rischio. Occorre così, crediamo, un nuovo sapere valutativo, che abbiamo individuato
nel Pensiero complesso di E. Morin, argomento del secondo capitolo.
La seconda considerazione, quella sulla sfera politica, rimanda ai mutamenti che
avvengono in questa dimensione, o che si considerano prossimi: maggiore
partecipazione, nuove agenzie transnazionali, i valori planetari, tutti fattori che
richiamano una nuova politica differenziale capace di influenzare le decisioni
politiche transnazionali, e di portare avanti un nuovo modello di sviluppo umano che
faccia dell’uomo nella sua complessità il suo fine ultimo.
Rifletteremo su entrambi questi problemi sorti dall’iniziale considerazione sul
mutamento, e che potremo chiamare problema cognitivo e problema politico, vedremo
come entrambi i concetti siano intimamente collegati e interdipendenti, attraverso un
percorso di ricerca sugli autori importanti che hanno trattato questi temi, e su due
articoli inediti in Italia dell'economista premio Nobel del 1998, Amartya Sen.
Già da ora, però possiamo intravedere un terzo problema che potrà sorgere dalla
riflessione sui primi due, un “problema etico” che potrebbe risultare come punto
d’arrivo del nostro percorso, e che concerne le tematiche di Giustizia globale derivanti
dalla percezione della società planetaria, dei valori planetari, dal Pensiero complesso e
dalla prospettiva dello sviluppo umano. Pensare al mutamento, cercare di
comprenderlo e “superarlo” attraverso le direttrici della conoscenza e della politica,
allora, rimanda al concetto complesso di essere umano e alla centralità che esso
assume nei cambiamenti sociali individualizzanti evidenziati e nel nuovo approccio
complesso al sapere e allo sviluppo.
Pensare il mutamento e la complessità allora, è nostra opinione, significa pensare
l’uomo.
6
PRIMO CAPITOLO
1. Modernità riflessiva e Società del rischio: il punto di rottura
Il punto di partenza di questa riflessione consiste nella convinzione, ormai assodata,
che la società in cui viviamo costituisca un punto di rottura rispetto alla società
industriale, una svolta, un nuovo inizio. L’accezione di Modernità riflessiva di U.
Beck rappresenta sicuramente quella che più si addice ad inquadrare tale aspetto: la
modernità, sotto la spinta del progresso tecnico-scientifico razionale, che ne
costituisce l’anima, ha determinato il raggiungimento dell’antico sogno umano del
dominio sulla natura. Il successo della razionalità scientifica ha portato il “progresso”,
ma la convinzione che questo potesse portare anche al summum bonum dell’umanità,
al benessere, è stata duramente smentita; la radicalizzazione della modernità, e della
sua anima razionale, ha fatto sì che si ponesse essa stessa come natura, incerta,
incontrollabile, ma ancor peggio catastrofica, configurandosi così come Società del
Rischio. Riteniamo importante tenere a mente le diverse accezioni di Modernità, per
cogliere i diversi aspetti interdipendenti di questo processo: la sua radicalizzazione
(Modernità radicale o avanzata) ci dice che il punto di rottura è determinato dal pieno
raggiungimento degli obbiettivi e dei presupposti della società industriale, è questo
successo che porta al suo superamento; la razionalità (Modernità razionale) costituita
dal sapere tecnico-scientifico che si configura come cultura; la globalizzazione che
richiama particolari tematiche, di un processo che in questa tesi cercheremo di
analizzare nella sua complessità, relative alla transnazionalizzazione dell’economia e
della cultura; la riflessività (Modernità riflessiva), ovvero la modernità che si pone a
se stessa come problema, e si interroga sui propri fini. Facendolo, però, usa gli schemi
del passato che non sono più validi; il punto di rottura non è costituito solo dalla crisi
della scienza e della cultura, ma il processo investe gli stati nazionali, la società
planetaria nel suo insieme, le società e le culture nelle loro particolarità e ogni
individuo singolarmente, portandoci così ad ipotizzare una sorta di mutamento. È
nostra opinione che ognuno di questi fenomeni rientri in uno schema di connessioni e
dipendenze in cui ognuno è a un tempo causa ed effetto dell’altro. Nella stesura di
questo capitolo ci rivolgeremo al processo descritto in due modi; in primo luogo come
Modernità riflessiva, che contiene in sé anche i concetti di radicalizzazione, di
7
razionalità e di globalizzazione; in secondo luogo come Società del rischio, nel
discutere sulle problematiche di rischio e incertezza sorte alla fine del XX secolo. Ma
nella nostra riflessione abbiamo interpretato le due accezioni come complementari e
indissolubili: La Modernità riflessiva è la Società del rischio, la Società del rischio è
la Modernità riflessiva.
