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particolarmente conto dei riferimenti storico-culturali e delle ideologie che possono
essere ad essi sottesi.
In primo luogo si offrirà al lettore un’introduzione sulla comunicazione politica e sulle
linee direttrici del suo sviluppo in epoca postmoderna. In particolare ci concentreremo
sulla centralità dell’immagine, intesa come insieme delle percezioni dominanti che gli
osservatori si fanno di qualcuno o qualcosa, e del linguaggio politico, inteso come
discorso finalizzato a rendere concreta e accessibile al pubblico un’idea e una visione del
mondo. Di seguito verranno introdotti i concetti chiave che si intendono usare nello
sviluppo dell’analisi empirica: la “narratività” presentata nella teoria semiotica di
Gremias, le teorie sul “frame” del linguista statunitense Lakoff e quelle sul ruolo delle
emozioni nel processo di decisione politica presentate da Westen. Passeremo poi ad
analizzare gli strumenti “direttamente” a disposizione dei politici per creare la propria
“narrazione politica”. Questi concetti ci serviranno per dimostrare nel capitolo
successivo la centralità del concetto di narrazione politica scegliendo come oggetto
d’indagine le elezioni politiche italiane del 2008 analizzando i materiali prodotti dal
Partito Democratico e dal Popolo della Libertà e dai rispettivi candidati premier,
ponendo, in un’ottica comparata, una particolare attenzione alle recenti elezioni
presidenziali americane.
Nel capitolo seguente si cercherà di analizzare la narrazione politica dei due principali
candidati. La prima parte sarà dedicata a Walter Veltroni e alla nascita del Partito
Democratico in cui verrà offerto anche un breve e limitato confronto con il leader
democratico statunitense Barack Obama che nonostante appaia ai nostri occhi un
paragone azzardato rappresenta una “best practice” della quale non si può non tenere
conto. L’analisi della narrazione politica di Veltroni sarà incentrata sul discorso di
apertura della campagna elettorale 2008 che ha tenuto sulle colline umbre di Spello. La
seconda parte del capitolo sarà invece dedicata a Silvio Berlusconi, la cui narrazione
politica non può prescindere l’osservazione del suo intero percorso politico, dalla sua
discesa in campo nel 1994 all’ultima campagna elettorale.
Da ultimo si proporranno alcune conclusioni sul’efficacia dei materiali comunicativi
prodotti durante la campagna elettorale nel creare una narrazione intorno alla figura dei
due leader sottolineandone limiti e potenzialità.
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2. La comunicazione politica in campagna permanente
Numerose e diverse sono le discipline coinvolte nello studio della comunicazione
politica. Nel corso degli anni infatti politologi, psicologi, semiologi, linguisti, sociologi,
esperti di marketing e statistici si sono interessati, a vario titolo e con diversi obiettivi,
alla materia. Questo pluralismo disciplinare e l’assenza di un paradigma dominante si è
spesso tradotto in una moltitudine di approcci diversi che nonostante le numerose
interrelazioni sono stati finora incapaci di produrre, se non un corpus di teorie unico
quanto meno, una base teorica sufficientemente composta e condivisa sulla materia.
Nimmo e Swanson (1990) raggruppano gli studi nel campo della comunicazione politica
in quattro macrogruppi:
1) studi sulla comunicazione elettorale: si articolano nell’analisi della copertura
mediale delle campagne, dell’evoluzione dei formati comunicativi dedicati
all’evento;
2) studi sul rapporto tra sistema politico e sistema mediale: si focalizzano in
particolare sul contributo fornito dai media alla costruzione della realtà;
3) studi sulla retorica politica: analizzano il ricorso da parte dei politici a strategie
discorsive per costruire immagini ed identità;
4) studi sul contributo dei media alla socializzazione ed alla partecipazione politica,
in cui vengono ricompresi anche gli studi sui processi di elaborazione
dell’informazione politica da parte dei cittadini.
Tra le definizioni più ampie e comunemente accettate di comunicazione politica
troviamo quella proposta da Giampietro Mazzoleni che definisce la comunicazione
politica come: “lo scambio e il confronto dei contenuti di interesse pubblico-politico prodotti dal
sistema politico, dal sistema dei media e dal cittadino-elettore” (2004, p.29). Questa
definizione, come molte altre, non rende giustizia all’estrema complessità del fenomeno
per via della sua natura ibrida che la situa tra due grandi sfere dell’attività umana: la
comunicazione e la politica.
