atto. 
Una parte del lavoro sarà dedicata ad esperienze concrete attinenti alla 
promozione comunitaria in ambito locale, con l’ausilio di alcune interviste a persone 
impegnate all’interno delle proprie comunità in Sardegna. 
 
 8
CAPITOLO PRIMO                                                    
COSA E' COMUNITÀ? 
 
 
La mia idea di comunità… 
è uno scambio di doni. 
(Daniela Ducato, Banca del Tempo di Guspini) 
 
 
 1.1 DEFINIRE LA COMUNITÀ 
 
 Lavorare intorno a un concetto richiede prima di tutto che tale concetto sia 
definito, che ne siano distinti i significati, che l’oggetto di cui si parla sia 
esaurientemente descritto e diventi familiare e conosciuto. Cosa non meno 
importante, chi scrive e chi legge devono riferirsi al medesimo oggetto, del quale 
pertanto va accuratamente circoscritto il campo semantico. 
 Ognuno di noi ha una sua idea di “comunità” che risente del proprio bagaglio 
di esperienze e conoscenze e degli usi linguistici a cui è abituato. Ludwig 
Wittgenstein ci ricorda che una qualunque espressione linguistica ha significato solo 
se ha un suo uso nella comunità dei parlanti, e contemporaneamente ci ammonisce 
sul fatto che nessun termine può essere compresso e limitato nel suo significato in 
senso assoluto, quando descrive un fenomeno multiforme, complesso, che ha avuto 
una sua evoluzione nel tempo e nello spazio
1
. Prendiamo atto, dunque, che la parola 
“comunità” può assumere, ed ha assunto, molteplici significati nelle varie comunità 
di parlanti, e nella mente di ciascun parlante, e ci disponiamo ad identificare il 
nostro, contingente e funzionale significato di essa nel presente lavoro, esplorandone 
usi e aree concettuali in letteratura. 
                                                 
1
 LUDWIG WITTGENSTEIN, Ricerche filosofiche, Torino, Einaudi, 1999. 
 9
 Bagnasco rileva come “l'uso del termine comunità [sia] problematico non 
solo per il fatto evidente che nella stessa parola si sovrappongono significati diversi, 
ma più in generale per difficoltà di precisazione concettuale e scarsa capacità 
euristica”
2
. Alcuni studiosi, come Teodor Geiger, hanno suggerito di espungerlo dal 
lessico delle scienze sociali o di precisare volta per volta il significato in cui lo si 
impiega
3
. Ma si tratta anche di un termine che continua ad esercitare il suo potere 
evocativo: Bauman rileva come il termine “comunità” richiami, a torto o a ragione, 
sentimenti positivi, di sicurezza, di accoglienza, di protezione, in un mondo che 
appare sempre più ostile e sfuggente al controllo dell'individuo
4
. Ancora, Bagnasco 
lo considera capace di “fare da ponte tra discorso sociologico e discorso corrente, e 
anche tra differenti scienze sociali”
5
.  
 Arriveremo a definire il “nostro” concetto di comunità attraverso un percorso, 
in quanto anche la più esauriente e dettagliata delle definizioni, presa da sola, è 
suscettibile di fraintendimenti, essendo il risultato finale di un viaggio di 
comprensione e conoscenza di cui, una volta arrivati alla meta (la definizione), si 
rischiano di perdere molte preziose tappe, necessarie per accumulare elementi diversi 
che, composti tra loro, danno vita al modello su cui poi si andrà a lavorare. 
 