Crisi della razionalità scientifica
Le conoscenze straordinarie acquisite nel ventesimo secolo in ambito scientifico,
biologico, fisico, tecnologico, psicologico, sociologico costituiscono la conditio sine
qua non della modernità. Un processo le cui radici possiamo ritrovare
nell’illuminismo, e che si realizza nell’era industriale, in cui la scienza diventa il
paradigma dominante che permette e costituisce la conoscenza stessa. Considerare la
scienza come paradigma rimanda al fatto che il concetto di conoscenza stesso viene
inglobato nella forza trainante della razionalità scientifica: l’approccio, la
metodologia, i valori della scienza vanno a costituire la struttura che permette lo
sviluppo del sapere umano, in ogni ambito (nella ricerca, nelle politiche economiche,
nell’educazione scolastica, nel lavoro, etc.).
È importante dunque considerare la razionalità scientifica nelle sue interdipendenze
con la dimensione della conoscenza e con la cultura, le incapacità della prima si
trasmettono alle altre dimensioni, come un virus, determinando così una crisi generale
della razionalità scientifica, della conoscenza stessa, della cultura, per poi determinare
effetti collaterali anche nella dimensione microsociale e individuale. Tutte queste
dimensioni saranno esaminate nel corso di questo capitolo.
È nostra intenzione considerare la crisi della razionalità scientifica attraverso due
direttrici: l’esclusione dell’uomo e la frammentazione del sapere. Le due direzioni
rappresentano fenomeni interdipendenti e collaterali, che si è scelto di considerare
separatamente per chiarezza argomentativa e per meglio coglierne i diversi aspetti.
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1) Esclusione dell’uomo come “intelligenza cieca”
Che cosa ha determinato la cosiddetta “crisi della scienza”? La risposta degli autori
esaminati nel nostro lavoro pare univoca: le modalità dell’esistenza della razionalità
scientifica non producono più conoscenza e verità, ma ignoranza e illusioni.
«La scienza estende sempre più il predominio dei metodi di verifica empirica e logica. I lumi
della ragione sembrano respingere miti e tenebre nei bassifondi dello spirito. Eppure, ovunque,
errore, ignoranza, cecità progrediscono di pari passo con le nostre conoscenze […] tali errori,
ignoranze, cecità, pericoli hanno un carattere comune che risulta da un modo mutilante di
organizzazione della conoscenza, incapace di riconoscere e di afferrare la complessità del reale».1
Una “intelligenza cieca”, dunque, che secondo E. Morin si fonda sul paradigma di
semplificazione, che a sua volta è composto dai principi di disgiunzione, di riduzione,
di astrazione.
Il principio di disgiunzione si fonda sulla distinzione del metodo Cartesiano tra res
cogitans e res extensa, ovvero tra il soggetto pensante, l’uomo, e l’oggetto esteso, il
mondo, una distinzione che potremo identificare come separazione tra filosofia e
scienza. E qui avviene quello che per Morin, ma che ritroviamo anche in autori come
Jonas , Beck e Sen, è uno degli errori più gravi della razionalità scientifica e della
conoscenza, l’aver escluso l’uomo dalla speculazione scientifica, poiché non
“misurabile”, imperfetto, mutevole. Come vedremo nel corso della tesi questo è un
punto basilare della crisi della modernità, e una premessa alla Società del rischio. Per
ovviare alla disgiunzione si interviene con un’altra semplificazione, la riduzione. In
questo modo si riduce l’uomo alle categorie scientifiche, l’umano alla biologia. Le
scienze umanistiche, la filosofia, paiono risucchiate in questo processo semplificante,
diventando così scienze del sociale o filosofie scientifiche, e perdendo così il loro
importantissimo ruolo di creatrici e propagatrici di conoscenza e cultura,
inevitabilmente complementare alla conoscenza scientifica. Il principio di astrazione,
infine, annulla le diversità, la multidimensionalità, la complessità del reale e
dell’essere umano.
