3
mitica, generalmente conferita alle reliquie o alle icone
4
. La stauroteca bizantina
di Cortona (Tav. 1) – oggetto del presente lavoro – costituisce un’eccezione di
questo tipo. Un’iscrizione sul retro, realizzata in lettere maiuscole greche disposte
in forma di croce, ricorda proprio come un non meglio imprecisato imperatore di
nome Niceforo l’abbia utilizzata contro i barbari, quale simbolo di salvezza. È una
frase che valorizza il contenuto del reliquiario e non il contenitore,
paradossalmente il contrario di quello che avviene oggi, allorché si è propensi ad
attribuire un maggior valore storico-artistico alla custodia in avorio, lavoro di
elevata qualità tecnica e artistica.
Dobbiamo a frate Elia – personaggio discusso ma affascinate, protagonista dei
primi anni del francescanesimo – la possibilità di ammirare quest’opera d’arte.
Elia, infatti, la riportò dall’Oriente, anche se non ci è dato sapere il percorso che
compì la stauroteca per arrivare nelle sue mani, e la depose nella chiesa di San
Francesco a Cortona, un edificio che lui stesso aveva fatto costruire.
La parte anteriore dell’avorio cortonese, scolpita con figure religiose, appartiene
stilisticamente e per l’elevata qualità di lavorazione, al X secolo, agli anni della
rinascenza macedone
5
, il periodo d’oro dell’impero bizantino, caratterizzato da
risorgimento culturale e sviluppo politico. La parte posteriore, occupata
dall’iscrizione a forma di croce, di cui si è detto e da un’altra che corre lungo i
margini, è stata, invece, oggetto di dibattito per quanto riguarda la datazione. Il
problema, tuttavia, ancorché complesso, non è mai stato affrontato in un’opera
monografica: di qui la scelta della presente indagine.
In questa sede ci si propone proprio di verificare le varie ipotesi sulla datazione
delle iscrizioni, cercando di arrivare ad una conclusione, che si spera definitiva,
circa il periodo di produzione e di incisione delle epigrafi.
Dopo un primo capitolo dedicato alla produzione di avori a Costantinopoli nel
periodo della rinascenza macedone e un breve sguardo rivolto all’arte religiosa in
generale, nel secondo sono raccontati l’arrivo della tavoletta eburnea in Italia e la
storia di frate Elia. Nel terzo capitolo si passa alla descrizione della parte anteriore
4
A. Cutler, Vita sociale degli oggetti, in Del vedere: pubblici, forme e funzioni, III. Arti e storia
nel Medioevo, a cura di E. Castelnuovo-G. Sergi, Torino 2002, pp. 291-330.
5
G. Ostrogorsky, Storia dell’impero bizantino, Torino 1968, pp. 198-291; S. Ronchey, Lo stato
bizantino, Torino 2002, pp. 103-143; R.J. Lilie, Bisanzio seconda Roma, Roma 2005, pp. 197-246.
4
della stauroteca e, infine, nel quarto è affrontato il problema della datazione,
preceduto dall’analisi paleografica della scrittura. Considerando che le incisioni
caratterizzano il maggior numero degli avori mediobizantini
6
(specialmente quelli
di fattura elevata) e partendo dal presupposto che le epigrafi potessero appartenere
al X secolo, come la parte anteriore e come la maggior parte degli studiosi aveva
ipotizzato, nell’ultimo capitolo mi sono servita di vari confronti paleografici per
arrivare ad una datazione più certa e, in modo particolare, ho confrontato le lettere
maiuscole della stauroteca con le scritture distintive dei manoscritti greci,
arrivando così a verificare l’ipotesi iniziale.
6
A. Cutler, Iscrizioni ed iconografia di alcuni avori mediobizantini. Le testimonianze e la loro
datazione, a cura di G. Cavallo, Palermo 1991, pp. 91-104.
5
1. La stauroteca di Cortona nell’ambito della produzione eburnea nel X
secolo
Nel periodo della rinascenza macedone l’arte religiosa subisce un nuovo impulso,
un cambiamento dopo la controversia iconoclasta
1
. Il IX secolo è, infatti, il
periodo della reintroduzione delle icone dopo che esse erano state proibite agli
inizi del secolo precedente. Le immagini sacre adesso assumono temi e forme
nuove, sono l’espressione sia del cambiamento storico che del nuovo rapporto tra
icona e società e sono chiamate a rappresentare l’unità ecclesiastica e sociale.