 
 1.1.1 Dall'etimologia all'aspetto donativo 
 
 Dal punto di vista etimologico, il termine italiano “comunità” deriva dal 
latino “communitas”, che a sua volta è probabilmente il prodotto di cum e munus (o 
munia)
6
. Roberto Esposito, filosofo contemporaneo che ha legato la propria 
                                                 
2
 ARNALDO BAGNASCO, voce Comunità in Enciclopedia delle scienze sociali, Roma, Treccani, 
1992, p. 206. 
3
 THEODOR GEIGER, Gemeinschaft in Handworterbuch der Soziologie, (A cura di A. Wierkandt), 
Stuttgart, 1931. 
4
 ZYGMUNT BAUMAN, Voglia di comunità, Roma-Bari, Laterza, 2001, pag. 3. 
5
 ARNALDO BAGNASCO, op. cit., p. 206. 
6
 In realtà, individuare l'esatta origine di un termine linguistico è compito oltremodo arduo,  e 
peraltro estraneo agli scopi di questo lavoro. Mi sembra però interessante riportare in appendice la 
sintesi del dibattito, apparso sul trimestrale online “Zibaldoni e altre meraviglie”, della querelle 
 10
riflessione ai temi della biopolitica, osserva come la comunità sia caratterizzata da un 
“elemento comune”, che non si configura come “proprio” di qualcuno, anzi, che 
inizia appunto dove il “proprio” ha termine. Esso è ciò che riguarda tutti, o “molti”, 
che è dunque “pubblico in contrapposizione a privato” (o collettivo in contrasto con 
particolare)
7
. Ecco perché il termine communis, fin dalla sua origine latina, si 
configura come contrapposto a proprium. La comunità viene definita, in questa 
ricostruzione, secondo i tre significati del termine munus, ovvero “obbligo” (onus), 
“ufficio” nel senso di “incarico” (officium) e “dono” (donum). Si tratta dunque di un 
dono che richiede di essere ricambiato, che vincola il ricevente nei confronti del 
donatore e degli altri membri di quella collettività che riconosce nel munus comune 
la propria fonte di coesione
8
. Si tratta di un dono che non appartiene stabilmente a 
nessuno, proprio per il fatto di innescare una reciprocità ineludibile, come negli 
esempi descritti da Marcel Mauss nel suo Saggio sul dono
9
. A queste condizioni, il 
dono diventa legge, diventa norma che regola le relazioni tra i componenti della 
comunità. 
 La comunità è dunque quel luogo di relazioni in cui ciascuno si prende in 
carico la responsabilità del dono reciproco. Si può ragionare su questa 
interpretazione in termini sociali, discutendo sulle implicazioni pratiche, culturali e 
psicologiche che tale reciprocità comporta all'interno di ciascuna comunità, o in 
termini politici: coloro che governano la comunità, i suoi leader, si tratti di 
amministratori, rappresentanti, portavoce o leader morali, ricevono in dono dagli altri 
membri della comunità un incarico (formalizzato o tacito) e sono obbligati a 
ricambiare donando alla comunità il proprio servizio. 
 
 
 
                                                                                                                                          
etimologica sul termine 'communitas' che ha avuto luogo, nella seconda quindicina del mese di 
agosto 2003, sulle pagine virtuali dei commenti a Lettera da Leuca 1 di Antonio Moresco sul blog 
collettivo “Nazione Indiana” (www.nazioneindiana.com).  
7
 ROBERTO ESPOSITO, Communitas, Torino, Einaudi, 1998 (edizione ampliata 2006), p. XII. 
8
 Ivi, p. XIII. 
9
 MARCEL MAUSS,  Saggio sul dono, in Id., Teoria generale della magia e altri saggi, Torino, 
Einaudi, 1965. 
 11
  1.1.2 Il significato classico del concetto e la sua evoluzione 
 
