12
dei poteri tributari del governo centrale e dei governi periferici, allora il
governo centrale è legittimato2 ad attuare programmi di trasferimento
finanziario a favore delle comunità che, a causa delle loro basi imponibili
più basse, si trovano a dover applicare aliquote di imposizione locale più
elevate per la produzione dei servizi pubblici. L'intervento del governo
centrale si giustifica, sia per ragioni di parità di trattamento tributario dei
cittadini, sia per ragioni di efficienza economica, dato che la diversità del
prelievo fiscale nelle diverse aree porterebbe a una localizzazione
inefficiente delle attività economiche e quindi a una perdita di benessere
per la collettività.
Emerse in seguito che le condizioni di uguaglianza di trattamento del
cittadino non possono essere valutate senza considerare gli utilizzi del
prelievo tributario3: due governi periferici possono avere diversi livelli di
tassazione, ma anche produrre diversi livelli di servizi pubblici. Se questa
diversità discende da scelte liberamente espresse attraverso i sistemi
politici di rappresentanza locale, non ci sarebbe ragione per il governo
centrale di intervenire a correggere le diversità di prelievo tributario
perché queste sono compensate dalla diversità nel livello dei servizi
pubblici, entrambe espressione della diversità delle preferenze.
L'efficienza nella tassazione locale consente di ridefinire le regole di parità
di trattamento e rimuove le ragioni per interventi correttivi da parte del
governo centrale.
Il dibattito originato dai contributi di Buchanan e Musgrave sulla nozione
di eguaglianza, e sulla connessa nozione di neutralità, veniva alimentato,
nello stesso periodo, dalla rielaborazione della teoria dei beni pubblici ad
opera di Samuelson4: nasceva così la teoria economica del federalismo
fiscale, con diversi percorsi e implicazioni5.
2 BUCHANAN J.M., Federalism and Fiscal Equity, in American Economic Review, 1950, pp.583-599.
3
MUSGRAVE R.A., Approaches to a Fiscal Theory of Political Federalism, in Public Finances: needs,
sources and utilization, 1961, pp. 97-133.
4
SAMUELSON P., The Pure Theory of Public Expenditure, in Review of Economics and Statistics,
1954, pp. 387-389.
5
GIARDA P., Federalismo fiscale, Istituto di economia e finanza, Università Cattolica, Milano, 2002.
13
Una prima linea di studi è riconducibile ai lavori di Tiebout6. La presenza
di Enti Locali, con il potere di governare l'offerta di beni pubblici a livello
locale, consente soluzioni di mercato al problema posto dalla presenza di
alcune categorie di beni pubblici. Diverse comunità locali possono offrire
diversi basket (livello e composizione) di beni pubblici e diverse forme di
tassazione; così i cittadini sceglierebbero, come propria residenza,
quell'ente locale le cui condizioni complessive di offerta fossero più vicine
alle sue preferenze. La libertà di movimento sul territorio avrebbe anche
la conseguenza di spingere le strutture di produzione dei servizi pubblici
locali verso le soluzioni di costo minimo garantendo l'efficienza anche sul
fronte della produzione. Da questo contributo iniziale si è sviluppato un
grande numero di lavori, tra i quali Stiglitz (1975), Gordon (1983), e
Hochman e altri (1995), diretti a valutare l'interazione tra mobilità,
distribuzione della popolazione sul territorio, formazione della rendita
urbana e condizioni per l'ingresso sul territorio.
Una seconda linea di ricerca (Tiebout 1961, Olson 1969 e Oates 1972)
pone le basi per una teoria normativa dell'offerta pubblica su diversi livelli
di governo, legata soprattutto all'estensione territoriale dei benefici
dell'offerta pubblica. I diversi beni pubblici possono essere prodotti in
modo da generare benefici con una limitata diffusione territoriale rispetto
alla fonte di produzione; le decisioni collettive sul livello di consumo dei
diversi beni pubblici possono essere assunte da organi di governo di
territori di diversa dimensione demografica. Di qui il problema
dell'assegnazione dei compiti pubblici ai diversi livelli di governo ed anche
quello, corrispondente, dell’appropriata assegnazione dei mezzi di
finanziamento: quali imposte, tasse e tariffe per i diversi tipi di bene
pubblico offerto e per i diversi livelli di governo.