La politica ha sempre avuto una forte dimensione simbolica e comunicativa, più o meno
evidente a seconda del tempo e dello spazio. Possiamo rintracciare le radici della
comunicazione politica nella retorica della polis greca, quale arte della persuasione per
eccellenza, e nella Repubblica romana dove le tecniche di comunicazione per condurre le
campagne elettorali uniscono gli insegnamenti della dialettica di origine greca alle arti
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della persuasione di tipo clientelare tipico della tradizione romana. Ma è dal dopoguerra
che sono cresciuti gli studi riguardanti gli effetti della comunicazione politica sugli attori
e sulle convinzioni dell’elettorato. Gerstlé sottolinea come “la comunicazione impregna
l‟intera attività politica a tal punto che quasi tutti i comportamenti politici implicano un ricorso
ad una qualche forma di comunicazione” (1992, p.14).
È oggi universalmente riconosciuto come, a partire dal Novecento, la comunicazione
politica stia attraversando una parabola evolutiva sviluppatasi in tre diverse “ere”:
premoderna, moderna e postmoderna. I primi a proporre questa suddivisione temporale
sono Blumler e Kavanagh (1999) suggerendo di guardare agli sviluppi della
comunicazione politica attraverso una prospettiva temporale che parta dal secondo
dopoguerra per approdare ai giorni nostri. Nonostante i due autori si riferiscano
esclusivamente al contesto statunitense, le tre fasi possono essere individuate facilmente
anche nell’esperienza europea. Possiamo inoltre associare a queste tre fasi temporali
distinte e successive anche tre differenti tipologie di campagna elettorale (Norris, 2000).
Nella fase premoderna, posizionata da Blumler e Kavanagh tra l’immediato secondo
dopoguerra e gli anni Cinquanta, gli attori principali delle campagne elettorali sono i
partiti politici. Questi, in virtù del loro ruolo di cinghie di trasmissione tra il sistema
politico e l’elettorato, dispongono di canali di comunicazione diretta con i cittadini-
elettori quali ad esempio la stampa di partito e reti di volontari radicati nel territorio. I
partiti si strutturano sulle fratture sociali presenti nella società. Le appartenenze
politiche dei cittadini rispecchiano principalmente le identità sociali basate sulle classi,
sui gruppi o sulle associazioni, identità che vengono rafforzate nella sfera politica dal
cosiddetto “voto di appartenenza” (Parisi e Pasquino 1977). In questa fase il principale
obiettivo della comunicazione politica è, da un lato, la mobilitazione degli elettori del
partito riattivando legami e relazioni preesistenti e, dall’altro, veicolare la richiesta di
attivare iniziative sul territorio che il partito rivolge alla sua base. I contenuti della
comunicazione politica nella fase premoderna sono prevalentemente ideologici e
vengono trasmessi attraverso il modello classico della propaganda. I media svolgono un
ruolo marginale, offrendo la loro visione del mondo riguardo ai fatti del giorno, ma
producendo una scarsa influenza sui cittadini, il cui voto è ancorato ad una stabile fede
nei partiti.
