questa situazione di emergenza; rintracciando nei costi di produzione, nei regimi
alimentari, nei biocarburanti e nelle distorsioni presenti all’interno del mercato i
fattori principali. Nell’ultimo paragrafo si affronta un caso di studio, appunto
quello della Repubblica democratica del Congo, che rappresenta un esempio
significativo di come tali variabili, connesse tra loro, abbiano inciso sulla
malnutrizione a livello locale. Nel quarto ed ultimo capitolo viene delineata una
prospettiva degli scenari futuri che caratterizzeranno i prezzi e la produzione
agricola, mettendo in luce le sfide che si dovranno affrontare. Si descrivono i
principali impegni, presi in ambito internazionale, per contrastare il dilagare
dell’emergenza alimentare. Per concludere si svolgono alcune considerazioni
personali sul ruolo del consumatore e sulle necessità di revisione dei consumi,
delle tecniche di produzione e del ruolo delle organizzazioni internazionali.
Per realizzare questo lavoro ho utilizzato vari tipi di documentazione, libri,
riviste, note stampa, siti internet e rapporti di organismi internazionali e locali, che
forniscono dati statistici e confronti a livello globale. Da queste fonti, ho tratto
grafici, tabelle e fotografie, che ho inserito nella tesi a completamento dello
scritto, e con l’intento di facilitare la comprensione delle complesse
problematiche. Comunque questo lavoro mi ha permesso di riflettere sugli
squilibri, economici e sociali, presenti nel mondo e di collocare i miei interessi sul
tema dell’agricoltura, all’interno di un contesto più generale.
4
Capitolo 1
La produzione, il mercato e la distribuzione dei prodotti
agricoli.
1.1 - La produzione alimentare: origini e dinamiche moderne.
Con l’”invenzione” dell’agricoltura, comparsa nel Vicino Oriente già
11.000 anni fa, l’uomo da nomade diventa stanziale e non deve più dipendere
esclusivamente dagli animali cacciati e dai frutti raccolti. Il passo intrapreso
successivamente è costituito dalla domesticazione degli animali, usati sia come
cibo che come forza lavoro nei campi. Attraverso un complesso processo di
selezione delle specie, lungo migliaia di anni, i coltivatori della terra sono riusciti
a far giungere fino ad oggi le varietà (vegetali e animali) che conosciamo e che
rappresentano la base della nostra alimentazione quotidiana. Le prime tappe per la
costituzione di una società complessa si riscontrano nella trasformazione delle
abilità di caccia e raccolta verso l’agricoltura e l’allevamento. Coltivando la terra,
l’uomo è riuscito a produrre cibo in abbondanza, ben oltre il fabbisogno del suo
gruppo. Quindi si sono create, all’interno della società, quelle élite che saranno
dispensate dal lavoro nei campi e potranno dedicarsi a svolgere mansioni
differenti, slegate dalla coltivazione. L’agricoltura e l’allevamento sono comparse
in diverse regioni del pianeta, dove si sono incontrate condizioni favorevoli come
il clima, la biodiversità e la presenza di piante domesticabili.
“La domesticazione consiste nel trasferire le piante da una situazione
naturale, di crescita spontanea, alle condizioni di coltivazione; è un processo
lungo che fa si che la specie diventi incapace di sopravvivere nelle condizioni
naturali, senza l’intervento umano. I primi agricoltori scelsero, ovviamente, le
specie capaci di soddisfare le esigenze alimentari primarie e diedero inizio alla
loro domesticazione, processo che comprende ibridazioni naturali delle diverse
specie selvatiche e la loro selezione, da parte dell’uomo, per le caratteristiche
desiderate. Inoltre, durante il Neolitico, gli uomini iniziarono ad utilizzare nuove
5
tecniche per migliorare la crescita e la produzione delle piante, quali l’innesto, la
semina e l’irrigazione.”
1
Esercitando una pressione selettiva sulle specie vegetali, l’uomo ha
modificato notevolmente le caratteristiche morfologiche delle piante. Le
principali differenze tra le forme spontanee e quelle coltivate sono:
1) Cambiamenti nella riproduzione delle piante, che includono meccanismi di
dispersione, germinazione e dormienza del seme: il frumento ha nelle forme
selvatiche spighe con rachide fragile e spighette che si disarticolano e cadono
facilmente una volta giunte a maturazione, ciò favorisce la dispersione del
seme e nelle condizioni naturali la sopravvivenza delle specie; le varietà
domesticate sono state, invece, selezionate dall’uomo per i caratteri rachide
robusta e spighette non disperdibili (l’uomo ha favorito, quindi, un carattere
patologico della pianta), così che la spiga rimane intatta anche quando è giunta
a maturazione, rendendo le piante totalmente dipendenti dalla semina
artificiale. I semi delle forme spontanee presentano una germinazione
differente, infatti, i semi che derivano da una singola pianta non germinano
tutti contemporaneamente, alcuni possono rimanere intatti anche per molti
anni per sopravvivere nelle stagioni sfavorevoli e germinare quando le
condizioni ambientali sono ottimali; ciò fa sì che non vadano persi tutti i semi.
