Introduzione
12
docimologia ha così proseguito i suoi studi definendo con precisione le fasi
della valutazione, gli effetti derivanti dall’influenza della soggettività e gli
strumenti per assicurare una maggiore oggettività.
Ciò ha permesso alla scuola di possedere le condizioni per realizzare
davvero quel diritto all’istruzione sancito dalla Costituzione: garantire a tutti
gli alunni, indipendentemente dalle diversità culturali, il raggiungimento di
obiettivi di base irrinunciabili alla formazione del cittadino. Questo
traguardo deve poi essere conseguito tramite il riconoscimento, da parte
degli insegnanti, delle potenzialità proprie di ogni alunno e l’adeguamento
degli itinerari formativi ai loro bisogni.
A tal fine, la valutazione assiste ad un ampliamento del suo concetto,
non più riferita solo all’allievo, ma a tutte le principali variabili interagenti
nella situazione scolastica.
Attraverso la valutazione della qualità del sistema scuola è possibile
effettuare un bilancio dell’efficacia delle scelte privilegiate nell’attivare e
promuovere negli allievi l’acquisizione e la costruzione delle conoscenze e
delle abilità perseguite. Questo è raggiungibile a tutti i livelli: dall’intero
sistema scolastico alle singole scuole e alla situazione classe.
É questa una nuova impostazione della valutazione rispetto a quella
tradizionale, centrata non più sui prodotti dell’apprendimento ma sui
processi. La valutazione scolastica non ha più la funzione di accertare
l’assimilazione da parte degli alunni di specifiche nozioni, ma essa
interviene anche nella fase intermedia del processo di apprendimento
informandone l’allievo dei punti forti e deboli.
In questo modo la valutazione scolastica supera l’identificazione con
la valutazione dell’alunno in quanto diviene strumento per l’apprendimento
sollecitando negli allievi un attento processo di riflessione e autovalutazione
dal quale non sono esenti neanche gli insegnanti.
La consapevolezza e la valutazione delle metodologie e delle
procedure di insegnamento messe in atto, nonchè la consapevolezza delle
proprie concezioni riguardo alla valutazione, risultano indispensabili per
l’agire professionale dell’insegnante che è chiamato a garantire percorsi
formativi adeguati ai bisogni degli allievi. L’attività valutativa, infatti, non
può differenziarsi dal contesto e dalle pratiche effettive di apprendimento-
Introduzione
13
insegnamento ma deve calarsi in esse come un momento continuo e
ininterrotto.
La prospettiva presa in considerazione in questo lavoro è quella
costruttivista che raccoglie l’eredità di Vigotskij e che considera
l’apprendimento come costruzione collettiva, risultato del contributo di tutti
i soggetti del contesto educativo. In tale ottica interesse prevalente è riferito
al soggetto, all’individuo, alla sua identità, alla sua crescita cognitiva e
metacognitiva nel rispetto e nella complementarietà delle reciproche
specificità, attraverso la cooperazione e la collaborazione. Valutare allora
non vuol dire certo etichettare e tanto meno classificare, bensì coinvolgere il
singolo, nel gruppo, all’autosservazione, all’autoascolto, alla riflessione e
all’automonitoraggio della propria attività sviluppata in pratiche condivise.
Questo lavoro nasce proprio dalla volontà di affermare l’efficacia di
questa convinzione in vista di quel superamento radicale e necessario della
tradizionale cultura della valutazione, purtroppo talvolta ancora presente
nella realtà attuale.
I primi due capitoli di questa trattazione sono di carattere teorico,
mentre i successivi tre si riferiscono a un’esperienza pratica di tirocinio da
me svolta. Lo scopo della mia ricerca sul campo è stato quello di verificare
sia il tipo di cultura della valutazione presente nella realtà in cui risiedo sia
l’efficacia delle implicazioni pratiche derivanti dal superamento della
valutazione tradizionale.
Il primo capitolo descrive quello che è stato il retaggio della
valutazione nel passato e le critiche che gli studi docimologici hanno
apportato su quelle pratiche valutative da tempo ormai consolidate.