Il terzo passo sulla strada della costruzione di una teoria del federalismo
fiscale è stato quello associato alle politiche di riduzione delle
disuguaglianze nella distribuzione del reddito prodotte dall'operare delle
6
TIEBOUT C.M., A Pure Theory of Local Government Expenditures, in Journal of Political Economy,
1956, pp.416-424.
14
forze di mercato. Due sono i temi principali di queste analisi. Il primo
riguarda a quale livello di governo assegnare lo svolgimento dei compiti
redistributivi; più specificamente, se i governi subnazionali possano
occuparsi, oltre che di compiti allocativi, anche di correggere la
distribuzione del reddito personale all'interno della propria giurisdizione.
Un tema sul quale i primi studi sul federalismo fiscale hanno dato sempre
risposte negative7, e che ha trovato, in tempi più recenti, qualche incerta
risposta positiva, condizionata però ad interventi correttivi del governo
centrale dai contenuti informativi molto elevati8. Il secondo riguarda i
programmi di trasferimenti finanziari, dal centro alla periferia, diretti a
ridurre le differenze nel livello dei servizi pubblici offerti dai singoli enti
periferici che conseguono alle differenze nelle basi imponibili dei tributi
locali e regionali. I diversi criteri di perequazione proposti da Musgrave,
con le qualificazioni legate al disegno di un appropriato sistema di
incentivi e alla necessità di garantire il rispetto dei vincoli di bilancio, non
sono mutati radicalmente negli ultimi quaranta anni, così come non sono
mutate le controversie su di essi.
Un quarto aspetto discende da una linea di pensiero, che ha avuto il suo
primo e più articolato esponente in Buchanan9, secondo la quale il
federalismo fiscale, con l'enfasi che esso pone sull'autonomia dei governi
decentrati, studia anche le regole costituzionali e le condizioni in base alle
quali tale autonomia viene mantenuta e rafforzata. La diversità,
l'autonomia e l'offerta competitiva sono i caratteri con i quali un sistema
di federalismo fiscale può diventare strumento di contrasto alla crescita
incontrollata della presenza pubblica nell'economia prodotta dagli
automatismi di crescita del prelievo tributario a livello nazionale (lo stato
Leviatano) e dai comportamenti degli agenti, le burocrazie, non controllati
7
MUSGRAVE R.A., The Theory of Public Finance: A study in Public Economy, 1959, e STIGLER
G.J., The tenable Range of Functions of Local Government, in Federal Expenditure Policy for
economic growth and stability, 1957, pp.213-219.
8
WELLISCH D., Theory of Public Finance in a Federal State, Cambridge, 2000, Cambridge
University Press.
9
BUCHANAN J.M., BRENNAN G., The Power to Tax: analytical foundations of a fiscal constitution,
Cambridge, 1980, Cambridge University Press.
15
adeguatamente dal principale, il cittadino, e le sue rappresentanze
politiche10.
L'analisi dei rapporti finanziari tra centro e periferia all'interno di stati
nazionali (regole di uguaglianza, quali compiti per quale livello di governo,
l'efficienza nella produzione pubblica e politiche redistributive, quali
assetti istituzionali sono più favorevoli alla costruzione di configurazioni
più efficienti dei processi di decisione politica) è stata applicata alle forme
di governo sopranazionale che stanno emergendo dal processo di
unificazione Europea, nelle quali sia presente l'obbligo di un concorso
finanziario a spese comuni11.
I vantaggi della decentralizzazione, che saranno l’argomento del
prosieguo del capitolo, sono stati studiati da diverse branche della
scienza: nell’affrontare questo argomento bisognerà fare riferimento a
diverse discipline, quali la scienza politica, la sociologia
dell’organizzazione oltre che naturalmente l’economia. Quest’ultima offre
le spiegazioni più convinte, e forse anche più convincenti, dei vantaggi
insiti nel decentrare il governo territoriale, rilevando che un tale sistema
offre maggiori opportunità di scelta ai cittadini e più ampi stimoli alla
concorrenza fra le istituzioni, e se pensiamo che i mercati di tipo
concorrenziale sono reputati il migliore sistema di organizzazione
economica, possiamo affermare che la decentralizzazione possa portare
indubbi vantaggi ai territori sottoposti.
1.2 Il pensiero politico
I più antichi apporti di questa teoria, molto rilevanti, sono di matrice
politica. La posizione favorevole sul governo locale si basa su
un’affermazione principale: la decentralizzazione rende il governo più
vicino al popolo, favorisce il coinvolgimento dei cittadini nella gestione
10
NISKANEN W.A., Bureaucracy and Representative Government, Chicago, 1973, Aldine-
Atherton.