 Strassoldo distingue due nozioni principali di comunità: una spaziale, propria 
dell'approccio ecologico elaborato dalla Scuola di Chicago
10
, ed una psicologica, 
sviluppatasi all'interno del pensiero romantico
11
. È a Ferdinand Tönnies, infatti, che 
dobbiamo, alla fine dell'Ottocento, l'uso in forma definita del concetto di comunità 
nelle scienze sociali. L'attenzione alla comunità che Tönnies e altri suoi 
contemporanei  riscoprono in tale periodo è stata attribuita da Nisbet
12
 ad una sorta 
di “reazione romantica” ad un modo di pensare, di radici illuministe, che, esaltando 
la razionalità e il calcolo anche nel formarsi delle relazioni sociali, finiva, agli occhi 
dei romantici, con il disprezzare certi valori tradizionali e affettivi che essi invece 
intendevano rivalutare. Così Tönnies, che ha ben presente l'analisi, elaborata dal suo 
contemporaneo H.J. Sumner Maine
13
, del cambiamento sociale dovuto alla 
progressiva sostituzione dei rapporti giuridici fondati su vincoli tradizionali (status) 
con quelli fondati sul libero contratto
14
, in “Comunità e società”
15
 (1887) crea la 
dicotomia linguistica comunità (Gemeinschaft)/società (Gesellschaft) per distinguere 
due mondi: uno a lui caro, quello della comunità come sede dei valori tradizionali, 
religiosi, della fiducia e della solidarietà, contrapposto a quello emergente della 
società, governato dal profitto, dalla razionalità e dal freddo calcolo, dall'interesse e 
dall'indifferenza. Per il pensiero romantico tedesco, la comunità è un'entità 
sovraindividuale in cui l'individuo trova il superamento delle limitazioni della 
condizione umana, la possibilità di realizzare scopi che trascendono le sue forze e la 
durata stessa della sua esistenza
16
. 
                                                 
10
 Ved i infra, p. 17. 
11
 RAIMONDO STRASSOLDO, voce Comunità in FRANCO DEMARCHI, ALDO ELLENA, 
BERNARDO CATTARINUSSI, Nuovo dizionario di sociologia, Milano, Paoline, 1987. 
12
 ROBERT A. NISBET, La tradizione sociologica, Firenze, La Nuova Italia, 1977. 
13
 HENRY J. SUMNER MAINE, Ancient law, London, 1978. 
14
 Cfr. MARIO PICCININI, Tra legge e contratto: una lettura di “Ancient law” di Henry S. Maine, 
Milano, Giuffrè, 2003. 
15
 FERDINAND TÖNNIES, Comunità e società, Milano, Edizioni di comunità, 1979. 
16
 LUCIANO GALLINO, voce Comunità in Dizionario di sociologia, Torino, UTET, 1993, p. 145. 
 12
 Tönnies si spinge fino a paragonare la comunità a un organismo vivente, la 
società a un'entità meccanica. Nella comunità gli individui sono sempre tra loro 
interconnessi, da legami di parentela, vicinato, amicizia, e le differenze di status e 
ruolo danno luogo a forme di rispetto e benevolenza. Si tratta dunque di un 
organismo naturale in cui prevale una volontà comune, gli interessi collettivi 
predominano, i membri sono scarsamente individualizzati, l'orientamento morale e 
intellettuale è dato da credenze di tipo religioso, la condotta quotidiana è regolata dai 
costumi, la solidarietà è globale e spontanea, la proprietà comune
17
. Nella società, al 
contrario, per quanto forti possano essere le interdipendenze tra gli individui, questi 
sono tra loro separati, ciascuno pensa per sé e si crea dunque una forma di 
competizione foriera di conflitti. Vi domina la volontà individuale, ed i membri sono 
fortemente individualizzati. Gli interessi dei singoli prevalgono, e l'azione di 
ciascuno è orientata dall'opinione pubblica; la moda controlla l'agire quotidiano, la 
solidarietà si realizza solamente in termini contrattuali, e ruota intorno allo scambio 
di merci e servizi; la proprietà privata predomina. Inoltre, nella comunità le relazioni 
sono il risultato di una fusione spontanea della volontà essenziale (Wesenwille), 
mentre nella società la volontà convenzionale (Kürwille) porta all'adesione razionale 
ad un sistema di norme statuite, per cui i soggetti essenzialmente legati tra loro nella 
comunità restano legati nonostante le separazioni, mentre nella società i soggetti 
sono essenzialmente separati e restano tali nonostante tutti i vincoli
18
. 
 La teoria tönniesiana si inserisce nel quadro culturale moderno, dominato da 
visioni parallele, dicotomiche, tra loro analoghe dei rapporti sociali: da Comte 
(epoche metafisiche e scientifiche), a Spencer (società militare e industriale), Weber, 
Durkheim (solidarietà meccanica e organica). 
 Alessandro Pizzorno, nell'introduzione a “La divisione del lavoro sociale”, 
afferma che, nonostante Durkheim avesse ampiamente recensito “Gemeinschaft und 
Gesellschaft" subito dopo la sua uscita nel 1887, non è alle due forme sociali della 
comunità e della società che egli si ispirò “per modellare le due forme fondamentali 
                                                 