La dormienza dei semi è spesso correlata allo spessore del rivestimento
esterno; in alcune piante la maggiore differenza tra le forme spontanee e quelle
coltivate è, appunto, lo spessore del rivestimento esterno del seme che è molto
più sottile in quest’ultime.
2) Cambiamenti nella porzione commestibile della pianta: le piante coltivate
producono maggiore biomassa commestibile rispetto alle selvatiche. In alcune
di esse, ad esempio pomodori e patate, nel corso della domesticazione si è
verificata una detossificazione della parte commestibile.
1
J. Diamond, Armi Acciaio e Malattie, Einaudi, Torino, 2000, p.81
6
3) Piante che in origine costituivano popolazioni di dimensioni ridotte e che
erano presenti solo in ambienti circoscritti attraverso l’agricoltura sono
diventate tra le specie maggiormente coltivate.
Le aree del mondo, in cui la domesticazione di piante e animali indigeni fu
spontanea sono con certezza cinque: Il Vicino Oriente (la famosa Mezzaluna
Fertile), la Cina, il Mesoamerica (Messico centrale e meridionale), le Ande e gli
Stati Uniti orientali. Queste grandi aree possono comprendere molti centri di
produzione più o meno indipendenti, come le valli dello Yangtze e del Fiume
Giallo, rispettivamente a sud e nord della Cina. Riguardo altre possibili zone di
origine (Sahel, Africa equatoriale occidentale, Etiopia, Amazzonia, Asia sud
orientale e Nuova Guinea) vi sono molte incertezze riguardanti la provenienza
delle specie coltivate e di alcuni animali allevati. Le prime domesticazioni
accertate vanno attribuite al Vicino Oriente, qui le prime piante coltivate
comparvero attorno all’8500 a.C. ed i primi animali allevati attorno all’ 8000 a.C.
In Cina le prime domesticazioni accertate risalgono attorno al 7500 a.C., mentre
negli Stati Uniti non si può parlare di agricoltura prima del 2500 a.C.
2
. Sono da
menzionare anche alcune aree, dove la domesticazione di piante e animali ebbe
successo, ma solo dopo l’arrivo di specie che possono essere viste come
“fondatrici”: vale a dire, piante e animali non nativi del luogo, che diedero il via
alla produzione alimentare locale e che continuarono ad avere un’importanza
fondamentale in seguito. L’arrivo delle fondatrici permise l’inizio della vita
sedentaria delle popolazioni e aumentò le probabilità che qualche pianta locale
fosse resa domestica, casualmente o intenzionalmente. Tra queste zone vanno
menzionate l’Europa occidentale, l’Egitto e la valle dell’Indo.
2
Ibidem, p.73
7
Fig. 1 - Aree accertate e possibili di origine dell’agricoltura.
Fonte: elaborazione personale da Google Earth
L’agricoltura e l’allevamento quindi comparvero in modo spontaneo in
poche aree del pianeta, con tempi assai diversi, e si diffusero da questi nuclei
originari in due modi: tramite l’apprendimento delle tecniche da parte dei popoli
confinanti, o con lo spostamento da parte dei primi agricoltori, che si erano già
organizzati in società socialmente stratificate, grazie ai surplus alimentari. La
produzione di cibo fu un’evoluzione che prese il via da attività pioneristiche e ci
vollero migliaia di anni per abbandonare quasi totalmente la dipendenza dalla
raccolta del cibo in favore della produzione del medesimo, sviluppando
gradualmente le tecniche di conservazione e di lavorazione dei prodotti della terra.