11
PETRETTO A., Economia pubblica e Unione Europea, Bologna, 2002, Il Mulino.
16
degli affari pubblici, ne rafforza le possibilità di controllo sui governanti.
Montesquieu vedeva la piccola dimensione del governo come elemento
essenziale per il mantenimento della democrazia: “E’ naturale per una
repubblica avere un piccolo territorio [..] In una repubblica di grandi
dimensioni vi sono uomini che hanno larghe fortune e sono di
conseguenza senza moderazione [..] In una democrazia di piccole
dimensioni, l’interesse del cittadino diventa più evidente, meglio
compreso e più alla portata dei cittadini12”.
Tocqueville associava il governo locale a palestra per il governo libero:
“Le istituzioni comunali stanno rispetto alla libertà nel medesimo rapporto
in cui le scuole elementari stanno alla scienza: la mettono alla portata del
popolo”13.
Sebbene in maniera non unanime, anche fra i padri della democrazia
americana era viva questa posizione. Jefferson, nella sua autobiografia,
scriveva: “Non è attraverso il consolidamento o la concentrazione di
poteri, ma attraverso la loro distribuzione che si stimola il buon
governo”14.
Oltre alla garanzia della tutela della libertà attraverso la partecipazione e
la funzione di educazione all’amministrazione della cosa pubblica, il
pensiero politico ha attribuito un terzo vantaggio alla decentralizzazione
del potere: quello della tutela delle minoranze nelle società etnicamente
molto differenziate. Le posizioni a favore della decentralizzazione hanno in
comune un’attenzione rivolta principalmente agli aspetti formali della
libertà, principalmente la libertà di decisione.
Alcune preoccupazioni, espresse dai pensatori politici, erano rivolte in
primo luogo al timore che le piccole dimensioni potessero favorire il
dominio di gruppi potenti e ristretti, idea espressa da Madison nel suo
“Federalist”.
Gli autori contemporanei si sono concentrati sul problema distributivo,
12
MONTESQUIEU C.L., Lo spirito delle Leggi, Torino, 1952, Utet.
13
DE TOCQUEVILLE A., De la democrazie en Amerique, Paris, 1981, Garnier Flammarion, p.123.
14
Citato da BENNETT W., American theory of federalism, Birmingham, 1964, University of Alabama
Press, p.90.
17
notando come a livello locale la possibilità di composizione degli interessi
sia minore, come minori sono le competenze di governo e quindi le
politiche attuabili.
Dal punto di vista meramente politico l'esistenza di una pluralità di livelli
di governo ciascuno in qualche modo sovrano nelle proprie competenze,
costituisce un meccanismo per gestire al meglio il controllo all'esercizio
del potere nelle democrazie. La divisione dei poteri tra i vari livelli di
governo dovrebbe infatti permettere un maggior controllo da parte del
popolo sui rappresentanti eletti: si tratta quindi di un meccanismo volto
ad instaurare e mantenere l'efficienza politica negli stati democratici.
In sintesi, le principali argomentazioni politiche a favore dei livelli di
governo sub-centrali sono:
permettono un maggior coinvolgimento politico dei cittadini;
inducono un maggior frazionamento del potere politico, e ciò può
costituire un limite ad eventuali eccessi di potere e garantire l'ottimo
funzionamento della democrazia.
1.3 Il pensiero della sociologia dell’organizzazione
La teoria sociologica dell’organizzazione ci offre un secondo profilo per
analizzare pro e contro del decentramento. La tesi tradizionale, sposata
anche da economisti come John Stuart Mill, partendo dall’ipotesi che la
capacità amministrativa del governo centrale aveva grossi limiti,
affermava che la decentralizzazione era una via obbligata per aumentare,
o semplicemente rendere accettabile, i livelli di efficienza amministrativa.
Successivamente questa teoria è stata rivista, rivalutando le maggiori
dimensioni, grazie ai progressi ottenuti nei trasporti, nelle comunicazioni
e nel trattamento delle informazioni. Gli ultimi sviluppi della teoria
dell’organizzazione hanno favorito le piccole dimensioni, argomentando la
positività di una catena di comando più corta, favorendo la trasmissione
alla base delle decisioni prese al vertice, riducendo perdite e distorsioni
18
nel passaggio di informazioni.
