1.1. STRUTTURA DELLA TESI 2
do dispositivi che permettono la crescita autonoma (senza l’intervento
continuo di un operatore) di cellule o tessuti.
Capitolo 2 Senza entrare in dettagli matematici, in questa sezione, sono intro-
dotti gli elementi essenziali della teoria delle biforcazioni. Sono, inoltre,
illustrate le biforcazioni che s’incontreranno nel resto della tesi. Infine
sono presentati gli strumenti numerici necessari per l’applicazione della
teoria delle biforcazioni all’analisi non-lineare dei sistemi a parametri
distribuiti.
Capitolo 3 In questo capitolo si formulerà il modello matematico del bioreatto-
re; verrano ricercati gli zeri del sistema attraverso il metodo delle secanti
per poi procedere alla continuazione parametrica a partire dalle soluzioni
stazionare trovate. Verranno analizzate la stabilità delle soluzioni allo
stazionario tramite il calcolo degli autovalori dello Jacobiano.
Capitolo 4 . L’impiego degli strumenti offerti dell’analisi non-lineare dei si-
stemi e dagli algoritmi di continuazione ha consentito lo studio del
comportamento dinamico del bioreattore per la produzione di etanolo.
Lo studio biforcazionale è stato condotto scegliendo di variare i para-
metri operativi quali la diluizione e la concentrazione di substrato in
ingresso al bioreattore Sf. Questo studio ha permesso di individuare in
maniera sistematica le regioni di molteplicità degli attrattori del sistema.
Verrano presentati i risultati della continuazione rispetto al parametro
D. Risposte del sistema a seguito di variazioni parametriche intorno ai
punti di biforcazioni Hopf. Verrano investigate la stabilità dei cicli limite
nati da tali biforcazioni attraverso la teoria di Floquet, ossia si procederà
dapprima al calcolo delle soluzioni stazionarie, in seguito alle quali i
punti di biforcazione di Hopf per poi calcolare gli autovalori della matrice
1.1. STRUTTURA DELLA TESI 3
monodroma (moltiplicatori di Floquet). Attraverso tali moltoplicatori
si osserverà la stabilità delle soluzioni. Infine si procederà per l’anali-
si biforcazionale rispetto a due parametri, ovvero variando da un lato
la diluizione e dell’altro la concentrazione di substrato in ingresso al
bioreattore.
Capitolo 5 La perdita di stabilità dei regimi statici d’alta produttività è accom-
pagnata dalla nascita di comportamenti periodici. I cicli limite emergono
da una biforcazione di Hopf subcritica instabile. Questa biforcazione è
di tipo catastrofico. L’analisi dinamica ha consentito di seguire lo svilup-
parsi dei comportamenti dinamici del sistema fino ad individuare quali
sono le effettive condizioni di biforcazione per mezzo delle quali si ha la
comparsa (o scomparsa) dei regimi dinamici. E’ stato trovato, appunto,
che le orbite periodiche stabili appaiono per mezzo di una biforcazioni
sella-nodo sui cicli di tipo catastrofico.
Appendice A La cinetica di Michaelis-Menten.
Appendice B Concetto di Energia di attivazione in dettaglio.
Appendice C vengono riportati i codici numerici sia per le simulazioni in
Matlab che il codice per XPPAut.
1.2. CENNI STORICI 4
1.2 Cenni storici
V erso la fine degli anni ’80, la comunità scientifica, forte delle nuovetecniche scoperte nel campo della coltura cellulare3, e vista la scarsità diorgani e tessuti disponibili per i trapianti, iniziò a coltivare in laboratorio
tessuti umani da impiantare nei pazienti, come alternativa al trapianto omologo.