Ogni area di domesticazione presenta delle specie animali e vegetali dette
“portanti”, che costituiscono il fulcro della dieta locale. Gli scavi archeologici e le
ricerche condotte tendono a mostrare come i primi agricoltori si siano preoccupati
molto presto di cercare un’alimentazione quanto più variata, cioè quanto più
equilibrata, possibile. Così si trovano associate piante come i cereali, che
forniscono essenzialmente energia (carboidrati), e i legumi, che apportano molte
proteine. Associazioni di granaglie e sementi che presentano una
8
complementarietà dal punto di vista nutrizionale, si ritrovano in altre aree di
domesticazione: mais e fagioli in America centrale, fave, soia e riso in Asia
orientale. Un fattore di originalità delle aree della Cina settentrionale e del Medio
Oriente, è costituito dall’addomesticamento, spesso molto precoce, di numerose
specie animali: pollo, maiale e bue nella Cina settentrionale; cane, capra,
montone, maiale, asino, bue e, più tardi, dromedario e cavallo nel Medio Oriente e
nelle aree limitrofe.
Tab. 1 - Alcuni esempi di specie vegetali domesticate nel mondo e tipiche di
una determinata area.
PIANTE PERIODO AREA
Grano, orzo, piselli, olivo 8.500 a.C. Vicino Oriente
Riso, miglio prima del 7.500 a. C. Cina
Mais, fagioli, zucca prima del 3.500 a.C. America centrale
Patata, manioca prima del 3.500 a.C. Ande e Amazzonia
Girasole, chenopodio 2.500 a. C. Stati Uniti orientali
Sorgo, riso africano prima del 5.000 a.C. Sahel
Igname prima del 3.000 a.C. Africa equatoriale occidentale
Caffè, teff non nota Etiopia
Canna da zucchero, banana 7.000 a.C. Nuova Guinea
Papavero, avena 6000-3.500 a.C. Europa centrale e occidentale
Fonte: J. Diamond, Armi Acciaio e Malattie, Einaudi, Torino, 2000, p.73
9
Tab. 2 - Alcuni esempi di specie animali addomesticate nel mondo.
SPECIE PERIODO AREA
Cane 10.000 a.C. Asia Sudoccidentale, Cina, Nord America
Pecora 8.000 a.C. Asia Sudoccidentale
Capra 8.000 a.C. Asia Sudoccidentale
Maiale, baco da seta 8.000 a.C. Cina, Asia Sudoccidentale
Asino, gatto 6.000 a.C. Egitto
Bue 6.000 a.c. Asia Sudoccidentale, India, Nord Africa
Gallina faraona prima del 5.000 a.C.Sahel
Cavallo 4.000 a.C. Ucraina
Bufalo asiatico 4.000 a.C. Cina
Tacchino prima del 3.500 a.C.America Centrale
Lama, alpaca, cavia 3.500 a.C. Ande e Amazzonia
Cammello 2.500 a.C. Asia Centrale
Dromedario 2.500 a.C. Arabia
Fonte: J. Diamond, Armi Acciaio e Malattie, Einaudi, Torino, 2000, p.127
Questo permise la formazione di differenti tipologie di “pacchetti
alimentari” locali che conobbero un’ampia diffusione, prevalentemente lungo
l’asse est-ovest. Ad esempio grano, orzo, piselli e olivo, tutti prodotti originari del
Vicino Oriente, si diffusero fino all’Europa sud-occidentale e con loro anche la
capra, il maiale, il montone, il bue e l’asino. La diffusione è avvenuta
prevalentemente in senso orizzontale verso latitudini simili, dove le variazioni
climatiche risultano influenzate prevalentemente dalle caratteristiche fisiche locali
(rilievi, lontananza dal mare). Questo ha permesso alle colture di adattarsi meglio
ai nuovi terreni con caratteristiche non molto dissimili rispetto a quelli originari.
Una dieta completa dal punto di vista nutrizionale è stata la base da cui presero
forma i grandi imperi del passato. Il surplus alimentare derivante dai benefici
dell’agricoltura permise a una parte della popolazione di dedicarsi ad altre
10
attività, che consentirono la fioritura di alcune culture (artigiani, mercanti,
guerrieri ecc). Grano, orzo, piselli, olivo, ma anche la vite, fecero la fortuna
dell’impero romano che, grazie a questa millenaria esperienza in campo agricolo
ricevuta dall’oriente, riuscì ad espandersi anche al di fuori del bacino
Mediterraneo.