Un ulteriore motivo a favore del governo locale sta nella maggiore
possibilità di sperimentazioni e innovazioni nella fornitura di beni pubblici
e nelle politiche svolte, favorite dall’elevato numero di giurisdizioni, e
dagli incentivi che possono essere stabiliti per questi comportamenti,
come trasferimenti dal governo centrale agli enti che si segnalano
positivamente. Comunque, l’incentivo più forte rimane la possibilità di
meccanismi concorrenziali fra le varie giurisdizioni.
1.4 Il pensiero del federalismo competitivo
Questa teoria, elaborata dalla dottrina economica, è la più interessante
fra quelle degli anni recenti, basata sul vantaggio derivante dalla
concorrenza fra le giurisdizioni. Siamo abituati a vedere come benefica la
concorrenza in economia, ma riflettendo la concorrenza fra poteri e fra
istituzioni politiche è altrettanto vantaggiosa.
Analizzando la pratica della teoria, avremmo la possibilità per i cittadini di
appellarsi, per il soddisfacimento di una propria necessita, al governo
centrale o ai governi locali dove risiedono, oppure confrontare le
opportunità offerte da altri governi locali, mettendo così in concorrenza il
governo centrale con quello locale, ed anche i governi locali tra loro.
In un sistema decentrato, vi sono due tipi di concorrenza: può esservi
concorrenza verticale, cioè fra Stato e Regioni, fra Stato ed Enti Locali, o
ancora fra Regioni ed Enti Locali, o anche concorrenza orizzontale, fra
Regioni e Regioni, o fra Enti Locali ed Enti Locali.
Accennando brevemente ad entrambi, la concorrenza verticale nasce
dall’inevitabile sovrapposizione degli effetti delle scelte fatte da diversi
livelli di governo. Ad esempio, se la politica industriale è affidata al
centro, e quella di protezione ambientale alla periferia, fatalmente una
decisione di politica industriale avrà impatti di tipo ambientale,
inserendosi sulla traiettoria politica dei governi regionali, e allo stesso
modo può avvenire il contrario. La concorrenza orizzontale si può
19
presentare sotto diversi aspetti, uno di questi è la mobilità di cittadini o
imprese verso gli enti che più soddisfano questi soggetti, come si evince
dal modello di Tiebout: è la concorrenza per lo sviluppo locale.
Esiste poi un terzo tipo di concorrenza, forse il più rilevante poiché implica
tutti i livelli di governo e non implica alcuno spostamento da parte dei
cittadini. In questo modello i cittadini effettuano le proprie valutazioni sui
diversi enti politici con lo strumento del voto elettorale. Questo modello di
concorrenza è stato sviluppato dall’economista francese Pierre Salmon15,
ed è interessante poiché fa riferimento a comportamenti realistici da
parte degli attori del gioco. Ad esempio, un elettore potrebbe votare per
un’altra lista se in un'altra città questa lista ha raggiunto risultati migliori
(una sorta di concorrenza orizzontale), o a livello nazionale potrebbe
votare per una lista che ha dimostrato di saper amministrare bene a
livello locale (profilandosi come concorrenza verticale).
Ovviamente, l’interesse di questo concetto di competizione dipende dal
suo realismo, cioè dalla sua capacità di descrivere i comportamenti
effettivi di scelta. Se i cittadini non sono interessati alle performance delle
altre città, o se i politici sono indifferenti ai giudizi dei cittadini, perché
non intendono ripresentarsi o perché le scelte dei cittadini sono
determinate da altri fattori, è chiaro che la concorrenza sparisce.
Condizione fondamentale perché questa concorrenza possa produrre
risultati positivi è che gli enti non possano scaricare i costi delle proprie
decisioni su altre unità, cioè che tutte operino in condizioni di parità
concorrenziale. Questa constatazione ha molto rilievo per le politiche di
sviluppo locali, che sono uno dei terreni su cui oggi si esercita
principalmente la concorrenza fra Enti Locali e fra gli stati delle
federazioni.
15
SALMON P., Decentralization as an incentive scheme, in Oxford review of economic policy, 1987,
pp.24-43.
20
1.5 Il pensiero del governo come contratto fra
politici e cittadini
La teoria dei contratti ci offre interessanti spunti per studiare le decisioni
di decentramento. Questa branca dell’economia studia le transazioni
economiche sulla base dei contratti stipulati dai soggetti che le effettuano
e analizza le conseguenze delle diverse tipologie di contratti sul
comportamento a lungo termine dei soggetti stessi.