Nacque così la Tissue Engineering, nuova branca della ricerca medico biologica,
finalizzata alla realizzazione di tessuti ingegnerizzati, atti alla sostituzione
funzionale. La definizione che la letteratura ci offre del Tissue Engineering è la
seguente:
“interdisciplinare che applica i principi dell’ingegneria e delle scienze
biologiche allo scopo di sviluppare sostituti biologici per ripristina-
re mantenere o migliorare funzioni di tessuti o organi”
Nei primi anni di attività, numerose furono le aziende nate per realizzare o
commercializzare i prodotti del futuro, i quali promettevano, a pazienti grave-
mente ustionati, guarigioni in tempi da record e senza cicatrici. Non tutta la
comunità scientifica però sfruttò il Tissue Engineering come tecnica produttiva
atta alla realizzazione di sostituti funzionali; alcuni ricercatori iniziarono ad
utilizzare questi tessuti come supporti per i test farmacologici e fisiologici.
Nacque così un nuovo filone del Tissue Engineering, atto alla realizzazione
e coltivazione di tessuti, per il testing di svariate molecole e tecniche di la-
boratorio. Ben presto iniziarono ad arrivare i primi report sull’attività delle
aziende impegnate nella generazione dei tessuti da impiantare; ci si rese imme-
diatamente conto che il settore del futuro era in realtà in forte crisi. Questa
crisi era dovuta soprattutto all’approccio tenuto da queste aziende nello studio
3
tecnica usata per mantenere in vita in vitro cellule ottenute da tessuti animali o vegetali, di
solito per disgregazione enzimatica.
1.2. CENNI STORICI 5
delle varie tecniche di realizzazione dei tessuti. Tipicamente queste imprese
adottavano un approccio di tipo trial and error. Forti dei successi iniziali, si
illusero di poter produrre tessuti di alta qualità, utilizzando le tecniche classiche
e apportando cambiamenti ogni qual volta si fosse presentato un fallimento.
Vista l’enorme complessità della materia, i fallimenti superarono i successi e,
solo poche aziende, riuscirono ad individuare la giusta ricetta, iniziando così
a vendere i propri prodotti. Purtroppo però, anche questi nuovi prodotti non
riscossero mai un enorme successo; i motivi di questo ulteriore fallimento sono
svariati e vanno ricercati nelle singole realtà aziendali, anche se possono essere
riassunti in pochi punti:
• I pazienti che necessitavano dei nuovi prodotti costituivano una piccola
fascia di mercato.
• I risultati clinici delle nuove metodiche non erano così rilevanti da
convincere i medici ad abbandonare le vecchie terapie.
• Date le modeste unità prodotte, le procedure di fabbricazione presenta-
vano costi eccessivamente alti.
• Le procedure di approvazione da parte di enti, come la FDA, richiedevano
costi elevati e tempi molto lunghi.
• Le aziende non avevano previsto dei piani efficienti di rimborso clienti.
Nel frattempo, i ricercatori che avevano scelto di utilizzare i tessuti come
mezzi per i test farmacologici, iniziarono ad ottenere i primi risultati. I risultati
ottenuti da quest’ultimi, però, non erano frutto di un processo trial and error,
ma piuttosto di una lunga ed attenta analisi dei principi posti alla base della
fisiologia cellulare e dei tessuti biologici. Forti dell’esperienza acquisita in questi
anni di studi, i ricercatori del ramo metabolico cellulare, fecero in breve tempo
1.2. CENNI STORICI 6
enormi passi avanti, ma furono costretti a rallentare per un ulteriore problema.
La tecnologia del tempo non era stata al passo con la ricerca biologica e la
comunità scientifica mancava, quindi, dei mezzi necessari per portare avanti il
proprio lavoro di indagine sui tessuti ingegnerizzati.
Figura 1.1: Andamento dei due settori fra il 2000 ed il 2002.
Dalla Figura 1.1 possiamo osservare quanto appena affermato: dal 2000 al
2002 si osserva un incremento del Tissue Engineering con finalità metaboliche
e cellulari (Tessuti epatici, renali, neuronali e colture cellulari per test) a disca-
pito del Tissue Engineering strutturale, cioè quello relativo alla sostituzione
funzionale di pelle, osso e cartilagine. Negli ultimi 5 anni non si è assistito,
però, ad alcun tipo di cambiamento nelle tecniche di realizzazione ed analisi
dei tessuti, non perchè si sia raggiunto il top, ma piuttosto, perchè non esistono
ancora mezzi e tecniche di coltura cellulare alternativi, capaci di assistere i
ricercatori nel loro lavoro.
