.”
1
In Italia la condizione del documentario soffre oramai da molti anni di
una particolare anomalia: imbrigliato nella sua funzione educativa e
divulgativa, relegato al ruolo di inchiesta o reportage di informazione, esso
finisce con il rimanere costretto in un ambito televisivo e, qui, collocato
all’interno di un programma-contenitore oppure sezionato e disarticolato
nel contesto di un servizio giornalistico. Manca un tessuto di medie imprese
che possa garantirne l’«indipendenza» e il duopolio Rai-Mediaset “ha la
responsabilità dell’arretratezza italiana nella competizione europea e
internazionale”
2
.
Nell’analisi del rapporto tra cinema e politica fatta da Paolo Pisanelli
3
si
evidenzia che in Italia, tra i motivi per cui la televisione non produce, né
compra o trasmette film documentari, vi è il fatto che
La «messa in scena» di persone, storie, eventi di vita reale comunica il senso
profondo – «politico» in senso lato – dell’agire e del modo di pensare dei
protagonisti: per questo carattere «politico» e «reale» a volte il cinema
1
Vito Zagarrio (a cura di), La meglio gioventù, Marsilio, Venezia, 2006, p. 12.
2
Dario Barone, Accesso vietato (Un’anomalia italiana) in Marco Bertozzi (a cura di), L’idea
documentaria, Lindau, Torino, 2003, p. 27.
3
Paolo Pisanelli, laureato in Architettura e diplomato al Centro Sperimentale di
Cinematografia, fotoreporter e fotografo di scena, dal 1995 si dedica alla regia di documentari. Nel
1998 è tra i soci fondatori di Big Sur, società di produzioni cinematografiche e laboratorio di
8
documentario svela verità «scomode» che l’establishment che gestisce il potere
mira sempre a mettere sotto silenzio.
4
Il documentario, per definizione, è documentazione della realtà.
Naturalmente ogni realtà visibile deve potersi rapportare sia con altre realtà
sia con una pluralità di interpretazioni. Aleggia sempre un sospetto sul film
documentario,
quello di non essere vero cinema, di non far sognare le folle. (…) Eppure l’uscita
nelle sale in questi ultimi anni, spesso con successo, di documentari, ma anche di film
che giocano con i confini tra finzione e documentario, testimonia un profondo
cambiamento delle forme stesse della narrazione.
5
Preziosi sono gli insegnamenti che vengono dal montaggio, sperimentato
in modi più complessi di quanto avvenga nel cinema di finzione, “a riprova
del fatto che il documentario moderno è un banco di prova dei propri mezzi
espressivi spesso più ostico, anche più critico”
6
. Aprà considera “prototipi”
le ultime opere del cinema documentario italiano come Voci nel tempo di
Franco Piavoli, Sul 45° parallelo di Davide Ferrario, Trent’anni di oblio
(1968-1998) di Silvano Agosti, Enzo, domani a Palermo! (1999) di Daniele
Ciprì e Franco Maresco, A.D 999 (2000) di Paolo Pisanelli, Addio al
passato (2002) di Marco Bellocchio, Un’ora sola ti vorrei (2002) di Alina
Marazzi. Fare documentari costa meno, “ma l’apparente facilità iniziale
impegna assai di più nella incessante ricerca del punto di vista migliore al
quale ancorare una realtà che sembra sfuggire da tutte le parti.”
7
Agostino Ferrente
8
, in una conversazione con Giovanni Piperno a
comunicazione nel Salento.
4
Paolo Pisanelli, Filmare la storia, in Marco Bertozzi (a cura di), L’idea documentaria,
Lindau, Torino, 2003, p. 106.
5
Jean Breschand, Il documentario. L’altra faccia del cinema, Lindau, Torino, 2005, p. 3.
6
Adriano Aprà, La rifondazione del documentario italiano, in Marco Bertozzi, L’idea
documentaria, Lindau, Torino, 2003, pp. 189-192.
7
Ibidem.
8
Agostino Ferrente, regista, produttore, direttore artistico. Nel 2001, insieme ad una decina di
complici, fonda a Roma l’Associazione Culurale Apollo 11.
9
proposito della relativa dis-affezione del pubblico italiano nei confronti del
documentario, spiega:
Si tratta del classico circolo vizioso assecondato, se non creato, da esercenti,
distributori e produttori. Televisioni in testa. Meno il pubblico conosce i
documentari e meno si può affezionare ai documentari. Meno il pubblico è
affezionato ai documentari e meno li cerca. Meno li cerca e meno i produttori
hanno interesse a offrirglieli. Meno gli vengono offerti e meno il pubblico ha la
possibilità di apprezzarli. Meno li apprezza… e così all’infinito. La scommessa
intelligente sarebbe quella di tramutare il circolo vizioso in circolo virtuoso.