La teoria dei contratti, per spiegare la poca propensione dei governi
centrali a svolgere politiche di differenziazione sul territorio, afferma che
è causata dalla mancanza di incentivi per i politici a prendere in
considerazione le differenti preferenze locali. La promessa dei politici di
garantire con il proprio impegno determinati risultati attraverso le
politiche svolte, e la promessa dei cittadini di rieleggerli in caso di
soddisfazione, possono essere viste come elementi di un contratto. In un
contratto perfetto, l’impegno dei politici per ottenere la soddisfazione dei
cittadini dovrebbe essere tale da garantire la rielezione.
L’ipotesi di partenza di questa teoria, dunque, è l’incompletezza dei
contratti fra cittadini e governanti, dovuta non tanto alla non osservabilità
di alcuni parametri rilevanti, ma alla loro non certificabilità, non esistendo
regole certe e verificabili per stabilire se il governo ha rispettato il
contratto.
Due elementi decisivi per determinare l’impegno del governo centrale a
garantire il benessere dei cittadini sono la probabilità che ogni comunità
locale sia decisiva nella rielezione e il valore attribuito dai governanti alla
propria rielezione. L’interazione di questi elementi in uno scenario di
contratti imperfetti può condurre a esiti diversi e talvolta verso la
decentralizzazione.
Per rendere chiaro questo concetto, usiamo l’esempio pratico dell’elezione
di un governo locale e uno centrale. Nel governo locale la probabilità che
la singola giurisdizione sia decisiva per la rielezione è ovviamente pari a
uno, poiché solo essa è chiamata a votare, mentre nel caso di elezioni
21
nazionali la probabilità è inferiore, così spiegando perché la classe politica
dei governi locali abbia una maggiore responsabilità verso gli elettori. La
differenza fra governo centrale o decentrato consiste nell’attribuzione del
diritto di decidere la rielezione del governo: decentrando si trasferisce agli
elettori di ogni regione il potere completo di decisione, centralizzando
ogni singola regione rielegge il governo in modo non esclusivo, ma
condiviso con le altre regioni.
Va comunque notato un altro elemento di imperfezione nella teoria, cioè
la possibilità che la soddisfazione verso i propri politici possa dipendere da
elementi casuali e non osservabili, togliendo incentivi ai governi.
La teoria dei contratti ha poi il merito di sottolineare un importante
elemento, spesso trascurato: i conflitti di interesse fra le diverse
giurisdizioni. Nel caso di politiche con esternalità negative, un governo
centrale potrebbe danneggiare alcune regioni più di altre, e può essere
spinto nelle proprie scelte anche dal peso elettorale di ogni località, o
meglio dalla probabilità che questa sia decisiva nella competizione
elettorale nazionale.
1.6 Il modello della decentralizzazione e la
soddisfazione delle preferenze individuali
Le motivazioni economiche dei livelli multipli di governo sono
sostanzialmente basate sulla nozione di efficienza economica; in altri
termini, diversi livelli di governo sono preferibili, rispetto alla situazione che
si avrebbe in presenza di un unico livello di governo centrale, se
permettono: a) il raggiungimento degli obiettivi pubblici a costo minore; b)
un maggior grado di raggiungimento degli obiettivi pubblici a parità di
costo.
Wallace Oates, negli anni ’70, ha sviluppato un modello per il quale la
decentralizzazione trae giustificazione dalla capacità di soddisfare le
preferenze di un numero maggiore di cittadini rispetto ad un governo
22
centralizzato16. Due sono le basi di questa teoria: primo che un governo
centralizzato sia in grado di produrre un’unica politica su tutto il territorio,
e quindi non sia in grado di differenziare l’offerta; secondo che all’interno
delle giurisdizioni locali siano presenti gruppi di persone che hanno
preferenze omogenee circa le scelte locali. Il modello, che serve a
mettere in evidenza alcune proprietà dei governi decentrati, ha la
seguente struttura.
Supponiamo che la collettività nazionale sia divisa in due gruppi di
persone che formano due comunità geograficamente distinte, cioè due
giurisdizioni, e che il problema sia di individuare la quantità da produrre
di un bene X. Per semplificare, supponiamo che il bene non abbia
esternalità positive e sia prodotto in condizioni di rendimenti di scala
costanti. Supponiamo infine che in ognuna delle due giurisdizioni tutti i
cittadini abbiano gusti identici, sicché esiste una sola curva di domanda
per ognuna, come è rappresentato in figura.