1.3. IL BIOREATTORE 7
1.3 Il Bioreattore
I bioreattori sono particolari reattori chimici che utilizzano microorganismi
e/o biocatalizzatori4 da essi derivati in grado, attraverso una opportuna scelta
delle condizioni ambientali (brodo di cultura, pH, temperatura, aerazione, ecc.)
di produrre composti chimici d’interesse. Il brodo di cultura è l’insieme delle
sostanze chimiche (nutrienti e non) in cui sono immersi i microorganismi ed ha
il compito di alimentazione e mantenimento delle condizioni chimico-fisiche
ottimali per la vita cellulare. I bioreattori che utilizzano microorganismi in
crescita sono propriamente detti fermentatori. Un microorganismo (M.O.) può
essere schematizzato come una scatola nera in cui entrano i nutrienti (S) ed
escono i prodotti del metabolismo cellulare (P) e la biomassa5 (X).
Figura 1.2: Schema di flusso delle principali attività di un microorganismo
A tutti gli effetti il M.O. è un reattore chimico con l’unica sostanziale
4(o bioregolatore), sostanza che accelera o ritarda le reazioni dei sistemi biochimici negli
organismi viventi (es:sono biocatalizzatori gli enzimi).
5nell’accezione più generale possiamo considerare tutto il materiale di origine organica sia
vegetale che animale.
1.3. IL BIOREATTORE 8
differenza che, oltre a produrre composti chimici, si accresce e si riproduce.
Ovviamente, sia l’accrescimento che la riproduzione determinano l’aumento
del contenuto della biomassa del reattore.
A seconda dello scopo finale del processo, diverse strategie possono essere
adottate per l’ottimizzazione del suo funzionamento. Ad esempio:
1. Se lo scopo è ottenere un prodotto metabolico P si tende generalmente
a minimizzare la produzione di biomassa X per accrescere la resa del
processo.
2. Se lo scopo è produrre biomassa si creeranno le condizioni ottimali per la
crescita dei M.O. ed allo stesso tempo si cercherà di inibire la produzione
dei metaboliti principali; questa ultima operazione è effettuata per evitare
che risorse impiegabili per la produzione di biomassa siano dirottate verso
la produzione di prodotti metabolici.
3. Infine, se il processo è indirizzato al consumo di substrato (ad esempio se
il substrato è un composto inquinante che deve essere smaltito), le attività
di produzione di biomassa e dei metaboliti sono ininfluenti rispetto al
consumo di substrato.
Sicuramente, in ogni caso, la scelta delle condizioni operative deve essere
finalizzata alla minimizzazione dell’utilizzo di substrato. In generale, si cerca
d’impiegare substrati di scarso pregio per minimizzare i costi.
1.3.0.1 Funzionamento
Esistono diversi tipi e modelli di bioreattore che hanno in comune alcune
parti essenziali. La parte principale e’ la cella di coltura, cioè un camera
sterile all’interno della quale si trova una fiasca o una vaschetta contenenti il
substrato(Figura 1.3)
1.3. IL BIOREATTORE 9
Figura 1.3: Schema dell’ipotesi dell’adattamento indotto tra substrato ed
enzima
e le cellule. Il mezzo di coltura si trova un un recipiente (vetro, policar-
bonato,etc.) nel quale tramite una elettropompa viene immesso il terreno di
coltura arricchito con CO2 ed O2. La rilevazione del pH, realizzata tramite un
pH-metro permette di mantenere tale valore tra 7.2 e 7.4, azionando l’apertura
e la chiusura di elettrovalvole che permettono l’immissione di CO2 ed O2.
Nella Figura 1.4 si può notare il monitor di un computer che controlla
il pH, la concentrazione di ossigeno e la velocità di rotazione del sistema di
agitazione.