La fase moderna ha inizio con i mutamenti che intervengono nelle società occidentali a
seguito del processo di modernizzazione, in particolare con l'aumento dei flussi tra le
classi sociali conseguente alla minor rilevanza che le caratteristiche ascritte hanno nel
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definire i destini sociali degli individui. Agli inizi degli anni Sessanta i partiti iniziano a
perdere parte della loro presa sull’elettorato, e grazie in particolar modo alla diffusione
del mezzo televisivo, i cittadini diventano maggiormente “esposti e disposti” a valutare
visioni e partiti alternativi. La relazione tra appartenenze sociali e voto inizia ad
indebolirsi e ad affermarsi il “voto di opinione” con il quale l’elettore sceglie tenendo
sempre più in conto dei programmi e delle caratteristiche personali dei candidati (Parisi
e Pasquino 1977). I media sostituiscono i partiti nella creazione delle identità personali e
collettive, e dovendosi rivolgere ad un pubblico vasto ed eterogeneo, sviluppano sempre
più programmi “piglia tutti”. Per i partiti politici non è più sufficiente interpellare la rete
di iscritti e militanti promuovendo iniziative dirette sul territorio. Nelle campagne
elettorali inizia a crescere il ruolo della persuasione sulla schiera, crescente, di elettori
freerider, non affiliati o indipendenti. Conseguentemente i partiti politici sono spinti ad
utilizzare strumenti più precisi e scientifici (ad esempio i sondaggi elettorali) allo scopo
di comprendere gli orientamenti dell’elettorato. La diffusione dei mezzi di
comunicazione di massa, da un lato, consente di raggiungere la quasi totalità dei
cittadini superando il limite della selettività degli apparati di partito e ampliando la
platea dei destinatari; dall’altro, diminuisce il grado di coinvolgimento dell’elettorato
che assume sempre più un ruolo meramente passivo. Il pubblico di ogni singolo partito
si amplia e si intreccia con quello dei partiti concorrenti. I contenuti della comunicazione
si fanno più sfumati, vaghi, spesso ridotti a slogan e brevi dichiarazioni, incentrati più
sull’immagine del candidato e su generiche questioni valoriali che su problemi concreti e
proposte per risolverli. Si avvia così un processo di personalizzazione della politica e di
“presidenzializzazione” delle democrazie sempre più incentrate sui leader che troverà il
suo apice nella fase successiva. Questo nuovo quadro richiede nuove professionalità in
grado di comprendere e dominarne il funzionamento sviluppando nuove strategie e
flussi di comunicazione verso l’elettorato. I tempi sono maturi per la nascita dei primi
professionisti della comunicazione politica.
La fase post-moderna, ancora in fieri, è più complessa e articolata delle precedenti.
Nonostante le differenti definizioni e denominazioni date a questa fase della storia
umana (post-moderna per Bauman, della modernità radicale e riflessiva per Giddens o
del rischio per Beck), i diversi studiosi concordano nell’identificare nel processo di
modernizzazione una spinta emancipatrice. L’individuo, in assenza di norme e valori
universali e non problematicizzati, sviluppa un atteggiamento autoriflessivo che mette
continuamente in discussione il proprio agire e la propria identità in cerca di criteri che
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lo guidino. Le pratiche sociali vengono costantemente esaminate e riformate alla luce di
nuovi dati acquisiti in merito alle stesse pratiche e non possono più essere approvate
solo perché conformi alla tradizione. Il crollo del muro di Berlino è forse stata
l’espressione più evidente di una trasformazione che ha coinvolto il livello delle nazioni,
ma anche quello delle coscienze individuali. I legami politici e le convinzioni valoriali
non sono scomparsi ma si sono ridefiniti come relazioni che devono essere
continuamente confermate e rinnovate. Se nelle fasi precedenti la vittoria elettorale era
basata, rispettivamente, sulla capacità di mobilitare il voto ideologico e di appartenenza
e di convincere indecisi e non affiliati, nella fase postmoderna, diviene centrale la
capacità del partito (e del leader) di coinvolgere emotivamente gli elettori convincendoli
in primis a recarsi alle urne. Alla crescente complessità dell’elettorato si aggiungono
trasformazioni significative nel sistema dei media. La televisione generalista è affiancata
da altre televisioni (digitale, via cavo, satellitare, su Internet, cellulare) destinate ad un
pluralità di pubblici di nicchia che compensano la diminuzione quantitativa del pubblico
con la crescita qualitativa della sua affezione. Internet e le attività che in esso si sono
sviluppate amplificano la quantità delle informazioni e le occasioni di partecipazione del
pubblico. Nella fase postmoderna le campagne elettorali diventano multicanale e
multimediali, facendo prevalere la frammentazione dello stile comunicativo ed una
pluralità di azioni di marketing pensate per i diversi pubblici. I partiti sono spinti a
ridisegnare il proprio brand, le proprie proposte politiche (policies) ed i messaggi in modo
da andare incontro alle richieste dell’elettorato. Le campagne elettorali contemporanee
riscoprono l’importanza del contatto diretto, della campagna sul territorio, una presenza
che è però mediata dalle nuove tecnologie: l’esserci fisico del comizio di piazza e
sostituito dall’esserci virtuale del forum di discussione o del videomessaggio su Youtube.