Vengono chiariti poi i cambiamenti che hanno condotto ad un
allargamento del concetto di valutazione e quelli legislativi in cui si nota
chiaramente il modificarsi anche del linguaggio con il quale essa si esprime.
Il secondo capitolo mette in evidenza il legame inscindibile tra
l’apprendimento e la valutazione iniziando dalle linee generali del dibattito
sull’apprendimento e ponendo l’accento sull’importanza che le strategie
cognitive e metacognitive rivestono nei confronti di quest’ultimo e della
valutazione. Essa viene così sempre più a delinearsi da giudizio sull’alunno
a strumento a lui utile per apprendere. Una sezione particolare è poi dedicata
Introduzione
14
a una rapida carrellata degli strumenti tradizionali della valutazione e alla
proposta di altri alternativi più idonei alla valutazione dei processi cognitivi
e metacognitivi degli alunni.
Il terzo capitolo si avvia quindi a descrivere le finalità prefissate e i
metodi utilizzati per lo svolgimento della ricerca sul campo con particolare
attenzione e riferimento al problema di partenza, al contesto nel quale essa
si è svolta e alla normativa lì vigente in ambito di valutazione. Un ulteriore
paragrafo è dedicato agli insegnanti del plesso che hanno espresso, tramite
un questionario loro somministrato, le proprie convinzioni e i
comportamenti riguardanti la valutazione. Viene poi descritta la classe che
ha partecipato alla ricerca e precisata l’esperienza valutativa delle due
insegnanti coinvolte.
Il quarto capitolo, con estrema difficoltà di sintesi, riassume gli
interventi rivolti ai bambini effettuati nell’ambito della ricerca, in
particolare sette. Tutti gli interventi sono visibili e consultabili in un’ampia
appendice finale. Ai fini di comprendere la cultura della valutazione
presente nella scuola sammarinese, gran parte degli incontri svolti avevano
la finalità di ricavarne punti di vista e comportamenti di bambini e
insegnanti, i due principali protagonisti della didattica. Gli argomenti trattati
con entrambi sono stati: le reazioni verso la valutazione, il ruolo dell’errore,
la correzione, il linguaggio della valutazione, il legame tra quest’ultima e
l’apprendimento. L’ultima sezione del capitolo è infine dedicata alle due
insegnanti della classe che hanno formulato le loro considerazioni
conclusive riguardo al progetto di ricerca svolto con i loro alunni.
Il quinto capitolo è dedicato agli aspetti che la ricerca sul campo ha
voluto dimostrare: l’importanza del superamento della didattica e quindi
della valutazione tradizionali, centrando l’attenzione sui processi
metacognitivi dell’apprendimento in vista del formarsi nell’alunno del
desiderio di conoscere; l’esigenza di un’attenta riflessione riguardo il
proprio agire professionale di ogni insegnante, in quanto possessore di un
ruolo attivo e decisivo nei confronti dell’apprendimento dell’alunno che non
ne è più quindi il solo responsabile; la promozione infine, di un clima di
collaborazione e fiducia che può crearsi tra genitori, insegnanti e alunni
attraverso l’idea di valutazione per l’apprendimento.
CAPITOLO 1
LA VALUTAZIONE A SCUOLA: UN
CONCETTO IN EVOLUZIONE
1.1 Il retaggio del passato
Il concetto di valutazione a scuola è sempre stato oggetto di un
vivace dibattito e ha subito, nel tempo, diverse connotazioni. Quella ancor
oggi più diffusa e condivisa ha le sue radici in un recente passato nel quale
la valutazione ha avuto un forte valore classificatorio e predittivo.
Fin dalla metà del secolo scorso, la scuola ignorava i diversi livelli di
partenza dei suoi alunni: di fatto i bambini provenienti dalle classi popolari
erano svantaggiati culturalmente rispetto ai coetanei dei ceti più elevati che
già a cinque anni sapevano scrivere.