Figura 1 – Il teorema della decentralizzazione
D1 è la curva di domanda della prima giurisdizione, D2 quella della
seconda. Quest’ultima ha preferenze più spiccate per il bene in questione:
a parità di prezzo vuole consumarne una quantità maggiore, e a parità di
quantità è disposta a pagare un prezzo maggiore. Con la creazione di due
16
OATES W.E., Fiscal Federalism, New York, 1972, Harcourt Brace Jovanovich.
23
giurisdizioni si produrrebbe Q1 nella prima e Q2 nella seconda. La
soluzione centralizzata non può che essere una mediazione fra le quantità
preferite dalle due comunità, come la quantità Q3. Questa soluzione
obbliga i cittadini della prima giurisdizione a consumare una quantità
maggiore del desiderato, ed il contrario per la seconda. La figura
permette anche la misurazione della perdita di benessere associata alla
soluzione centralizzata: essa è uguale al triangolo acb per la prima
giurisdizione, ed a cde per la seconda.
Il teorema di Oates si basa sulla totale uniformità dei gusti all’interno di
ogni singola giurisdizione. Vediamo cosa succede se introduciamo una
differenziazione nei gusti. Supponiamo una collettività nazionale formata
da nove individui, e per semplicità supponiamo, nella figura seguente, che
quattro coppie abbiano gusti identici.
Figura 2 – Il teorema della decentralizzazione con preferenze
disomogenee
Curve di domanda dei servizi locali di nove individui residenti in tre giurisdizioni diverse
Dati i luoghi di residenza dei cittadini, questi possono dividersi in tre
giurisdizioni. Fanno parte della prima i cittadini 1, 2 e 9, della seconda i
cittadini 4, 5 e 6, della terza i cittadini 3, 7 e 8. In un sistema decentrato
con decisioni votate a maggioranza, le tre giurisdizioni sceglieranno,
rispettivamente, le quantità Q1 Q2 e Q3. Ogni quantità è quella preferita
24
dagli individui che detengono, nella propria giurisdizione, la posizione
mediana. In un sistema centralizzato, la regola del voto a maggioranza
assicura che verrà scelta la Q2, che è la quantità preferita dall’individuo 5.
Passiamo ora ad analizzare la situazione, soffermandoci sia sul numero di
persone soddisfatte dalle due soluzioni, sia sul guadagno o perdita di
benessere. Sotto il primo profilo, la soluzione decentrata è superiore, in
quanto in ogni giurisdizione vi sono due persone soddisfatte ed una
scontenta, per un totale di sei contro tre a livello nazionale. La soluzione
centralizzata produce invece cinque contenti e quattro insoddisfatti. La
decentralizzazione aumenta il numero di cittadini soddisfatti.
Sotto il secondo profilo, nella seconda giurisdizione non vi è differenza fra
le soluzioni. Nella prima, data la scelta di Q2, gli individui 1 e 2 hanno una
perdita netta di benessere, consumando una quantità che valutano meno
del suo prezzo, mentre l’individuo 9 ha un vantaggio, poiché consuma di
più rispetto alla soluzione decentrata, riducendo la perdita di benessere.
Passando al calcolo grafico, la perdita di 2 è pari al triangolo acd, la
perdita di 1 ad aefc, che sommate danno l’area ahic; il vantaggio di 9 è
uguale ad akic, che, come si vede, è superiore alla perdita dei primi due.
Dunque, nella prima giurisdizione si avrà una perdita nel benessere totale
goduto, stesso risultato che si otterrà nella terza giurisdizione.
Riassumendo i ragionamenti fin qui svolti, la soluzione decentrata
soddisfa un maggior numero di persone, mentre in termini di benessere
individuale può essere in alcuni casi, come quello che abbiamo visto,
inferiore, situazione che occorre quando nella stessa giurisdizione
risiedono persone con preferenze molto differenziate. Quindi, se pensiamo
alle regole decisionali delle democrazie, dove per il criterio democratico
ogni cittadino esprime un voto, e ci basiamo sulla percentuale di persone
soddisfatte dalla soluzione, possiamo affermare che la forma di governo
decentralizzata è superiore a quella centralizzata. Al contrario, il criterio
economico utilitaristico, che consiste nella massimizzazione del
benessere, favorisce la soluzione decentrata solo quando esiste
uniformità di preferenze, più precisamente quando la disomogeneità
25
media delle preferenze è maggiore all’interno delle giurisdizioni che a
livello locale. Riprendendo il nostro esempio, se l’individuo 3 si spostasse
nella terza collettività, e l’individuo 9 andasse nella prima, le
disomogeneità sarebbero ridotte, e la soluzione decentrata aumenterebbe
il benessere totale.