La temperatura viene controllata attraverso una termocoppia. Infine una
telecamera elettronica acquisisce ad intervalli regolari immagini dell’interno
della camera di coltura, per verificare l’effettiva crescita cellulare. Tutto e’
collegato ad un controllore elettronico, il quale e’ a sua volta interfacciato ad
un PC che permette la monitorizzazione e l’elaborazione di tutti i parametri del
sistema. La sterilizzazione del dispositivo e’ uno dei primi aspetti delicati da
affrontare. Tutte le parti in vetro o in silicone vengono in genere sterilizzate in
autoclave a secco, mentre le restanti parti tramite lavaggio in acqua ad elevata
temperatura. Dopo l’assemblaggio il bioreattore e’ sottoposto all’irraggiamento
1.4. TIPI DI BIOREATTORE 10
Figura 1.4: Reattore di 20 litri (Biotechnology Laboratory della University of
British Columbia)
tramite UV per circa 30 minuti. La sterilizzazione in ossido di etilene o in acqua
potrebbero provocare modificazioni alla struttura polimerica dei materiali
che compongo il dispositivo, diventando così fonti di tossicità per le cellule.
Le cellule vengono preparate all’immissione nel bioreattore attraverso una
coltura in condizioni statiche per alcune ore, in modo che sviluppino una
aderenza al substrato sufficiente a non provocarne il distacco nelle fasi iniziali
di permanenza nel dispositivo.
1.4 Tipi di bioreattore
La crescita di cellule in bioreattori permette un controllo preciso dei parame-
tri quali concentrazione di ossigeno e anidride carbonica, pH e rimescolamento
delle sostanze nutritive. In altre parole i bioreattori permetto la coltura in
massa di cellule vegetali in contenitori da 2 ad alcune decine di migliaia di litri.
In genere possiamo distinguere tre tipi di bioreattore caratterizzati da avere
ognuno un sistema di approvvigionamento di aria. Il primo sistema è munito di
1.4. TIPI DI BIOREATTORE 11
un dispositivo che garantisce l’agitazione del mezzo di coltura, si tratta di pale o
cilindri che ruotano ad una determinata velocità garantendo il rimescolamento
della coltura (Figura 1.5)
Figura 1.5: Bioreattore cstr (Continuous stirred tank reactor) o mescolato
meccanicamente
Nel secondo e terzo sistema non vi è agitazione e il rimescolamento è
garantito dal movimento delle bolle d’aria che entrano nella soluzione di
coltura (Figura 1.6 e Figura 1.7). La differenza fra questi ultimi due è nel modo
di gestire il movimento dell’aria.
Inoltre il bioreattore può essere costituito da un contenitore chiuso in cui
la coltura ha inizio ad un determinato tempo ed è arrestata ad un tempo
successivo, tale sistema è definito “Batch” e può essere illimitato, limitato dal
substrato o limitato dall’ossigeno. Un altro sistema è la “coltura estesa” in cui
la concentrazione del substrato limitante è mantenuta costante rifornendo il
sistema in modo continuo. L’ultimo sistema adottato è ad “operatività continua”
1.5. PERCHÈ I BIOREATTORI INDUSTRIALI 12
Figura 1.6: Bioreattore a colon-
na di bolle(disegno molto sem-
plificato).La miscelazione della
brodocoltura è affidata al flus-
so di gas dal basso, che nei
processi aerobici è aria
Figura 1.7: Bioreattore Air Lift
(con elevatore ad aria).Disegno
più complesso rispetto a quel-
li a colonna di aria in quan-
to un diaframma è presente.La
miscelazione della brodocoltu-
ra è migliorata in quanto si ge-
nerano dei moti convettivi che
aumentano il flusso dei liquidi
in cui, a differenza del sistema batch, è fornito al bioreattore un flusso continuo
di sostanze nutritive ed è caratterizzato dal continuo scaricamento di sostanze
prodotte.
1.5 Perchè i Bioreattori industriali
La costruzione e l’utilizzo di un bioreattore non sono certamente opera-
zioni banali. I microrganismi sono in grado di svolgere le loro funzioni in
maniera ottimale solo se le condizioni dell’ambiente sono ottimali. Per questo
motivo, occorre un controllo costante delle concentrazioni di gas (come ossige-
no, azoto, anidride carbonica), della temperatura, del pH e della velocità di
rimescolamento del contenuto del bioreattore.