17
 Ibidem. 
18
 ANTONIO FADDA, Fare promozione, costruire comunità, in FRANCESCO LAZZARI, 
ALBERTO MERLER (a cura di), La sociologia delle solidarietà, Milano, FrancoAngeli, 2003, p. 
53. 
 13
della solidarietà, quella meccanica e quella organica, che caratterizzeranno la sua 
indagine sulla divisione del lavoro. L'analogia, che potrebbe sembrare evidente a un 
esame superficiale (e Tönnies si è risentito che il sociologo francese non abbia fatto 
riferimento a lui nella sua opera), cade a un esame più accurato. E così anche per le 
somiglianze che l'opera di Durkheim era stata accusata di avere con altri aspetti del 
pensiero tedesco contemporaneo, di cui - dicevano alcuni avversari - non sarebbe 
stata che una più o meno libera traduzione e applicazione”
19
. 
 Durkheim spiegava che la solidarietà meccanica esistente tra i membri di una 
società preindustriale, basata sul fatto che ogni individuo assomiglia all'altro per il 
fatto di condividere gli stessi valori e credenze (tradizioni culturali), in una società 
retta dalla divisione del lavoro sociale, in cui l'interdipendenza tra gli individui è 
dovuta alla specializzazione del lavoro e alla conseguente necessità materiale di 
coordinare gli individui stessi tra loro a fini produttivi, lascia il posto a una 
solidarietà detta organica. Quest'ultima, secondo lui, è all'origine di un sistema “di 
diritti e doveri che legano tra di loro [gli uomini] in modo durevole”
20
. La 
composizione delle differenze individuali in una collettività è ciò che mantiene la 
società coesa, purché si eviti il rischio della caduta dell'energia morale, conseguenza 
del venir fuori di forme anomale di divisione del lavoro che, in momenti di crisi, 
possono minare alla base la solidarietà distruggendo la coesione sociale. 
 Weber, in “Economia e società” (1922)
21
, inserisce il concetto di comunità 
(Vergemeinschaftung, “accomunamento”) nella sua teoria dell'agire sociale, 
definendo comunità quella “relazione sociale
22
 in cui la disposizione dell'agire 
sociale poggia su una comune appartenenza, soggettivamente sentita dagli individui 
che ad essa partecipano”. Weber parla invece di “associazione” (Vergesellschaftung) 
quando “la disposizione dell'agire sociale poggia su una identità di interessi, oppure 
su un legame di interessi motivato razionalmente (rispetto al valore o allo scopo)”
23
.  
                                                 
19
 ALESSANDRO PIZZORNO, Introduzione a ÈMILE DURKHEIM, La divisione sociale del 
lavoro, Milano, Edizioni di Comunità, 1999. 
20
 ÈMILE DURKHEIM, op.cit. 
21
 MAX WEBER, Economia e società, Milano, Edizioni di Comunità, 1995. 
22
 Dove la “relazione sociale” è intesa come “un comportamento di più individui instaurato 
reciprocamente secondo il suo contenuto di senso e orientato in conformità” (ib.). 
23
 ARNALDO BAGNASCO, op. cit., p. 208. 
 14
Combinando la classica suddivisione weberiana dei fondamenti determinanti 
dell'agire sociale con la dicotomia comunità/associazione possiamo costruire il 
seguente schema: 
 