Giunge alle stesse conclusioni, in una riflessione sulla razionalità scientifica, Ulrich
Beck, che parla di formule di impoverimento, sinonimo, a nostro parere, del
1
E. Morin [1990], Introduction à la pensée complexe, trad. it., Introduzione al pensiero complesso,
Sperling & Kupfer, Milano 1993, p. 5.
9
paradigma di semplificazione: «Esiste quindi il pericolo che una discussione
sull’ambiente condotta con categorie della chimica, della biologia, della tecnica
finisca per comprendere l’essere umano soltanto come materiale organico».2 Le
parole di Beck sono probabilmente le più crude, ma anche veritiere: la scienza
razionale come pilastro della modernità non concepisce l’umano, lo esclude
totalmente dalla propria visuale cognitiva. E così facendo perde la facoltà di
comprendere il reale, ponendo le basi della sua crisi.
2) Frammentazione del sapere come irresponsabilità
La seconda direttrice da noi indicata è la frammentazione del sapere, termine con cui
intendiamo la separazione del sapere in settori distinti, scollegati e ben definiti, settori
con regole, professionalità e dogmi propri. La frammentazione è un elemento
costitutivo del sapere scientifico, e della ricerca, le speculazioni e le riflessioni
razionali devono rientrare in un determinato settore: fisica, biologia, matematica, a
loro volta suddivisi in ulteriori sub-settori: astrofisica, biologia molecolare,
informatica, etc. Anche questa direttrice può essere considerata e compresa alla luce
del paradigma di semplificazione. Col principio di disgiunzione si è operato per una
divisione sistematica della conoscenza per settori ben delimitati e definiti, al tempo
stesso risulta necessaria perciò una riduzione della realtà negli schemi e nelle
categorie concettuali, nei metodi propri di quel settore, perdendo la complessità del
reale con la sua multidimensionalità e le sue interdipendenze. Questo processo porta,
dunque, a una astrazione della realtà, o del particolare fenomeno esaminato, dalla sua
verità o essenza, creando così qualcosa di irreale, illogico, vero solo in quel campo
definito e infinitesimale del sapere scientifico, ma in definitiva non vero, perché non
veri sono i suoi presupposti.
La frammentazione del sapere scientifico, collegata al mercato del lavoro, produce il
fenomeno della iperspecializzazione delle professionalità e delle carriere, e che a sua
volta, come discuteremo approfonditamente più avanti, porta all’irresponsabilità di
queste figure.
2
U. Beck [1986], Risikogesellschaft. Auf dem Weg in eine andere Moderne, trad.it, La società del rischio.
Verso una seconda modernità, Carocci Ed, Roma 2000, p. 32.
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Eredi della critica della cultura
Le due direttrici della crisi della razionalità scientifica sono già state in passato
considerate da autori illustri, anche se sotto diverse forme, menti illuminate che per
prime colsero le incapacità costitutive del pensiero scientifico. Si tratta di numerosi
autori, filosofi e scienziati che hanno cambiato la storia della cultura e della scienza, e
le cui riflessioni hanno permesso che gli autori di oggi potessero parlare di crisi della
razionalità scientifica, di Modernità riflessiva e di Società del rischio. «[…] noi siamo
gli eredi di una critica della cultura divenuta ormai realtà […]».3 È un processo non
omogeneo, ma di certo interdipendente, il cui inizio potremo identificare con la
nascita della Teoria evoluzionistica del naturalista inglese Charles Darwin con la
pubblicazione nel 1859 de L'origine delle specie, e che continua fino alla metà del
secolo successivo con le Osservazioni Filosofiche del filosofo viennese L.