L’icona è presa come simbolo per la nuova unità dell’impero.
L’elemento cristiano entra a far parte ancora più massicciamente della vita dei
Bizantini e, nei primi anni della dinastia macedone, inizia un dibattito pubblico ed
ufficiale sulle figure cristiane. Fino ad allora le icone non avevano ancora
sviluppato forme specifiche, né una propria estetica, ma in questi anni
l’evoluzione dell’arte religiosa si lega ad una tematica fissa e a severe regole
iconografiche, controllate dalle autorità ecclesiastiche. Viene data forma definitiva
ai principali temi, grazie ad un processo di selezione rigida e di riduzione a
determinati modelli. Si arriva ad un’arte religiosa caratterizzata dal rifiuto di ogni
definizione del peso, del volume (o della terza dimensione), e dalla soppressione
del non essenziale e del casuale. Un’arte, quindi, che, messa al riparo dalle
invenzioni dell’uomo è in grado di evocare un’immagine dell’Assoluto
2
.
Il risultato di tutte queste regole è una rinascenza classica, ma al tempo stesso
anche uno stile nuovo che, «pur fondato sulla concezione dell’arte tardo antica e
della prima età bizantina, esprime una volontà formale completamente nuova
3
» e
cerca di rappresentare una totale fusione tra elementi cristiani e antichi. Gli artisti
di questo periodo non copiano solamente la tecnica e il contenuto dei lavori
dell’arte passata, ma cercano di mescolare perfettamente stili e temi cristiani con
quelli dell’antichità. Lo scopo principale è quello di unire il mondo fisico antico
1
H. Belting, Il culto delle immagini: storia dell’icona dall’età imperiale al tardo Medioevo, Roma
2001, pp. 184-189; M. Bettetini, Contro le immagini: le radici dell’iconoclastia, Roma 2006.
2
J. Beckwith, L’arte di Costantinopoli: introduzione all’arte bizantina 330-1453, Torino 1967, p.
46-85.
3
Beckwith, L’arte di Costantinopoli cit., p. 48.
6
con quello immateriale cristiano e portare l’idea classica di bellezza in armonia
con la spiritualità
4
.
Si creano così dei prototipi di immagini sacre, dei modelli che gli artisti devono
seguire. Come racconta Basilio di Cesarea, è l’immagine che deve permettere
all’uomo di poter raggiungere il divino e quindi occorre che vi sia un’analogia tra
l’icona e il suo modello
5
. Il concetto di Basilio viene poi ripreso da Giovanni
Damasceno, per definire la sua posizione ortodossa sulle immagini, e, nel IX
secolo, da Teodoro Studita, per spiegare e descrivere come un’immagine possa
somigliare al proprio modello («il modello è nell’immagine, se ne differenzia per
la sostanza […]. In virtù dell’imitazione l’immagine e il modello sono una cosa
sola
6
»).
È principalmente la corte che contribuisce in misura maggiore ai cambiamenti in
corso in questi anni e si fa promotrice dei nuovi schemi decorativi e dei nuovi
piani di costruzione
7
. Nell’iconografia imperiale l’elemento cristiano, che era stato
prima del IX secolo limitato alla Croce e al monogramma, viene rappresentato
adesso da immagini di Gesù, della Vergine e dei Santi e al vessillo imperiale si
sostituisce la figura dell’imperatore
8
, persona sacra e dotata di natura superumana,
considerato l’intermediario tra Dio e l’impero. Nella concezione bizantina egli è
colui che gode di un rapporto speciale con Cristo, a causa dell’elezione divina al
potere e, di conseguenza, possiede privilegi particolari all’interno della Chiesa
ortodossa.
Nel X secolo, poi, la corte crea, per la venerazione universale, il ritratto ufficiale
di Cristo
9
: l’immagine si trova nell’atrio della chiesa di Santa Sofia a
Costantinopoli e rappresenta Dio seduto in trono, che porge con la destra il suo
saluto di pace all’imperatore (Leone VI o Basilio I) chino ai suoi piedi e tiene
nella sinistra il libro del Vangelo aperto. In questo mosaico la figura sacra ha i
4
H.C. Evans-W.D. Wixom, The glory of Byzantium: art and culture of the Middle Byzantine Era,
AD 843-1261, New York 1997, pp. 134-138.