Agire sociale determinato: 
in modo razionale 
rispetto allo scopo 
in modo razionale 
rispetto al valore 
affettivamente tradizionalmente 
Associazione Comunità 
 
 L'interpretazione weberiana permette di individuare nel cambiamento sociale 
come processo di razionalizzazione il motore della tendenza al passaggio da forme di 
relazione sociale profondamente “comunitarie” a forme più orientate verso 
l'associazione: sempre più, con il processo di modernizzazione, l'agire individuale 
abbandona i fondamenti affettivi e tradizionali per orientarsi in modo razionale, 
dando luogo a modificazioni nelle relazioni all'interno delle collettività di cui si 
trovano a far parte. Allo stesso modo, per Tönnies la comunità rappresentava uno 
stadio di sviluppo storico anteriore alla società, identificando la comunità come 
rappresentazione della società rurale europea, concretantesi nel borgo o villaggio 
contadino, disorganizzata ed emarginata dalla società industriale urbana indotta dal 
capitalismo. 
 La distinzione dicotomica tra forme comunitarie, solidaristiche, affettivo-
tradizionali, e societarie, individualistiche, razionalmente fondate, economico-
produttive, si rivela sempre più inadeguata a cogliere le peculiarità delle variegate 
forme di aggregazione sociale, che approfondite e problematizzate rivelano la 
coesistenza di caratteristiche “comunitarie” e “societarie/associative” nei medesimi 
gruppi sociali. Talcott Parsons utilizza la tipologia di Tönnies per derivarne, 
integrandola con la tipologia weberiana dei modi di orientamento dell'agire, un 
complesso schema di classificazione ed analisi delle relazioni sociali, elaborando lo 
strumento delle “pattern variables” per dare conto delle numerose scelte di fronte a 
cui si trova l'individuo nel suo agire: si tratta ancora una volta di 5 dicotomie, che 
 15
possono essere viste come 5 differenti forme di polarizzazione da criteri 
“tradizionali” (comunitari) a criteri “moderni” (societari), chiudendo così il cerchio 
aperto da  Tönnies
24
. 
  
Alternative “comunitarie”/tradizionali Alternative “societarie”/moderne 
Affettività Neutralità affettiva
Orientamento verso la collettività Orientamento verso l'io 
Particolarismo Universalismo
Ascrizione Acquisizione
Diffusione Specificità 
 
 La sociologia marxista ha recepito il concetto di comunità come unione di 
individui che vivono in una stessa area territoriale oppure svolgono un'attività 
comune, e condividono interessi, scopi, opinioni, norme, essendo coscienti della loro 
interdipendenza e del fatto di appartenere ad un'entità collettiva; alla base di una 
comunità vi sono sempre interessi e rapporti materiali che si concretano nel rapporto 
di lavoro e sono da esso mediati
25
. 
 Per Simmel (Soziologie, 1908), le varie forme della socialità emergono dalla 
“mera aggregazione di individui isolati”, fino ad una vera e propria unità come 
risultato di quel processo da lui definito di “sociazione”. In esso i singoli perseguono 
una reciproca interazione, fino a delineare – nel contempo – anche una molteplice 
intersezione dei “circoli sociali” coinvolti dalle specifiche appartenenze di 
ciascuno
26
. Simmel, rovesciando la prospettiva di Tönnies, sosteneva che la società 
moderna possiede una sorta di unità, e non è completamente frammentata in tante 
Gesellschaft, e affermava che la modernità ha contribuito a creare degli individui con 
una personalità maggiormente sociale, proprio grazie alle maggiori possibilità di 
stringere relazioni sociali in un'era moderna che non li assorbe più completamente in 
                                                 
24
 Ivi, p. 209. 
25
 LUCIANO GALLINO, op. cit., p. 146. 
26
 GIULIANO GIORIO, La comunità e oltre, in GIULIANO GIORIO, FRANCESCO LAZZARI, 
ALBERTO MERLER, Dal micro al macro, Padova, CEDAM, 1999,  p. 13. 
 16