Il teorema del decentramento afferma quindi che il governo locale è più
efficiente del governo centrale nella fornitura dei servizi pubblici locali,
ossia per quelli che hanno una portata limitata a un territorio più piccolo
rispetto a quello nazionale. Il governo locale appare più efficiente di
quello centrale in quanto i desideri sufficientemente omogenei tra loro dei
cittadini residenti sono differenti da quelli dei cittadini residenti in altri
territori, ed i governi locali possono rendersi interpreti dei desideri locali
meglio del governo centrale.
Da un punto di vista strettamente tecnico, è vero però che il governo
centrale potrebbe essere efficiente come quello locale se offrisse quantità
diverse di servizi locali con livelli di tassazione differenti. Ma ciò non
sembra realizzabile: per prima cosa un tale intervento centrale potrebbe
provocare problemi a livello politico; in effetti potrebbe essere difficile
politicamente promuovere, ad esempio, l'ampliamento del servizio
scolastico in un'area e contemporaneamente ridurlo in un'altra,
soprattutto quando lo scopo di questa operazione fosse di aumentare la
differenza nel servizio offerto nelle varie circoscrizioni. Una seconda
ragione sta ovviamente nel grado di informazione necessario affinché un
livello di governo centrale sia in grado di compiere scelte efficienti. Il
governo locale, essendo più vicino alla popolazione può interpretarne
meglio i bisogni perché li conosce meglio: il vivere a contatto stretto con
la gente fa sì che gli amministratori possano meglio valutarne i bisogni.
Il teorema del decentramento è basato sul presupposto di una scarsa o
nulla mobilità della popolazione sul territorio, assai realistico almeno nel
contesto italiano, e presuppone che siano verificate certe ipotesi assai
meno vicine alla realtà, riguardanti in particolare:
l'esistenza di servizi pubblici la cui area di beneficio sia limitata
26
alle circoscrizioni;
una sufficiente omogeneità nelle preferenze all'interno delle
circoscrizioni;
la difformità delle preferenze tra le varie aree o circoscrizioni
locali;
la non interferenza dei costi di produzione dei servizi;
la rilevanza politica delle circoscrizioni.
Circa l'esistenza di servizi pubblici a beneficio territorialmente limitato,
possiamo osservare che tale ipotesi costituisce la condizione essenziale di
tutta la costruzione: se tutti i servizi pubblici estendessero i loro benefici
a tutta la collettività nazionale, cadrebbe ogni possibilità di scelte locali
autonome rispetto al centro, e pertanto ogni giustificazione economica
all'esistenza dei governi locali, salvo quelle basate sulla concorrenza tra i
vari livelli di governo. Per quanto riguarda la difformità delle preferenze,
effettivamente il teorema del decentramento distingue il caso di
preferenze omogenee su tutto il territorio dal caso in cui le preferenze
degli elettori siano sufficientemente diversificate tra le circoscrizioni
esistenti nel Paese. Se le preferenze sono strettamente uniformi su tutto
il territorio, le scelte dovrebbero essere identiche, e quindi un solo livello
di governo può sembrare sufficiente, fatta salva un’appropriata
organizzazione.
Al contrario, se si suppone che per tradizioni, abitudini e mentalità,
almeno sotto certi aspetti, gli abitanti delle varie giurisdizioni territoriali
differiscano tra di loro, è facile pensare che in tale caso esistano
differenze apprezzabili circa le preferenze relative a servizi pubblici di
ambito territoriale corrispondente. Ciò significa che ciascuna
circoscrizione esprime preferenze diverse per quanto riguarda servizi
pubblici che hanno un ambito territoriale ristretto rispetto a tutta la
nazione. Se lasciamo che ciascuna giurisdizione scelga in modo autonomo
tali servizi, gli abitanti delle altre collettività, pur avendo gusti diversi, non
ne saranno danneggiati, perché il servizio pubblico ha un ambito
territoriale coincidente con la circoscrizione che effettua le scelte, e a loro