L’utilizzo di database consente la personalizzazione del messaggio in base agli stili di
vita e di costruire “campagne piramidali” in cui ad avvicinare l’elettore non è più il
candidato attraverso messaggi standard, con posta anonima o messaggi telefonici di
sconosciuti, ma attraverso persone facenti parte delle reti sociali e amicali del
cittadino/elettore. Le strategie dei candidati/partiti diventano quindi fluide, dinamiche,
capaci di modificarsi ed adattarsi rapidamente ai cambiamenti.
Secondo Blumer e Kavanagh (1999) la fase post-moderna della comunicazione politica si
sta sviluppando lungo cinque direttrici:
1) una maggior professionalizzazione del rapporto con l’opinione pubblica.
Aumenta la propensione dei politici ad avvalersi di professionisti esterni in
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grado di portare competenze specialistiche per governare la comunicazione con
media e cittadini e per pianificare nei dettagli le campagne elettorali;
2) un aumento della concorrenza tra i contenuti dei mass-media e la
comunicazione/informazione politica. La crescente complessità del sistema della
comunicazione e la moltiplicazione dei canali comportano un aumento dei
contenuti d’intrattenimento in grado d’influenzare anche gli standard dei format
informativi. Di conseguenza anche la politica diviene per il sistema dei media
un’occasione di infotainment;
3) diffusione di nuove forme di populismo. In passato la comunicazione politica
rispondeva ad uno schema di tipo top-down con in cui l’agenda politica veniva
discussa principalmente tra politici, media ed esperti con un pubblico passivo
impossibilitato a parteciparvi. Oggi, con la crisi delle ideologie, con la fiducia
nelle istituzioni governative in notevole calo e la diffusione delle tecniche di
imbonimento degli elettori, si assiste alla diffusione di correnti di populismo che
attraversano la società civile. Anche nei media si assiste ad una crescente
tendenza a puntare i riflettori sulla “gente”, sui sentimenti e sul privato in
contrapposizione con le elite politiche. Questo costringe sempre più spesso anche
i politici a cercare di apparire in sintonia con i gusti e gli umori del pubblico;
4) diversificazione centrifuga. Se nella seconda fase la comunicazione politica era
prevalentemente centripeta, finalizzata ad un pubblico vasto ed eterogeneo
costantemente raggiunto da messaggi uniformi, oggi la moltiplicazione dei canali
e la frammentazione dei pubblici porta alla scomposizione del pubblico in tante
“nicchie” che fruiscono e richiedono contenuti specifici;
5) cambiamenti nelle modalità di ricezione del contenuto politico da parte dei
cittadini. La politica diventa un prodotto di consumo che deve attrarre l’interesse
dell’elettore all’interno dell’offerta dei media nello stesso modo in cui un
prodotto deve attrarre l’interesse del consumatore tra gli scaffali di un
supermercato. Da un lato, il format politico puro tende a scomparire a favore di
forme meticcie di infotainment; dall’atro il dibattito politico si espande
infiltrandosi in altri format alla ricerca della maggiore esposizione possibile.
La comunicazione politica riveste oggi una sempre maggiore importanza nella società
contemporanea; la costruzione di popolarità attorno alla propria figura da parte dei
leader politici e la ricerca del consenso verso le proprie proposte diventano attività che
non vedono mai soste portando alla nascita di quella che Blumenthal definisce campagna
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permanente. Essa “è l‟ideologia politica della nostra epoca. Questa combina la creazione di
immagine al calcolo strategico. Nella campagna permanente il governare si trasforma in una
campagna elettorale perpetua e converte il governo in uno strumento di sostegno della popolarità
degli eletti” (1982, p. 23).
La campagna permanente rappresenta un radicale cambio culturale nella sfera politica.
Sottolinea la necessità di comunicare in maniere continuativa con i cittadini-elettori, in
un modello di relazione in cui la comunicazione è parte integrante e fondamentale di
un’attività politica ciclica in cui la fine di una campagna elettorale segna l’inizio della
successiva. È bene sottolineare come l’affermarsi della campagna permanente non si
traduca in un mero aumento della durata dell’attività elettorale ma in un più ampio
ruolo delle strategie comunicative nell’affermazione, nell’esercizio e nel mantenimento
della leadership1 anche dopo la vittoria elettorale, quindi in primo luogo durante la
normale attività governativa del candidato vincente.