I ragazzi che non si adeguavano alla proposta formativa erano
frequentemente coloro che provenivano da ambienti socio-culturali
svantaggiati: questo contribuisce al formarsi della convinzione che questi
allievi non potevano riuscire negli studi e quindi dovevano essere
“eliminati”.
Per lungo tempo, quindi, la valutazione scolastica è stata utilizzata
come strumento di controllo dell’adattamento ai valori e alla cultura
dell’istituzione e individuava, con un criterio classificatorio, chi li
possedeva e chi ne era privo.
In quest’ottica la valutazione ha un forte valore predittivo in quanto è
considerata come strumento di selezione che assolve la principale funzione
di riproduzione socio-culturale, propria così anche della scuola stessa.
La prassi valutativa inoltre era congruente con la concezione di una didattica
fortemente unidirezionale basata sulla trasmissione dei contenuti codificati.
La valutazione si identificava con i voti attribuiti alla condotta e al
profitto scolastico dei singoli allievi ed era così usata come strumento di
Capitolo 1
16
potere dagli stessi insegnanti che premiavano coloro che si adeguavano alla
proposta scolastica e punivano, con il rinvio alla sessione autunnale o con la
bocciatura, coloro che non si impegnavano o che non rispondevano alle loro
richieste. La valutazione, nei termini di promozione-bocciatura, rende
pertanto più evidenti certe disuguaglianze socio-culturali, nei cui confronti
l’azione della scuola si è dimostrata indifferente o incapace di risoluzione,
tanto che esse vengono mantenute o accentuate.
I voti, inoltre, venivano espressi in scala numerica. Il numero
sembrava garantire il massimo dell’oggettività e del rigore in quanto
comprensibile anche ai non addetti ai lavori. Un sei infatti era considerata
indiscutibilmente la soglia di accettabilità, ma in esso permaneva una
sovrapposizione: un riferimento alla padronanza della materia in causa e
uno legato al comportamento generale e alla condotta.
Questo aspetto, allo stesso tempo, conferisce forte ambiguità alla
valutazione così espressa, in quanto uno stesso voto positivo poteva
significare che l’allievo era particolarmente meritevole in quella determinata
materia ma più scadente nella condotta e viceversa.
Anche gli stessi alunni percepivano la valutazione come uno
strumento di potere su di loro che contribuiva notevolmente a sollecitare una
motivazione estrinseca allo studio unita a comportamenti individualistici e
competitivi.
A questo punto ci si chiede: “Quali sono le cause degli evidenti
squilibri che si manifestano sul piano dell’apprendimento degli allievi?”
Fino a questo momento la scuola, ha risposto a questa domanda
scaricando sugli alunni le cause del mancato rendimento e del fallimento
personale. La misura tradizionale adottata per porvi rimedio è costituita
dalla bocciatura: quando si ritiene che un determinato studente non abbia
conseguito quei risultati che gli consentono di affrontare i compiti previsti
nel proseguimento del corso di studi, gli si vieta l’iscrizione alla classe
successiva ponendogli la questione se ripetere la classe già frequentata,
abbandonare quel tipo di scuola o, nel caso peggiore, la scuola stessa.
Sul piano pedagogico e didattico, la bocciatura sta diventando
sempre di più uno strumento di dubbio valore, ma gli aspetti negativi
trovano la loro verità anche nelle implicazioni di tipo psicologico e sociale.
La valutazione a scuola: un concetto in evoluzione 17
Si pensa che bocciando si consente all’allievo una dilatazione del
tempo di apprendimento, ma questa soluzione è inefficace in quanto non si
considerano le due dimensioni che consentono di individuare il tempo
occorrente ad un allievo per raggiungere un determinato livello di abilità:
quella relativa alle sue caratteristiche cognitive, in particolare il suo stile di
apprendimento, e quella della sua motivazione allo studio. Non si tiene
conto delle differenze individuali ma ci si appella invece a un concetto
generico di attitudine per interpretare la diversità qualitativa dei risultati
conseguiti. Contemporaneamente, non si considera che l’aspetto
motivazionale è strettamente associato all’aspetto precedente, per cui, se si
ottengono esiti favorevoli si è motivati, ma ci si demotiva di fronte a
risultati negativi.