Wittgenstein, che parla di “crisi del linguaggio”. Già in Darwin possiamo vedere, oltre
la critica ai “dogmi” scientifici, quell’attenzione alla reale umanità che, come abbiamo
visto, costituisce una delle incapacità costitutive4 della conoscenza scientifica, mentre
nell’ultimo Wittgenstein si afferma la natura sociale del linguaggio, e la soggettività
dell’uso delle proposizioni. Successivamente fu la volta di Nietzsche, e della “morte
di Dio”, di Freud e l’inconscio. Tutte queste riflessioni sull’essere umano non devono
essere certamente generalizzate sotto un unico “profilo ordinatore” che le ricolleghi a
un progetto e una volontà unica, si commetterebbe il medesimo errore di
comprensione della conoscenza scientifica, la semplificazione. Ci sembra innegabile,
tuttavia, come in tutti questi autori ci sia una comune attenzione per la realtà
dell’essere umano, per la soggettività, una realtà che comporta rivoluzioni culturali e
crisi delle conoscenze tradizionali. Ma anche rivoluzioni scientifiche. Si pensi al
Principio di indeterminazione di Heisenberg, che quantificò l’imprecisione, stabilendo
così un limite della conoscenza e ipotizzando che l’energia impiegata per osservare un
fenomeno modificasse il fenomeno stesso in maniera imprevedibile. Si pensi a Niels
Bohr, che percependo l’importanza epistemologica della “complementarità”, permise
la considerazione complementare di aspetti paradossali di una medesima realtà, come
il concepire la luce, separatamente, sia come un’onda che come un flusso di fotoni (il
che sembra una contraddizione, dato che una cosa dovrebbe escludere l'altra). Anche
3
U. Beck [1986], op. cit., p. 17.
4
H. Jonas [1979], Das prinzip Verantwortung, trad. it., Il principio responsabilità, Einaudi, Torino 1990, p.
91.
11
nel considerare queste teorie rivoluzionarie, ovviamente, bisogna evitare di
semplificare le diversità delle stesse ad un unico fine, quello di portare avanti la
tematica della critica della scienza sulle due direttrici dell’esclusione dell’uomo e
della frammentazione del sapere. È altresì innegabile anche in questa considerazione,
però, come il punto di partenza, o il sostrato, di tali teorie sia comune: la
comprensione dell’uomo ed un pensiero deframmentato, plurale, interdisciplinare.
Quella che alla nostra interpretazione pare l’unica maniera per superare lo stallo e le
impossibilità della scienza è includere l’uomo e la sua complessità nella razionalità
scientifica, le sue contraddizioni, le sue imperfezioni.
Questo processo storico e culturale che si è identificato come “crisi della cultura”,
dove per cultura si intendono i valori e le conoscenze proprie della razionalità
scientifica della modernità, è un primo passo verso il superamento di questa
“intelligenza cieca”. Una comprensione del reale e del suo mutamento, crediamo, non
può prescindere da un mutamento della struttura stessa della razionalità, e del suo
paradigma semplificante. L’ “eredità” di cui parla Beck ci ha dato la possibilità di
riconoscere la fallacia del pensiero scientifico e a un tempo il dovere di superarla.
L’inclusione dell’uomo e la deframmentazione nel processo scientifico non risultano
bastevoli alla luce dei mutamenti storici e culturali descritti, e anche alla luce degli
importanti mutamenti sociali di cui si parlerà nel prossimo paragrafo.
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Società del rischio: la punta d’iceberg del mutamento
L’attuale dimensione della modernità è identificabile, secondo l’accezione di Beck,
come Società del rischio (Risikogesellschaft). Il processo storico iniziato con
l’illuminismo ha portato al superamento della Società industriale, a un punto di rottura
al suo interno: il passaggio dalla Modernità lineare, ovvero la Società industriale, alla
Modernità riflessiva, ovvero la Società del rischio. Questo passaggio viene stato
determinato direttamente dai caratteri fondanti della modernità, dalla radicalizzazione
della razionalità scientifica come conoscenza e cultura, dal progresso tecnologico,
dalla connettività complessa5 (ovvero l’enuclearsi dei rapporti d’interazione sociale
dal contesto locale); è proprio il successo della società industriale, dunque, a
decretarne la fine. La Modernità riflessiva, che si interroga sulle proprie “incapacità,”
vive della dimensione del rischio-incertezza, che scaturisce proprio dalla crisi della
conoscenza razionale-scientifica e dalla critica della cultura, di cui sopra.