9
A partire dalla fine degli anni novanta la comparsa del digitale ha
determinato numerose e profonde mutazioni nella tecnologia
cinematografica per quanto riguarda la ripresa, il montaggio e la post-
produzione: nascono nuove forme audiovisive e si ridefiniscono quelle
esistenti. Si tratta di una vera e propria rivoluzione, di una nuova
alfabetizzazione, dovuta all’uso dei moderni linguaggi, che passa attraverso
computer e internet, ma anche cellulari, telecamere Dv e webcam. Si va
verso la “convergenza multimediale”, convergenza tra le nuove tecnologie
della comunicazione, dove il computer mette a disposizione il linguaggio
digitale che “permette di ampliare all’infinito la possibilità di mostrare e di
osservare, portandoci molto lontano dalla tradizionale esperienza
televisiva”
10
. La tendenza è quella di far confluire diversi tipi di media in un
unico supporto. Inoltre il passaggio di documentari sui canali satellitari
(come Tele+ e Planet prima di essere assorbite da Sky), nonché la
diffusione home video e in rete hanno modificato le modalità di fruizione,
prima esclusive della televisione e delle sale cinematografiche.
L’abbattimento dei costi e la maggiore versatilità dovuta alla tecnologia
digitale permette ai nuovi registi di sperimentare, di cercare innovazioni,
svincolandoli dalla rigidità dei formati e dei generi: “l’impressione è che
oggi si arrivi a confrontarsi con il lungometraggio con una maggiore
9
Agostino Ferrente, Conversazione con Giovanni Piperno, in Marco Bertozzi (a cura di),
L’idea documentaria, Lindau, Torino, 2003, p. 176.
10
preparazione”
11
, una maggiore consapevolezza del fare cinema.
Tutto questo riduce fino ad annullare la differenziazione tra pellicola e
video, tra lungometraggio e cortometraggio, tra fiction e non-fiction.
Conseguentemente, diventa sempre più difficile definire il genere. La
fiction utilizza elementi della regia documentaria e viceversa i documentari
adottano aspetti di finzione, che appartengono a qualsiasi immagine
cinematografica, come rileva Gianni Celati: “una macchina da presa porta
con sé tutto un modo di immaginare il mondo, e trasforma ogni cosa
osservata. Ogni tipo di inquadratura è già un tipo di finzione immaginativa
o di messa in scena”
12
.
Tale mescolanza di generi, e la libertà creativa che ne consegue, hanno
favorito l’ascesa del documentario per il quale aumentano festival, rassegne
e manifestazioni. Anzi, è proprio dal documentario che “sembra venire
molta della linfa creativa che anima le autrici più interessanti ed eccentriche
del nuovo millennio (…) in modo particolare Alina Marazzi”
13
.
Nonostante la scarsa visibilità e il conflitto con il cinema fiction
(agevolato da contributi pubblici) o con i palinsesti televisivi, il
documentario continua a sperimentare. Infatti fin dall’inizio del nuovo
millennio si assiste in tutto il paese a un’esplosione di opere documentarie
di autori giovani ed esordienti: eventi traumatici come il G8 di Genova, o il
moltiplicarsi delle cosiddette “morti bianche”, costituiscono il punto di
partenza di nuove e importanti riflessioni.
A partire dal 2000 tra le opere fortunate che hanno avuto una
distribuzione e quindi una certa visibilità vanno ricordate: Genova per noi,
(2001, di Paolo Pietrangeli, Roberto Giannarelli, Wilma Labate, Francesco
Martinotti); Le strade di Genova, (2001, di Davide Ferrario, Ilaria Fraioli,
Giorgio Grosso e Jimmy Renzi); Un’ora sola ti vorrei (2002, di Alina
10
Enrico Menduni, I linguaggi della radio e della televisione, Laterza, Roma, 2002, p. 50.
11
Cristiana Paternò, Un cinema al femminile in Vito Zagarrio (a cura di), La meglio gioventù,
Marsilio, Venezia, 2006, p. 139.
12
Gianni Celati, Documentari imprevedibili come sogni, in Marco Bertozzi (a cura di), L’idea
documentaria, Lindau, Torino, 2003, p. 130
13
Cristiana Paternò, op. cit, p. 139.