La campagna permanente è al contempo prodotto e produttrice dell’affermazione di altri
elementi tipici dell’attuale comunicazione politica:
a) personalizzazione della politica e attenzione all‟immagine del leader. L’indebolimento
ideologico dei partiti e la sempre maggior necessità di conquistare spazi sui
media per comunicare con i cittadini, portano ad una crescente attenzione
sull’immagine del leader. Questo fenomeno, ormai ampiamente affermato in
tutte le società occidentali, ha portato i politici ad accettare una sempre più
accentuata esposizione della loro sfera privata per conquistare le simpatie degli
elettori. Esposizione che rende necessaria la ricerca di leadership forti che
vengano “messe in discussione” il meno possibile, e ad una maggior attenzione
verso l’immagine dei candidati a discapito dei programmi;
b) professionalizzazione della politica. L’affermazione dei mezzi di comunicazione di
massa e la crescente complessità delle campagne elettorali e degli scambi tra gli
attori del sistema politico, rendono necessario il ricorso da parte dei partiti e dei
candidati a consulenti, sondaggisti, pubblicitari ed esperti del marketing;
c) cambiamenti dei meccanismi di selezione della leadership. Diminuiscono i candidati di
partito a favore di “cittadini prestati alla politica”, esponenti del mondo
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In particolare ci riferiamo alla “presidenza retorica” definita come una presidenza fondata su «un modello
di leadership in cui le strategie comunicative assumono carattere di centralità ed insieme di chiara
finalizzazione politica. Divengono cioè un autentico strumento di governo [...]» (Roncarolo 1994, p. 23) ed al
“going public” «una prassi comunicativa che tenta di sfruttare le opportunità offerte dai media per introdurre
cambiamenti nei rapporti di forza tra la presidenza, le altre istituzioni di governo e i cittadini» (Amoretti
1997, p. 62)
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imprenditoriale, culturale, opinion leader locali. Le qualità fondamentali per un
buon candidato diventano la capacità di ben figurare e ben comunicare
attraverso i media;
d) negoziazione dei contenuti e dei formati tra sistema politico e sistema dei media.
L’incapacità dei partiti d’imporre ai media la propria agenda tematica ha portato,
da un lato, ad una crescita di pseudo-eventi, ad una negoziazione diretta con i
giornalisti ed alla soppressione di temi “scomodi”, dall’altro, ad una maggiore
propensione ad usare le tematiche per portare a segno attacchi diretti verso
l’avversario;
e) spettacolarizzazione della politica. Si assiste oggi ad una sempre maggiore
commistione tra informazione ed intrattenimento, con la nascita ad esempio di
formati ibridi quali l’infotainment ed il talk show. I politici cercano sempre più di
apparire attraverso cornici mediatiche favorevoli. La copertura della politica
diventa più leggera, la vita dei politici ed i loro caratteri diventano argomenti
legittimi di dibattito con un conseguente abbattimento della barriera tra scena e
retroscena che separava il potere politico dall’occhio pubblico e conferiva ad esso
un’aurea di sacralità;
f) mediatizzazione e frammentazione del discorso politico. Negli ultimi anni i tempi di
parola dei politici nei telegiornali si è drasticamente ridotto portando ad una
comunicazione politica quotidiana basata su sound bite (brevi dichiarazioni di
circa una decina di secondi) e slogan;
g) aumento della conflittualità e del ricorso a contenuti negativi. I media tendono sempre
più spesso ad utilizzare la logica del “dramma” per rappresentare qualsiasi
diatriba politica, sia essa esterna, tra partiti concorrenti e posizioni diverse, sia
essa interna, tra esponenti dello stesso partito o della stessa coalizione. Questo
spinge i politici a prediligere un atteggiamento aggressivo e conflittuale
finalizzato a “fare notizia” spesso tentando di trasformare anche le questioni più
banali e marginali in controversie di fondamentale importanza.
2.1 L’immagine del leader
Nel paragrafo precedente abbiamo sostenuto che la diffusione dei mezzi di
comunicazione di massa, soprattutto l’affermarsi dell’immagine televisiva come centro
della comunicazione, ha portato ad una crescente rilevanza dell’immagine del leader, o