Quindi, possiamo concludere dicendo che la bocciatura consente una
dilatazione solo apparente del tempo di apprendimento; infatti se esso non è
stato sufficiente nella prima frazione del curricolo scolastico non è
automatico che lo diventi una seconda volta.
Inoltre, il fatto che si ripeta un anno di scuola sviluppa un
atteggiamento poco positivo nei confronti della scuola, cosicché diminuisce
la propria disponibilità a impegnarsi per raggiungere gli obiettivi richiesti.
Il rimedio della bocciatura ha contribuito così alla nascita di un
fenomeno sempre più diffuso: l’abbandono scolastico. Ciò è dimostrato
anche dai dati presentati dal Ministero della Pubblica Istruzione riguardo la
dispersione presente nel sistema scolastico italiano nell’anno 2004-2005. La
riforma dei cicli (L.53/2003), per favorire la continuità didattica nei primi
anni, ha abolito l’esame di licenza alla fine della quinta classe della scuola
primaria per cui le prime selezioni si sono spostate nella scuola secondaria
di primo grado. Nei tre anni di suddetto ordine di scuola infatti, il dato sugli
abbandoni complessivi è dello 0,5% equivalente a circa 8.500 studenti, di
cui 3.000 iscritti al primo anno di corso. Nella scuola secondaria di secondo
grado la percentuale degli studenti che non terminano gli studi è del 3,7%,
corrispondente a 93.747 giovani. Il 40% degli studenti che interrompono la
frequenza sono alunni del primo anno di corso, pari al 6% del totale degli
iscritti. L’obbligo scolastico fa sì che nella scuola secondaria di primo grado
i valori relativi all’abbandono scolastico siano tendenzialmente prossimi
Capitolo 1
18
allo zero; nelle scuole secondarie di secondo grado, invece, i valori salgono
(1,5%) soprattutto se ci si sposta a Sud (2%) e nelle Isole (2,9%). Sono
proprio queste ultime le aree caratterizzate da un’incidenza del fenomeno
dell’abbandono superiore alla media nazionale.
L’insuccesso scolastico, sommandosi agli abbandoni durante il
percorso degli studi, fa sì che il diploma di scuola secondaria superiore non
venga comunque raggiunto da una quota significativa di alunni. Quasi un
terzo dei giovani infatti, conseguita la licenza media, si iscrive al ciclo
successivo senza concludere i propri studi ottenendo un diploma.
L’abbandono della scuola non è concentrato solo nelle aree depresse ma
risulta un fenomeno trasversale e diffuso anche in regioni sviluppate
economicamente. L’inserimento precoce nel mondo del lavoro, che si
determina in zone in cui l’occupazione offerta dalle imprese è così
abbondante, produce spiazzamento nei confronti del sistema scolastico in
quanto fa trasparire come poco proficuo un percorso di formazione e
istruzione.
Una testimonianza incontestabile a questa situazione risale al vivace
movimento di denuncia verificatosi negli anni 1967-1968 con la
pubblicazione del libro: “Lettera a una professoressa”.
Il testo si inserisce in una fase di passaggio segnata dall’anno 1962
in cui è stata varata la riforma della Scuola Media Unica. Questa rende
effettivo l’obbligo scolastico al quattordicesimo anno di età: permette infatti
l’accesso alla scuola media anche a quella massa di allievi fino ad allora
ignorata in quanto precedentemente la maggior parte di loro, non intendendo
proseguire gli studi, frequentava le scuole di avviamento professionale.
Il sistema di istruzione pubblica iniziava così a caratterizzarsi per
una progressiva democratizzazione che comportava un aumento molto
considerevole della popolazione scolastica. Ma proprio perché si realizzava
un’eguaglianza formale delle opportunità, in quanto anche i ragazzi
provenienti da ambienti più svantaggiati potevano frequentare la scuola fino
a quattordici anni, emergeva la mancanza sostanziale delle opportunità
intese come opportunità di riuscita, poiché di fatto la scuola continuava a
consentire il raggiungimento dei traguardi formativi a chi, già in partenza, si
presentava avvantaggiato culturalmente e socialmente.