5
A. Cutler, Artisti e modelli a Bisanzio, in Tempi, spazi, istituzioni, I. Arti e storia nel Medioevo,
a cura di E. Castelnuovo-G. Sergi, Torino 2002, pp. 701-731.
6
Epistula ad Platonem, in Patrologia Graeca 99, col. 500, a cura di J.P. Migne, Paris 1857.
7
Beckwith, L’arte di Costantinopoli cit., p. 46.
8
L’iconografia dell’imperatore costituisce il secondo ambito più vasto della produzione figurativa
bizantina dopo quello religioso, si veda M. Mc Cormick, L’imperatore, in L’uomo bizantino, a
cura di G. Cavallo, Roma-Bari 2005, pp. 341-379.
9
Belting, Il culto delle immagini cit., pp. 257-269.
7
capelli lunghi e mossi e la barba, un’icona già riprodotta dalla prima moneta con
l’effigie di Cristo dopo l’843 e che si attiene al Mandylion
10
(Tav. 2),
un’immagine su panno che si trova nella cappella del Palazzo tra le reliquie
appartenenti alla vita di Gesù. Tale immagine era stata trasportata, proprio nel X
secolo, dalla città di Edessa, nella Sira del nord, a Costantinopoli e, già dal VI
secolo, quando era stata citata per la prima volta, ha rappresentato l’essenza stessa
dell’icona. L’immagine è anche detta acheiropoietos, cioè non fatta da mani
umane: si sarebbe infatti miracolosamente impressa su un pezzo di stoffa che
Cristo avrebbe donato al messaggero del re di Edessa, Agbar, il quale gli aveva
richiesto un suo ritratto
11
.
A Bisanzio, Dio è sempre identificato nella forma del figlio dell’uomo: Cristo,
l’uomo, è al tempo stesso anche Dio, il divino. Questo per la duplice natura
attribuitagli, quella divina e quella umana. Di conseguenza la venerazione della
figura di Gesù è lecita, in quanto è anche la testimonianza di uno dei fondamenti
della religione cristiana: l’incarnazione del Verbo. L’immagine di Cristo
riprodurrebbe il Verbo divino sulla terra, come ricorda anche san Paolo: «Questi è
l’immagine d’Iddio invisibile, primogenito avanti ogni creatura
12
».
Le figure dei santi
13
sono considerate indirettamente icone di Cristo, esse
rimandano al personaggio modello e variano secondo poche formule ricorrenti,
così come gli abiti richiamano il gruppo di appartenenza all’interno della
comunità ecclesiastica
14
.
Il prototipo per l’immagine della Vergine è invece quello attribuito a san Luca, dal
quale la Madonna si sarebbe fatta più volte ritrarre
15
. Per la prima volta, in questi
anni, all’icona si affianca anche il titolo riferito all’immagine e ne è un esempio
proprio la figura di Maria, alla quale è stato attribuito il titolo teologico di “Madre
di Dio”.
10
Belting, Il culto delle immagini cit., p. 211; T. Burck Hardt, L’arte sacra in Oriente e Occidente,
Milano 1976, pp. 75-76; W.G. Dufour Bozzo-C. Calder, Mandylion intorno al sacro volto, da
Bisanzio a Genova, Genova 2004.
11
Burck Hardt, L’arte sacra in Oriente e Occidente, cit., p. 76-77.
12
San Paolo, Lettera ai Colossesi, 1, 15, in Lettere di San Paolo, Milano 1997.
13
E. Patlagean, Agiografia bizantina e storia sociale, in Agiografia altomedievale, a cura di S.
Boesch Gajano, Bologna 1976, pp. 191-213; C. Mango, Il santo, in L’uomo bizantino, a cura di G.
Cavallo, Roma-Bari 1992, pp. 383-422.
14
Burck Hardt, L’arte sacra in Oriente e Occidente, cit., p. 72.
15
Burck Hardt, L’arte sacra in Oriente e Occidente, cit., p. 72.