Fondamentale in questa visione è la riflessione di Beck, che inizia così il suo testo
principale, La società del rischio: «Nella modernità avanzata la produzione sociale di
ricchezza va sistematicamente di pari passo con la produzione sociale di rischi».6
Perché questo avvenga sono necessarie due condizioni; in primo luogo devono essere
marginalizzate le situazioni di bisogno materiale tramite il progresso e la regolazione
giuridica e sociale; in secondo luogo ciò avviene in virtù del fatto che nel processo di
modernizzazione si liberano rischi in dimensioni fino ad oggi sconosciute. Queste
dimensioni sconosciute, portano a pensare la società del rischio come società delle
catastrofi. Nella dimensione del rischio sono compresi, a un livello macro, i danni
ecologici, la sempre più forte spaccatura tra nord e sud del mondo (paesi sviluppati e
non-sviluppati), gli scontri tra culture nel contesto della globalizzazione; a un livello
micro i fenomeni di detradizionalizzazione, comprendenti l’individualizzazione, la
società senza classi, la de-standardizzazione del lavoro.
Conscio dell’enormità del rischio è anche Hans Jonas che parla di vulnerabilità della
natura, comprendendo nella definizione di natura tanto l’uomo quanto il mondo. Dalla
sua riflessione si pongono tre cause di questa vulnerabilità: in primo luogo la
«estensione spaziale e temporale delle serie causali attivate».7 che possiamo
5
J. Tomlinson [1999], Globalization and culture, trad. it., Sentirsi a casa nel mondo. La cultura come bene
globale.,Feltrinelli, Milano 2001, p. 14.
6
U. Beck [1986], op. cit., p. 25.
7
H. Jonas [1979], op. cit., p. 11, corsivo mio.
13
individuare, con un’altra terminologia, nella connettività complessa. Secondariamente
bisogna considerare l’irreversibilità di tali rischi, e in terzo luogo la loro cumulatività,
ovvero l’addizione degli effetti, la cui somma diventa dunque imprevedibile all’agente
iniziale. A questi tre elementi se ne aggiunga un quarto evidenziato da Beck, la non
specificità e universalità del rischio, che colpisce indiscriminatamente i paesi
sviluppati e no, ricchi e poveri, coloro che hanno prodotto i danni, in genere élite
politiche o industriali, e coloro i quali non sanno neanche cosa sta accadendo. In
questo senso si può parlare di effetto boomerang, tale che i rischi colpiscono anche
chi li produce. Si pensi ad esempio alle conseguenze di un’esplosione nucleare, i suoi
effetti durano decenni, forse secoli, e colpiscono tutte le tipologie di persone
(professionali, culturali, cetuali), arrivando a colpire perfino gli stati vicini, e quelli
lontani tramite le esportazioni contaminate. La connettività complessa è condizione,
così, della connettività del rischio.
Sarà utile, arrivati a questo punto, specificare cosa si intende praticamente per rischio.
Abbiamo già visto l’esempio del rischio nucleare, ma si provi a pensare ai danni
ecologici causati dall’inquinamento in tutto il mondo, col seguente “effetto serra” e
scioglimento progressivo delle calotte polari. Gli scarichi aziendali tossici, che
causano (oggigiorno la documentazione è piuttosto ricca, anche in Italia) tumori nei
dipendenti e nascita di feti deformi nella popolazione locale. Si pensi, dunque, ai
danni causati dal disboscamento delle regioni amazzoniche alla flora, alla fauna e
anche alle popolazioni indigene. Si può infatti, e in molti aspetti differenti, includere
l’uomo tra questi esempi, come fa Hans Jonas, inserendo tra i rischi della modernità
quelli ipotizzabili derivanti dalla manipolazione genetica dell’uomo.8 Ma oggi (Il
principio Responsabilità è stato pubblicato nel 1979) sappiamo che ulteriori rischi
potrebbero (e quindi in realtà non sappiamo, ma questo probabilmente ci basta)
provenire dalla manipolazione genetica di animali e vegetali, e qui entra in gioco la
discussione sugli Ogm (organismi geneticamente modificati, in genere per alimenti).
Questi sono solo alcuni degli esempi che si potrebbero fare sulla dimensione del
rischio nella società attuale, e da questi se ne possono trarre numerosi altri
considerando la connettività. Le colture, o i prodotti di qualsiasi genere (abiti, utensili)
esportati dalle zone contaminate dalle radiazioni, da sostanze tossiche aziendali, quali
effetti possono avere sui consumatori dei paesi importatori? Che effetto produce sul
resto del pianeta l’abbattimento sconsiderato dell’ultimo “polmone” verde rimasto
8
H. Jonas [1979], op. cit., p. 28.
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