La valutazione a scuola: un concetto in evoluzione 19
“Finite le elementari avevo diritto a altri tre anni di scuola. Anzi la
Costituzione dice che avevo l’obbligo di andarci. Ma a Vicchio non c’era
ancora scuola media. Andare a Borgo era un’impresa. Chi ci s’era provato
aveva speso un monte di soldi e poi era stato respinto come un cane. Ai miei
poi la maestra aveva detto: «Mandatelo nel campo. Non è adatto per
studiare.» Il babbo non le rispose. Dentro di sé pensava: «Se si stesse di
casa a Barbiana sarebbe adatto»”
1
.
“La scuola ha un problema solo. I ragazzi che perde. La vostra
scuola dell’obbligo ne perde per strada 462.000 l’anno. A questo punto gli
unici incompetenti di scuola siete voi che li perdete e non tornate a cercarli.
Non noi che li troviamo nei campi e nelle fabbriche e li conosciamo da
vicino. I problemi della scuola li vede la mamma di Gianni, lei che non sa
leggere. Li capisce chi ha in cuore un ragazzo bocciato e ha la pazienza di
metter gli occhi sulle statistiche.
Allora le cifre si mettono a gridare contro di voi. Dicono che di
Gianni ce n’è milioni e che voi siete o stupidi o cattivi”
2
.
Questi brevi brani riportano, con un linguaggio semplice ma
efficace, una critica e una denuncia severissime nei confronti della scuola
tradizionale e dei suoi sistemi di selezione.
Anche in una scuola dell’obbligo gratuita e generalizzata, e dunque
in situazione di parità scolastica, erano considerati “i capaci e i meritevoli” e
quindi intelligenti, coloro che conseguivano il successo negli studi, mentre
coloro che non riuscivano, non erano capaci o non si erano impegnati
abbastanza.
È questa la convinzione diffusa delle doti e dei meriti personali che
palesava e legittimava il fatto che alcuni riuscissero negli studi e che quindi
potessero occupare i posti migliori della società e altri no. Di conseguenza,
sembrava naturale e ovvio far ricadere le responsabilità dei risultati
conseguiti sugli allievi e altrettanto neutrali sembravano la selezione e la
classificazione, funzioni che la stessa valutazione andava ad assolvere.
Negli anni 1967-1968, in cui il movimento di denuncia della scuola
di Barbiana è molto sentito, si colloca anche la posizione del sociologo
1
Scuola di Barbiana, “Lettera a una professoressa”, Firenze, Libreria Editrice
Fiorentina, 1967, pp. 10-11.
2
Scuola di Barbiana, “Lettera a una professoressa”, Firenze, Libreria Editrice
Fiorentina, 1967, p. 35.
Capitolo 1
20
francese Pierre Bourdieu, sostenitore della teoria della riproduzione
culturale.
Egli identifica con l’espressione “capitale culturale” l’insieme dei
beni simbolici trasmessi dalle agenzie educative e questo determina la
possibilità per il soggetto di avere successo e di collocarsi nella scala
sociale. Il capitale culturale è costituito da buone maniere, stile di vita,
buon gusto, informazioni e conoscenze. Quello trasmesso dalla famiglia
d’origine, costituisce un vantaggio e un prerequisito per accedere alla
cultura scolastica.
3
Secondo Bourdieu, quindi, la scuola contribuisce a mantenere le
disuguaglianze nello stesso momento in cui le legittima, in quanto, sotto
l’apparenza di un’eguaglianza formale, seleziona e assegna a ogni persona
un destino scolastico collegato strettamente alla posizione sociale.