11
Marazzi); L’esplosione (2003, di Giovanni Piperno); Un silenzio
particolare, (2005, di Stefano Rulli); L’Orchestra di Piazza Vittorio (2006,
di Agostino Ferrente); Dalla testa ai piedi (2007, di Simone Cangelosi);
Vogliamo anche le rose (2007, di Alina Marazzi); Il sol dell’avvenire
(2008, di Gianfranco Pannone); La fabbrica dei tedeschi (2008, di Mimmo
Calopresti); Morire di lavoro (2008, di Daniele Segre); Un paese diverso
(2008, di Silvio Soldini, Giorgio Garini).
Ciononostante, molti rimangono i film privi di distribuzione, affidati alla
speranza del “passa-parola” o di spazi alternativi per la diffusione: di queste
opere purtroppo “non esiste un catalogo. (…) La stragrande maggioranza
dei documentari si fa per la follia di qualcuno che ci crede, al di là delle
risorse disponibili.”
14
La tecnologia digitale, con i suoi strumenti leggeri ed economici, rende
praticabile, o quanto meno possibile, l’utopia di Cesare Zavattini: che tutti
possano creare, inventare, utilizzare le immagini in movimento come
strumento di comunicazione. Un cinema alla portata di tutti, fuori dai
condizionamenti dell’industria ma attratto dalle innumerevoli possibilità di
sperimentazione e contaminazione. Il suo valore sta proprio nell’essere
libero, immediato, pronto a cogliere le trasformazioni culturali e sociali.
Utilizza tutti gli elementi del cinema: fiction e non-fiction si contaminano,
le convenzioni stilistiche ed espressive sono superate, come pure la
vocazione all’osservazione e la tendenza all’oggettività. “Un cinema
sottocutaneo e carsico senza carattere di «scuola» e che, tuttavia, rivela una
sintonia tra personalità eterogenee di stili unici”
15
.
Uno degli ambiti produttivi più fecondi è senz’altro costituito dal
documentario d’autore, che finalmente si svincola dall’ambito del mero
genere descrittivo-informativo per divenire dichiaratamente e volutamente
un’interpretazione della realtà, della memoria privata o della memoria
collettiva. Non più solo sguardo che osserva ma anche e soprattutto sguardo
creativo, che fa propri e rielabora i materiali eterogenei della realtà in un
14
Marco Bertozzi, Storia del documentario italiano, Marsilio, Venezia, 2008, p. 277.
15
Roberto Nepoti, Stile, stili in Vito Zagarrio (a cura di), La meglio gioventù, Marsilio,
12
discorso essenzialmente nuovo. Secondo Nepoti “alcuni degli autori italiani
esordienti negli ultimi anni, (…) tematizzano lo sguardo, assumendolo
come metafora globale del cinema.”
16
Tra visione oggettiva e visione
soggettiva, lo sguardo documentario sperimenta un nuovo linguaggio
stilistico: un fare cinema differente, una nuova estetica. I nuovi documentari
sanno parlare a tutti, offrono storie e personaggi, emozioni e aspetti
conosciuti o sconosciuti del mondo che ci circonda.
L’idea documentaria, secondo Marco Bertozzi
attraversa ormai i territori più stimolanti della riflessione estetica contemporanea.
Forme che non abbracciano solo il cinema e investono altre discipline (…) Torna
al centro la biografia dell’esistenza: senza utopie, in una marginalità dimessa, dove
il progetto politico riguarda l’individuo nudo innanzi alla ‘sua’ storia (…) una
modalità documentaria che impara a dire «io» (dopo il «noi» degli anni sessanta-
settanta), dove lo sguardo gettato sul reale diviene, inevitabilmente, sguardo su se
stessi.
17
La classificazione dell’“insieme documentario” in generi riportata da
Roberto Nepoti
18
(pedagogico, antropologico, di attualità, industriale,
scientifico, d’arte, film di famiglia, inchiesta) non riesce più a contenere la
realtà filmica, deve perciò essere ripensata e ampliata. Diverse sono le
classificazioni possibili proposte.
Secondo Bill Nichols il documentario può essere definito un “concetto
misto”, non riproduzione della realtà, bensì una
rappresentazione del mondo in cui viviamo (…) una visione particolare del mondo
(…) I prototipi spiccano sugli altri lavori e vengono emulati, senza riuscire a
essere mai completamente copiati o imitati. Compaiono delle opere sperimentali,
capaci di sfidare le convenzioni, che determinano i confini del documentario.
Queste opere sanno forzare i limiti e a volte modificarli.
19
Venezia, 2006, p. 75.
16
Ivi, p. 77.
17
Marco Bertozzi, Storia del documentario italiano, cit., p. 278.
18
Roberto Nepoti, Storia del documentario, Pàtron, Bologna 1988, pp. 159-174.
19
Bill Nichols, Introduzione al documentario, Il Castoro, Milano, 2006, pp. 31-32.