Lo sviluppo delle attività agricole ha portato ad aumenti della popolazione
insediata. A cominciare dalle prime aree nella Mezzaluna fertile, in India e nella
Cina settentrionale. In queste regioni il riassetto idrico (drenaggio e irrigazione) di
aree relativamente vaste ha poi costituito un elemento decisivo nello sviluppo
della produzione agricola. Essa si è inizialmente sviluppata nel contesto politico
delle città Stato, poi in quello di stati veri e propri che esercitavano un controllo
rigoroso sul mondo contadino (Egitto e Cina). Il miglioramento delle tecniche
agricole in Europa, tra XI e XIII secolo, ha permesso un notevole ampliamento
delle superfici coltivate attraverso imponenti lavori di dissodamento, con una
conseguente netta crescita sia della produzione agricola che della popolazione
3
.
L’introduzione dell’aratro segnò una vero e proprio passaggio verso
un’agricoltura che permetteva un dissodamento più profondo, consentendo
l’interramento del concime. L’erpice e la falce permisero di risparmiare tempo
durante la trebbiatura. Restava comunque necessaria la messa a riposo dei campi,
il maggese, per consentire il rinnovamento della loro fertilità.
Tra il XIV e il XIX secolo il più importante aspetto dell’avanzamento in
campo agricolo fu la scomparsa del maggese. Attorno ad alcune città fiamminghe
e dell’Italia settentrionale, successivamente in Inghilterra e in tutta l’Europa
occidentale, vennero coltivate a foraggio oppure trasformate in pascoli artificiali
le terre lasciate, fino a quel momento, senza coltura. Questa nuova abbondanza di
foraggio portò ad uno sviluppo considerevole delle attività di allevamento e si
ottenne un aumento delle derrate alimentari ad alto contenuto proteico e maggiore
disponibilità di letame da utilizzare nei campi. Dopo la Seconda Guerra Mondiale,
grazie alle innovazioni tecnologiche, si diffuse la moto-meccanizzazione (ovvero
la meccanizzazione unita alla motorizzazione) di interi settori della produzione
agricola, in particolare in quella dei cereali e dei semi oleosi. E’ da registrare
3
Jean Paul Charvet, Nutrite il pianeta, NewMediAround, Genova, 2004, p.41
11
anche un sempre maggiore ricorso alla chimica: fertilizzanti chimici e prodotti
fitosanitari (erbicidi, insetticidi, fungicidi) hanno conosciuto una diffusione
sempre più ampia. L’utilizzo di questi prodotti è divenuto necessario in seguito
all’uso di varietà coltivate, selezionate su base scientifica, e i cui rendimenti sono
sempre maggiori, per esempio oggi il mais ha un incremento delle rese per
superficie di cinque volte rispetto all’immediato dopoguerra. Tanto in America
settentrionale quanto in Europa la trazione animale viene sostituita dalla trazione
motorizzata grazie ai motori a scoppio. In queste condizioni diminuisce
drasticamente il bisogno di manodopera. Altra caratteristica importante è lo
sviluppo dell’allevamento industriale di polli e maiali, grazie all’industria
agroalimentare. Ridefiniti allevamenti “senza terra”, rappresentano luoghi di
produzione animale a carattere intensivo: riuniscono grandi quantità di animali in
strutture che non occupano più di qualche ettaro, dove vivono all’interno di
fabbricati di grandi dimensioni, con una superficie limitatissima a disposizione.
Questi allevamenti sono l’espressione dell’odierna agricoltura, in cui lo
sradicamento dalla terra e dalle origini stesse della vita è sempre più governato
dalle necessità di accumulazione di capitale, che spingono continuamente verso
una sempre maggiore produzione quantitativa, a discapito degli aspetti qualitativi.
Oggi la drastica diminuzione del numero degli agricoltori nei paesi
sviluppati fa spesso dimenticare che, su scala mondiale, questi sono sempre più
numerosi. Le tecniche di produzione utilizzate nel Nord e nel Sud del mondo sono
infatti molto differenti. Nei paesi a sviluppo maturo gli agricoltori rappresentano
raramente più del 5%
4
della popolazione attiva e sono divenuti una presenza
minoritaria anche all’interno delle stesse campagne. La stragrande maggioranza di
essi risiede e lavora nei paesi in via di sviluppo, facendo dell’agricoltura l’attività
ancora più diffusa sul nostro pianeta (il 45% della popolazione attiva mondiale si
dedica ad essa)
5
. Nell’Asia meridionale e orientale gli agricoltori rappresentano il
60% della popolazione attiva, nell’Africa sub-sahariana, il 64%. Su scala
mondiale il numero di chi si dedica al lavoro nei campi continua a crescere
sensibilmente, oggi sono più di 1.300.000.000
6
. A differenza degli agricoltori dei
4
Ibidem, p.70
5
Ibidem
6
Ibidem
12