La tesi del sociologo è stata criticata per un eccessivo determinismo:
considerando l’eredità socioculturale come patrimonio che avvantaggia o
svantaggia rispetto alla scuola si finisce con il configurare il cammino
scolastico nei termini di un destino già stabilito fin dall’inizio, pressoché
immutabile, conferendo al soggetto nei confronti dell’istituzione un ruolo
passivo.
L’esigenza di superare l’impostazione didattico-valutativa di tipo
tradizionale si è sempre più affermata negli ultimi decenni. In particolare il
riconoscimento del legame tra selezione scolastica e selezione sociale
avvenuto negli anni sessanta – settanta ha indotto non pochi insegnanti a
considerare illegittima la valutazione a scuola e a ritenere preferibile e
socialmente non discriminante un atteggiamento non valutativo.
4
Si è cominciato a bocciare molto meno nelle varie classi della scuola
dell’obbligo, ma gli insegnanti che optavano per questa scelta non avevano
modificato le loro concezioni sull’apprendimento considerato ancora come
3
P. Bourdieu, La scuola conservatrice: le disuguaglianze di fronte alla scuola e
alla cultura, «Rivista francese di sociologia», 1966, pp. 325-347.
4
“All’epoca sono addirittura pervenute da alcune parti indicazioni vertenti sulla
necessità di un definitivo superamento della dimensione valutativa, per proporre
una società aperta e una scuola senza voti e senza esami, finalmente liberata da
una concezione dei rapporti fondata sulla differenza e sul controllo poliziesco”
Santelli Beccegato L., Varisco B. M, Docimologia. Per una cultura della
valutazione, Milano, Guerini ed., 2000, p. 11.
La valutazione a scuola: un concetto in evoluzione 21
una predisposizione che vede alunni “portati” per una determinata materia e
altri “non portati”. Con la diminuzione delle bocciature diminuiva anche la
selezione palese ma nello stesso tempo si affaccia il problema di una
promozione che diventa un atto di clemenza. Ad essa non corrisponde
un’effettiva acquisizione, da parte degli allievi, di quegli strumenti culturali
di base ritenuti essenziali per proseguire gli studi e la manifestazione di uno
sviluppo personale, importante per un pieno inserimento nel contesto
sociale.
Per questo, “Non bocciare non basta”, come afferma M.L.
Giovannini,
5
in quanto non si è certamente realizzata una reale equità, ma
uno spostamento in avanti dei momenti di selezione che avverrà nel grado di
scuola successivo o al di fuori della scuola, in particolare sugli allievi
provenienti da famiglie svantaggiate culturalmente ed economicamente.
La scuola, nonostante l’aumento di giudizi formalmente positivi e la
diminuzione delle bocciature, non era meno selettiva nel suo complesso, in
quanto il fenomeno della dispersione e dell’abbandono scolastico di cui si è
parlato agivano come meccanismi di discriminazione. Poteva accadere, e
ancora purtroppo accade, che numeri consistenti di allievi non potessero
proseguire il corso di studi, anche di scuola dell’obbligo perché non in
possesso degli strumenti di base che glielo avrebbero concesso.
Numerosi sono stati gli interventi normativi (par. 1.4) che vanno in
direzione di superamento dell’ottica tradizionale della valutazione e che le
riconoscono un ruolo importante in ogni fase di gestione della didattica.
Questi mutamenti sono stati promossi dalla forte esigenza di garantire a tutti
il diritto all’istruzione, così come sancito dall’articolo n. 3 della
Costituzione Italiana.
6
5
Giovannini M. L., Valutazione sotto esame, Milano, Ethel-G.Mondadori, 1994,
p. 19.
6
Art. 3. della Costituzione Italiana. “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e
sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di
religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e
sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di
tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
Capitolo 1
22
Il principale obiettivo che la scuola si deve porre è infatti quello
dell’alfabetizzazione, cioè di garantire a tutti gli alunni, con attenzione
particolare a quelli svantaggiati che possono trovare solo a scuola
determinate sollecitazioni, il raggiungimento di competenze di base
irrinunciabili per la formazione del cittadino.
I cambiamenti messi in atto vanno poi nella direzione di risposta ad
un altra attuale esigenza: rendere il progetto formativo e la sua realizzazione
corrispondenti alle differenti esigenze e caratteristiche culturali degli allievi
e nel contempo, salvaguardare l’esigenza di una reale formazione di base
per tutti per realizzare davvero l’uguaglianza sostanziale delle opportunità di
riuscita.
Il focus del discorso diventa quello della qualità della proposta
educativa.
La valutazione vede quindi un ampliarsi dei compiti e delle funzioni
che deve assolvere; per questo i suoi strumenti tradizionali si rivelano
inefficaci per accertare l’acquisizione da parte degli allievi delle abilità
perseguite e per realizzare una didattica opportunamente individualizzata.
Notevoli i progressi raggiunti ma ancora radicata è la tradizione della
valutazione che attiva nella mente di molti, ricordi legati a voti, pagelle,
schede quadrimestrali, giudizi, segni di matite rossi e blu all’interno dei
quaderni.
Ancora oggi infatti la valutazione tende a esser identificata, anche
nel senso comune, con la formulazione da parte dell’insegnante di un
giudizio sulle capacità dell’alunno e sulla sua riuscita a scuola con una forte
attenzione ai prodotti dell’apprendimento.
1.2 Le critiche docimologiche
Vista l’importanza che il dibattito sulla valutazione ha rivestito nel
passato e ancora riveste all’interno del contesto scolastico e per la
complessità delle sue implicazioni, la valutazione è stata sottoposta da
tempo a studi e ricerche tese a controllare la correttezza e l’oggettività della
sua formulazione.
La valutazione a scuola: un concetto in evoluzione 23
Rilevante risulta il contributo di H. Pièron che verso gli anni Venti,
ha dedicato numerose ricerche a questo settore dalle quali sono emerse
consistenti critiche che evidenziano i limiti delle tradizionali procedure
valutative.
Proprio a H. Pièron si deve la nascita del termine “docimologia”
7
,
(che ora designa la scienza della valutazione) coniato nel 1929 e che la
identifica in senso ristretto come “la scienza degli esami”; successivamente
nel 1971, De Landsheere amplia il concetto definendo la docimologia come
“la scienza che ha per oggetto lo studio sistematico degli esami, in
particolare dei sistemi di votazione e del comportamento degli esaminatori e
degli esaminati.”
8
In una prima indagine svolta insieme alla moglie e Laugier nel 1922
in Francia, Pièron somministrò a 117 allievi, in occasione delle prove di
licenza elementare, una batteria di sei test riguardanti diverse capacità quali
permutazione di lettere, formazione di vocaboli, frasi assurde, analogie,
ricordo immediato di parole, percezione visiva di mutamenti. Egli rilevò che
i voti riportati nelle prove di licenza elementare avevano una correlazione
quasi nulla con quelli delle prove da lui somministrate e una correlazione
media con le valutazioni attribuite in sede di scrutinio finale.
Laugier e Weinberg nel 1936 effettuarono poi una successiva ricerca
nell’ambito dell’inchiesta internazionale sugli esami e concorsi: in un
periodo di un notevole sviluppo della scolarizzazione, le domande che ci si
ponevano erano relative alla correttezza, precisione, fedeltà dei giudizi
formulati dalle commissioni d’esame, sull’incidenza del caso e della
personalità degli esaminatori nella valutazione.
Essi estrassero a sorte fra quelli di una sessione dei baccalaurèat
(corrispondente al nostro esame di maturità), 100 compiti per sei diverse
materie (una composizione di francese, una di inglese, una versione di
latino, una prova di matematica, una dissertazione di filosofia e una prova di
fisica).
7
Parola composta da due radici greche: decimo- viene dal verbo dokimàzo che
significa esaminare; -logia è il consueto suffisso derivato da lògos, ossia
discorso, che sta ad indicare che ci si trova davanti ad una riflessione scientifica.
8
De Landsheere G., 1971, trad. it. p. 3.